
…non si versi in materia di esame contabile.
Una società conveniva in giudizio gli amministratori e i sindaci chiedendo il risarcimento del danno ad essa cagionato per via della liquidazione di compensi sproporzionati e non dovuti, di finanziamenti contrari allo statuto e della vendita a prezzi più bassi rispetto a quelli di mercato di un gran numero di immobili della società.
Previa CTU, il Tribunale di...
Svolgimento del processo
con atto di citazione del 29 marzo 2007 I. – F. società consortile a responsabilità limitata, avente quale oggetto la realizzazione di un programma di edilizia agevolata nel territorio di Salerno, convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Salerno, secondo il rito di cui al d. lgs. n. 5 del 2003, gli amministratori e i sindaci della società chiedendo il risarcimento del danno cagionato alla medesima società per effetto della liquidazione di compensi sproporzionati e non dovuti, di finanziamenti contrari allo statuto e della vendita a prezzi inferiori a quelli di mercato di un numero notevole di immobili della società. Il convenuto G.D.S. chiamò in causa T.A. s.p.a.. Il Tribunale adito, previa CTU, accolse la domanda, condannando i convenuti in solido al risarcimento del danno e accogliendo la domanda di garanzia. Avverso detta sentenza proposero distinti appelli i convenuti. Per la società attrice si costituì la curatela fallimentare. Riunite le impugnazioni, con sentenza di data 10 marzo 2017 la Corte d'appello di Salerno accolse parzialmente gli appelli e, per quanto qui rileva, condannò S. M. al pagamento della somma di Euro 10. 741.754,20 in luogo di quella di Euro 12.349.511,89, L. R. al pagamento della somma di Euro 10.167.829,95 in luogo della somma di Euro 12.425.587,64, E. M. al pagamento della somma di Euro 9.934.685,11 in luogo della somma di Euro 12.192.442,90, L. C. al pagamento della somma di Euro 2.917.930,52 in luogo di quella di Euro 12.665.484,24 e U. P. al pagamento della somma di Euro 2.902.565,52 in luogo di quella di Euro 10.764.352,24.
Per quanto qui rileva, premise la corte territoriale che non sussisteva il difetto di legittimazione attiva della società attrice in quanto la complessiva lettura dell'art. 2476 cod. civ., con particolare riferimento al quinto comma, determinava il superamento della lettera della legge riferita a "ciascun socio", consentendo di ritenere esistente analoga facoltà per l'insieme dei soci. Osservò quindi che l'acquisizione da parte del CTU di documenti dalla parte attrice, non tempestivamente prodotti in giudizio, non aveva determinato la nullità della consulenza per le seguenti ragioni: la documentazione (libri sociali, fatture, mastrini e contratti di compravendita) era stata acquisita presso la sede della società con riferimento ad attività rientrante nel quesito formulato dal giudice (esame dei bilanci e delle scritture contabili della società) e implicante, per la corretta esecuzione, l'ausilio di speciali cognizioni tecniche; si trattava di documenti relativi a fatti accessori, e non ai fatti costitutivi, in quanto necessari per la valutazione dei fatti a fondamento della domanda e del nesso di causalità, considerando inoltre che per accessorietà doveva intendersi l'inerenza ad un ambito strettamente tecnico. Osservò ancora che le valutazioni dei consulenti erano in via generale condivisibili perché fondate su corretti criteri e congrue argomentazioni tecniche e logiche, anche per ciò che concerneva la stima degli immobili, e che in particolare i consulenti avevano descritto le vendite effettuate in favore di G. s.r.l. e degli altri acquirenti, quantificando la differenza tra il prezzo indicato e il valore determinato di ciascun immobile, nonché avevano determinato il danno per ciascuna attività o operazione considerata, provvedendo ad addebitarlo ai soggetti coinvolti.
