Sbaglia la Corte d'Appello a dichiarare l'inattendibilità della deposizione senza rivolgere al testimone alcuna domanda a chiarimento delle circostanze ritenute rilevanti ma non specificate in sede di deposizione.
Il Tribunale di Trapani accoglieva l'opposizione e revocava il decreto ingiuntivo con cui era stato intimato agli opponenti il pagamento di una somma a titolo di corrispettivo della cessione di ramo d'azienda. La Corte d'Appello ribaltava la decisione di primo grado e rigettava l'opposizione sul rilievo della genericità delle deposizioni...
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Trapani, sezione distaccata di Alcamo, sull’opposizione proposta da L. e G.M. avverso il decreto ingiuntivo con cui era stato loro intimato il pagamento, su istanza di A.C., della somma di € 20.000,00 (costituente parte del corrispettivo della cessione di ramo d’azienda denominato “H.P.” di cui alla scrittura privata autenticata del 29.9.2005), ha accolto l’opposizione, revocando il decreto ingiuntivo opposto.
Il giudice di primo grado, dopo aver evidenziato che l’importo di € 20.000,00 rappresentava l’ultima delle tranches in cui era stata ripartita la corresponsione del prezzo di cessione, ha osservato che i debitori, assolvendo all’onere su di essi gravante, avevano fornito la prova mediante testimoni dell’avvenuta corresponsione in due soluzioni dell’importo di € 20.000,00, corrispondente a quello dell’assegno che i due debitori avevano rilasciato in garanzia al creditore.
Con sentenza n. 112/2018, depositata il 20.01.2018, il giudice d’appello, in accoglimento dell’impugnazione proposta da A.C., ha rigettato l’opposizione proposta da L. e G.M..
Il giudice di secondo grado ha evidenziato la genericità delle deposizioni testimoniali assunte in giudizio, già intrinsecamente inverosimili, che non avevano fatto altro che confermare, con limitate e poco significative precisazioni, il capitolato di prova dedotto dai M.. In particolare, i testi non avevano specificato in che modo avevano avuto contezza dell’importo di denaro effettivamente consegnato (che si assumeva versato in due soluzioni), né se il denaro era stato versato in loro presenza e in che modo simili non irrilevanti quantità di contanti erano state approntate. Non era, peraltro, verosimile che le parti, proprio in occasione del pagamento dell’ultima e più consistente tranche, avessero rinunciato alla prassi di associare alla consegna di denaro contante da parte dei debitori la restituzione degli assegni via via soddisfatti ad opera del creditore, non prevedendo neppure uno strumento alternativo di attestazione del pagamento a tutela del debitore adempiente. Né poteva essere trascurata, nella valutazione di attendibilità, sotto il profilo della verosimiglianza delle deposizioni, la valenza probatoria che il possesso del titolo nelle mani del prenditore riveste in base alle leggi di circolazione, né la circostanza che per circa un anno dall’adempimento (avvenuto nell’aprile 2006) nessuno dei cessionari rivolse al cedente istanza di restituzione del titolo (portato all’incasso e protestato a febbraio 2007) o assunse iniziative volte a far constare l’ingiustificata detenzione del titolo nelle mani di costui. Tale questione era stata, infatti, sollevata solo in occasione del giudizio, e ciò quantunque i rapporti tra le parti, legati da un vincolo di parentela, fossero nel tempo divenuti sempre più tesi.
Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione L. e G.M.., affidandolo a due motivi.
A.C. ha resistito in giudizio con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato le memorie ex art. 380 bis.1 cod. proc. civ..
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. , 132 comma 2° n. 4 cod. proc. civ., 360, comma 1°, n. 5, cod. proc. civ. per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.
Lamenta il ricorrente che il giudice d’appello non ha effettuato una valutazione in negativo dell’attendibilità dei testi escussi, essendo il suo giudizio andato ad incidere, in modo aprioristico, sulla verosimiglianza delle circostanze che la parte aveva inteso dimostrare mediante l’articolazione della prova.
Inoltre, la Corte d’Appello non aveva fatto alcun riferimento a due dati inconfutabili che emergevano dagli atti processuali, la cui valutazione avrebbe eliso il giudizio aprioristico di inverosimiglianza delle circostanze oggettive capitolate nella prova:
1) l’assegno di € 20.000,00 era senza data, era stato sottoscritto da M.L., soggetto estraneo alla cessione d’azienda ed il beneficiario era M.G.;
2) A.C. aveva arbitrariamente apposto un’indebita girata sul titolo, ponendo all’incasso un assegno che, per come era stato compilato, non aveva una funzione solutoria.
2. Il motivo è inammissibile.
Lamenta, in primo luogo, il ricorrente che il giudice d’appello è incorso nella violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., atteso che lo stesso non avrebbe effettuato una valutazione in negativo dell’attendibilità dei testi escussi, essendo il suo giudizio ad incidere, in modo aprioristico, sulla verosimiglianza delle circostanze che la parte aveva inteso dimostrare mediante l’articolazione del capitolato di prova.
Tale censura difetta di autosufficienza, atteso che, come anche recentemente affermato da questa Corte (vedi Cass. n. 23834 del 25/09/2019), in tema di ricorso per cassazione, l'esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto alla Suprema Corte ove sia denunciato un "error in procedendo", presuppone l'ammissibilità del motivo, ossia che la parte riporti in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi ed i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell'"iter" processuale senza compiere generali verifiche degli atti.
