Nonostante il minore avesse fatto esplodere il petardo nella propria cameretta anziché in luogo aperto, l'evento lesivo è stato una conseguenza della violazione del divieto di vendita ai minori dei petardi.
Il Tribunale di Roma confermava la responsabilità dell'attuale ricorrente per il reato di lesioni colpose gravissime in danno di un minore per aver, in qualità di titolare di un esercizio commerciale, consentito la vendita di petardi allo stesso minore, la cui deflagrazione al momento dell'accensione cagionava...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 17.1.2022, il Tribunale di Roma, in funzione di giudice di appello, ha confermato la sentenza del Giudice di Pace della stessa città che ha dichiarato l'imputata A.K. - quale titolare dell'esercizio commerciale sito in (omissis) - responsabile del reato di lesioni colpose gravissime in danno del minore M.P., per avere omesso di vigilare e consentito la vendita allo stesso minore di prodotti contenenti materiale esplodente denominati "R.", la cui deflagrazione al momento dell'accensione cagionava al P. l'amputazione della falange distale II dito della mano sinistra e parziale a livello del III dito, oltre alla disarticolazione del I dito, con perdita di funzionalità della mano sinistra (fatto del 6.3.2015).
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputata, lamentando (in sintesi, giusta il disposto di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.) quanto segue.
I) Vizio di motivazione, in relazione all'omesso esame delle deposizioni dei testi P.P. e dei verbalizzanti G. e D.P.. Si deduce che il Tribunale non ha esaminato le censure mosse dalla ricorrente alla sentenza di primo grado, non valutando le suddette deposizioni, da cui poteva evincersi che il materiale esplodente in questione non era stato venduto nell'esercizio commerciale gestito dalla imputata, visto che il P. non aveva riconosciuto dalla foto il collaboratore della prevenuta (S.MD S., nelle more deceduto) ed il P. aveva riferito che nella zona vi erano altri esercizi commerciali gestiti da stranieri del Bangladesh; i verbalizzanti, inoltre, avevano dichiarato di non aver rinvenuto petardi del tipo R. nel negozio della prevenuta.
II) Violazione di legge, in relazione all'art. 41 cod. pen. Si deduce l'insussistenza del nesso di causalità tra la condotta dell'imputata e l'evento, visto che alla vendita del petardo non aveva provveduto la ricorrente e, comunque, l'evento era stato conseguenza di un uso anomalo da parte del soggetto acquirente, che lo aveva acceso per errore.
Motivi della decisione
1. I motivi dedotti devono essere dichiarati inammissibili, in quanto svolgono esclusivamente censure di merito, come tali indeducibili in sede di legittimità. Costituisce infatti ius receptum, nella giurisprudenza della Suprema Corte, il principio secondo il quale il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene pur sempre alla coerenza strutturale della decisione, di cui saggia l'oggettiva "tenuta", sotto il profilo logico-argomentativo, e quindi l'accettabilità razionale, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di valutazione dei fatti (Sez. 3, n. 37006 del 27/09/2006, Piras, Rv. 23550801; Sez. 6, n. 23528 del 06/06/2006, Bonifazi, Rv. 23415501). Ne deriva che il giudice di legittimità, nel momento del controllo della motivazione, non deve sovrapporre la propria valutazione a quella dei giudici di merito, ma deve limitarsi a verificare se quest'ultima sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento, atteso che l'art. 606, comma 1, cod. proc. pen. non consente alla Corte di cassazione una diversa interpretazione delle risultanze processuali ma soltanto l'apprezzamento della logicità della motivazione (ex plurimis Sez. 5, n. 32688 del 5/07/2004, Scarcella, non mass.).
2. Il primo motivo pretende di ottenere dalla Suprema Corte un nuovo esame del compendio probatorio, al fine di accreditare una diversa ricostruzione dei fatti (vendita dei petardi in un esercizio commerciale diverso da quello gestito dall'imputata) rispetto a quanto accertato dai giudici di merito, operazione chiaramente inammissibile nella presente sede di legittimità.