Aggiunse che l'esistenza di danni a carico della società risultava ampiamente provata per un ammontare così elevato da non lasciare dubbi sul fatto che le operazioni compiute dagli amministratori non fossero conformi a criteri di corretta e diligente amministrazione, risultando provato anche il nesso di causalità con l'operato degli amministratori (il danno era infatti conseguito al mancato rispetto dei doveri imposti dalle norme sociali e comunque era collegabile, specie per le vendite sottocosto, al mancato rispetto non solo della diligenza professionale, ma anche di quella ordinaria). Osservò ancora, premesso che costituiva un obbligo per la società adeguare il quadro economico, dovendo applicare alle vendite i parametri elaborati dalla Regione nel 1996, che il divieto sostenuto dagli appellanti di adeguamento Istat rispetto ai prezzi convenzionali prestabiliti era contrario alla logica e corretta amministrazione e non era desumibile da alcuna norma specifica, né poteva trarsi dalla delibera n. 7844 del 1994, considerato la natura degli indici Istat, non costituenti aumenti ma piuttosto adeguamenti dei valori precedenti al decorso del tempo (peraltro l'art. 14 della delibera citata prevedeva espressamente l'aggiornamento degli indici che la Regione doveva operare). Aggiunse che se un divieto specifico per gli adeguamenti Istat vi fosse stato, le relative sanzioni sarebbero state applicate, sia in relazione all'intervento costruttivo E. che in relazione a tutti gli altri interventi costruttivi, nei quali l'adeguamento era stato effettuato, ma per un importo inferiore.
Passando alle posizioni specifiche, e in particolare quella di S. M., presidente del consiglio di amministrazione all'epoca dei fatti, osservò la corte territoriale che l'eccezione di omessa pronuncia circa l'inammissibilità del deposito di nuovi documenti doveva ritenersi assorbita dalla ritenuta validità delle acquisizioni compiute dai consulenti e che, quanto all'eccezione di omessa pronuncia sull'istanza di verificazione della scrittura privata del 3 ottobre 2005, tale scrittura non era rilevante, atteso che i titoli non erano stati ritrovati e la somma non risultava comunque incassata. Circa i sindaci (C., D. S. e P.) aggiunse che, risultando macroscopiche le violazioni (anche per l'entità del danno), l'esenzione da responsabilità poteva essere ritenuta solo se provato che non si era potuto individuare il danno pur applicando la dovuta diligenza o che comunque gli stessi sindaci si erano attivati per denunciarlo o in altro modo. Precisò che i sindaci non avevano compiuto alcuna attività di denuncia, limitandosi in alcune occasioni a chiedere la disponibilità di documentazione e che, quanto alla sostenuta nell'appello inapplicabilità degli artt. 2409 e 2406 cod. civ., anche a ritenere tale inapplicabilità era innegabile che potevano essere rinvenuti degli equivalenti non formali. Aggiunse che vi era stata assenza di qualsiasi attività o richiesta e che il P. era stato presente alla seduta, avendone perciò cognizione diretta, nella quale era stato deliberato il finanziamento di Euro 1.400.000,00 in favore di G., operazione contraria allo statuto che doveva determinare un immediato intervento. Osservò ancora che il collegio sindacale aveva avuto modo di verificare nei bilanci di esercizio 2003 - 2005 la vertiginosa crescita del dato relativo ai compensi agli amministratori senza effettuare mai alcun rilievo e che quanto al mancato incasso di Euro 650.000,00 il medesimo collegio sindacale aveva omesso ogni attività di accertamento delle motivazioni della difformità fra l'atto amministrativo e la rilevazione contabile o quanto meno la richiesta di chiarimenti. Aggiunse, quanto all'eccezione di conflitto di interessi del consulente A.M. per legami professionali a società facenti parte del medesimo gruppo dell'attrice, che non era prevista alcuna automatica nullità per situazioni come quella denunciata e che in ogni caso il problema era superato essendosi il consulente dimesso prima della conclusione delle operazioni peritali e non avendo quindi firmato l'elaborato.
Osservò inoltre, quanto al finanziamento alla società G., che i fatti avevano dimostrato che la partecipazione al capitale di tale società non aveva sortito vantaggi perché non ne era derivato alla società alcun utile ed anzi si erano prodotte conseguenze negative, ampiamente iscrivendosi tra le scelte di cattiva gestione. Aggiunse che non poteva essere accolta la tesi che il danno relativo al finanziamento di Euro 1.400.000,00 era imputabile al solo presidente M., trattandosi di danno direttamente collegabile alle determinazioni contenute nei verbali del CdA dell'11 luglio 2005 e dell'8 settembre 2005, nonché alla complessiva attività svolta sia dal comitato esecutivo, di cui facevano parte R. e G., che dal CdA nel suo complesso. Infine osservò, circa gli emolumenti percepiti, che l'assemblea dei soci non aveva deliberato una diversa misura dell'indennità a titolo di compenso per i componenti del comitato esecutivo e che i compensi attribuiti erano risultati eccedenti rispetto ai limiti posti per espressa manifestazione di volontà dei soci.
