Nel caso di specie, le deposizioni esaminate dal Giudice a quo erano in contrasto tra loro e dunque inidonee a rendere possibile o quantomeno sicura la ricostruzione del fatto.
In un giudizio avente ad oggetto la richiesta di risarcimento per i danni subiti a seguito di un sinistro sciistico, il Tribunale, dopo aver escusso i testi, accertava la responsabilità esclusiva del convenuto e lo condannava al pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale.
La sentenza viene...
Svolgimento del processo
A.A. ricorre, avvalendosi di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 791/2019 della Corte d'Appello di Firenze, resa pubblica in data 4 aprile 2019;
nessuna attività difensiva risulta svolta in questa sede da S.D.V., rimasta intimata;
a seguito del sinistro sciistico avvenuto in data 31 dicembre 2011 sull’(omissis), S.D.V. citava, dinanzi al Tribunale di Firenze, A.A., chiedendo, previo accertamento della sua responsabilità, che fosse condannato al risarcimento dei danni;
il Tribunale di Firenze, con sentenza n. 1582/2016, condannava il convenuto al pagamento, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, della somma di euro 34.000,00 e di quella di euro 1.745,76 per il danno patrimoniale, oltre alla rifusione delle spese processuali;
ai fini che ancora interessano, il Tribunale, a seguito della escussione dei testi, riteneva provato che A.A., trovandosi a monte avrebbe dovuto, ai sensi dell’art. 10 della l. 363/03, mantenere una direzione che gli consentisse di evitare collisioni o interferenze con la sciatrice a valle e tenere, ai sensi dell’art. 9 della medesima legge, una velocità moderata; pertanto, accertata la esclusiva responsabilità del convenuto, escludeva che dovesse trovare applicazione l’art. 19 della l. 363/03 relativo alla presunzione di colpa concorrente degli sciatori coinvolti in uno scontro;
riteneva irrilevante la proposizione di una denuncia/querela da parte dell’odierno ricorrente nei confronti di C.D.C., teste escussa, che aveva omesso di dichiarare il rapporto di amicizia che la legava all’attrice ed al suo compagno, affermando che la credibilità della teste non era minata dal rapporto di amicizia né dall’aver dichiarato il falso dichiarandosi indifferente alla causa;
con sentenza n. 3376/2016, il Tribunale penale condannava C.D.C. «per violazione dell’art. 372 cod.pen., considerando pertinenti e rilevanti ai fini della pronuncia resa dal giudicante in sede civile le circostanze in concreto false riferite dalla C.D.C. rispondendo alle domande che le erano state poste»;
la Corte d’Appello di Firenze, innanzi alla quale A.A. aveva proposto appello nei confronti della sentenza di primo grado, ha autorizzato il deposito della sentenza del giudice penale e, accogliendo parzialmente il gravame dell’odierno ricorrente, lo ha condannato al pagamento della somma di euro 17.000,00, a titolo di danno non patrimoniale, e di euro 872,88, per danno patrimoniale;
a tale conclusione la Corte territoriale è giunta, ritenendo non utilizzabile la deposizione testimoniale di C.D.C. e le altre due testimonianze - quella del compagno della vittima e quella dell’amico dell’odierno ricorrente - in insanabile contrasto tra di loro e, quindi, stante l’impossibilità di operare una sicura ricostruzione del fatto, ha ritenuto applicabile la presunzione di pari responsabilità degli sciatori coinvoltivi; ha rigettato, inoltre, il motivo di appello con cui veniva censurata la quantificazione dell’invalidità permanente operata dal CTU, ritendo la relazione peritale priva di criticità e non meritevole di essere rinnovata;
la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 bis 1 cod.proc.civ.
il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte; il ricorrente ha illustrato il ricorso con memoria.
Motivi della decisione
1) con il primo motivo il ricorrente deduce il vizio di «Violazione e falsa applicazione dell’art. 19 della l. 24 dicembre 2019, n. 363, nonché dei principi generali in materia di prove ai sensi degli artt. 2697, 2700 e 2729 cod.civ. e 116 cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 3 cod.proc.civ.»;
oggetto di censura è la statuizione con cui la Corte territoriale ha ritenuto di dover ricorrere alla presunzione di cui all’art. 19 della l. 363/2003, perché, espunta la testimonianza di C.D.C., c’erano solo due deposizioni da esaminare, le quali, risultando insanabilmente contrastanti e reciprocamente elidentesi, erano inidonee a rendere possibile o quantomeno sicura la ricostruzione del fatto;
secondo il ricorrente, il giudice a quo avrebbe fatto erroneo ricorso alla presunzione di pari responsabilità, perché non avrebbe tenuto conto della annotazione di intervento dell’assistente di polizia S.L. che aveva riferito che: i) sopraggiunto nell’immediatezza del fatto, aveva consigliato alla vittima più volte di farsi soccorrere e di farsi trasportare a valle, ma inutilmente perché la stessa aveva sempre rifiutato ogni aiuto; ii) la vittima aveva rimesso gli sci, ma dopo aver percorso 400-500 metri non era stata in grado di proseguire; iii) non aveva visto l’incidente, ma aveva visto le due persone coinvolte; iv) aveva chiesto se c’erano testimoni e si erano presentati un ragazzo e, successivamente, un signore che risaliva la pista, il quale però aveva dichiarato di non avere visto nulla perché era a valle al momento del fatto;
ebbene, la tesi di parte ricorrente è che se il giudice a quo avesse tenuto conto di tale annotazione, avente efficacia di piena prova ex art. 2700 cod.civ., avrebbe dovuto ritenere la deposizione di F.., il compagno della vittima, contraddittoria ed invece quella di M. chiara, precisa e coerente;
