Il giudizio di opposizione ad ingiunzione fiscale costituisce nel caso di specie un ordinario giudizio di cognizione che può estendersi all'accertamento della fondatezza nel merito della pretesa creditoria, essendo stato chiamato a partecipare al giudizio, oltre alla società che ha emesso l'ordinanza, anche il Comune.
L'odierna ricorrente proponeva opposizione contro l'ordinanza di ingiunzione fiscale ex R.D. n. 639/2010 emessa da una società a partecipazione interamente pubblica ai fini del pagamento di una data somma a titolo di sanzioni amministrative per violazioni del Codice della strada, interessi da ritardato pagamento, spese e diritti di notifica dei verbali e spese di istruttoria e...
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
M.M.T. proponeva opposizione dinanzi al Giudice di Pace di Pisa avverso l’ordinanza di ingiunzione fiscale ex RD n.639/2010 emessa da Società E. P. (S.) S.p.A. per il pagamento di € 8.314,99, a titolo di sanzioni amministrative per violazioni al codice della strada, interessi da ritardato pagamento, spese e diritti di notifica dei verbali e spese di istruttoria e notifica dell’ingiunzione.
Nella resistenza del Comune di P., che eccepiva l’incompetenza del Giudice di Pace, quest’ultimo con sentenza n. 1730/2016 ha declinato la propria competenza in favore del tribunale di Pisa, dinanzi al quale la causa è stata riassunta.
Il Tribunale con la sentenza n. 585/2012 ha rigettato l’opposizione e tale pronuncia è stata appellata dalla M.. La Corte d’Appello di Firenze con la sentenza n. 2202 del 1 dicembre 2020, nella resistenza del Comune di P. e di Società E. P. S.p.A. ha annullato il provvedimento impugnato, ed ha riconosciuto che il Comune aveva il diritto al pagamento delle somme pretese a titolo di sanzioni amministrative, interessi e spese di notifica dei verbali con la sola esclusione delle somme dovute a titolo di istruttoria e notifica dell’ingiunzione, con compensazione delle spese dei vari gradi.
Ad avviso dei giudici di appello l’ordinanza impugnata non poteva essere emessa dalla società appellata, come ribadito dai propri precedenti in materia.
Infatti, la Società appellata, nel 2006 non poteva emettere ordinanza ingiunzione fiscale, e ciò in quanto in base al dettato all’epoca vigente dell’art. 52 del D. Lgs. n. 446/1997, la detta società non rientrava tra i soggetti di cui al n. 2 del richiamato articolo, trattandosi di società costituita in epoca successiva al citato D. Lgs. e senza che la stessa risultasse iscritta all’albo di cui all’art. 53 del medesimo testo normativo. Inoltre, non era stata provata la sussistenza delle condizioni di cui al comma 2 dell’art. 2 del DM n. 289/2000, come del pari non giovava alla società il riferimento alle previsioni di cui alla legge finanziaria per l’anno 2006 (l. 266/2005), atteso che anche tale norma presuppone l’iscrizione nell’albo di cui all’art. 53.
Tuttavia, pur dovendosi ribadire l’impossibilità per la società di emettere l’ordinanza impugnata, occorreva far riferimento al principio secondo cui nei giudizi di opposizione ex RD n. 639/2010 la PA riveste la qualità di attrice in senso sostanziale, con la conseguenza che, una volta proposta opposizione, resta sempre da esaminare la domanda di accertamento della pretesa oggetto dell’ordinanza.
Pertanto, ove la PA chieda la conferma dell’ordinanza, il giudice dell’opposizione non può limitarsi alla sola verifica dei presupposti formali di validità dell’atto, ma deve esaminare comunque il merito della domanda.
Ancorché l’ordinanza dovesse essere annullata, avendone il Comune chiesto la conferma, era quindi necessario verificare nel merito la sussistenza delle pretese della PA.
Poste tali premesse, osservava la Corte distrettuale che la M. non aveva riproposto in appello le doglianze, invece sollevate in primo grado, circa l’effettiva notificazione dei verbali di contestazione delle violazioni amministrative, il che non ne permetteva il riesame in appello, dovendosi quindi reputare sussistente il credito azionato, al netto unicamente dei costi per l’emissione dell’ordinanza (stante l’impossibilità di sua adozione).
Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso M. M. T. sulla base di un motivo, illustrato da memorie.