Hanno proposto distinti ricorsi per cassazione S. M., L. C. (in via incidentale), A. C., V. G., L. R., E. M. (gli ultimi tre con un unico atto) e, in via incidentale e con unico atto, G. C. e U.P.. Resiste con controricorso, a ciascuno dei ricorsi, il Fallimento I. F. s.r.l.. E' stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell'art. 380 bis.l cod. proc. civ.. E' stata presentata memoria.
Motivi della decisione
Va preliminarmente disposta la riunione delle impugnazioni.
Deve altresì essere preliminarmente rilevata l'estinzione del giudizio di legittimità con riferimento ai ricorsi proposti da V.G., G. C. per essere intervenuta rinuncia con accettazione della parte intimata. Non deve provvedersi sulle spese stante l'accettazione della rinuncia. Quanto invece a A. C. vi è rinuncia al ricorso, ma manca la notifica alla controparte e l'accettazione da parte di quest'ultima. Va pertanto dichiarata l'inammissibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse, con compensazione delle spese trattandosi di rinuncia intervenuta nel quadro delle transazioni richiamate da V. G. e G. C., dando atto della non sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso.
Muovendo dal ricorso proposto da S. M., con il primo motivo si denuncia violazione dell'art. 2476 cod. civ., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che la legittimazione attiva per l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori per i danni al patrimonio sociale spetta al singolo socio e non alla società, la quale può solo rinunciare o transigere la lite, salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo.
Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 112, 132 n. 4 cod. proc. civ., 10 d lgs. n. 5 del 2003, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4 e n. 5, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che l'eccezione di tardività del deposito di nuovi documenti, sollevata con la nota di precisazione delle conclusioni ai sensi dell'art. 10 d. lgs. n. 5 del 2003, non poteva ritenersi assorbita dalla ritenuta validità delle acquisizioni documentali compiute dai consulenti trattandosi di questioni diverse, da cui l'incomprensibilità della motivazione tale da comportare il venir meno del requisito motivazionale. Conclude nel senso che vi è stata omessa pronuncia ai sensi dell'art. 112.
Con il terzo motivo si denuncia violazione degli artt. 112, 132 n. 4 cod. proc. civ., 10 d lgs. n. 5 del 2003, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4 e n. 5, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che il Tribunale, e poi la Corte d'appello, hanno omesso in violazione dell'art. 112 di pronunciare in ordine all'istanza di verificazione dopo che era stata disconosciuta la sottoscrizione della scrittura di data 3 ottobre 2005 fra il M. e U.L. P., quale legale rappresentante di I. – F., da cui risultava la consegna al secondo da parte del primo di sessantacinque titoli cambiari emessi dalla società G. all'ordine di I. – F. per il complessivo importo di Euro 650.000,00. Aggiunge che la Corte d'appello, affermando che la scrittura non era rilevante, atteso che i titoli non erano stati ritrovati e la somma non risultava comunque incassata, aveva utilizzato la scrittura senza esperire il procedimento di verificazione, da cui l'incomprensibilità della motivazione tale da comportare il venir meno del requisito motivazionale.
Con il quarto motivo si denuncia violazione degli artt. 61, 62, 194, 196, 198, 115 cod. proc. civ., 2697 cod. civ., 111 Cost., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che, come eccepito in primo grado con le note autorizzate di data 20 settembre 2011, la CTU è nulla per essere stati acquisiti in sede di consulenza documenti che la parte attrice non aveva tempestivamente prodotto, supplendo così all'onere probatorio non assolto dalla parte medesima, acquisizione peraltro avvenuta non solo presso la sede sociale ma anche per via di consegna da parte del consulente di parte della società. Aggiunge che i documenti in questione (atti di compravendita e contratti preliminari) non implicavano cognizioni tecniche e non potevano costituire documenti accessori in quanto da essi non poteva prescindersi sia per la sussistenza del danno patrimoniale che per la sua quantificazione, per cui si trattava di fatti/documenti costitutivi della domanda risarcitoria. Con il quinto motivo si denuncia violazione degli artt. 35, comma 8 lett. e) - f) I. n. 865 del 1971, 8, comma 2, I. n. 1179 del 1965, 3, comma 1, lett. n) legge n. 457 del 1978, 111 Cost., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che, sulla base della normativa menzionata in rubrica e della concessione contratto stipulata fra l'ente locale concedente e I. – F. in qualità di concessionaria ai sensi dell'art. 35 l. n. 865 del 1971, i prezzi delle assegnazioni in proprietà degli alloggi erano predeterminati e non erano suscettibili di modificazione e che in base all'art. 14 della DGRC n. 7844 del 1996 la Regione poteva (non doveva) annualmente aggiornare il limite di costo della realizzazione tecnica definito ai sensi della medesima delibera.
