Un legale chiedeva di insinuarsi al passivo di una società fallita in liquidazione, in via privilegiata, il proprio asserito credito invocato per le prestazioni professionali svolte in favore della fallita. Dopo essere stato ammesso parzialmente, il professionista cedette il suddetto credito azionato nei confronti di un terzo, il quale,...
Svolgimento del processo
1. Con domanda ex art. 93 l.fall. del 15 dicembre 2016, l’Avv. T.R. chiese insinuarsi al passivo del Fallimento M. s.r.l. in liquidazione, in via privilegiata ex artt. 2751-bis, n. 2, e 2776 cod. civ., il proprio asserito credito di complessivi € 206.526,76, oltre interessi e rivalutazione, invocato per le prestazioni professionali tutte, giudiziali e stragiudiziali, svolte in favore della menzionata società in bonis ed ivi compiutamente descritte.
1.1. Il giudice delegato, con decreto del 9 marzo 2017, rese esecutivo lo stato passivo di quella procedura, ammettendovi solo parzialmente - per le minori somme di € 34.498,00 in privilegio e di € 34.412,00 in chirografo - l’Avv. R., precisando che «a tutti gli importi ammessi devono essere aggiunti c.p.a. ed i.v.a. in chirografo dall’emissione della fattura» e che dovevano essere altresì considerate, «sugli importi ammessi, le spese generali con lo stesso grado del credito ammesso».
2. Il successivo 7 aprile 2017, quel professionista cedette il suddetto credito azionato nei confronti del Fallimento alla G. s.r.l., la quale, dunque, divenutane titolare ex art. 1260 e ss. cod. civ., promosse opposizione ex art. 98 l.fall. avverso la menzionata decisione del giudice delegato. Chiese, in particolare, di essere ammessa al passivo, nella indicata qualità, «… in aggiunta alla somma di € 34.498,00, per cui è stato ammesso in privilegio il creditore, Avv. T.R., per la ulteriore somma di € 291.599,20, con privilegio di primo grado ex art. 2751-bis, n. 2, e 2776 c.c., e di ulteriori € 65.783,20, in prededuzione (o, in ipotesi, in privilegio di primo grado ex artt. 2571-bis, n. 2, e 2776 c.c.) per tutti i motivi di cui in narrativa salvo diverse somme, maggiori o minori, di giustizia, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge, per i crediti di cui ai numeri 2, 3, 4, 7, 9, 15, 17, 19 e 20 che precedono».
2.1. L’adito Tribunale di Prato, con decreto del 12 gennaio 2018, reso nel contraddittorio con il Fallimento, accolse parzialmente quella opposizione e dispose l’ammissione del credito della società G. s.r.l., quale cessionaria dei crediti dell’Avv. R. relativi alle prestazioni ivi analiticamente elencate, «… per l’importo di € 70.363, in via privilegiata ex art. 2751-bis, n. 2, c.c. ed € 1.620, in via chirografaria…».
2.2. Per quanto qui di interesse, quel tribunale osservò, preliminarmente, che «non può richiedersi, in sede di opposizione, una collocazione del credito diversa da quella richiesta in sede di verifica, né può richiedersi l’ammissione per importi superiori, vigendo il divieto di introdurre domande nuove, così come quello di riqualificare la natura del credito». Individuò, poi, le specifiche posizioni creditorie cedute dall’Avv. R. alla G. s.r.l.; esaminò singolarmente quelle per le quali quest’ultima aveva spiegato l’opposizione ex art. 98 l.fall., riportandone, per ognuna, l’originaria richiesta del primo nella sua domanda ex art. 93 l.fall. e quanto, invece, invocato dalla menzionata opponente in quella sede; statuì, infine, su ciascuna di dette posizioni.
3. Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso la G. s.r.l. semplificata unipersonale, affidandosi a due motivi, cui ha resistito, con controricorso l’indicato Fallimento.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è rubricato «Violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., ed in particolare sulla violazione degli artt. 2225 c.c., 13, commi 6 e 7, della legge n. 247/2012 e del D.M. n. 55/2014». Si sostiene essere illegittima, «per evidente violazione di legge, la quantificazione dei compensi liquidati all’Avv. R. per l’attività svolta per la M. s.r.l. dal Giudice Relatore del decreto impugnato […], il cui centro si ravvisa nell’asserita proposizione di domande nuove nel giudizio di opposizione allo stato passivo e nel pacifico divieto di introdurne». In sintesi, l’odierna ricorrente assume che il tribunale abbia violato le richiamate disposizioni laddove ha ritenuto che, in sede di opposizione allo stato passivo, la determinazione del corrispettivo (per prestazioni professionali di avvocato) spettante all’opponente (subentrata, quale sua cessionaria, nel credito inizialmente azionato dall’Avv. R.) incontra il limite rappresentato dalla quantificazione indicata nell’istanza di ammissione al passivo del fallimento, laddove, invece, la mera modifica quantitativa dell’originaria pretesa, fermi i suoi fatti costitutivi, costituisce semplice, consentita emendatio, e non mutatio, libelli.
1.1. Questa doglianza non merita accoglimento alla stregua delle argomentazioni tutte di seguito esposte.
1.2. Va premesso, in fatto, che, come si è già anticipato, il tribunale ha individuato le specifiche posizioni creditorie cedute dall’Avv. R. alla G. s.r.l. (cfr. pag. 4-5 del decreto impugnato); ha esaminato singolarmente quelle per le quali quest’ultima aveva spiegato l’opposizione ex art. 98 l.fall., riportandone, per ognuna, l’originaria richiesta del primo nella sua domanda ex art. 93 l.fall. e quanto, invece, invocato dalla menzionata opponente in quella sede (cfr. pag. 7-16 del medesimo decreto), altresì statuendo, infine, su ciascuna di dette posizioni.
1.3. Deve osservarsi, poi, che l'art. 183, comma 6, cod. proc. civ. prevede la possibilità di modificare o precisare le domande già proposte nel corso della prima udienza o entro il termine perentorio di 30 giorni, con il deposito della prima memoria, e che la giurisprudenza di legittimità sembrava essere univoca e tetragona, fino ad alcuni anni fa, nell'affermare il principio secondo il quale sono ammissibili solo le modificazioni della domanda introduttiva che costituiscono semplice emendatio libelli, ravvisabile quando non si incide sulla causa petendi (ma solo sulla interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto) né sul petitum (se non nel senso di meglio quantificarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere), mentre sono assolutamente inammissibili quelle modificazioni della domanda che costituiscono mutatio libelli, ravvisabile quando si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un petitum differente e più ampio oppure una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima, ed in particolare su di un fatto costitutivo differente, così ponendo al giudice un nuovo tema d'indagine e spostando i termini della controversia, con l’effetto di disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare svolgimento del processo (cfr., ex aliis, Cass. n. 1585 del 2015; Cass. n. 12621 del 2012; Cass. n. 17457 del 2009; Cass. n. 17300 del 2008; Cass. n. 21017 del 2007;
Cass. n. 9247 del 2006).
1.3.1. Con la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 12310 del 2015, tuttavia, tale orientamento è stato superato ed è stata ammessa anche la modifica del petitum e/o della causa petendi della domanda originariamente formulata, purché rimanga immutata la situazione sostanziale dedotta in giudizio e non sia determinata alcuna compromissione delle potenzialità difensive della controparte o l'allungamento dei tempi del processo (cfr., nello stesso senso, pure Cass. n. 13091 del 2018; Cass. n. 4322 del 2019; Cass. n. 31078 del 2019; Cass. n. 20898 del 2020; Cass. n. 4031 del 2021). Il criterio per distinguere le domande precisate consentite da quelle nuove non consentite è dato dalla relazione con la quale queste si pongono rispetto alla domanda originariamente formulata. Le domande che si limitano a precisare si pongono essenzialmente in un rapporto di alternatività rispetto alla domanda originaria, sostituendosi ad essa; al contrario, le domande nuove sono domande ulteriori e aggiuntive che comportano un ampliamento del thema decidendum (cfr. Cass., SU, n. 22404 del 2018).
1.3.2. Nel caso di specie, peraltro, va rimarcato che, nella pretesa della G. s.r.l., non è ravvisabile la modifica degli elementi oggettivi della originaria domanda di ammissione al passivo dell’Avv. R., bensì una mera, diversa (e maggiore) specificazione del quantum richiesto dalla prima in qualità di cessionaria del credito per le corrispondenti prestazioni professionali svolte da quest’ultimo in favore della M. s.r.l. in bonis. Occorre, allora, interrogarsi circa l’ammissibilità, o non, nel procedimento di opposizione allo stato passivo, di condotte processuali quali la mutatio e/o anche la sola emendatio libelli nei sensi suddetti.
