Trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento opposto oppure il termine lungo di cui all'art. 327 c.p.c.: la Corte di Cassazione fornisce precisazioni in merito.
L'odierno ricorrente è un avvocato che aveva proposto opposizione contro il decreto con cui la Corte d'Appello aveva rigettato la sua richiesta di liquidazione delle competenze maturate a seguito dell'attività di assistenza prestata nelle vesti di difensore d'ufficio. L'opposizione veniva dichiarata inammissibile in quanto...
Svolgimento del processo
1. L'avv. M.Q. proponeva opposizione avverso il decreto della Corte d'appello di Ancona con il quale era stata rigettata la richiesta di liquidazione delle competenze maturate dall'istante in seguito all'attività di assistenza prestata quale difensore di ufficio, per non avere adeguatamente documentato tutte le attività, tali da denotare la irreperibilità di fatto dell'assistito.
La Corte d'appello, in persona del Consigliere delegato dal Presidente, con ordinanza del 22/1/2020 dichiarava inammissibile l'opposizione in quanto tardiva; rilevava che, a seguito della sentenza interpretativa della Corte Costituzionale n. 106/2016, l'art. 15 del d.lgs. n. 150/2011 - che appunto detta le regole di rito per l'opposizione di cui al menzionato art. 170 - deve essere inteso nel senso che, per l'impugnazione dei decreti in materia di liquidazione dei compensi del difensore della parte ammessa al patrocinio, opera il termine di trenta giorni dalla comunicazione ovvero dalla notificazione del provvedimento ex art. 702-quater c.p.c., attesa l'omogeneità di rito che accomuna il processo sommario di cognizione a quello in esame; ma, nel momento in cui vi è un rinvio all'art. 702-quater c.p.c., deve ritenersi invocabile, in assenza di comunicazione ovvero di notificazione, il termine lungo di cui all'art. 327 c.p.c., che opera in relazione a tutti i provvedimenti a carattere decisorio e definitivo, attesa l'esigenza di assicurare certezza e stabilità dei rapporti giuridici; tale termine decorre poi dalla pubblicazione del provvedimento, sicché, avuto riguardo alla fattispecie, il provvedimento opposto era stato depositato il 4/9/2018, mentre l'opposizione è stata depositata il 22/5/2019, così che emergeva la sua tardiva presentazione e quindi la sua inammissibilità.
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione M. Q. sulla base di un motivo.
Il Ministero della giustizia è rimasto intimato.
La ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Il motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 327 e 702-quater c.p.c. Si deduce che il ricorso in opposizione era stato avanzato nel rispetto del termine di trenta giorni decorrente dalla comunicazione del provvedimento opposto e che non poteva non tenersi conto che la comunicazione era avvenuta a cura della cancelleria ben oltre il termine semestrale di sei mesi dalla pubblicazione dello stesso decreto di rigetto della richiesta di liquidazione.
Il motivo è infondato.
Rileva il Collegio che non può reputarsi che la giurisprudenza di questa Corte sia prevalentemente nel senso dell'inapplicabilità dell'art. 327 c.p.c. in ordine all'individuazione del termine per proporre appello avverso l'ordinanza emessa all'esito del processo sommario di cognizione di cui agli artt. 702-bis e ss. c.p.c.
In realtà, la ricognizione della giurisprudenza permette di rilevare come tale affermazione sia espressamente contenuta solo in Cass, n. 14478/2018, a mente della quale in tema di procedimento sommario di cognizione non è applicabile, limitatamente all'appello, l'art. 327, comma 1, c.p.c., poiché la decorrenza del termine per proporre tale mezzo di impugnazione dal deposito dell'ordinanza è logicamente e sistematicamente esclusa dalla previsione, contenuta nell'art. 702-quater c.p.c., della decorrenza dello stesso termine, per finalità acceleratorie, dalla comunicazione o dalla notificazione dell'ordinanza medesima. Trattasi però di precedente rimasto sostanzialmente isolato, non potendo a ben vedere ravvisarsi un'analoga affermazione in Cass. n. 11331/2017, che si è limitata a ritenere manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale - per asserita violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. - dell'art. 702-quater c.p.c., nella parte in cui stabilisce che l'ordinanza conclusiva del procedimento sommario di cognizione è appellabile entro il termine breve di trenta giorni dalla sua comunicazione ad opera della cancelleria, trattandosi di una scelta discrezionale del legislatore, ragionevolmente in linea con la natura celere del procedimento, né lesiva del diritto di difesa, in quanto il detto termine decorre dalla piena conoscenza dell'ordinanza, che si ha con la comunicazione predetta ovvero con la notificazione ad istanza di parte, né tantomeno in Cass. n. 30850/2019 che, riqualificato il provvedimento impugnato quale ordinanza sommaria ex art. 702-ter c.p.c., ha ritenuto lo stesso assoggettabile al termine breve di cui all'art. 702-quater c.p.c., posto che nella specie l'ordinanza era stata comunicata (essendo il richiamo a Cass. n. 14478/2018, meramente ricognitivo dell'esistenza di tale precedente, ma senza che l'adesione allo stesso fosse risolutiva per la decisione della fattispecie).