il tentativo del ricorrente di escludere che le censure introdotte con il motivo qui scrutinato siano volte ad ottenere una inammissibile rivalutazione della quaestio facti non va a segno;
il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (fra le tante decisioni di questo avviso cfr. Cass.18/03/2021, n. 7598);
la censura in punto di valutazione della prova viene proposta anche, come si è detto, dal punto di vista dell'art. 116 cod.proc.civ. Anche a questo proposito va rammentato che in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod.proc.civ. non può formularsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest'ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d'ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 01/03/2022, n. 6774). La censura non risulta proposta in tali termini;
non può non sottolinearsi, peraltro, che l’ubi consistam degli addebiti mossi alla sentenza impugnata si risolvono nella richiesta di attribuire attendibilità o maggiore attendibilità ad una dichiarazione testimoniale piuttosto che ad un’altra, partendo dall’assunto che il contenuto delle due dichiarazioni testimoniali avrebbe dovuto confrontarsi con il contenuto della relazione dell’agente di polizia L.: relazione la cui valutazione sarebbe stata interamente pretermessa. Che la Corte territoriale non abbia esaminato le dichiarazioni dell’agente di polizia va, invece, escluso perché proprio il confronto con dette dichiarazioni le ha permesso di ritenere contraddittoria la testimonianza di F.. (cfr. p. 3 della sentenza);
in conclusione, il motivo è inammissibile;
2) con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per «Violazione e falsa applicazione degli artt. 1227 cod.civ. e 115 e 116 cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 3 cod.proc.civ.»;
A.A. reputa che la Corte d'Appello abbia erroneamente ritenuto immune da passaggi critici e vizi logici la CTU, pur riconoscendone la contraddittorietà intrinseca nella parte in cui affermava verosimile che il danno si fosse aggravato a seguito del tentativo della vittima di riprendere la discesa sugli sci, ma degradando detta contraddizione ad «estemporanea personale considerazione», perché subito dopo il CTU aveva affermato che non era possibile quantificare la misura dell’aggravamento; aggiunge che la sentenza non avrebbe esaminato le prove prodotte in appello - in particolare, le foto reperite dal profilo facebook della danneggiata prodotte in appello che la ritraevano mentre sciava e indossava scarpe con tacco alto nel 2014 e nel 2015, quindi, dopo l’incidente sciistico - che smentivano lo stralcio della CTU, nel quale si riportavano le dichiarazioni della vittima che lamentava di non avere potuto più sciare e indossare calzature a tacco alto successivamente all’incidente; di qui la conclusione del ricorrente che la Corte d'Appello avrebbe dovuto rinnovare la CTU, come richiesto;
il motivo va dichiarato inammissibile;
questa Corte ha chiarito che rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell'opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico d'ufficio sulla relazione già depositata ovvero di rinnovare, in parte o "in toto", le indagini, sostituendo l’ausiliare del giudice; l'esercizio di tale potere, non è sindacabile in sede di legittimità, ove ne sia data adeguata motivazione, immune da vizi logici e giuridici (Cass. 24/01/2019, n. 2103);
nel caso di specie, in realtà, ove la motivazione è certamente esistente non solo sotto l'aspetto formale ma anche sotto il profilo sostanziale, essendo idonea a rendere conoscibile il percorso logico giuridico seguito dal giudice per pervenire alla sua decisione, il motivo si limita ad esprimere un dissenso rispetto alle valutazioni dell’ausiliario del giudice (Cass. 10/07/2020, n.14789) e come tale non merita accoglimento;
va poi osservato che la CTU, non è un mezzo di prova, non essendo diretta ad acclarare la verità o meno di determinati fatti, ma può assumere il valore di oggettiva fonte di convincimento ove trattisi di fatti rientranti nell'ambito strettamente tecnico della consulenza, perciò è irrilevante che la paziente abbia riferito al CTU fatti non veri, potendo semmai quanto riferito essere utilizzato dal giudice per la formazione del proprio convincimento, in modo da consentire nel processo il controllo sull'attendibilità dei medesimi (Cass. 20/06/2000, n. 8395);
ebbene, il giudice dà atto – il che invero supera ogni dubbio – che la quantificazione dei postumi era stata determinata dal CTU, anche avvalendosi della competenza di uno specialista radiologo: segno che le dichiarazioni della danneggiata non erano state acquisite dal CTU acriticamente e poste a base della sua relazione;
risulta del tutto evidente, dunque, che quand’anche il giudice a quo avesse omesso di esaminare le foto cui fa riferimento parte ricorrente e sempre che le stesse fossero state prodotte ritualmente e tempestivamente in giudizio, detta omissione non ha avuto effetti sulla decisione, nel senso che l’esame delle foto non avrebbe provocato un esito diverso della controversia;
3) il ricorso va dichiarato inammissibile;
4) nulla deve essere liquidato per le spese non avendo l’intimata svolto attività difensiva in questa sede;
5) si dà atto della ricorrenza dei presupposti per porre a carico di parte ricorrente l’obbligo del pagamento del doppio contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.