Grazie al Codice della crisi d'impresa, la Suprema Corte può procedere in tal senso sempre che non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto. In caso contrario, si pronuncia il giudice del rinvio.
A seguito del rigetto del reclamo proposto contro la sentenza dichiarativa di fallimento, la società in liquidazione ricorre in Cassazione lamentando, tra i motivi di doglianza, la nullità della sentenza di fallimento per difetto di legittimazione del creditore istante ex art. 6 l.fall. Secondo la ricorrente, il...
Svolgimento del processo
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 4136 dell’8.06.2021, ha rigettato il reclamo ex art. 18 legge fall. proposto dalla P.L.B. scrl in liquidazione avverso la sentenza n. 24 del 30.3.2020 con cui il Tribunale di Velletri ne ha dichiarato lo stato di insolvenza.
La Corte d’Appello ha, preliminarmente, rigettato l’eccezione di nullità radicale della sentenza di fallimento per violazione dell’art. 15 legge fall., sollevata dalla debitrice sul rilievo che la notifica sarebbe stata erroneamente effettuata personalmente al liquidatore della società, nonostante la società fosse già stata cancellata dal Registro delle Imprese dal 22.3.2019.
Sul punto, il giudice d’appello ha osservato che la notifica presso il liquidatore aveva anzi garantito la massima tutela dell’imprenditore che, diversamente, sarebbe stato meno tutelato in caso di deposito dell’atto presso la Casa comunale (in base a quanto previsto dall’art. 15 legge fall.).
Quanto all’invocato (dalla debitrice) difetto di legittimazione ex art. 6 legge fall. di A. a presentare istanza di fallimento, il giudice d’appello ha evidenziato che la norma predetta attribuisce la legittimazione ad instare per il fallimento ad un soggetto qualificato come “creditore”, senza alcuna specificazione ulteriore, potendo tale credito essere, oltre a non certo, liquido ed esigibile, anche non ancora scaduto e condizionale.
In ogni caso, A. – fideiussore nell’ambito di una polizza rilasciata a favore di ente pubblico (Regione Puglia) a garanzia delle obbligazioni assunte in un contratto di appalto - doveva ritenersi comunque un “fideiussore escusso”, pendendo a suo carico l’escussione da parte del beneficiario della garanzia (la Regione), il quale aveva formulato domanda tesa ad ottenerne la condanna in forza della garanzia prestata (domanda rigettata in primo grado, ma appellata dalla Regione).
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la P.L.B. in liquidazione, affidandolo a tre motivi.
A.C. Y C. S.A. de S. Y R. si è costituita in giudizio con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato le memorie ex art. 380 bis.1 cod. proc. civ..
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 15, e 18 legge fall. nonché 138 e 145 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 comma 1° n. 3 cod. proc. civ.., la nullità della sentenza di fallimento ex artt. 101, 115 e 342 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 comma 1° n. 4 cod. proc. civ.; infine, la nullità della sentenza per nullità radicale della notificazione ex art. 15 legge fall. in relazione all’art. 360 comma 1° n. 4 cod. proc. civ..
Espone la ricorrente che la corte d’Appello ha violato l’art. 15 legge fall., il quale prevede che, ove non sia andata a buon fine la notifica a mezzo p.e.c., così come quella presso la sede della società, deve eseguirsi deposito dell’atto presso la casa comunale.
2. Il motivo è inammissibile.
Va preliminarmente osservato che l'art. 15, comma 3, legge fall. (nel riprodotto testo novellato dalla legge n. 221/012) stabilisce che il ricorso per la dichiarazione di fallimento ed il relativo decreto di convocazione devono essere notificati, a cura della cancelleria, all'indirizzo di posta elettronica certificata del debitore (risultante dal R.I. o dall'indice nazionale degli indirizzi PEC delle imprese e dei professionisti). E’, inoltre, previsto che, ove, per qualsiasi ragione, la notificazione via PEC non risulti possibile o non abbia esito positivo, la notifica andrà eseguita dall'Ufficiale Giudiziario che, a tal fine, dovrà accedere di persona presso la sede legale del debitore risultante dal R.I., oppure, qualora nemmeno questa modalità sia attuabile, la notifica sia eseguita con il deposito dell’atto presso la casa comunale della sede iscritta nel Registro delle Imprese e si perfezioni nel momento del deposito stesso.
