Come afferma la Cassazione, ciò che rileva nel caso concreto è che la falsa dichiarazione sia stata resa ad un'autorità giudiziaria nell'ambito di un procedimento penale.
La Corte d'Appello di Ancona riformava parzialmente la pronuncia emessa dal Giudice di prime cure, con la quale l'imputato era stato condannato per il reato di cui all'
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 3.6.2021 la Corte di Appello di Ancona, in parziale riforma della pronuncia emessa in primo grado nei confronti di H. R., che lo aveva dichiarato colpevole del reato di cui all'art. 495, comma 1 e 2 n. 2 cod. pen. - perché interrogata ex art. 294 del codice di rito, in sede di convalida dell'arresto, dichiarava, contrariamente al vero, di non aver mai subito condanne penali - ha rideterminato, riducendola, la pena al predetto inflitta previa qualificazione della recidiva in quella di cui all'art. 99 comma 3 cod. pen., riconosciute le attenuanti generiche prevalenti, confermando nel resto la decisione del primo giudice.
2. Ricorre per cassazione l'imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo tre motivi.
2.1. Col primo motivo deduce la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato. Essendo l'imputato straniero, in sede di udienza di convalida, in assenza di un interprete ad assisterlo, non comprese il perfetto significato e la valenza tecnica della domanda che gli fu rivolta dal giudice avente ad oggetto la sussistenza a carico del predetto di precedenti penali (alla quale rispondeva negativamente). Si contestano in particolare gli argomenti svolti al riguardo dalla corte di appello per disattendere il motivo articolato al riguardo.
2.2. Col secondo motivo deduce l'erronea qualificazione del fatto essendo al più ravvisabile la fattispecie di cui all'art. 496 o quella dell'art. 483 e non l'ipotesi di reato prevista dall'art. 495. Innanzitutto la dichiarazione resa dall'imputato in sede di udienza di convalida non avrebbe mai potuto avere una destinazione funzionale sul provvedimento cui l'atto tendeva, la convalida dell'arresto; non potendosi prendere peraltro in considerazione i riflessi sugli atti in itinere, ai quali pure hanno fatto riferimento i giudici di merito per giustificare la sussistenza del reato di cui all'art. 495. Si era osservato che per altro verso i precedenti penali sono fatti costituenti reato da inquadrare in modo diverso dallo stato e dalle qualità personali specificamente descritti negli artt. 495 e 496 cod. pen.
2.3. Col terzo motivo deduce l'illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, in particolare alla riduzione operata ex articolo 62-bis cod. pen.
3. Il ricorso è stato trattato, ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n.176, senza l'intervento delle parti che hanno così concluso per iscritto:
il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
Motivi della decisione
1.11 ricorso è fondato limitatamente alla determinazione della pena, esso nel resto merita, invece, il rigetto.
1.1.11 primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto generico e, comunque, manifestamente infondato.
Nel delitto di falsa attestazione inerente ad una qualità personale del dichiarante è sufficiente la coscienza e volontà della condotta delittuosa (Sez. 5, n. 2676 del 05/11/2021 Ud. (dep. 24/01/2022 ) Rv. 282650 - 01) che la corte territoriale, con motivazione puntuale e immune da censure, ha ritenuto provata evidenziando che fosse emerso, in sede di convalida, che l'imputato comprendeva la lingua italiana e si esprimeva perfettamente in italiano, come, in particolare, dimostrato dallo stesso tenore delle altre risposte di merito rese nel corso dell'interrogatorio; indi ha correttamente concluso che il ricorrente era perfettamente consapevole di rendere false attestazioni, e ciò anche alla luce dei numerosi precedenti a suo carico che consentivano di escludere che egli non avesse la competenza tecnica per comprendere il significato delle domande rivoltegli (si afferma nella pronuncia impugnata che le numerose condanne riportate nello stato o all'estero, sotto diversi alias, dimostrano la radicata presenza in Italia e la piena consapevolezza dell'imputato di cosa significasse essere stato processato e giudicato penalmente).
1.2.II secondo motivo di ricorso è infondato.
