
Lo stato di detenzione di lunga durata costituisce una causa di forza maggiore non transitoria che impedisce lo svolgimento delle funzioni genitoriali, in quanto incide negativamente sul diritto dei minori a vivere in un contesto sereno e unito negli anni più delicati della loro crescita.
La Corte d'Appello di Torino confermava la decisione con cui il Tribunale per i minorenni aveva dichiarato lo stato di adottabilità del minore e della sorella, riconosciuta alla nascita solo dalla madre, confermando il loro inserimento in famiglia affidataria e disponendo l'interruzione dei rapporti tra essi e la famiglia d'origine.
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Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Torino, con sentenza n. 24/2021, pubblicata il 18/10/2021, ha confermato la decisione del Tribunale per i minorenni di Torino, del 15/9/2020, che aveva dichiarato lo stato di adottabilità del minore H. G. M., nato a T. il (omissis) dall’unione di G.R., cittadina italiana, e H. H., cittadino marocchino, e della sorella del medesimo, G. M., riconosciuta alla nascita dalla sola madre, confermando l’inserimento dei due bambini in famiglia affidataria, disponendo il mantenimento delle relazioni e dei legami affettivi tra i due fratelli e l’interruzione dei rapporti tra i minori e la famiglia d’origine.
In particolare, i giudici d’appello, respingendo il gravame del padre H.H. (proposto nei soli riguardi del figlio dal medesimo riconosciuto), hanno sostenuto che lo stato di abbandono morale e materiale del minore era «completamente imputabile» al padre (il quale aveva vissuto con il figlio M. solo sette mesi), dato che «le sue condotte, anche ai danni del figlio, lo hanno portato in carcere e dunque necessariamente ad abbandonarlo» (il procedimento minorile si era aperto nel luglio 2018, con ricovero urgente in comunità della madre e del piccolo M., dopo le condotte violente poste in essere dal padre, H. H., nei confronti della compagna, madre di M., G.R., anche in presenza del figlio, protrattesi da circa due anni, comportamenti che avevano portato all’arresto dell’H., con fine pena nel 2022), come pure era imputabile al medesimo in larga parte «l’abbandono materno patito da M., posto che è stato proprio lui (aggredendo e vessando la madre ed aggravando dunque, prima con la sua presenza e dopo l’arresto con la sua assenza, le fragilità della donna», donna priva del tutto di rete amicale e parentale, rimasta sola a gestire i due figli; la Corte territoriale rilevava altresì che la madre aveva dichiarato di rinunciare «alla potestà» sui propri figli, prestando consenso alla loro adozione, e non si era più presentata agli incontri in luogo neutro, divenendo irreperibile in giudizio, che l’interesse manifestato dal padre verso il figlio riconosciuto (non avendo lo stesso mai provveduto al riconoscimento anche della piccola M., nata dopo la sua carcerazione), solo con l’avvio della procedura di adottabilità, era insufficiente, in quanto non accompagnato né da un serio progetto riguardo al figlio né dalla necessaria presa di coscienza delle proprie responsabilità (osservando che il tardivo tentativo di dimostrare un proprio cambiamento sostanziale, attraverso l’allegazione di un’attività di volontariato svolta dopo la scarcerazione, non era del pari sufficiente ed i tempi per la necessaria verifica erano del tutto incompatibili con «l’urgenza di M. di conseguire una stabilità e una tranquillità emotiva», indispensabili alla sua corretta maturazione), e che lo zio paterno (fratello del padre) non aveva mai avuto rapporti di rilievo con il nipote, con conseguente sua inadeguatezza all’affidamento del piccolo M.. In ultimo, la Corte territoriale rilevava che non ricorrevano neppure i presupposti per la c.d. adozione mite, tardiva richiesta dal padre, essendo palese che tale richiesta non corrispondeva ad un interesse di M. ma unicamente a quello del padre, «assai tardivamente e parzialmente risvegliatosi».
Avverso la suddetta pronuncia, H. H. propone ricorso per cassazione, notificato il 17-21/11/2021, affidato a due motivi, nei confronti di avv. L. T., in qualità di Curatore speciale del minore H.G. M. (che resiste con controricorso, notificato il 9/12/2021) e di G. R., dell’Assessore alla Salute, Politiche sociali del Comune di Torino, in qualità di tutore provvisorio del minore, e del Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Torino (che non svolgono difese).