Gli intimati hanno resistito con separati controricorsi proponendo a loro volta ricorso incidentale affidato ad un motivo.
Il motivo di ricorso principale denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 645 c.p.c.
Si deduce che la Corte d’Appello ha reputato che, pur essendo stata invalidamente emessa l’ordinanza oggetto di causa, fosse in ogni caso necessario verificare la sussistenza nel merito della pretesa creditoria vantata dalla PA, sulla falsariga di quanto avviene nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ex art. 645 c.p.c.
Tuttavia, i precedenti richiamati dal giudice di appello sono relativi a vicende nelle quali il vizio dell’ordinanza non incideva sull’attribuzione dello stesso potere di emettere l’ordinanza.
Ne deriva che la gravità della nullità riscontrata non permetteva di poter esaminare il merito della pretesa.
Inoltre, ad accedere alla soluzione del giudice di appello si creerebbe una disparità di trattamento a seconda del credito portato dall’ordinanza, in quanto la giurisprudenza tributaria ritiene che la presenza di vizi formali di particolare gravità imponga la sola declaratoria di illegittimità dell’atto impositivo, senza consentire un diverso accertamento del credito tributario preteso.
Il motivo è inammissibile ex art. 360 bis n. 1 c.p.c., avendo la Corte d’Appello deciso in conformità della giurisprudenza di questa Corte, senza che il ricorso offra seri elementi per discostarsi dall’orientamento cui ha detrito la sentenza gravata. E’ stato già in passato affermato che il difetto delle condizioni di legittimità o di ammissibilità della procedura monitoria non esclude il giudizio di merito sulla pretesa creditoria ingiuntivamente azionata, potendo spiegare rilievo solo al diverso fine della regolamentazione delle spese, sul presupposto che tale principio è applicabile anche al giudizio di opposizione ad ingiunzione fiscale (nella specie emessa dall'I.N.A.I.L.) ai sensi del R.d. 14 aprile 1910 n. 639, poiché anche nel giudizio di merito che fa seguito alla opposizione a tale ingiunzione l'oggetto è rappresentato dalla fondatezza o meno del diritto di credito azionato (Cass. n. 3706/1987; Cass. n. 7275/1983).
Tale accertamento va compiuto poi (Cass. n. 12674/2016), come avvenuto nel caso in esame, anche nel difetto delle condizioni di legittimità od ammissibilità del ricorso alla procedura, essendosi in particolare precisato che ove l’ingiunzione sia stata emessa al di fuori dei casi previsti dalla legge, essendo comunque il Giudice tenuto a pronunciarsi sul merito della pretesa creditoria, si impone (come correttamente operato nella vicenda in esame dalla Corte distrettuale) la caducazione delle statuizioni sulle spese, così che è stata affermata addirittura la carenza di interesse ad impugnare per soli motivi riguardanti il difetto delle condizioni di legittimità o ammissibilità di cui al r.d. n. 639 del 1910 o per vizi di regolarità formale dell'atto.
Va pertanto ribadito il principio per cui (cfr. ex multis Cass. n. 10802/2006), il giudizio di opposizione a ingiunzione fiscale emessa ai sensi dell'art. 2 r.d. 14 aprile 1910, n. 639 è un ordinario giudizio di cognizione, che non si esaurisce nell'indagine sulla validità formale del provvedimento impugnato e sulla legittimità del ricorso dell'amministrazione a questa particolare procedura, ma può estendersi all'accertamento sulla fondatezza nel merito della pretesa creditoria (Cass. n. 10132/2005, che chiarisce che la pronuncia resa all’esito dell’opposizione ha sempre valore di condanna), una volta che, come avvenuto anche nel caso in esame, al giudizio sia stato chiamato a partecipare, non solo il soggetto che abbia emesso l’ordinanza, ma anche l’ente creditore (il Comune di P.) che nel merito abbia insistito per il riconoscimento del proprio diritto
Né può reputarsi che vi sia una disparità di trattamento tra pretese di carattere tributario e pretese non aventi siffatta natura, posto che i principi ora esposti sono stati ritenuti applicabili anche all’ordinanza ingiunzione per crediti di natura tributaria (Cass. n. 22027/2006; Cass. S.U. n. 10189/1994; Cass. n. 16470/2020 per l’omologa ingiunzione doganale).
Il ricorso incidentale del Comune di P. denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 52 del D. Lgs. n. 446/1997, in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3 del c.p.c.