Ciò a fronte di una "doppia conforme" di merito che, con dovizia di argomentazioni, prive di incongruenze o di discrasie logiche, dopo un approfondito esame delle emergenze istruttorie ha ritenuto provato, in maniera plausibile e non manifestamente illogica, che i petardi in questione furono venduti proprio nel negozio della prevenuta. Il Tribunale ha evidenziato che le dichiarazioni della persona offesa, in ordine all'acquisto dei petardi presso il negozio gestito dall'imputata, hanno trovato piena conferma nelle deposizioni dei due amici del P., i testi V.F. e P.V., che si trovavano in compagnia della persona offesa al momento dell'acquisto. In particolare, il V. ha confermato trattarsi del negozio ubicato al civico n. (omissis), ove essi avevano già avuto modo di recarsi in passato. Pacifica, inoltre, la titolarità in capo all'imputata del summenzionato esercizio, essendo la stessa anche locataria del locale. È stato, infine, compiutamente accertato che i prodotti acquistati dal minore erano i famigerati "R.", come emerso dalle dichiarazioni del V. e da quanto riferito dall'ufficiale di p.g. C., appartenente al reparto artificieri dei carabinieri.
3. Il secondo motivo, con il quale si sostiene che non sussisterebbe nesso di causalità tra la condotta dell'imputata (la vendita dei petardi) e l'evento (le lesioni subite dal ragazzo), appare manifestamente infondato.
Il Tribunale ha evidenziato, con motivazione del tutto esente da vizi logico giuridici, che non sussiste interruzione del nesso causale fra la condotta dell'imputata (consistente nel consentire la vendita a minori di petardi pericolosi, omettendo di vigilare affinché i propri dipendenti rispettassero gli obblighi e divieti previsti dalla legge) e l'evento lesivo subito dal P., atteso che la condotta imprudente di quest'ultimo - il quale faceva esplodere il petardo nella propria cameretta anziché in luogo aperto - è stata una conseguenza della violazione del divieto di vendita ai minori dei suddetti petardi. È stato legittimamente osservato che tale divieto è connesso proprio con la micidialità di tali ordigni, e quindi con l'esigenza di scongiurare i rischi derivanti dall'eventuale disponibilità degli ordigni medesimi in capo a persone minorenni, la cui immaturità può facilmente condurli a gesti imprudenti, negligenti o imperiti, come avvenuto nel caso in disamina.
4. Solo in sede di ricorso per cassazione la difesa della ricorrente ha prospettato l'ulteriore doglianza - sempre contenuta nel secondo motivo di ricorso - secondo cui il nesso di causalità sarebbe escluso dalla circostanza che non fu la prevenuta ad effettuare la vendita del petardo, bensì un suo collaboratore.
Al di là della evidente inammissibilità di tale censura, in quanto non previamente proposta in sede di appello (cfr. Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745-01), mette conto osservare che la stessa è anche manifestamente infondata, essendo irrilevante, rispetto al profilo colposo addebitato, che non sia stata la prevenuta a vendere materialmente gli ordigni.
I giudici di merito, infatti, hanno pienamente asseverato l'ipotesi accusatoria, avendo riscontrato una situazione di cooperazione colposa - eziologicamente connessa all'evento - intercorrente fra la prevenuta ed il suo prestatore d'opera: quest'ultimo per avere direttamente venduto al minore i petardi, in violazione di un espresso divieto di legge; la prima per avere consentito tale vendita illegale e per non avere vigilato sull'operato del proprio collaboratore. Sotto questo profilo, è noto che per aversi cooperazione nel delitto colposo, non è necessaria la consapevolezza della natura colposa dell'altrui condotta, essendo sufficiente la coscienza dell'altrui partecipazione nello stesso reato, intesa come consapevolezza, da parte dell'agente, del fatto che altri soggetti sono investiti di una determinata attività, con una conseguente interazione rilevante anche sul piano cautelare, nel senso che ciascuno è tenuto a rapportare prudentemente la propria condotta a quella degli altri -soggetti coinvolti (cfr. Sez. 4, n. 25846 del 26/03/2019, Rv. 276581 - 01).
5. Stante l'inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n. 186/2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, nella misura indicata in dispositivo.
L'imputata va, inoltre, condannata alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili costituite, liquidate in complessivi euro 5.000,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, l'imputata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili P.M. e T.A., ciascuno in proprio e nella qualità di genitori esercenti la potestà sul figlio minore P.M., spese che liquida in complessivi euro 5.000,00, oltre accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.