Invero, la falsa attestazione dell'imputato in ordine ai propri precedenti penali (Sez. 5, n. 37571 del 08/07/2015, Rv. 264944 - 01) resa all'autorità giudiziaria dall'imputato o da una persona sottoposta alle indagini integra l'ipotesi di reato di cui all'art. 495 comma 2, n.2, cod. pen., con la conseguenza che non è possibile ricondurre la condotta alle diverse ipotesi di cui all'art. 496 c.p. o 483 c.p., come correttamente osservato dai giudici nella pronuncia impugnata.
Non rileva, in proposito, la circostanza per cui l'art. 66, comma primo, c.p.p., nel prevedere che l'invito a declinare le proprie generalità è accompagnato dall'ammonimento sulle conseguenze che derivano in caso di rifiuto di dare le proprie generalità, limita l'obbligo di rispondere del soggetto interrogato alla dichiarazione delle generalità e di quelle strettamente finalizzate alla sua identificazione, con esclusione, pertanto, della dichiarazione relativa ai precedenti penali, di cui all'art. 21 disp. att. c.p.p. (che si limita a prevedere, per essa, l'invito a dichiarare se si è sottoposto ad altri processi penali e se si sono riportate condanne nello Stato o all'estero, senza porsi conseguenze a carico del dichiarante che rifiuti di rendere tale dichiarazione).
Ed invero, rispetto al risultato finale consistente, in entrambi i casi, in una dichiarazione attestativa resa all'autorità giudiziaria, non rileva se il soggetto interpellato abbia l'obbligo o meno di rispondere perché tale facoltà, a monte riconosciutagli dal legislatore, non lo esime dal dire la verità allorquando decida di rispondere (laddove egli ha la facoltà di dire il falso - sia pure entro certi limiti - solo allorquando rende dichiarazioni in merito ai fatti per i quali è processo); chè anzi sotto un certo punto di vista la libertà di scelta a monte riconosciutagli implica a maggior ragione che quando decida di rispondere debba dire la verità, potendo appunto rifiutarsi di dare la risposta; ciò che, piuttosto, rileva nella fattispecie - aggravata - in esame è che egli rende quella dichiarazione, falsa all'autorità giudiziaria - giudice o p.m. - nell'ambito di un procedimento penale.
Pertanto, va ribadito l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui qualora l'imputato, pur potendo legittimamente rifiutarsi di rispondere in ordine all'invito di indicare i propri precedenti penali, decida di rispondere in modo contrario al vero, dichiarando il falso, ricorrono gli estremi del reato di cui all'art. 495 comma 2, n. 2, cod. pen. (Sez. 5, n. 26440 del 08/06/2022, Rv. 283426 - 01; Sez. 5, n. 18677 del 6 marzo 2007, Cussino Rv. 236923); nonché quello secondo cui integra il delitto di cui all'art. 495 cod. pen. la falsa attestazione dell'indagato al P.M. o al giudice in ordine ai propri precedenti penali, non rilevando in proposito la circostanza per cui l'art. 66, comma 1, cod. proc. pen. limita l'obbligo di rispondere del soggetto interrogato alla dichiarazione delle generalità e di quelle strettamente finalizzate alla sua identificazione, con esclusione della dichiarazione relativa ai precedenti penali, prevista invece unicamente dall'art. 21 disp. att. cod. proc. pen., alla quale si può ben rifiutare di rispondere senza incorrere in responsabilità penale; tuttavia, qualora si risponda a tale domanda in modo contrario al vero ricorrono gli estremi del reato di cui all'art. 495 cod. pen. (Sez. 5, n. 18677 del 6 marzo 2007, Cussino, cit.).
Né potrebbe dubitarsi che i precedenti penali afferiscano a qualità personali del dichiarante (cfr. Sez. 6, n. 569 del 11/03/1969, Rv. 112403 - 01 secondo cui" È configurabile il delitto previsto dall'art. 495 cod. pen., qualora l'imputato renda al magistrato false dichiarazioni sulla propria identità o sulle sue qualità personali. Fra queste ultime rientrano anche i precedenti penali, sui quali il prevenuto può rifiutarsi di rispondere, ma non può mentire"; conf mass n. 105169, anno 1967).