1.4. Orbene, ritiene il Collegio che il procedimento di opposizione allo stato passivo, il quale mostra evidenti tratti di peculiarità, che non ne consentono la completa assimilazione ad alcuno dei procedimenti tipici regolati dal secondo e quarto libro del codice di rito, non si presti, così come l’appello, all’introduzione di domande nuove, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, più volte ribadito anche dopo la sentenza delle Sezioni Unite del 2015. Si tratta, difatti, senz’altro di un procedimento di natura impugnatoria, secondo l'opinione stabilmente condivisa in giurisprudenza (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 6279 del 2022; Cass. n. 21991 del 2021; Cass. n. 27902 del 2020; Cass. n. 11366 del 2018; Cass. n. 26225 del 2017; Cass. n. 21201 del 2017; Cass. n. 24489 del 2016; Cass. n. 3110 del 2015; Cass. n. 24972 del 2013; Cass. n. 11026 del 2013; Cass. n. 7278 del 2013; Cass. n. 22765 del 2012; Cass. n. 11146 del 2012; Cass. n. 9341 del 2012; Cass. n. 8929 del 2012; Cass. n. 7918 del 2012; Cass. n. 4744 del 2012; Cass. n. 2677 del 2012), oltre che ampiamente prevalente in dottrina.
1.4.1. Il carattere impugnatorio dell’opposizione allo stato passivo è reso palese da una semplice constatazione: se non è proposta l’opposizione, il decreto del giudice delegato acquista la stabilità propria del giudicato, sia pure con i limiti del giudicato endofallimentare (cfr. Cass. n. 27709 del 2020 e Cass. n. 22954 del 2020, entrambe ribadite, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 6279 del 2022). L’opposizione, dunque, è indispensabile al fine di promuovere l’altrimenti precluso riesame del provvedimento, di natura indubbiamente giurisdizionale, adottato dal giudice delegato; deve proporsi dinanzi ad un diverso giudice, il collegio, di cui non può far parte il giudice delegato (art. 99 l.fall., commi 9 e 10), ad esclusiva iniziativa del soccombente, il quale abbia visto respinta, in tutto o in parte, la propria domanda di ammissione; deve promuoversi entro un termine perentorio (art. 99, comma 1, l.fall.). Sicché il testo del comma 2, n. 3, dell’art. 99 l.fall., secondo cui il ricorso in opposizione deve contenere «l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui si basa l'impugnazione», lungi dal denunciare un’improprietà di linguaggio, appare frutto di una scelta legislativa precisa e consapevole.
1.5. Fermo quanto precede, è noto che, pur nella sua natura di rimedio impugnatorio, l’opposizione allo stato passivo non è assimilabile all’appello (cfr., ex multis, a mero titolo esemplificativo, Cass. n. 21991 del 2021, concernente l’inapplicabilità all’opposizione allo stato passivo della sanzione di improcedibilità per mancata comparizione dell’appellante di cui all’articolo 348 cod. proc. civ.): ed è ovvio, del resto, che sia così, giacché l’appello segue ad un giudizio di primo grado a cognizione piena, ove pure svoltosi nelle forme del rito sommario di cognizione, da intendersi quale rito di cognizione soltanto semplificato, a mezzo del quale le parti hanno avuto modo di far integralmente valere, sotto ogni aspetto, le proprie domande ed eccezioni; ciò accade invece solo in parte nella fase della verifica dello stato passivo, sol che si consideri che il contraddittorio è sì assicurato, ma senza che sia prevista la costituzione del curatore con un difensore, essendo d’altronde la difesa tecnica del creditore solo eventuale, ed altresì che la fase di verifica si connota per la sommarietà della cognizione, sicché non è assimilabile ad un primo grado a cognizione piena (per la prima ricostruzione in tal senso in periodo post-riforme del 2006-2007, cfr. Cass. n. 19697 del 2009).