Passando al ricorso proposto da L. R. e E. M., con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 61, 62, 194, 196, 198, 101, 112, 115, 51 cod. proc. civ., 2697 cod. civ., 111 Cost., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che, come eccepito in primo grado con le note autorizzate di data 20 settembre 2011, e nuovamente eccepito con l'appello, tutti i documenti su cui la CTU si è basata sono stati acquisiti direttamente dal consulente, non solo presso la sede sociale ma anche mediante la consegna del consulente di parte, oltre ogni termine processuale e sostituendosi alla parte, senza che la consulenza medesima avesse carattere percipiente. Aggiunge che con riferimento al consulente A. M. era stato eccepito che al momento dell'accettazione dell'incarico e fino all'anno 2010 era stato legato professionalmente a società facenti parte del medesimo gruppo della società attrice e che la Corte d'appello avrebbe dovuto in presenza delle gravi ragioni di opportunità disporre la rinnovazione della CTU previa sostituzione del consulente. Precisa sul punto che, benché il dott. M. non avesse sottoscritto l'elaborato peritale, in questo erano rimaste le attività da lui svolte per circa due anni dall'inizio delle operazioni.
Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 112, cod. proc. civ., 2-7 d. lgs. n. 5 del 2003, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che il giudice di appello ha omesso di pronunciare sulla eccezione di decadenza, sollevata in primo grado nella nota di precisazione delle conclusioni e riproposta in appello, della società attrice dalle istanze istruttorie e deposito di documenti.
Con il terzo motivo si denuncia violazione degli artt. 35, comma 8 lett. e) - f) I. n. 865 del 1971, 8, comma 2, l. n. 1179 del 1965, 3, comma 1, lett. n) legge n. 457 del 1978, 111 Cost., 2602 cod. civ., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., nonché omesso esame di fatti decisivi ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che, sulla base della normativa menzionata in rubrica e della convenzione, vi era la obbligatoria predeterminazione del prezzo di cessione degli alloggi da trasferirsi agli assegnatari all'esito di pubblica selezione, con possibilità di deroghe solo per maggiori costi dell'area degli oneri di urbanizzazione, cui si aggiungeva la mera facoltà per la Regione di aggiornare annualmente il limite di costo di realizzazione tecnica. Aggiunge che era coerente allo spirito consortile il riconoscimento al socio consorziato di un determinato importo per l'attività di costruzione e che la differenza fra corrispettivo ricevuto dal socio realizzatore e prezzo di cessione doveva essere compensato dal finanziamento pubblico.
Con il quarto motivo si denuncia violazione dell'art. 2476 cod. civ., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che la legittimazione attiva per l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori per i danni al patrimonio sociale spetta al singolo socio e non alla società, la quale può solo rinunciare o transigere la lite, salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo.
Con il quinto motivo si denuncia omesso esame di fatto decisivo, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice del merito, vi era stata produzione di utili con riferimento all'operazione "G." solo se si pensa alla circostanza che i locali commerciali compresi nei permessi di costruire erano stati alienati prima della loro completa realizzazione al solo fine di creare una liquidità in capo a I. – F. almeno tre esercizi prima della realizzazione piena degli immobili. Aggiunge che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d'appello, il finanziamento di Euro 1.400.000,00, asseritamente in violazione dell'oggetto sociale, era stato autorizzato solo dal presidente M. e che se per alcuni interventi vi era stato l'aumento del prezzo effettivo rispetto a quello convenzionale, ciò era avvenuto per motivi differenti dall'adeguamento agli indici Istat dei costi dell'edilizia.