Motivi della decisione
1. Il ricorrente lamenta con il primo motivo la nullità della sentenza ex art.360 n. 4 c.p.c. per mancanza di motivazione in violazione dell’art.132, comma 2, n. 4, c.p.c., sulla sussistenza dello stato di abbandono del minore, essendosi fondato il giudizio di inidoneità genitoriale del padre unicamente sul suo stato di detenzione (peraltro cessato nel corso del giudizio di appello) e sul suo stile di vita; con il secondo motivo, si denuncia, ex art.360 n. 3 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., degli artt. 1,8 l.184/1983, in relazione sempre allo stato di adottabilità del minore, senza il compimento dei necessari accertamenti (essendo stata respinta una richiesta di CTU sulla condizione personale e familiare del pare e sulle sue capacità genitoriali) ovvero senza che si sia tentato alcun intervento di sostegno del sig. H. con presa in carico da parte dei Servizi Sociali, sia da detenuto che dopo la scarcerazione.
2. Le censure, da trattare unitariamente, in quanto connesse, sono infondate.
E’ anzitutto infondato il primo motivo, con il quale si denuncia la motivazione apparente di cui sarebbe affetta la sentenza impugnata. Come osservato dalle S.U. di questa Corte (Cass. S.U 22232/2016) «la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da "error in procedendo", quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture».
In realtà, i motivi sottendono una censura di insufficienza motivazionale che non può essere più avanzata, in sede di legittimità, attesa la nuova formulazione dell’art.360 n. 5 c.p.c.. Si tratta di una motivazione che non può considerarsi meramente apparente, in quanto esplicita le ragioni della decisione.
La Corte d’appello ha ritenuto sicuramente rilevante lo stato di detenzione del padre, ma non isolatamente e acriticamente considerato, evidenziando che la procedura dinanzi al Tribunale per i minorenni si era aperta in seguito alla collocazione della donna e del minore in adeguata struttura protetta, proprio a causa delle condotte maltrattanti dell’H., il quale aveva, sotto l’effetto di sostanze alcoliche, colpito la donna con calci e pugni, provocando la rottura di vetri e oggetti di casa, alla presenza del piccolo M. (peraltro da due anni il nucleo familiare era controllato dai Servizi Sociali, essendosi evidenziata sulla madre, alla nascita del figlio, la presenza di lividi, possibili segni di maltrattamenti); la Corte ha rilevato altresì il tardivo interesse manifestato dal padre solo un anno dopo l’allontanamento della madre e del figlio dalla casa familiare e l’assoluta impossibilità di un recupero delle capacità genitoriali in tempi adeguati alle necessità ed alle esigenze del minore.
Peraltro, con riferimento allo stato di detenzione di uno o dei genitori del minore, questa Corte ha già affermato che «In tema di adozione di minori, il diritto del minore a crescere ed essere educato nell'ambito della famiglia di origine incontra i suoi limiti in presenza di uno stato di abbandono, cosicché la rescissione del legame familiare costituisce l'unico strumento idoneo ad evitare al minore un più grave pregiudizio ed a garantirgli assistenza e stabilità affettiva. Tale condizione non può essere esclusa dallo stato di detenzione al quale il genitore sia temporaneamente assoggettato, trattandosi di circostanza che, in quanto imputabile alla condotta criminosa del genitore stesso, non integra gli estremi della causa di forza maggiore di carattere transitorio idonea a giustificare la mancata assistenza, dovendosi dare comunque rilievo, per escludere la dichiarazione dello stato di adottabilità, al fatto che il genitore, nonostante la detenzione, si sia preoccupato di assicurare al minore l'assistenza morale e materiale, affidandolo a parenti in grado di prendersene cura» (Cass. 19735/2015) , precisando poi che « lo stato detentivo di lunga durata dei genitori costituisce una causa di forza maggiore non transitoria che oggettivamente impedisce un adeguato svolgimento delle funzioni genitoriali, incidendo negativamente sul diritto del bambino di vivere in un contesto unito e sereno negli anni più delicati della sua crescita» (Cass. 1431/2018).
Ma nella specie non si è disposta l’adottabilità solo in ragione dello stato di detenzione (comunque non breve) del padre, quanto all’esito di una valutazione delle condotte del medesimo pregresse e successive alla carcerazione.
Anche il secondo motivo è infondato.