Il sistema di notificazione sopra illustrato - come sottolineato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 146 del 2016 - tiene conto della specialità e della complessità degli interessi (comuni ad una pluralità di operatori economici, ed anche di natura pubblica in ragione delle connotazioni soggettive del debitore e della dimensione oggettiva del debito) che il legislatore del 2012 ha inteso tutelare con l'introdotta semplificazione del procedimento notificatorio nell'ambito della procedura fallimentare e che segnano l'innegabile diversità tra il suddetto procedimento e quello ordinario di notifica ex art. 145 cod. proc. civ. In particolare, a differenza di quest’ultima norma che è esclusivamente finalizzata all'esigenza di assicurare alla persona giuridica l'effettivo esercizio del diritto di difesa in relazione agli atti ad essa indirizzati, il riformulato art. 15 legge fall. - come emerge, del resto, dalla Relazione di accompagnamento dell'art. 17 del d.l. n. 179 del 2012, il cui testo, in parte qua, non è stato oggetto di modifiche in sede di conversione - si propone di «coniugare» quella stessa finalità di tutela del diritto di difesa dell'imprenditore (collettivo) «con le esigenze di celerità e speditezza cui deve essere improntato il procedimento concorsuale». A tal fine, il tribunale non è tenuto all'adempimento di ulteriori formalità, né quindi deve osservare le ulteriori cautele previste dall'art. 145 cod. proc. civ. (vedi anche Corte costituzionale n. 162/2017) per le notifiche a persona giuridica ancorché normalmente previste dal codice di rito, quando il mancato rinvenimento dell’imprenditore presso la propria sede debba imputarsi all'imprenditore medesimo.
La legittimità della procedura di notifica del ricorso ex art. 15 legge fall. – avallata dalle sopra citate sentenze della Consulta - che, come illustrato, è dettata dalle esigenze di celerità connaturate alla procedura fallimentare, non per questo determina, tuttavia, l’illegittimità di ogni altra forma di notificazione scelta dal creditore istante, ove questa si riveli addirittura più garantista nei confronti del debitore, consentendogli di esercitare più agevolmente il diritto di difesa: non sussiste alcun dubbio che, in una situazione come nella specie, caratterizzata dall’estinzione della società e dalla cancellazione della stessa dal Registro delle Imprese, la notifica dell’istanza di fallimento effettuata personalmente presso il liquidatore della società fallenda ex art. 145 cod. proc. civ., anziché presso la vecchia sede di una società (come detto, ormai non operativa e cancellata), ha offerto al debitore una più ampia tutela, assicurandogli l’effettivo esercizio del diritto di difesa ed è, pertanto, pienamente valida.
D’altra parte, questa Corte, in un caso analogo in cui la notifica dell’istanza di fallimento (destinata a società cancellata) era stata effettuata presso il liquidatore, già nella pronuncia n. 26276/2017 (non massimata sul punto), ha condivisibilmente respinto l’eccezione di nullità sollevata dal debitore sul rilievo che “la società è stata dunque destinataria di una cura istruttoria più ampia di quanto pur consentito dalla lezione corrente formatasi sull'art.15 comma 3° L.F.”.
3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 6 legge fall. in relazione all’art. 360 comma 1° n. 3 cod. proc. civ., la nullità della sentenza di fallimento per difetto di legittimazione del creditore istante ex 6 legge fall. in relazione all’art. 360 comma 1° n. 4 cod. proc. civ.; l’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio ex art. 360 comma 1° n. 5 cod. proc. civ.
Deduce il ricorrente che già questa Corte ha enunciato il principio di diritto secondo cui il fideiussore, per essere legittimato a proporre istanza di fallimento, deve aver provveduto al pagamento.
Nel caso di specie, il fideiussore (A.) non solo non aveva versato l’importo dovuto in base alla polizza, ma aveva agito in giudizio (risultando parte vittoriosa in primo grado) per far dichiarare l’inefficacia della prestata garanzia.
Ne consegue il difetto di legittimazione di A. a presentare l’istanza di fallimento.
4. Il motivo è fondato.
Va osservato che questa Corte (vedi Cass. n. 25317/2020), in un caso identico a quello di specie, ha già enunciato il principio di diritto secondo cui, il fideiussore che, escusso dal creditore garantito, non abbia provveduto al pagamento del debito, non è legittimato a proporre istanza di fallimento contro il debitore principale per il solo fatto di averlo convenuto in giudizio con l'azione di rilievo ex art. 1953 c.c., atteso che tale azione non lo munisce di un titolo astrattamente idoneo ad attribuirgli la qualità di creditore concorsuale in caso di apertura del fallimento, né il diritto del fideiussore al regresso (o alla surrogazione nella posizione del creditore principale) può sorgere, ancorché in via condizionale, anteriormente all'adempimento dell'obbligazione di garanzia.