Nel caso di specie, il ricorrente non ha assolto al proprio onere di allegazione, non avendo neppure indicato il contenuto dei capitoli di prova testimoniale dallo stesso formulati, non consentendo così a questa Corte di verificare se il giudizio della Corte d’Appello fosse o meno andato ad incidere, non tanto sulla attendibilità dei testi, quanto, in modo aprioristico, sulla verosimiglianza delle circostanze che la parte aveva inteso dimostrare mediante l’articolazione del capitolato di prova.
In ordine alla censura di omesso esame di fatto decisivo in ordine al contenuto ed alle modalità di incasso dell’assegno di cui è causa, il ricorrente non ha minimamente indicato “come” e dove” le circostanze asseritamente decisive avessero formato oggetto di discussione tra le parti, essendosi limitato ad assumere che si trattava di fatti pacifici.
3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 111 comma 1,2, 6 Cost, 6 CEDU, 132 comma 2° n. 4 in relazione all’art. 360 comma 1° nn. 3,4, e 5.
Lamenta il ricorrente che la sentenza impugnata ha totalmente omesso di prendere in considerazione i fatti confermati da A.C. in sede di interrogatorio formale, il quale, all’udienza del 4.12.09, aveva dichiarato.” E’ vero, si trattava di n. 6 assegni postadati. Ogni mese mi portava i soldi ed io gli restituivo gli assegni”.
Inoltre, il giudice di secondo grado aveva escluso concettualmente, a priori, che l’adempimento di un’obbligazione di pagamento potesse avvenire con la dazione di denaro in contanti tra i soggetti di un contratto, che, peraltro, nel caso di specie erano parenti, nonostante tale circostanza fosse stata confermata da tutti i testi escussi.
Tale dichiarazione aveva una valenza confessoria decisiva.
Inoltre, il giudice d’appello era incorso in un grave vizio logico: le circostanze ritenute rilevanti che i testi non avevano specificato in sede di deposizione (ovvero se il denaro fosse stato contato in loro presenza o in che modo simili quantità non irrilevanti di contante fossero state approntate) non vennero loro mai chieste, con la conseguenza che il giudice di merito non poteva, da un lato, non porre alcuna domanda a chiarimento, e, dall’altro, dolersi che i testi non avevano risposto a chiarimenti mai chiesti loro.
Deduce il ricorrente che, ove il giudice ritenga decisiva la conoscenza di una circostanza di fatto sulla quale il testimone non è stato formalmente chiamato a riferire (perché non compresa nei capitoli ammessi), l’ordinamento gli accorda il potere di rivolgere “tutte le domande che ritiene utili a chiarire i fatti (art. 253 comma 1° cod. proc. civ.), come pure richiamare il teste escusso (art. 257 cod. proc. civ.).
Il giudice di merito che non rivolge al testimone alcuna domanda a chiarimento e poi ritiene lacunosa la testimonianza cade, pertanto, in una evidente contraddizione logica.
Nel caso di specie, la Corte d’appello, attivando gli strumenti idonei previsti dagli artt. 359, 356 e 257 cod. proc. civ., avrebbe potuto rinnovare d’ufficio la prova testimoniale, riascoltando i testimoni già escussi in primo grado, al fine di chiarire le loro deposizioni e sopire ogni dubbio.
2. Le censure contenute nella seconda parte del motivo sono fondate. Va osservato che questa Corte (vedi Cass. n. 17981/2020; vedi anche Cass. n. 20929/2015 non mass.), anche recentemente, ha enunciato il principio di diritto secondo cui, “in sede di assunzione della prova testimoniale, il giudice del merito non è un mero registratore passivo di quanto dichiarato dal testimone, ma un soggetto attivo partecipe dell'escussione, al quale l'ordinamento attribuisce il potere-dovere, non solo di sondare con zelo l'attendibilità del testimone, ma anche di acquisire da esso tutte le informazioni indispensabili per una giusta decisione, sicché egli non può, senza contraddirsi, dapprima, astenersi dal rivolgere al testimone domande a chiarimento, e, successivamente, ritenerne lacunosa la deposizione perché carente su circostanze non capitolate, sulle quali nessuno ha chiesto al testimone di riferire; in tale ipotesi, pertanto, la devalutazione della testimonianza fondata sul rilievo che il teste si è limitato a confermare la rispondenza al vero delle circostanze dedotte nei capitoli di prova senza aggiungere dettagli mai richiestigli, riposa su argomentazioni tra loro logicamente inconciliabili, sì da costituire motivazione solo apparente”.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha ritenuto inattendibile la deposizione dei testi escussi, sul rilievo che si erano limitati genericamente a confermare le circostanze indicate nei capitoli di prova, non chiarendo circostanze ritenute decisive, senza, tuttavia, provvedere a rinnovare la prova testimoniale e riascoltare i testi, come avrebbe potuto a norma del combinato disposto degli artt. 257 e 359 cod. proc. civ..
Questo Collegio condivide la prospettazione secondo cui incorre in un grave vizio logico il giudice di merito che, da un lato, al fine di valutare l’attendibilità di un teste, ritiene indispensabili certe informazioni (nel caso di specie, in che modo i testi avevano avuto contezza dell’importo di denaro effettivamente consegnato, se il denaro era stato versato in loro presenza e in che modo simili non irrilevanti quantità di contanti erano state approntate), e, dall’altro, si astiene dal richiederle espressamente allo stesso testimone a chiarimento, pur essendo pienamente abilitato a farlo dalla legge.
La sentenza impugnata deve essere quindi cassata con rinvio alla Corte di Appello di Palermo, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo nei limiti di cui in motivazione, infondato il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Palermo, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.