A diverse conclusioni, e corrispondenti a quelle cui è pervenuto il provvedimento impugnato, è giunta di recente Cass. n. 17624/2020, che ha appunto affermato che, in tema di protezione internazionale, l'applicabilità del termine breve per l'appello di cui all'art. 702-quater c.p.c. presuppone la regolare notifica dell'ordinanza che decide la controversia in primo grado, sicché qualora, a fronte della contumacia in primo grado del Ministero dell'Interno, la notifica sia stata eseguita nei confronti di un funzionario in violazione dell'art. 11 r.d. n. 1611 del 1933 - applicabile nelle sole ipotesi in cui l'Amministrazione abbia provveduto alla costituzione "in proprio" nel giudizio -, essa è nulla ed assume conseguentemente rilievo il termine semestrale di impugnazione ex art. 327 c.p.c. (conf. Cass. n. 32961/2019). Allo stesso esito è poi approdata anche Cass. n. 16893/2018, che - sia pur declamando il principio per cui l'ordinanza conclusiva del procedimento sommario di cognizione può essere appellata, dalla parte contumace, nel termine "breve" di cui all'art. 702-quater c.p.c., decorrente dalla notificazione della stessa, in difetto della quale trova applicazione il termine "lungo" di cui all'art. 327 c.p.c., che opera per tutti i provvedimenti a carattere decisorio e definitivo - ha appunto sviluppato delle motivate argomentazioni che depongono per la generale applicabilità del termine di cui all'art. 327 c.p.c., non solo per la parte contumace ma anche per la parte costituita, ove però non intervenga la comunicazione del provvedimento.
La decisione ora riportata, che il Collegio reputa di condividere, ha ritenuto che l'argomento sistemico secondo cui l'ordinanza ex art. 702-ter c.p.c. per la presenza di una norma speciale in ordine al termine breve per appellare, sfuggirebbe al termine lungo dettato dall'art. 327 c.p.c., non possa essere sposato, in quanto non è ragionevole isolare un istituto dal sistema processuale in cui il legislatore lo ha inserito, rivestendo un ruolo significativo la circostanza che la collocazione del rito sommario non avviene in una legge speciale, bensì esplicitamente nella struttura normativa contestualizzante, ovvero nel codice di rito, tramite l'aggiunto capo III-bis del titolo I del libro IV. È stato altresì sottolineato che il "procedimento sommario di cognizione", a differenza degli ulteriori istituti qualificati sommari/cautelari, con l'ordinanza di cui all'art. 702-ter, sesto comma c.p.c., produce un accertamento la cui stabilizzazione può essere inficiata soltanto attraverso il meccanismo delle impugnazioni, venendo a rivestire, anche nella successiva legislazione processuale, una funzionalità che lo colloca su di un piano di parità funzionale rispetto al tradizionale "rito ordinario di cognizione" ed al rito del lavoro (come confermato dalla novella di cui al d.lgs. n. 150/2011, nonché dall'introduzione dell'art. 183-bis c.p.c., aggiunto dal d.l. 12 settembre 2014 n. 132, convertito con modifiche in I. 10 novembre 2014 n. 162). Tale volontà del legislatore, che individua nel processo sommario uno strumento idoneo ad assicurare la tutela dei diritti soggettivi e con caratteri di stabilità e definitività, non consente che la sua disciplina sia decontestualizzata dal sistema processuale nel quale si innesta, dovendosi quindi fare ricorso a tutti quegli istituti presenti nel sistema e connotati da un carattere generale. Tra questi deve quindi inscriversi anche il termine impugnatorio c.d. lungo previsto dall'art. 327 c.p.c. che la giurisprudenza di legittimità, sebbene sviluppatasi precipuamente per il ricorso straordinario ma di contenuto generale, ha fin da tempi risalenti riconosciuto di generale applicabilità (cfr., ex multis, Cass. 10 aprile 1956 n. 1057, Cass. 8 giugno 1965 n. 1146, Cass. 9 aprile 1973 n. 1011). A fronte di qualche isolata affermazione volta a negare l'applicabilità dell'art. 327 c.p.c., sostenendo (per quanto qui interessa) l'impugnabilità di tali tipi di provvedimento soltanto entro il termine breve di cui all'art. 325 c.p.c. (cfr. per tutte Cass. 12 marzo 1993 n. 2992) intervennero le Sezioni Unite, che, con la sentenza 8 giugno 1998 n. 5615, hanno affermato l'applicabilità alle ordinanze di contenuto decisorio e carattere definitivo del termine lungo di cui all'art. 327 c.p.c. Su tale linea si è quindi riconsolidata la giurisprudenza di questa Suprema Corte (tra gli arresti massimati cfr., ad esempio, Cass. 28 gennaio 1999 n. 746 e Cass. 20 febbraio 2017 n. 4365).