Questa Corte ha costantemente ribadito che il giudice di merito, nell'accertare lo stato di adottabilità di un minore, deve in primo luogo esprimere una prognosi sull'effettiva ed attuale possibilità di recupero, attraverso un percorso di crescita e sviluppo, delle capacità e competenze genitoriali, con riferimento, in primo luogo, alla elaborazione, da parte dei genitori, di un progetto, anche futuro, di assunzione diretta della responsabilità genitoriale, caratterizzata da cura, accudimento, coabitazione con il minore, ancorché con l'aiuto di parenti o di terzi, ed avvalendosi dell'intervento dei servizi territoriali (Cass. n. 14436/2017).
Il diritto del minore di crescere nell'ambito della propria famiglia d'origine, considerata l'ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico, è tutelato dall'art. 1, della l. n. 184 del 1983, ragione questa per cui il giudice di merito deve, prioritariamente, tentare un intervento di sostegno diretto a rimuovere situazioni di difficoltà o disagio familiare e, solo quando, a seguito del fallimento del tentativo, risulti impossibile prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore di vivere in uno stabile contesto familiare, è legittima la dichiarazione dello stato di adottabilità (Cass. 22589/2017; Cass. 6137/2015).
Ne consegue che, per un verso, compito del servizio sociale incaricato non è solo quello di rilevare le insufficienze in atto del nucleo familiare, ma, soprattutto, di concorrere, con interventi di sostegno, a rimuoverle, ove possibile, e che, per altro verso, ricorre la «situazione di abbandono» sia in caso di rifiuto ostinato a collaborare con i servizi predetti, sia qualora, a prescindere dagli intendimenti dei genitori, la vita da loro offerta al figlio sia inadeguata al suo normale sviluppo psico-fisico, cosicché la rescissione del legame familiare è l'unico strumento che possa evitargli un più grave pregiudizio ed assicurargli assistenza e stabilità affettiva (Cass. 7115/2011).
Il giudizio sulla situazione di abbandono deve fondarsi su una valutazione quanto più possibile legata all'attualità, considerato il versante prognostico. Il parametro, che ci perviene anche dai principi elaborati dalla Corte di Strasburgo (cfr. in particolare la sentenza del 13/10/2015 - caso S.H. contro Italia), è divenuto un principio fermo anche nella giurisprudenza di legittimità, come può rilevarsi dalla pronuncia n. 24445 del 2015: «In tema di adozione del minore, il giudice, nella valutazione della situazione di abbandono, quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità, deve fondare il suo convincimento effettuando un riscontro attuale e concreto, basato su indagini ed approfondimenti riferiti alla situazione presente e non passata, tenendo conto della positiva volontà di recupero del rapporto genitoriale da parte dei genitori».
Solo un'indagine sulla persistenza e non solo sulla preesistenza della situazione di abbandono, svolta sulla base di un giudizio attuale, in particolare quando vi siano indizi di modificazioni significative di comportamenti e di assunzione d'impegni e responsabilità da parte dei genitori biologici, può condurre ad una corretta valutazione del parametro contenuto nella L. n. 184 del 1983, art. 8 dovendosi tenere conto del diritto del minore a vivere nella propria famiglia di origine, così come indicato nell'art. 1 della L. n. 184 del 1983 (Cass. 22934/2017).
In particolare, la norma, anche alla luce della progressiva elaborazione compiuta dalla giurisprudenza di legittimità e dai principi introdotti dalla Corte Europea dei diritti umani, fissa rigorosamente il perimetro all'interno del quale deve essere verificata la sussistenza della condizione di abbandono. Si deve trattare di una situazione non derivante esclusivamente da condizioni di emarginazione socio economica (disponendo l'art. 1 che siano intraprese iniziative di sostegno nel tempo della famiglia di origine), fondata su un giudizio d'impossibilità morale o materiale caratterizzato da stabilità ed immodificabilità, quanto meno in un tempo compatibile con le esigenze di sviluppo psicofisico armonico ed adeguato del minore, non dovuta a forza maggiore o a un evento originario derivante da cause non imputabili ai genitori biologici (cfr. sentenza Cedu Akinnibuson contro Italia sentenza del 16/7/2015), non determinata soltanto da comportamenti patologici ma dalla verifica del concreto pregiudizio per il minore (Cass. 7193 del 2016).