1.5.1. Tuttavia, ciò non intacca minimamente l’affermazione della natura impugnatoria del procedimento in discorso, anche se sovente pone l’interprete dinanzi all’esigenza di coprire gli spazi lasciati vuoti dalla scheletrica descrizione del suo funzionamento: per il che occorre, «di volta in volta, scrutinare la compatibilità» delle regole dettate in materia di impugnazioni dagli articoli 323 e seguenti cod. proc. civ. «con lo strumento in questione, in ragione dalle sue particolari caratteristiche» (cfr. Cass. n. 11392 del 2016, in motivazione), fermo restando che, considerato il carattere impugnatorio del rimedio, è proprio alla disciplina dell’appello che occorre porre mente, ove non emergano «ulteriori esigenze di specialità e di autonomia della procedura concorsuale che trovino nella relativa disciplina apposita e distinta regolamentazione» (cfr. Cass. n. 11366 del 2018).
1.6. Orbene, la certezza raggiunta in ordine al carattere impugnatorio del procedimento di opposizione allo stato passivo non è risolutiva, di per sé, della questione se in esso siano consentite, o meno, la mutatio e/o la emendatio libelli. Non può escludersi, invero, in astratto, che il legislatore possa prevedere congegni di gravame tali da prevederne l’introduzione. E tuttavia è un fatto che, nel sistema, le impugnazioni non consentono l’introduzione di domande nuove e che, in particolare, il procedimento tipico di impugnazione volto a denunciare così l’illegittimità, come l’ingiustizia della decisione impugnata, cioè l’appello, mai ha consentito l’introduzione di domande nuove, nelle diverse formulazioni succedutesi dell’art. 345 cod. proc. civ., eccezion fatta per un ristretto numero di domande ivi ammissibili, in quanto, per così dire, meramente consequenziali, in tema di accessori e danni maturati dopo la sentenza impugnata. Al contrario, si è ivi ammessa invece, la diversa quantificazione o specificazione della pretesa, fermi i fatti costitutivi, ciò non comportando la prospettazione di una nuova causa petendi (e, quindi, una mutatio libelli), integrando, invece, una mera emendatio libelli (cfr. Cass. n. 9266 del 2010). Sicché, il riconosciuto carattere impugnatorio dell’opposizione allo stato passivo, in assenza della espressa previsione, nell’art. 99 l.fall., della facoltà dell’opponente di proporre domande nuove, è già di per sé indice significativo dell’inammissibilità delle stesse.
1.6.1. È qui il caso di aggiungere, per completezza, anche se le considerazioni svolte in relazione al carattere impugnatorio dell’opposizione allo stato passivo escludono che la stessa possa essere ricondotta ad un giudizio di primo grado, che l’opposizione qui in discorso neppure è assimilabile all’opposizione a decreto ingiuntivo, rilievo, questo, qui necessitato dall’affermazione, che si rinviene nella recente giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la facoltà di radicale mutatio attraverso la prima memoria di cui all’articolo 183 cod. proc. civ. troverebbe applicazione anche nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo (cfr. Cass. n. 9668 del 2021).
1.6.2. Ebbene, come recentemente sancito da Cass. n. 6279 del 2022 (cfr. in motivazione) «…la distanza tra l’opposizione allo stato passivo e quella a decreto ingiuntivo è incolmabile, non soltanto perché nell’opposizione allo stato passivo il contraddittorio si dispiega fin dall’inizio del procedimento, mentre nel giudizio per decreto ingiuntivo è soltanto eventuale, ove l’ingiunto introduca l’opposizione; non soltanto perché l’opposizione allo stato passivo è intrapresa dal preteso creditore che ha visto respinta [anche solo parzialmente. Ndr] la sua domanda, mentre l’opposizione a decreto ingiuntivo è proposta dal debitore ingiunto, a fronte di un provvedimento che ha provvisoriamente accolto la domanda del creditore in monitorio; non soltanto perché il giudice che rilascia il decreto ingiuntivo può essere il medesimo dinanzi al quale si propone l’opposizione: la distanza è segnata soprattutto dal rito che disciplina il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, giudizio che “si svolge secondo le norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito”, ai sensi del secondo comma dell’articolo 645 c.p.c., a fronte del rito che disciplina il giudizio di opposizione allo stato passivo, regolato, invece, dall’art. 99 della legge fallimentare…».
1.7. Si giunge, qui, a completare il ragionamento svolto in precedenza: l’ammissibilità di domande nuove o di un’emendatio libelli in sede di opposizione a decreto ingiuntivo non discende soltanto dal carattere impugnatorio del rimedio, ma anche dalla positiva disciplina del mezzo, che non lascia spazio, se non per quanto espressamente previsto, allo ius variandi dell’opponente.
