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4 novembre 2022
La Consulta apre le porte del gratuito patrocinio al “piccolo spaccio”

Il “piccolo spaccio”, anche quando aggravato ai sensi dell'art. 80 T.U. stupefacenti, non è idoneo a far presumere di per sé un livello reddituale superiore alla soglia minima prevista dall'art. 76, comma 1, D.P.R. n. 115/2002.

La Redazione

Il Tribunale di Firenze sollevava questioni di legittimità costituzionale in relazione all'art. 76, comma 4-bis, d.P.R. n. 115/2002, con riferimento agli artt. 3 e 24, commi 2 e 3, Cost., nella parte in cui include tra i soggetti condannati con sentenza definitiva per i reati di cui all'art. 73 T.U. stupefacenti quando ricorrano le aggravanti previste dall'art. 80, comma 1, lett. a) o g), quelli per i quali si presume che abbiano un reddito superiore a quello consentito dalla legge per essere ammessi al gratuito patrocinio.
Come evidenziava il Tribunale, la ratio della norma risiede nella volontà di evitare che soggetti in possesso di ingenti ricchezze acquisite attraverso attività criminali possano fruire del beneficio del gratuito patrocinio, il quale è riservato ai non abbienti. Tuttavia, tale ratio legis, sempre secondo il Tribunale, non sussisterebbe in casi come quello di specie, ove l'imputato era stato condannato per la cessione di sostanze stupefacenti “di lieve entità” a soggetti minori di età in prossimità delle scuole.

Con la sentenza n. 223 del 3 novembre 2022, la Corte costituzionale dichiara fondate le questioni di legittimità sollevate dal Tribunale di Firenze, evidenziando come esse investano solo il comma 5 della norma censurata, aggravata dal successivo art. 80 nei termini precisati sopra.
Una volta circoscritto il campo, la Consulta ricorda che la presunzione di superamento dei limiti di reddito previsto dalla norma ai fini dell'accesso al gratuito patrocinio si basa su due presupposti: la particolare “redditività” dei reati contemplati e la maggiore possibilità di occultarne i profitti, specialmente da parte dei componenti delle associazioni criminali.
Tuttavia, la Consulta ha affermato che i fatti di “piccolo spaccio”

giurisprudenza

«si caratterizzano per un'offensività contenuta per essere modesto il quantitativo di sostanze stupefacenti oggetto di cessione (…). Di qui, non è ragionevole presumere che la “redditività” dell'attività delittuosa sia stata tale da determinare il superamento da parte del reo dei limiti di reddito contemplati dall'art. 76 del d.P.R. n. 115 del 2002 per ottenere l'ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, senza che a diversa conclusione si possa pervenire in considerazione del fatto che la presunzione opera solo per le condanne aggravate ai sensi dell'art. 80 t.u. stupefacenti».

Tali circostanze aggravanti, infatti, non sono di per sé suscettibili di incidere sul profitto tratto dall'attività criminosa.
In definitiva, secondo la Consulta, nell'ambito dei reati di criminalità organizzata, il “piccolo spaccio” appare «spurio» e anche quando aggravato ai sensi dell'art. 80 resta privo dell'idoneità a far presumere da solo un livello reddituale superiore alla soglia minima prevista dall'art. 76, comma 1, d.P.R. n. 115/2002, anzi, la Corte afferma che «si tratta spesso di manovalanza utilizzata dalla criminalità organizzata e proveniente dalle fasce marginali dei “non abbienti”, ossia di quelli che sono sprovvisti dei “mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione”».

Per le ragioni esposte, la Consulta dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 76, comma 4-bis, d.P.R. n. 115/2002 nella parte in cui ricomprende anche la condanna per il reato ex art. 73, comma 5, T.U. stupefacenti.

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