Né, peraltro, è condivisibile l’affermazione evincibile dalla sentenza impugnata secondo cui la legittimazione del fideiussore a presentare l’istanza di fallimento potrebbe sostenersi in relazione all’asserita natura condizionale del credito dallo stesso vantato, che, come tale, sarebbe comunque riconducibile alla nozione di creditore di cui all’art. 6 legge fall.
Sul punto, questa Corte (vedi Cass. n. 19609/2017) ha enunciato il principio di diritto secondo cui, in tema di concorso di creditori, ex art. 61, comma 2, legge fall., il fideiussore non ha un credito di regresso prima del pagamento e dunque non può essere ammesso con riserva per un credito condizionale; potrà invece essere ammesso al passivo solo dopo il pagamento, in surrogazione del creditore, considerata la natura concorsuale del credito di regresso.
In conclusione, come evidenziato da questa Corte nella sopra citata pronuncia n. 25317/2020, “…la condizione legittimante l'istanza di fallimento di cui all'art.6 l.f. prescinde dunque dal contenuto della pretesa di credito e dal tipo di azione in altra sede giudiziale intrapresa a sua tutela, operando anche quando essa non integri una prestazione monetaria e purchè tuttavia l'oggetto del credito sia tale da potersi convertire, all'instaurazione del concorso, in una posizione soggettiva astrattamente ammissibile al passivo……”
5. Il terzo motivo, con cui è stata dedotta la violazione dell’art. 1 L. n. 348/1982, per inefficacia della polizza, nonché dell’art. 6 legge fall., è conseguentemente assorbito.
Deve pertanto cassarsi la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione. Nonostante l’accoglimento della censura, non sussistono, infatti, i presupposti per provvedere nel merito a norma dell’art. 384 comma 2° cod. proc. civ., essendo, nel caso di specie, necessari ulteriori accertamenti di fatto.
In proposito, in materia di revoca della dichiarazione di fallimento, in virtù dell’art. 389 (avente ad oggetto la disciplina transitoria) del d.lgs. n. 14 del 2019, è già entrato in vigore l’art. 366 dello stesso CCII, il quale, nel sostituire l’art. 147 T.U. Spese di Giustizia (di cui riproduce parzialmente il contenuto), ha previsto, altresì, che la Corte di appello, quando revoca la liquidazione giudiziale, deve accertare se l'apertura della procedura sia imputabile al creditore o al debitore.
In particolare, il novellato art 147 è del seguente tenore: “In caso di revoca della dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale, le spese della procedura e il compenso del curatore sono a carico del creditore istante quando ha chiesto con colpa la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale; sono a carico del debitore persona fisica, se con il suo comportamento ha dato causa alla dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale. La corte di appello, quando revoca la liquidazione giudiziale, accerta se l'apertura della procedura é imputabile al creditore o al debitore”.
Si può ritenere che siffatta verifica possa essere parimenti svolta, unitamente alla conseguente declaratoria di revoca della sentenza di fallimento, anche dalla Corte di cassazione (allorquando accolga il ricorso avverso la sentenza del giudice del reclamo che abbia erroneamente, sul punto, confermato la sentenza di fallimento), purché, tuttavia, non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto, secondo la previsione di indispensabile completezza presupposta dall’art. 384 comma 2° cod. proc. Civ.
Nell’ipotesi, invece, in cui tali accertamenti siano necessari – come nel caso di specie - la Corte di cassazione deve necessariamente demandare al giudice di rinvio anche la possibile declaratoria di revoca del fallimento e l’individuazione del soggetto cui sia imputabile l’apertura (revocanda) della procedura.
Può essere pertanto enunciato il seguente principio di diritto:
“La Corte di cassazione, in sede di accoglimento del ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello che abbia rigettato il reclamo proposto contro la sentenza dichiarativa di fallimento, può direttamente revocare tale dichiarazione e così provvedere a norma dell’art. 147 T.U. Spese di giustizia, come novellato dall’art. 366 CCII (per come già vigente anche per i giudizi introdotti ex art. 18 legge fall.), sull’imputabilità dell’apertura della procedura ai fini dell’addebito delle relative spese, sempre che non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto, dovendo invece, per tale ipotesi, disporre la cassazione con rinvio al giudice di merito”.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, con assorbimento del terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, ai sensi di cui in motivazione.