1.7.1. L’art. 99, comma 2, n. 3, l.fall. stabilisce, come si è detto, che il ricorso deve contenere «l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui si basa l'impugnazione e le relative conclusioni». Già tale dato letterale evidenzia che l’atto introduttivo non è destinato ad ospitare domande e/o sue modifiche, bensì solo circostanze di fatto ed argomenti in diritto finalizzati all’accoglimento dell’impugnazione, ossia «motivi», censure dirette a sollecitare l’accoglimento della domanda che, nella fase giurisdizionale precedente, il giudice ha disatteso in tutto o in parte.
1.7.2. Ciò in perfetta aderenza con il sistema delineato dagli artt. 93 e ss. l.fall..
1.7.2.1. L’articolo 93, comma 3, stabilisce che la domanda di ammissione al passivo di un credito si propone con ricorso contenente «la determinazione della somma che si intende insinuare al passivo» (cfr. n. 2), e dunque il petitum, nonché «la succinta esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che costituiscono la ragione della domanda» (cfr. n. 3), e cioè la causa petendi che sostiene quel petitum. Si tratta, quindi, degli elementi caratterizzanti gli atti introduttivi delle domande proposte in procedimenti a cognizione piena, come accade nell’art. 163, comma 3, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., nell’art. 414, comma 2, nn. 2 e 3, cod. proc. civ., nell’art. 702-bis cod. proc. civ. per il tramite del rinvio all’articolo 163 cod. proc. civ.: in questo caso, la domanda introduttiva è collocata in una fase sommaria, ma deve essere dotata di quanto richiesto per dar corso alla eventuale successiva fase a cognizione piena.
1.7.2.2. Il successivo art. 94 l.fall. soggiunge, sotto la rubrica «Effetti della domanda», che la domanda di cui all'art. 93 «produce gli effetti della domanda giudiziale per tutto il corso del fallimento», dal che si desume che è quella, prevista dall’art. 93, diretta alla insinuazione al passivo, la domanda che produce gli effetti suoi propri, effetti che si protraggono per la durata della intera procedura fallimentare e che non hanno modo di prodursi altrimenti, la qual cosa conferma che non vi è altra sede per la proposizione di una domanda nei confronti del fallimento al di fuori della previsione dell’art. 93 l.fall..
1.7.2.3. L’art. 95 l.fall., poi, prosegue affermando che il curatore esamina le domande di cui all'art. 93 e deposita il progetto di stato passivo, e che il giudice «decide su ciascuna domanda, nei limiti delle conclusioni formulate ed avuto riguardo alle eccezioni del curatore, a quelle rilevabili d'ufficio ed a quelle formulate dagli altri interessati»: dal che si desume ancora sia che la decisione si cristallizza in quella sede, obbedendo al principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, fatte salve le eccezioni rilevabili d’ufficio, sia che anche gli altri interessati, anzitutto gli altri creditori, devono poter interloquire sulle domande proposte.
1.7.2.4. L’art. 98 l.fall. disciplina, poi, i rimedi contro lo stato passivo, ossia l’opposizione, che è data al creditore che ha visto disattesa la sua insinuazione e - giova precisarlo - si propone nei confronti del solo curatore; l’impugnazione, data al curatore ed agli altri creditori, per contestare l’accoglimento della domanda di un creditore ammesso; la revocazione data anch’essa al curatore ed ai creditori per attaccare, in determinati casi, provvedimenti sia di accoglimento che di rigetto. Anche quest’aspetto, già da solo dirimente, conferma, ineluttabilmente, sul piano sistematico, che l’opposizione non può ammettere domande nuove o una mera emendatio dell’opponente, giacché su di esse gli altri creditori non potrebbero interloquire, come, invece, hanno diritto di fare secondo l’art. 95 l.fall..