Questa Corte ha chiarito che «in tema di adozione di minori d'età, sussiste la situazione d'abbandono, non solo nei casi di rifiuto intenzionale dell'adempimento dei doveri genitoriali, ma anche qualora la situazione familiare sia tale da compromettere in modo grave e irreversibile un armonico sviluppo psico-fisico del bambino, considerato in concreto, ossia in relazione al suo vissuto, alle sue caratteristiche fisiche e psicologiche, alla sua età, al suo grado di sviluppo e alle sue potenzialità; ne consegue l'irrilevanza della mera espressione di volontà dei genitori di accudire il minore in assenza di concreti riscontri» (Cass.4097/2018; conf. Cass. 26624/2018, in ordine alla irrilevanza della disponibilità, meramente dichiarata, a prendersi cura dei figli minori, che non si concretizzi in atti o comportamenti giudizialmente controllabili, tali da escludere la possibilità di un successivo abbandono).
In tema di accertamento dello stato di adottabilità, posto che il ricorso alla dichiarazione di adottabilità costituisce solo una «soluzione estrema», il giudice di merito deve dunque operare un giudizio prognostico teso, in primo luogo, a verificare l'effettiva ed attuale possibilità di recupero delle capacità e competenze genitoriali, con riferimento sia alle condizioni di lavoro, reddituali ed abitative, senza però che esse assumano valenza discriminatoria, sia a quelle psichiche, da valutarsi, se del caso, mediante specifica indagine peritale, estendendo detta verifica anche al nucleo familiare, di cui occorre accertare la concreta possibilità di supportare i genitori e di sviluppare rapporti con il minore, avvalendosi dell'intervento dei servizi territoriali (Cass.7559/2018).
Ora, la Corte d'Appello ha esaminato la capacità genitoriale del padre non soltanto fondandosi su condotte o situazioni pregresse ed ha formulato un giudizio negativo sulla capacità del medesimo di recupero in tempi congrui del rapporto genitoriale, sulla base di un’osservazione avviata nel 2018 e di una serie di elementi comportamentali emersi da una istruttoria espletata in primo grado ed in appello (il padre è stato sottoposto a colloqui con i Servizi Sociali e con una psicologa, come dal medesimo riferito). Dunque la valutazione è stata svolta senza trascurare sopravvenienze ed in modo diacronico, pervenendo ad un giudizio concreto ed attuale.
Deve osservarsi, infine, che non rileva la semplice volontà del padre di prendersi cura dei figli, in assenza di adeguati riscontri.
Questa Corte ha affermato (Cass. 4097/2018) che «in tema di adozione di minori d'età, sussiste la situazione d'abbandono, non solo nei casi di rifiuto intenzionale dell'adempimento dei doveri genitoriali, ma anche qualora la situazione familiare sia tale da compromettere in modo grave e irreversibile un armonico sviluppo psico-fisico del bambino, considerato in concreto, ossia in relazione al suo vissuto, alle sue caratteristiche fisiche e psicologiche, alla sua età, al suo grado di sviluppo e alle sue potenzialità; ne consegue l'irrilevanza della mera espressione di volontà dei genitori di accudire il minore in assenza di concreti riscontri» (nella specie, questa Corte, confermando la sentenza di appello, ha ritenuto la persistenza di una situazione di abbandono, a fronte di un impegno solo enunciato dai genitori di rimuovere le problematiche esistenziali e di mutare lo stile di vita).
La sentenza di appello sviluppa adeguate e convincenti argomentazioni sull’inidoneità del padre (la madre ha prestato consenso all’adozione), sull’impossibilità del recupero in tempi ragionevoli della situazione, sull’assenza di validi legami parentali, spiegando dunque per quale ragione l’adozione di M., nella specie, costituirebbe l’unico strumento utile ad evitare al minore un più grave pregiudizio ed ad assicurargli assistenza e stabilità affettiva.
Anche la richiesta di espletamento di una CTU è stata esaminata e rigettata con motivazione adeguata dalla Corte di merito.
3. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.
Ricorrono giusti motivi, considerate tutte le peculiarità della concreta vicenda, vertendosi in tema di tutela di diritti della persona, per compensare integralmente tra tutte le parti le spese processuali.
Essendo il procedimento esente, non si applica l'art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso.
Dichiara le spese del presente giudizio di legittimità integralmente compensate tra le parti.
Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52 siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.