Per escludere la responsabilità del conducente per l'investimento del pedone, è necessario che la condotta di quest'ultimo si ponga come causa eccezionale e atipica, imprevista e imprevedibile, dell'evento, che sia stata da sola sufficiente a produrlo.
La Corte d'Appello di Bologna confermava la condanna dell'imputato per il reato di omicidio stradale, avendo egli investito, mentre percorreva a bordo del suo motoveicolo e ad una velocità superiore al limite consentito, un'anziana signora che era intenta, in compagnia di altri pedoni, ad attraversare a piedi la carreggiata fuori dalle strisce pedonali.
Contro tale...
Svolgimento del processo
1. La Corte d'appello di Bologna con la pronuncia indicata in epigrafe, pur concedendo il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale spedito a richiesta dei privati, ha confermato la condanna di E. M. per il reato di cui all'art. 589, comma 2, cod. pen., inflitta con sentenza emessa dal Tribunale di Modena l'8 aprile 2017.
Nel dettaglio l'imputato è stato ritenuto responsabile dell'omicidio di M.L. per colpa non solo generica ma anche specifica, consistita nella violazione degli artt. 141 e 142 d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (c.d. «cod. strada»). E stato difatti ritenuto accertato che E. M., alla guida di un motoveicolo, nel percorrere, in condizioni di visibilità non ottima in ragione dell'orario, un tratto di strada urbano ma con caratteristiche di pericolosità da strada extraurbana, a velocità (86 km/h) superiore rispetto al limite consentito (pari a 50 km/h) e comunque omettendo di moderarla in prossimità di un incrocio e di una curva, e all'occorrenza, di fermarsi, ha investito l'anziana persona offesa intenta, in compagnia di altri pedoni, ad attraversare a piedi la carreggiata, da destra verso sinistra, ancorché non utilizzando gli appositi attraversamenti pedonali (non presenti), con conseguenti lesioni personali conducenti al decesso della stessa.
2. Avverso la sentenza d'appello l'imputato, tramite il difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione articolando tre motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.)
2.1. Con i tre motivi di ricorso si deducono violazioni di legge (artt. 43 e 45 cod. pen.) oltre che vizi motivazionali in merito all'accertamento della condotta colposa dell'imputato, al quale la Corte territoriale avrebbe finito per addebitare solo profili di colpa generica e non specifica. Ciò, peraltro, in assenza di una effettiva considerazione dell'imprevedibilità della condotta dei cinque pedoni (tra cui la persona offesa), intenti ad attraversare, in fila e senza l'utilizzo di strisce pedonali (ivi non presenti), un tratto di strada con elevate caratteristiche di pericolosità, aggravate dall'orario serale e dal presente «effetto specchio» derivante dalle condizioni di tempo.
2.2. Oltre all'imprevedibilità di cui innanzi, il giudice di merito non avrebbe considerato l'annessa non evitabilità dell'evento nonostante la possibile condotta alternativa lecita, così errando, da un lato, per la mancata sussunzione della fattispecie concreta nell'art. 45 cod. pen., in termini di caso fortuito (incidente in termini soggettivi), e, dall'altro, per il mancato accertamento della c.d. «causalità della colpa».
2.3. A quanto innanzi, quale ulteriore profilo di censura, con l'ultimo capoverso del terzo motivo si aggiunge, sostanzialmente, la manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui avrebbe sarebbe stata esclusa l'interruzione del nesso eziologico a fronte della descritta condotta dei pedoni (tra cui la persona offesa), imprevista, imprevedibile, eccezionale ed atipica.
3. Ha depositato conclusioni, ex art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, la Procura generale della Repubblica presso la Suprema Corte, in persona del Sostituto procuratore S. P., nel senso dell'inammissibilità dei motivi di ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso, i cui tre motivi sono suscettibili di trattazione congiunta in ragione della connessione delle relative questioni, è inammissibile.
2. Sono in particolare manifestamente infondate, laddove non aspecifiche e meramente ripetitive delle doglianze d'appello, tutte le censure con le quali, nei termini già sintetizzati nel «ritenuto in fatto», si prospettano violazioni di legge oltre che vizi motivazionali circa la mancata sussunzione della fattispecie concreta nell'astratta previsione di cui all'art. 45 cod. pen., in ragione dell'imprevedibilità ed inevitabilità caratterizzanti il caso fortuito, oltre che in relazione alla «causalità della colpa» e alla ritenuta assenza di interruzione del nesso causale nonostante la condotta colposa dei pedoni (compresa la persona offesa).