Ritiene il Collegio che debba pertanto riaffermarsi il principio secondo cui l'introduzione di una specifica disciplina attinente al termine breve e agli effetti del suo decorso non può assorbire in modo meramente implicito la via dell'art. 327 c.p.c., potendo tale conclusione essere raggiunta solo in presenza di un'espressa scelta da parte del legislatore, che nella fattispecie non si ravvisa, avendo l'art. 702-quater c.p.c. semplicemente inteso introdurre l'accelerazione del termine di impugnazione, di norma correlato alla notificazione del provvedimento, anche al caso della sua comunicazione, prescindendosi da uno specifico impulso di controparte; né può ritenersi che tale esito valga solo per il caso di parte contumace, per la quale non è appunto prescritta la comunicazione del provvedimento, ma deve estendersi anche all'ipotesi - propria del caso in esame - di parte costituita, ma alla quale non sia stata effettuata la comunicazione (in questi termini v. Cass. 5661/2022).
Ad opinare diversamente, il provvedimento di liquidazione dei compensi, oggetto del presente giudizio, risulterebbe suscettibile di impugnazione senza termine non solo per la parte contumace nel giudizio cui si riferisce la richiesta di liquidazione (si pensi all'analoga problematica che si pone in tema di richiesta di liquidazione dei compensi dell'ausiliario del giudice), ma anche per la stessa parte richiedente, ove risulti omessa la comunicazione del provvedimento da parte della cancelleria, determinandosi pertanto proprio quella situazione di impasse che aveva portato a sollevare la questione di legittimità costituzionale, poi disattesa dalla Corte Costituzionale con la pronuncia n. 106/2016, la quale, pur avendo affermato l'applicabilità del termine di cui all'art. 702-quater c.p.c., è in ogni caso espressiva dell'esigenza di dover comunque individuare un termine per la formazione della res iudicata.
Né infine appare invocabile come utile argomento la circostanza che il provvedimento non fosse stato comunicato tempestivamente da parte della cancelleria, occorrendo a tal fine far richiamo alla costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui (v. Cass. n. 5946/2017) la decadenza da un termine processuale, ivi compreso quello per impugnare, non può ritenersi incolpevole e giustificare, quindi, la rimessione in termini, ove sia avvenuta per errore di diritto, ravvisabile laddove la parte si dolga dell'omessa comunicazione della data di trattazione dell'udienza e/o della sentenza stessa, atteso che il termine di cui all'art. 327 c.p.c. decorre dalla pubblicazione della sentenza mediante deposito in cancelleria, a prescindere dal rispetto, da parte della cancelleria medesima, degli obblighi di comunicazione alle parti, e che, inoltre, rientra nei compiti del difensore attivarsi per verificare se siano state compiute attività processuali a sua insaputa ( conf. Cass. n. 26402/2014, a mente della quale l'art. 327 c.p.c. opera un non irragionevole bilanciamento tra l'indispensabile esigenza di tutela della certezza delle situazioni giuridiche e il diritto di difesa, poiché l'ampiezza del termine consente al soccombente di informarsi tempestivamente della decisione che lo riguarda e la decorrenza, fissata avuto riguardo alla pubblicazione, costituisce corollario del principio secondo cui, dopo un certo lasso di tempo, la cosa giudicata si forma indipendentemente dalla notificazione della sentenza ad istanza di parte, sicché lo spostamento del dies a quo dalla data di pubblicazione a quella di comunicazione non solo sarebbe contraddittorio con la logica del processo, ma restringerebbe irrazionalmente il campo di applicazione del termine lungo di impugnazione alle parti costituite in giudizio, alle quali soltanto la sentenza è comunicata ex officio).
2. Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio a favore del controricorrente che liquida in euro 500, oltre alle spese prenotate a debito.
Sussistono, ex art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.