1.8. Nel complesso, la ratio sottesa alla previsione di un procedimento così contratto, in cui giocano un rilievo sostanzialmente ultimativo gli atti introduttivi, che non consente ulteriori attività volte alla successiva definizione del thema decidendum e del thema probandum, che è radicalmente incompatibile con gli sviluppi scanditi dall’articolo 183 cod. proc. civ. e che è destinato a concludersi con un provvedimento assunto in forma di decreto, tale da esigere il minimo teorico del supporto motivazionale richiesto dalla Costituzione, è del tutto chiara: occorre che la decisione sulla opposizione allo stato passivo sia quanto più possibile semplificata e celere, senza che l’esigenza di celerità della decisione, sempre nel rispetto dell’art. 24 della Costituzione, possa essere pregiudicata da complicazioni procedurali non indispensabili. È per questo, del resto, che il procedimento di opposizione allo stato passivo non consente l’introduzione di domande nuove, finanche riconvenzionali (cfr. Cass. n. 3778 del 2019). Deve aversi per certo, allora, che il creditore, assunta la veste dell’opponente, non può proporre domande nuove, né una mera emendatio libelli, per aver consumato la sua chance all’atto dell’insinuazione. Conclusione, questa, già sancita da Cass. n. 6279 del 2022, benché limitatamente al divieto di domande nuove nel procedimento di opposizione allo stato passivo, ma le cui argomentazioni (in primis, la inutilizzabilità, in tale sede dei meccanismi ex art. 183 cod. proc. civ. e la impossibilità, per gli altri creditori già ammessi, di poter interloquire sulla stessa) possono agevolmente supportare la medesima soluzione anche con riguardo alla mera emendati libelli.
1.8.1. Occorre, in altri termini, che lo stato passivo trovi al più presto una definitiva stabilità, la quale è condizione indispensabile perché il procedimento fallimentare possa attingere il suo esito, questo il senso del procedimento apprestato dal legislatore per la definizione delle opposizioni allo stato passivo. Ma, se si ammettesse la proposizione di domande nuove o anche di una mera emendatio libelli con l’opposizione allo stato passivo, la stessa utilità della precedente fase verrebbe ad esserne travolta, dal momento che il creditore, se non altro in relazione alla medesima «vicenda sostanziale» che ha dato causa al sorgere del credito insinuato, potrebbe mutare radicalmente il petitum o la causa petendi, oppure apportare mere maggiorazioni quantitative alla sua domanda, sebbene lasciandone inalterati i fatti costitutivi, costringendo il tribunale a rifare, in quella sede, lo scrutinio di fondatezza già effettuato (peraltro nel contraddittorio con gli altri richiedenti l’insinuazione ex art. 93 l.fall. insussistente, invece, nel giudizio di opposizione ex artt. 98-99 l.fall.) dal giudice delegato nella fase di verifica.
1.9. Fermo quanto precede, l’odierna doglianza della G. s.r.l., divenuta titolare, ex art. 1260 e ss. cod. civ., delle specifiche posizioni creditorie inizialmente azionate dall’Avv. R. e da lui poi cedute alla prima (cfr. pag. 4-5 del decreto impugnato), non merita accoglimento posto che, come è agevole desumere dall’esame di ognuna di esse effettuato dal tribunale - riportandone, per ciascuna, l’originaria richiesta del menzionato professionista nella sua domanda ex art. 93 l.fall. e quanto, invece, invocato successivamente dalla società opponente in quella sede (cfr. pag. 7-16 del medesimo decreto) - nonché da quanto espressamente allegato alle pag. 13- 19 del ricorso, il tribunale, altro non ha fatto che: i) rideterminare i crediti de quibus riconoscendo alla opponente suddetta proprio quanto originariamente domandato dall’Avv. R. (cfr. posizioni dell’insinuazione nn. 2, 3, 4, 7 e 11, con esclusione, tuttavia, quanto a quest’ultima, del richiesto privilegio), in tali limiti accogliendo la spiegata opposizione. A fronte di tale modus procedendi del tribunale, l’odierna doglianza della G. s.r.l. si risolve nella richiesta, per ciascuna delle posizioni predette, di importi ampiamente superiori rispetto a quelli invocati dallo stesso Avv. R. (che poi li aveva ceduti ad essa) nella propria domanda ex art. 93 l.fall.. Come si è già argomentato, tuttavia, anche una siffatta modifica meramente quantitativa della domanda ex art. 93 l.fall.