3. Con motivazione non solo corretta in diritto ma anche congrua, coerente e non manifestamente illogica, la Corte territoriale ha difatti ricostruito la dinamica del sinistro oltre che individuato la condotta colposa dell'imputato che ha condotto all'evento in forza di una seriazione causale ritenuta non interrotta dalla condotta dei pedoni (tra cui la persona offesa) caratterizzata da colpa per le modalità di attraversamento.
3.1. Chiarito, anche in ragione degli esiti dell'espletata perizia, che si trattava di strada urbana avente caratteristiche di pericolosità tipiche di strada extraurbana, con presenza di curva e incrocio, ed evidenziate le non ottimali condizioni di visibilità, anche in ragione dell'orario serale (ore 21 di un giorno di settembre) e del conseguente «effetto specchio», è stato accertato che la persona offesa (al pari di altri due pedoni) è stata attinta dalla moto condotta dall'imputato nell'atto di attraversare, in fila e da destra verso sinistra rispetto al senso di marcia del motoveicolo, senza l'utilizzo di strisce pedonali (ivi non presenti). In particolare, il motoveicolo è sopraggiunto in prossimità dell'incrocio, ove era in atto l'attraversamento dei pedoni, ad una velocità di circa 86 km/h, in tratto stradale con limite di 50 km/h, e, quindi, pur avendo azionato il sistema frenante, come emerso anche dalla rilevata traccia di frenata di circa 14 m, non è stato in grado di ridurre la velocità al fine di evitare l'impatto che si è verificato dopo la perdita del controllo della moto che ha poi proseguito in scivolata per decine di metri (misurati in un totale di 45,20 m dal termine della rilevata traccia di frenata).
3.2. Quanto all'addebito a titolo di colpa e alla ritenuta causalità della stessa, il giudice d'appello ha valorizzato l'imprudenza tenuta dal motociclista concretizzatasi nella violazione delle specifiche norme cautelari volte proprio a evitare il rischio invece concretizzatosi, di cui agli artt. 141 e 142, nel viaggiare a una velocità eccessivamente superiore al limite consentito e nel non averla comunque moderata, in relazione alle descritte condizioni spazio-temporali, al fine di evitare il sinistro.
Sul punto, diversamente da quanto paventato dal ricorrente e muovendo dagli incontestati esiti peritali, la Corte territoriale ha difatti ritenuto accertato che l'imputato avrebbe avuto ampie possibilità di arrestare la marcia della moto ed evitare l'evento se avesse rispettato il limite di velocità dei 50 km/h o se, comunque, la moto avesse tenuto una velocità anche superiore e fino ai 65 km/h, anche in considerazione delle descritte condizioni spazio-temporali e della condotta dei pedoni caratterizzata da attraversamento in fila da destra verso sinistra rispetto al senso di marcia dell'imputato
3.2.1. Quanto innanzi mostra dunque l'inconferenza delle censure che si appuntano non solo sull'asserito mancato accertamento della causalità della colpa ma anche sulla dedotta mancata considerazione dell'imprevedibilità e non evitabilità dell'evento, compreso il caso fortuito che il ricorrente vorrebbe ravvisare nell'imprudente attraversamento dei pedoni (tra cui la persona offesa) nelle descritte condizioni.
3.2.2. Circa la rilevanza delle specie del fortuito, poi, deve ribadirsi il principio per cui non costituisce caso fortuito, tale da escludere la punibilità dell'agente, quello cui l'agente stesso abbia dato causa, con la sua condotta negligente od imprudente (ex plurimis: Sez. 4, n. 36883 del 14/07/2015, Procopio, Rv. 264416, nonché, in fattispecie similari a quella in oggetto, Sez. 4, n. 10823 del 25/02/2010, Gianbruno, Rv. 266506, e Sez. 4, n. 44548 del 17/09/2009, Macchioni, Rv. 245669).
Nella specie, deve quindi escludersi che possa integrare caso fortuito l'attraversamento della strada da parte di più pedoni, ancorché in fila e in assenza di strisce pedonali. L'imputato, difatti, nonostante le condizioni di pericolosità di quel tratto stradale sul punto assimilabile a strada extraurbana, inasprite dalla non ottimale visibilità e dall'effetto specchio, e pur trovandosi in prossimità di un incrocio e di una curva, ha tenuto una condotta di guida non sufficientemente diligente né prudente oltre che contraria a regole cautelari del c.d. codice della strada (artt. 141 e 142), viaggiando ad una velocità (86 km/h) non solo di gran lunga superiore al limite (50 km/h) ma tale da impedirgli il compimento delle manovre che avrebbero impedito l'impatto (tra cui una regolare frenata).