Con il sesto motivo si denuncia violazione dell'art. 2389 cod. civ., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente, con riferimento al compenso per gli amministratori, che l'approvazione da parte dell'assemblea dei soci del bilancio di esercizio, nel quale risulti iscritta la voce relativa al compenso percepito dall'amministratore, costituisce manifestazione di volontà specificatamente diretta all'approvazione e ratifica di tale attribuzione, come affermato da Cass. n. 28243 del 2005, e che inoltre il compenso nel caso di specie era proporzionato alla consistenza economica della società.
Passando al ricorso incidentale proposto da L. C., con l'unico motivo si denuncia violazione degli artt. 115 cod. proc. civ., 2697 cod. civ., 7 e 10 d lgs. n. 5 del 2003, 111 Cost., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che, come eccepito all'udienza dell'8 febbraio 2011 (in coincidenza con il deposito della CTU) e nelle note difensive depositate in data 20 settembre 2011, la CTU è nulla perché la condanna al risarcimento del danno si basa su documenti (libri sociali obbligatori, scritture private di finanziamento, bonifici, contratti di compravendita) non prodotti dalla parte, ma acquisiti dai consulenti. Precisa che la CTU è stata disposta in relazione ai seguenti quesiti: 1) esame di bilanci e scritture contabili per verificarne la corretta tenuta;
2) congruità del prezzo pattuito fra I. – F. e G. s.r.l.; 3) giustificazione degli emolumenti corrisposti agli amministratori nei compensi stabiliti dallo statuto o specifiche delibere societarie; 4) adeguamento dei prezzi delle vendite, successive al novembre 2003, agli aumenti Istat; 5) giustificazione degli importi riconosciuti a I. s.r.l. negli accordi intercorsi fra le parti; 6) finanziamento effettuato in favore di C.S.; 7) corrispondenza al valore di mercato delle vendite in favore di M. P.; 8) utilizzo dei contributi regionali per gli scopi cui erano destinati; 9) quantificazione per ogni specifico fatto o omissione degli eventuali danni cagionati alla società, con imputazione ad uno o più amministratori e sindaci, nonché accertamento del nesso eziologico fra la condotta ed il danno.
Passando infine al ricorso proposto da U.P., con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 112, 132 n. 4 cod. proc. civ., 111 Cost., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., nonché omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che non vi è motivazione circa la responsabilità dei sindaci, ed in particolare le condotte inadempienti ed il nesso di causalità, ricadenti nell'onere probatorio della parte attrice, ma solo richiamo ai dati contabili della CTU. Aggiunge che il giudice di appello ha omesso di esaminare la circostanza dell'ampio potere discrezionale conferito dall'art. 17 dell'atto costitutivo agli amministratori e quella delle richieste insistenti di integrazioni documentali e chiarimenti e che vi è omessa pronuncia con riferimento alla denunciata inapplicabilità degli artt. 2409 e 2406 cod. civ..
Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 115, 161, 198 cod. proc. civ., 2697 cod. civ., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che, come eccepito all'udienza dell'8 febbraio 2011 e nelle note depositate in data 19 settembre 2011, la CTU è nulla perché con riferimento ai fatti costitutivi della domanda risulta acquisita dai consulenti documentazione non depositata dalla parte attrice nel termine di decadenza, esonerando la parte medesima dall'onere della prova, e che la motivazione al riguardo della sentenza impugnata è apparente. Aggiunge che la nullità della CTU determina la nullità della sentenza. Il ricorrente aderisce poi agli altri motivi proposti da S. M..
Il primo motivo del ricorso proposto da S. M., da trattare unitamente al quarto motivo del ricorso proposto da L. R. e E. M., è infondato. Come da ultimo affermato da Cass. n. 191 del 2022, l'art. 2476 cod. civ. contempla una fattispecie speciale di legittimazione concorrente e disgiuntiva della società e del socio in ordine alla medesima azione contro gli esponenti aziendali. L'azione di cui all'art. 2476 c.c. mira alla condanna al risarcimento del danno in favore della società, in esito all'azione di responsabilità contro l'amministratore proposta dal socio; con essa, concorre la legittimazione diretta della società stessa, trattandosi di danni cagionati al suo patrimonio, sebbene non espressamente menzionata dalla disposizione, ma come desumibile in base ai principi generali, nonché alla sussistenza di obblighi in capo all'amministratore posti, anzitutto, in favore della società dall'art. 2476, comma 1, c.c. (Cass. n. 21241 del 2021 e n. 6068 del 2021).