Si deduce che la Corte d’Appello richiamando una sua precedente statuizione ha ritenuto che S. non fosse, ratione temporis, in possesso dei requisiti posti dall’art. 52, comma 5 del D. Lgs. n. 446 del 1997.
Si evidenzia che la società S. è una società a partecipazione interamente pubblica che quindi si immedesima con l’amministrazione comunale.
Infatti, è stata costituita nel 2004 ed è ad intera partecipazione pubblica il cui oggetto sociale è individuato nelle attività di accertamento e riscossione dei tributi ed attività connesse, e non può svolgere attività di commercializzazione di pubblicità a favore del mercato, essendo assoggettata nel conseguimento dell’oggetto sociale ad un potere gestionale ad opera della parte pubblica affidante e ad un controllo analogo.
Ne deriva che l’art. 52 comma 5 lett. b) n. 3 del D. Lgs. 446/97, nella formulazione applicabile ratione temporis, non osta all’affidamento del servizio di accertamento e riscossione dei tributi locali a società in house partecipata dal Comune.
Di analogo contenuto si profila il motive di ricorso incidentale di S. che del pari denuncia la violazione dell’art. 52 del D. Lgs. n. 446/1997, invocandosi il carattere di società in house della ricorrente incidentale , come si ricava anche dallo statuto della società vigente alla data dei fatti e già depositato in atti nelle fasi di merito.
Poiché il Comune di P. esercita sulla società un controllo analogo a quello operato dall’ente sui propri servizi interni, che svolge attività nell’interesse esclusivo degli enti che la partecipano, con un capitale interamente posseduto dalle amministrazioni pubbliche, ciò consentiva sulla base della normative vigente all’epoca dei fatti, l‘affidamento del servizio di riscossione, comprensivo anche del potere di adottare l’ingiunzione fiscale ai sensi del r.d. n. 639/1910.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono manifestamente infondati, ritenendo il Collegio di dover trarre conferma delle conclusioni del giudice di appello proprio da quanto affermato da Cass. n. 456/2018, che si è specificamente occupata dalla società ricorrente incidentale.
Tale pronuncia ha affermato che l'art.52, comma 5, lett. b), n.3), del d.lgs. n.446 del 1997 non osta all'affidamento del servizio di accertamento e riscossione dei tributi locali ad una società "in house" partecipata da più Comuni, purché questi ultimi esercitino congiuntamente sulla stessa un controllo analogo a quello svolto sui propri servizi ed uffici interni e la società pluripartecipata effettui la parte più importante della propria attività a favore dei detti enti ed esclusivamente nell'ambito territoriale degli stessi, valendo tale conclusione solo per effetto della novella introdotta dalla l. n. 244/07 che ha introdotto il n. 3 della lett. b) del comma 5, contemplando appunto la possibilità di affidamento anche a società a capitale interamente pubblico e sulle quali l’ente pubblico eserciti un controllo analogo.
Solo per effetto di tale modifica è stata ammessa la possibilità di affidamento del servizio di riscossione a società sia “in house” sulla quale l’ente eserciti un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi interni. Il carattere innovativo della previsione rispetto al testo precedentemente vigente, che invece, come sottolineato dalla Corte d’Appello, assoggettava la facoltà di affidamento del servizio de quo, al ricorrere di più rigorosi requisiti soggettivi richiamati in sentenza alla pag. 8.
I motivi richiamano reiteratamente il carattere di società in house della S., senza però confrontarsi con la ratio che è alla base della decisione gravata, che ha correttamente evidenziato che, solo a seguito della novella di cui alla legge n. 244/2007, le caratteristiche vantate dalla società permettevano che fosse designata quale concessionaria del servizio di riscossione, non potendo tale qualità essere invece affidata per il passato, e cioè anche per l’anno 2006, cui si riferisce la notifica dell’ingiunzione fiscale oggetto di causa.
I ricorsi incidentali vanno pertanto rigettati.
Stante la reciproca soccombenza, ricorrono le condizioni per la compensazione dele spese del presente giudizio.
Poiché il ricorso principale è dichiarato inammissibile, e quelli incidentali sono rigettati, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quarter dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per le rispettive impugnazioni.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso principale inammissibile, rigetta i ricorsi incidentali e compensa le spese del presente giudizio;
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per le rispettive impugnazioni, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.