4. Diversamente da quanto prospettato dal ricorrente, infine, non sussistono dedotti vizi motivazionali in merito all'esclusione dell'interruzione del nesso causale, tra la condotta colposa dell'imputato e l'evento, nonostante la ritenuta condotta colposa dei pedoni (tra cui la persona offesa), avendo peraltro il giudice d'appello mostrato di essersi sul punto adeguato ai più recenti principi governanti la specifica materia.
4.1. In termini generali, poiché l'esercizio del diritto di precedenza non può considerarsi illimitato, dovendo essere sempre subordinato al principio del neminem laedere, ove un pedone attraversi la carreggiata fuori delle apposite strisce, il conducente del veicolo è difatti tenuto a rallentare la velocità e, addirittura, a interrompere la marcia al fine di evitare incidenti che potrebbero derivare proprio dalla mancata cessione della precedenza a suo favore. Se ciò non faccia, la responsabilità per l'eventuale evento colposo verificatosi è sempre a lui attribuibile, pur se al comportamento del pedone possa attribuirsi, secondo le condizioni del caso, una efficienza causale concorsuale in base all'apprezzamento motivato del giudice di merito (Sez. 4, n. 30824 del 16/06/2022, Nicoletti, non massimata; Sez. 4, n. 3347 del 24/01/1994, Pirani, Rv. 197931-01).
4.2. Più nel dettaglio, per quanto sia stato ancora ribadito il principio per cui «in tema di omicidio colposo, per escludere la responsabilità del conducente per l'investimento del pedone è necessario che la condotta di quest'ultimo si ponga come causa eccezionale e atipica, imprevista e imprevedibile, dell'evento, che sia stata da sola sufficiente a produrlo» (ex plurimis, Sez. 4, n. 37622 del 30/09/2021, Rv. 281929-01), non poche decisioni, difatti, sulla scorta dell'insegnamento di Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, adottano una impostazione non del tutto coincidente, sostenendo che il comportamento del soggetto passivo del reato o del terzo, per poter essere ritenuto causa da sola sufficiente a cagionare l'evento deve aver introdotto nella sequenza degli antecedenti un rischio eccentrico.
4.3. In particolare, come di chiarito da Sez. 4, n. 23116 del 14/06/2022, Conti, non massimata, e di recente ribadito da Sez. 4, n. 30824/2022, Nicoletti, cit., non massimata, si vuole significare che, almeno in alcuni casi, la prevedibilità o l'imprevedibilità di quel comportamento non è realmente significativa, mentre lo è l'innesco di un rischio la cui gestione non era affidata al soggetto della cui responsabilità si controverte. Ne consegue che, ai fini che si stanno considerando, non è di per sé rilevante il grado di divergenza tra condotta attesa (quella corretta) e condotta concreta (scorretta) del soggetto passivo del reato. Ciò che davvero rileva è se il comportamento del pedone abbia introdotto un rischio eccentrico; il che, in questa sede, significa dare risposta al quesito se sul tema sia stata resa dai giudici di merito una motivazione priva di taluno dei vizi elencati nell'art. 606, comma 1, cod. proc. pen.
4.4. Orbene, la sentenza impugnata è sul punto immune da censure.
La Corte di merito (pag. 3) ha difatti sostanzialmente escluso, con riguardo alle concrete circostanze del caso specifico, che il comportamento dei pedoni, compresa la persona offesa, consistente nell'attraversamento eseguito senza l'utilizzo delle strisce pedonali in quanto non presenti ma in maniera non repentina, avendo avuto l'accortezza di controllare preventivamente il sopraggiungere dei veicoli (rifermento a pag. 2), abbia integrato un evento tale da innescare un rischio la cui gestione non fosse nella specie affidata al motociclista tanto da interrompere il nesso di causalità.
Si mostra dunque esente dai dedotti vizi l'apparato argomentativo sotteso all'esclusione dell'eccentricità del rischio che l'imputato era nella specie chiamato a gestire. I pedoni, difatti, erano pur sempre intenti ad attraversare a piedi la strada e senza tenere condotte del tutto estranee all'uso ordinario della stessa, mentre l'aver attraversato senza l'utilizzo delle apposite strisce, peraltro ivi non presenti, ha concretizzato solo un ordinario rischio da circolazione stradale.
5. In conclusione, all'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende, ex art. 616 cod. proc. pen., che si ritiene equa valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso nei termini innanzi evidenziati (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.