Il secondo motivo, da trattare unitamente al secondo motivo del ricorso proposto da L.R. e E. M., è inammissibile. Il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, ma può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall'art. 112 c.p.c. se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte (fra le tante da ultimo Cass. n. 321 del 2016 e n. 6174 del 2018). La censura non è formulata nei termini della violazione di diritto della soluzione implicitamente seguita dal giudice, ma come denuncia di omessa pronuncia nonché di motivazione apparente.
A quest'ultimo riguardo va detto che il giudice del merito, pur seguendo la formula dell'assorbimento, ha in realtà pronunciato sull'eccezione di inammissibilità della produzione documentale ritenendone la ritualità per via dell'acquisizione compiuta dal CTU. Peraltro, in violazione dell'onere processuale di cui all'art. 366 n. 6 cod. proc. civ., non risulta specificatamente indicato quando sia stato assolto l'onere di tempestiva eccezione dell'avvenuta decadenza nella prima istanza o difesa successiva alla produzione documentale (art. 13, comma 4, d. lgs. n. 5 del 2003). I ricorrenti hanno infatti richiamato solo l'eccezione sollevata nella nota di precisazione delle conclusioni.
Il terzo motivo è inammissibile. Il giudice del merito, con una valutazione inerente il giudizio di fatto, e non sindacabile nella presente sede di legittimità, ha ritenuto irrilevante sul piano probatorio la scrittura privata alla luce delle circostanze di fatto del mancato ritrovamento dei titoli di credito e del mancato incasso della somma.
Il quarto motivo va trattato unitamente al motivo di ricorso proposto da L. C., al primo motivo del ricorso proposto da L.R. e E. M. e al secondo motivo del ricorso proposto da U. P.: si tratta di motivi fondati, salvo per una parte del motivo proposto da L. R. e E. M.. Deve premettersi che risulta assolto da parte di tutti i ricorrenti l'onere di specifica indicazione della tempestiva eccezione di nullità della CTU in quanto fondata su documenti non tempestivamente prodotti dalla parte interessata, ma acquisiti dal CTU oltre il termine previsto per la produzione.
Tale eccezione, costituente l'oggetto dei motivi in esame, va decisa sulla base dei seguenti principi di diritto enunciati da Cass. Sez. U. n. 3086 del 2022:
"in materia di consulenza tecnica d'ufficio il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall'attività di allegazione delle parti, non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a carico delle parti, tutti i documenti che si rende necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che essi non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e, salvo quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d'ufficio";
"in materia di esame contabile ai sensi dell'art. 198 c.p.c., il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza della disciplina del contraddittorio delle parti ivi prevista, può acquisire, anche prescindendo dall'attività di allegazione delle parti, tutti i documenti che si rende necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, anche se essi siano diretti a provare i fatti principali posti dalle parti a fondamento della domanda e delle eccezioni".
Alla luce di tali principi di diritto è consentita l'acquisizione di documenti da parte del CTU se diretti a provare i fatti secondari, ossia i fatti privi di efficacia probatoria diretta, ma funzionali alla dimostrazione dei fatti principali; tale limite non sussiste per la consulenza in materia contabile ai sensi dell'art. 198 c.p.c., per la quale è consentita anche l'acquisizione di documenti diretti a provare i fatti principali. Non vi è denuncia nei motivi in esame della violazione del contraddittorio delle parti, che avrebbe comportato una nullità relativa nel caso dei fatti secondari, mentre con riferimento ai fatti principali vi sarebbe stata nullità assoluta per violazione del principio della domanda e del principio dispositivo. La censura è limitata all'acquisizione di documenti diretti a provare i fatti principali. Nel ricorso proposto da L.C. sono indicati i quesiti proposti ai consulenti. Si tratta in particolare dei seguenti quesiti: 1) esame di bilanci e scritture contabili per verificarne la corretta tenuta; 2) congruità del prezzo pattuito fra I. – F. e G. s.r.l.; 3) giustificazione degli emolumenti corrisposti agli amministratori nei compensi stabiliti dallo statuto o specifiche delibere societarie; 4) adeguamento dei prezzi delle vendite, successive al novembre 2003, (agli aumenti Istat; 5) giustificazione degli importi riconosciuti a I. s.r.l. negli accordi intercorsi fra le parti; 6) finanziamento effettuato in favore di C. S.; 7) corrispondenza al valore di mercato delle vendite in favore di M. P.; 8) utilizzo dei contributi regionali per gli scopi cui erano destinati; 9) quantificazione per ogni specifico fatto o omissione degli eventuali danni cagionati alla società, con imputazione ad uno o più amministratori e sindaci, nonché accertamento del nesso eziologico fra la condotta ed il danno.