Quanto poi alla invocata qualificazione del fatto di reato ai sensi dell'art. 496 cod. pen., è necessaria una breve considerazione preliminare. Come è noto, la materialità del reato di cui all'art. 495 cod. pen. consiste nel dichiarare o attestare, oralmente o in forma scritta, ad un pubblico ufficiale in servizio, dati falsi circa l'identità, lo stato o altre qualità precipue della propria o altrui persona; a seguito della modifica intervenuta con il D. L. n. 92/2008, non è inoltre più necessario che tale falsa attestazione sia riprodotta in atto pubblico.
Orbene, la condotta del ricorrente, sulla cui ricostruzione i giudici di primo e di secondo grado hanno tratto le medesime conclusioni, si è senz'altro concretizzata nel negare, all'autorità giudiziaria, la esistenza a proprio carico di precedenti penali. Pertanto, corretto appare l'inquadramento della suddetta condotta all'interno della fattispecie prevista dall'art. 495, comma 2, n. 2, cod. pen., integrantesi, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, anche nel caso in cui si renda al P.m. o al giudice, ossia all'autorità giudiziaria, dichiarazione falsa sulle proprie qualità personali.
Tale dichiarazione fu, nel caso di specie, resa nel contesto dell'udienza di convalida in cui a maggior ragione assume valenza attestativa quanto dichiara la persona sottoposta ad indagini, che, tratta in arresto, è condotta in tempi brevi davanti all'autorità giudiziaria che ben può fare affidamento sulle sue dichiarazioni in mancanza di altri dati non immediatamente reperibili o verificabili.
Tale dichiarazione riveste pertanto carattere di attestazione preordinata a garantire al pubblico ufficiale, che ai sensi del secondo comma si indentifica nell'autorità giudiziaria, le proprie qualità personali, e quindi, ove mendace, integra la falsa attestazione che costituisce l'elemento distintivo del reato di cui all'art. 495 cod. pen., nel testo modificato dalla legge n. 125 del 2008.
Non si può dunque configurare la fattispecie di reato di cui all'art. 496 cod. pen., ipotesi meno grave ed a carattere residuale, con la quale si puniscono le sole dichiarazioni mendaci rilasciate al pubblico ufficiale o a persona incaricata di pubblico servizio, allorquando si tratta, invece, come nel caso in esame, di attestazione preordinata a garantire al pubblico ufficiale le proprie qualità personali (Sez. 5, n. 3042 del 03/12/2010 - dep. 2011, Gorizia, Rv. 249707; conf. Sez. 5, n. 7286 del 26/11/2014 - dep. 2015, Sdiri, Rv. 262658; Sez. 5, n. 5622 del 26/11/2014 - dep. 2015, Cantini, Rv. 262667; Sez. 5, n. 25649 del 13/02/2018, Popescu, Rv. 273324).
Né potrebbe esservi spazio per la fattispecie di cui all'art. 483 cod. pen. che ha ad oggetto "fatti" e non qualità.
La doglianza appare dunque priva di fondamento anche in parte qua.
1.3.Fondato è, invece, l'ultimo motivo. La Corte di Appello nel rideterminare la pena, previo riconoscimento delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla recidiva e sull'aggravante di cui al comma 2 dell'art. 495 cod. pen., ha individuato quella base in anni due di reclusione e ha poi su di essa operato la riduzione di due mesi per la riconosciuta prevalenza delle attenuanti generiche. Avendo la difesa in appello richiesto anche la riduzione della pena, oltre che il bilanciamento in termini di prevalenza, la Corte territoriale nell'attestarsi comunque su una pena base di anni due - identica a quella fissata dal primo giudice - comunque superiore al minimo edittale, pari ad anni uno, previsto dal comma primo dell'art. 495 cod. pen., avrebbe quanto meno dovuto indicare le specifiche ragioni di una tale determinazione della pena base, sulla quale peraltro si è limitata ad operare una riduzione ex art. 62-bis codice penale di soli due mesi, considerando sempre il medesimo aspetto della negativa personalità dell'imputato.
2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva che la sentenza impugnata dev'essere annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Perugia; che nel resto il ricorso merita di essere rigettato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di Appello di Perugia. Rigetta il ricorso nel resto.