- pure volendosi prescindere da ogni altra considerazione circa l’essere la medesima G. s.r.l. subentrata nelle stesse posizioni creditorie (come quantificate nell’appena menzionata domanda) del primo - non può essere consentita in sede di opposizione allo stato passivo, rivelandosi inapplicabili, al relativo procedimento, per la descritta peculiarità che lo caratterizza, i poteri di mutatio e/o emendatio libelli attribuiti alle parti nel procedimento di cognizione ordinaria; ii) confermare quanto riconosciuto dal giudice delegato con riferimento alla posizione dell’insinuazione n. 17, esaustivamente spiegando le ragioni del proprio convincimento, né il giudizio di legittimità può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. n. 21381 del 2006, nonché le più recenti Cass. n. 8758 del 2017; Cass. n. 32026 del 2021; Cass. n. 40495 del 2021; Cass. n. 1822 del 2022; Cass. n. 2195 del 2022; Cass. n. 5490 del 2022; Cass. n. 9352 del 2022; Cass. n. 15237 del 2022).
1.10. Resta solo da aggiungere che il tribunale, nel rideterminare il credito da ammettersi al passivo in luogo di quello quantificato dal giudice delegato, ha già indicato la parte di esso (€ 70.363,00) da collocarsi in privilegio ex art. 2751-bis, n. 2, cod. civ. (il residuo € 1.620,00, invece, è stato riconosciuto in chirografo), né, in relazione ad una siffatta ripartizione sono state sollevate oggi specifiche censure (diverse da quelle riguardanti il quantum di ciascuna delle posizioni creditorie vagliate dal tribunale).
1.10.1. Deve considerarsi inammissibile, invece, la richiesta di prededuzione oggi ribadita dalla società opponente perché, come può agevolmente ricavarsi dalle pagine 2 e ss. dell’odierno ricorso, nulla, in tal senso, era stato invocato nella originaria istanza ex art. 93 l.fall. dell’Avv. R.. Quella norma, infatti, stabilisce che la domanda di ammissione al passivo deve contenere, oltre alla determinazione della somma che si intende insinuare al passivo, "l'eventuale indicazione del titolo di prelazione" e la giurisprudenza di questa Corte ha già avuto occasione di affermare che, proprio per la già descritta natura impugnatoria del procedimento di opposizione allo stato passivo, retto dal principio dell'immutabilità della domanda, «è inammissibile la richiesta di riconoscimento della prededucibilità del credito insinuato formulata per la prima volta nel giudizio di opposizione allo stato passivo» (cfr. Cass. n. 26225 del 2017; Cass. n. 5167 del 2012; Cass. n. 19605 del 2004), integrando essa un «elemento costitutivo della causa petendi» (cfr. Cass. 10241 del 1992) ed «implicando tale richiesta l'introduzione nel giudizio di un diverso tema di discussione e d'indagine, in quanto credito privilegiato e credito prededucibile hanno presupposti differenti».
2. Il secondo motivo di ricorso è rubricato «Violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., ed in particolare sulla violazione degli artt. 112 c.p.c., 13, comma 6, della legge n. 247/2012 e del D.M. n. 55/2014». Si rappresenta che, malgrado la corrispondente istanza contenuta nelle conclusioni della propria opposizione ex art. 98-99 l.fall., il tribunale nel (ri)liquidare i compensi per l’attività professionale svolta dall’Avv. R. in favore della M. s.r.l. in bonis, nulla aveva statuito sulle spese accessorie, quali le spese forfettarie, l’i.v.a. e la c.p.a..
2.1. Una siffatta doglianza deve considerarsi inammissibile in questa sede, posto che, se certamente sussiste, nel provvedimento oggi impugnato, l’omissione di pronuncia come denunciata dalla ricorrente, è altrettanto vero che quest’ultima - riguardando detta omissione statuizioni di natura accessoria e predeterminate per legge - è carente di interesse a farla valere in questa sede, posto che, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, in materia di spese di lite, la mancata liquidazione nel provvedimento degli accessori di legge (spese generali, i.v.a. e c.p.a.), costituisce un errore materiale suscettibile di correzione con l'apposito procedimento di cui agli artt. 287 e ss. c.p.c. (cfr. Cass. n. 28323 del 2020).
3. Il ricorso, dunque, va respinto, restando le spese di questo giudizio di legittimità a carico della soccombente G. s.r.l., altresì dandosi atto - in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 - che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115/02, i presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre «spetterà all'amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento».
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la G. s.r.l. semplificata unipersonale al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dal Fallimento controricorrente, che si liquidano in € 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della medesima ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.