Come si evince dai quesiti, la CTU possiede per taluni aspetti profili di natura contabile ai sensi dell'art. 198, ma alcuni dei quesiti attengono direttamente ai fatti principali, corrispondenti ai fatti costitutivi della domanda. Nella misura in cui le conclusioni della CTU si basano su documenti estranei all'indagine contabile e diretti all'accertamento dei fatti principali la denuncia di nullità della consulenza è fondata. E' compito del giudice del merito selezionare all'interno della CTU da una parte le conclusioni di carattere contabile e quelle basate su documenti diretti a provare i fatti secondari, per le quali l'atto processuale è valido, dall'altra le conclusioni basate su documenti diretti a provare i fatti principali, per le quali l'atto processuale è nullo. Il giudice del merito dovrà quindi, sulla base di tale preventiva selezione, nuovamente apprezzare sul piano probatorio le risultanze della CTU.
Il primo motivo del ricorso proposto da L. R. e E. M. è per il resto inammissibile. In disparte la circostanza di carattere assorbente della sottoscrizione della relazione non da parte del dott. M., e per converso della sottoscrizione da parte degli altri consulenti che ne hanno così acquisito la paternità, va evidenziato che l'istanza di ricusazione del consulente deve essere presentata nel termine di tre giorni dell'udienza di comparizione del CTU (art. 192 cod. proc. civ.) e che in caso di inutile decorso del termine fissato dall'art. 192 cod. proc. civ. per la proposizione della istanza di ricusazione del c.t.u., la valutazione delle ragioni che giustificano un provvedimento di sostituzione dello stesso c.t.u., a norma dell'art. 196 del codice di rito, è rimessa esclusivamente al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se immune da vizio di motivazione (Cass. n. 3105 del 2004). In violazione dell'onere di cui all'art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ., la parte ricorrente non ha specificatamente indicato se l'istanza di ricusazione sia stata depositata nel termine prescritto. La censura inoltre non risulta proposta nelle forme del vizio motivazionale, ma come violazione di legge.
Il quinto motivo, da valutare unitamente al terzo motivo del ricorso proposto da L. R. e E. M., è inammissibile. Per un verso la censura non coglie la ratio decidendi, la quale non è nel senso della doverosità dell'aumento dei costi, ma è nel senso della doverosità dell'applicazione degli indici Istat, intesi non come aumento dei costi, ma come adeguamenti dei valori precedenti al decorso del tempo. La censura non è diretta a questa ratio e pertanto è priva di decisività. Per altro verso la valutazione relativa alla doverosità dell'adeguamento dei prezzi di cessione agli indici Istat attiene all'apprezzamento dell'osservanza della diligenza professionale ed ordinaria, ragione per la quale i riferimenti normativi di cui vi è menzione nei motivi di ricorso rilevano non sul piano del giudizio di diritto, ma del giudizio di fatto, giudizio in quanto tale non sindacabile nella presente sede di legittimità.
Passando all'esame del quinto motivo del ricorso proposto da L. R. e E. M., si tratta di motivo inammissibile. La censura ha ad oggetto una denuncia di vizio motivazionale, ma il fatto storico di cui risulta denunciato l'omesso esame è stato valutato dal giudice di merito. Si tratta pertanto esclusivamente di una confutazione del giudizio di fatto, inammissibile nella presente sede di legittimità.
Il sesto motivo del ricorso proposto da L. R. e E. M. è inammissibile ai sensi dell'art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ..
La sentenza è conforme alla giurisprudenza di questa Corte, a partire dalla pronuncia a sezioni unite n. 21933 del 2008, secondo cui con riferimento alla determinazione della misura del compenso degli amministratori di società di capitali, ai sensi dell'art. 2389, primo comma cod. civ., nel testo vigente prima delle modifiche, non decisive sul punto, di cui al d.lgs. n. 6 del 2003, qualora non sia stabilita nello statuto, è necessaria una esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio, attesa: la natura imperativa e inderogabile della previsione normativa, discendente dall'essere la disciplina del funzionamento delle società dettata, anche, nell'interesse pubblico al regolare svolgimento dell'attività economica, oltre che dalla previsione come delitto della percezione di compensi non previamente deliberati dall'assemblea (art. 2630, secondo comma cod. civ., abrogato dall'art. 1 del d.lgs. n. 61 del 2002); la distinta previsione della delibera di approvazione del bilancio e di quella di determinazione dei compensi (art. 2364 n. 1 e 3 cod. civ); la mancata liberazione degli amministratori dalla responsabilità di gestione, nel caso di approvazione del bilancio (art. 2434 cod. civ.); il diretto contrasto delle delibere tacite ed implicite con le regole di formazione della volontà della società (art. 2393, secondo comma, cod. civ.). Conseguentemente, l'approvazione del bilancio contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori non è idonea a configurare la specifica delibera richiesta dall'art. 2389 cit., salvo che un'assemblea convocata solo per l'approvazione del bilancio, essendo totalitaria, non abbia espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori.
Come si è detto, le modifiche di cui al d.lgs. n. 6 del 2003 non sono decisive, per cui non rileva la circostanza che i bilanci in questione sarebbero, come si evince dal controricorso, quelli del 2004 e 2005, e dunque successivi alle dette modifiche. Ad ogni buon conto, e si tratterebbe di ulteriore profilo di inammissibilità, la censura muove da un presupposto di fatto, l'inclusione nel bilancio del compenso percepito dall'amministratore quale debito della società, non accertato dal giudice di merito, né risulta proposta specifica denuncia di vizio motivazionale in ordine all'eventuale fatto storico il cui esame sarebbe stato, per ipotesi, omesso. In mancanza di tale accertamento il motivo non sarebbe comunque scrutinabile nella presente sede posto che implicherebbe un'indagine di merito preclusa in sede di legittimità.
Passando all'esame del primo motivo del ricorso proposto da U. P., si tratta di motivo infondato. La motivazione è di carattere apparente se non consente di percepire la ratio decidendi della sentenza impugnata. Con riferimento alla responsabilità dei sindaci la ratio decidendi si coglie e risiede nel rilievo dell'assenza di qualsiasi richiesta e attività.
Il fatto di cui risulta denunciata la pretermissione da parte del giudice del merito, e cioè l'ampio potere discrezionale di cui avrebbero goduto gli amministratori, è privo di decisività alla luce della rilevata carenza di ogni iniziativa da parte dei sindaci. L'ulteriore fatto di cui risulta denunciata la pretermissione, e cioè le richieste di integrazioni documentali, è stato in realtà esaminato dal giudice del merito, il quale ha affermato che i sindaci non avevano compiuto alcuna attività di denuncia, essendosi limitati in alcune occasioni a chiedere la disponibilità di documentazione. Nella motivazione, risultano poi indicate con precisione le inadempienze agli obblighi derivanti dall'esercizio della funzione di sindaco.
Infine, quanto all'asserita inapplicabilità degli artt. 2409 e 2406, la ratio decidendi è nel senso che, anche ritenendo inapplicabili tali disposizioni, ciò che rileva è l'assenza di qualsiasi attività e richiesta da parte dei sindaci. La censura in termini di inapplicabilità delle disposizioni in discorso è pertanto priva di decisività.
P.Q.M.
accoglie il quarto motivo del ricorso proposto da S. M., il ricorso proposto da L. C., il primo motivo del ricorso proposto da L. R. e E. M. parzialmente e il secondo motivo del ricorso proposto da U. P., rigettando per il resto i ricorsi proposti da S. M., U. P. e da L.R. e E. M. cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte di appello di Salerno in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità;
dichiara l'estinzione del giudizio di legittimità con riferimento ai ricorsi proposti da V. G. e G. C.;
dichiara l'inammissibilità per sopravvenuta carenza di interesse del ricorso proposto da A. C., con compensazione delle spese, e dando atto della non sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso.