
Essa non rientra tra gli atti interruttivi della prescrizione contemplati dai primi due commi dell'art. 2943 c.c.. Pertanto, può spiegare autonoma efficacia interruttiva della prescrizione solo quando presenta i connotati dell'atto di costituzione in mora ex art. 2943, quarto comma, c.c..
Parte attrice notificava alla sorella un atto di precetto avente ad oggetto il pagamento di una somma di denaro dovutale dal comune genitore sulla base di una sentenza di condanna emessa nel 1987.
Il Tribunale accoglieva l'opposizione all'esecuzione ritenendo fondata l'eccezione di prescrizione del...
Svolgimento del processo
Il 7 marzo 2011 S.I. notificò alla sorella F.I., figlia ed erede universale di G.I., un atto di precetto con cui le intimava il pagamento dell’importo di Euro 17.815,95, pari alla somma dovutale dal comune genitore, sulla base di una sentenza di condanna emessa dal Pretore del lavoro di Siracusa nel 1987.
La precettata propose opposizione all’esecuzione, che il tribunale di Siracusa in primo grado accolse, ritenendo fondata l’eccezione di prescrizione del credito vantato dalla precettante.
Osservò il primo giudice che la creditrice, dopo aver notificato per l’ultima volta a G.I. un atto di precetto in data 30 agosto 1994, aveva notificato il solo titolo esecutivo a F.I. in data 2 marzo 2002 e le aveva poi notificato il precetto solo il 7 marzo 2011.
Tra la notifica del precetto al debitore originario e quella all’erede universale era, dunque, intercorso un intervallo di circa 17 anni.
Nel corso di questo periodo la creditrice aveva provveduto a notificare all’erede universale del debitore defunto esclusivamente la sentenza spedita in forma esecutiva.
La mera notifica del titolo esecutivo – avvenuta, come detto, in data 2 marzo 2002 – non costituiva però valido ed efficace atto interruttivo della prescrizione, in quanto non rientrava in alcuna delle categorie previste dall’art. 2943 c.c..
In seguito all’impugnazione di S.I., la Corte di appello di Catania ha integralmente riformato la decisione di primo grado e, riconosciuta l’efficacia interruttiva della prescrizione alla notifica del titolo esecutivo, ha dichiarato il diritto della precettante di procedere ad esecuzione forzata sulla base della sentenza del 1987, sia pure per una somma inferiore rispetto a quella indicata nel precetto (Euro 14.494,94, anziché Euro 17.815,95), previa rideterminazione della stessa attraverso CTU.
Il secondo giudice ha ritenuto, per un verso, che la notificazione della sentenza di condanna, ai sensi dell’art. 479 c.p.c., si differenzia, sotto il profilo teleologico, da quella fatta in funzione della sua impugnazione, avendo il fine esclusivo di indicare alla controparte la volontà di procedere in executivis nei suoi confronti, per consentirle l’adempimento spontaneo; per altro verso, che, nell’ipotesi di titolo esecutivo emesso contro il defunto, la sua notificazione all’erede deve sempre precedere quella dell’intimazione ad adempiere, ai sensi dell’art. 477 c.p.c..
Propone ricorso per cassazione F.I. sulla base di nove motivi.
Resiste con controricorso S.I..
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.
Il pubblico ministero non ha presentato conclusioni scritte. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
Il primo, il secondo, il terzo, il quinto, il sesto, il settimo e l’ottavo motivo, in quanto attengono alla validità del rapporto processuale e della sentenza impugnata hanno carattere pregiudiziale e devono essere esaminati prima del quarto motivo, che concerne la questione preliminare di merito dell’estinzione, o no, per prescrizione del credito vantato dalla creditrice precettante.
1. Con il primo motivo F.I. denuncia, ai sensi dell’art. 360, n. 4, e 158 c.p.c., nullità della sentenza impugnata per vizio di costituzione del giudice.
Evidenzia che tra i membri del collegio della Corte etnea che ha emesso la sentenza di appello figurava un giudice ausiliario che aveva assunto anche la qualità di relatore ed estensore, in violazione del divieto costituzionale di inserire i magistrati onorari negli organi giudicanti collegiali.
Eccepisce l’illegittimità costituzionale – in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 102 e 106 della Costituzione – delle norme di legge istitutive delle figure dei giudici ausiliari presso le Corti di appello.
1.1. Il motivo è infondato.
La questione è già stata sottoposta all’attenzione della Corte costituzionale, la quale, nel dichiarare l’incostituzionalità di quelle disposizioni, contenute nel decreto-legge n. 69 del 2013 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 98 del 2013), che conferiscono al giudice ausiliario di appello lo status di componente dei collegi nelle sezioni delle Corti di appello, nella parte in cui non prevedono che esse si applichino fino a quando non sarà completato il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi stabiliti dall’art. 32 del decreto legislativo n. 116 del 2017, ha peraltro statuito che le Corti di appello potranno legittimamente continuare ad avvalersi dei giudici ausiliari fino a quando, entro la data del 31 ottobre 2025, si perverrà, appunto, alla riforma complessiva della magistratura onoraria; fino a quel momento, infatti, la temporanea tollerabilità costituzionale dell’attuale assetto è volta ad evitare l’annullamento delle decisioni pronunciate con la partecipazione dei giudici ausiliari e a non privare immediatamente le Corti di appello dei giudici onorari al fine di ridurre l’arretrato nelle cause civili (Corte cost. 17/03/2021, n.41).
Di conseguenza, per un verso, non sussiste il dedotto vizio di costituzione del giudice; per altro verso, una nuova questione di costituzionalità delle predette norme, la cui reductio ad legitimitatem è stata operata attraverso la richiamata sentenza additiva della Corte costituzionale, si palesa manifestamente infondata (Cass. 28/05/2021, n. 15045; Cass. 05/11/2021, n. 32065).
2. Con il secondo motivo, F.I.a denuncia, ai sensi degli art. 360, n.4, e 156-162 c.p.c., nullità del procedimento e della sentenza, nonché, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 169, 189, 190, 279, 280, 352, 101, 115
c.p.c. e dell’art.111 Cost.
Censura la sentenza impugnata nella parte in cui, nel dare atto della circostanza che la comparsa conclusionale avversaria risultava depositata in data 26 settembre 2019, non ha ritenuto invalido tale tardivo deposito, sebbene il relativo termine fosse scaduto, per le comparse conclusionali, il 26 agosto e, per le memorie di replica, il 16 settembre precedenti.
Lamenta l’indebita lesione del suo diritto al contraddittorio, sul rilievo che la Corte di merito avrebbe deciso la controversia tenendo conto della documentazione contenuta nel fascicolo di parte appellante (in particolare, della copia autentica della sentenza del Pretore del lavoro di Siracusa del 1987, recante la formula esecutiva e la relata di notifica), non ostante il fascicolo stesso fosse stato ritirato in data 20 giugno 2019 e restituito, unitamente al deposito della comparsa conclusionale, il 26 settembre 2019, allorché era scaduto il termine anche per il deposito delle memorie di replica.
2.1. il motivo è infondato.
Premesso che la mancata assegnazione, da parte del giudice, dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e/o delle memorie di replica, nonché la pronuncia ante tempus della sentenza, in violazione dei suddetti termini, ove concessi, determina la nullità della sentenza medesima per lesione del contraddittorio (Cass, Sez. Un., 25/11/2021, n. 36596) – e premesso, altresì, che il tardivo deposito dei predetti atti difensivi conclusivi ne comporta l’invalidità, stante il carattere perentorio del termine (Cass. 13/01/2006, n. 509), anche esso previsto in funzione della tutela del diritto al contraddittorio – va però precisato che, nel primo caso, la nullità colpisce direttamente la sentenza, mentre nel secondo colpisce l’atto di parte (comparsa conclusionale o memoria di replica) e si propaga alla sentenza solo ove tra l’atto di parte e l’atto del giudice si instauri un rapporto di dipendenza (art. 159 c.p.c.), nel senso che la decisione sarebbe stata diversa in mancanza di quell’atto difensivo.
Nel caso di specie, la ricorrente lamenta, non che il giudice abbia deciso (anche) sulla base delle allegazioni contenute nella comparsa conclusionale, ma che abbia tenuto conto, dopo averlo esaminato, del fascicolo di parte appellante e della documentazione in esso contenuta, tra cui, principalmente, la copia autentica della sentenza costituente l’originario titolo esecutivo.
Questa documentazione, però, diversamente dalla comparsa conclusionale, alla stessa stregua delle deduzioni della ricorrente, non era stata depositata irritualmente, ma era stata soltanto ritirata, unitamente al fascicolo in cui era contenuta, per poi essere nuovamente depositata insieme alla comparsa conclusionale.
Si trattava, dunque, di documentazione già nota all’appellata e in quanto tale certamente non nuova, sicché la circostanza che fosse stata temporaneamente ritirata, nell’esercizio di una facoltà attribuita alla parte, non determinava alcuna nullità processuale, né la circostanza che la restituzione del fascicolo fosse avvenuta dopo la scadenza del termine per il deposito egli atti difensivi conclusivi può ritenersi, di per sé, lesiva del diritto al contraddittorio.
Il motivo di censura va, pertanto, rigettato.
3. Con il terzo motivo, F.I. denuncia ancora, ai sensi dell’art. 360, n.4, 156-162 c.p.c., nullità del procedimento e della sentenza, nonché, inoltre, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 742 del 1969 e dell’art. 92 dell’Ordinamento Giudiziario.
La ricorrente indugia, ulteriormente, sul tardivo deposito della comparsa conclusionale avversaria (effettuato in data 26 settembre 2019, dopo che il relativo termine era scaduto il 26 agosto precedente), per censurare la sentenza impugnata nella parte in cui avrebbe ritenuto applicabile, al riguardo, la sospensione dei termini processuali per il periodo feriale.
3.1. Il motivo è inammissibile.
La doglianza, infatti, difetta di specificità in relazione al tenore della statuizione impugnata, poiché la Corte di appello, nel dare atto del deposito della comparsa conclusionale di parte appellante in data 26 settembre 2019, non ha affermato che tale deposito dovesse ritenersi tempestivo in ragione dell’operatività dell’istituto della sospensione feriale dei termini processuali.
4. Il quinto, il sesto e il settimo motivo devono essere sottoposti ad esame congiunto, in quanto reciprocamente connessi.
5. Con il quinto motivo F.I. denuncia, ai sensi dell’art.360, n. 3, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 183, sesto comma, e 153, secondo comma, c.p.c., nonché, ai sensi dell’art. 360, n.4, c.p.c., nullità del procedimento e della sentenza.
6. Con il sesto motivo, oltre a ribadire la dedotta violazione di norme di diritto e la dedotta nullità, denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. (per omessa pronuncia), violazione dell’art.115 c.p.c. (per lesione del principio di non contestazione) e omesso esame di fatto decisivo e controverso.
7. Con il settimo motivo, la ricorrente, oltre a ribadire la dedotta violazione dell’art. 183, sesto comma, c.p.c., denuncia quella dell’art. 111 Cost., per violazione del diritto alla prova, del diritto di difesa e del diritto al contraddittorio.
7.1. I motivi ora sinteticamente illustrati (il quinto, il sesto e il settimo) sono inammissibili.
Con essi la precettata si duole: del rigetto del motivo di appello incidentale con cui aveva censurato la statuizione del primo giudice che aveva revocato l’ammissione delle istanze istruttorie formulate con la memoria di cui all’art. 183, sesto comma, n. 3, c.p.c., dirette a provare i fatti posti a fondamento delle sollevate eccezioni di pagamento e di compensazione; del rigetto del motivo di appello incidentale con cui aveva censurato il diniego della richiesta rimessione in termini per produzioni istruttorie, basata su un legittimo impedimento; della statuizione di inammissibilità delle eccezioni di pagamento e compensazione, resa dal giudice di appello sul rilievo della tardività delle prove dedotte per dimostrare i fatti su cui esse erano fondate.
Deduce che la revoca del provvedimento di ammissione delle prove era fondata su un overruling giurisprudenziale (manifestatosi con la sentenza n. 12119 del 2013 di questa Corte) con cui era stato sconfessato il precedente pacifico orientamento che consentiva che le richieste di prova contraria rispetto a tutte le allegazioni avversarie fossero articolate nella terza memoria istruttoria; sostiene che, in ogni caso, avrebbe avuto diritto ad essere rimessa in termini in ragione dell’improvvisa malattia (cecità) che l’aveva colpita appena cinque giorni prima della notifica del precetto; deduce omessa pronuncia sulle eccezioni di pagamento e di compensazione, erroneamente dichiarate inammissibili ancorché sollevate già nella citazione in opposizione e nella seconda memoria di cui all’art.183 c.p.c..
Al riguardo va, in primo luogo, escluso che, in ordine alle preclusioni istruttorie, con la sentenza n. 12119 del 2013 di questa Corte si fosse verificato il dedotto overruling processuale, venendo in considerazione una piana interpretazione della norma processuale e non essendovi alcun consolidato orientamento contrario.
In secondo luogo, va evidenziato che non è sindacabile il diniego, formulato in primo grado e confermato in appello, di rimessione in termini per deduzioni e produzioni istruttorie, atteso che esso trova fondamento nel motivato rilievo, che costituisce apprezzamento di merito incensurabile, secondo il quale la malattia dedotta quale legittimo impedimento era risalente nel tempo e tale circostanza era stata accertata all’esito di CTU medico-legale.
Infine, non sussiste la dedotta omessa pronuncia sulle sollevate eccezioni di compensazione e pagamento, sulle quali il giudice del merito si è espressamente pronunciato: la pronuncia negativa su queste eccezioni (da qualificare come rigetto e non come inammissibilità) trova fondamento nella ritenuta carenza di prova in ordine ai fatti su cui le stesse erano fondate, e dunque su un apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità.
8. Con l’ottavo motivo, F.I. denuncia nuovamente, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c. violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 2943 e 1219 c.c., nonché degli artt. 477 e 479 c.p.c.; denuncia, inoltre, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2943 c.c., 477 c.p.c., nonché degli artt. 137, primo comma, e 148 c.p.c.
La ricorrente deduce l’inesistenza e la nullità della sentenza impugnata (o comunque la sua invalidità ai fini dell’interruzione della prescrizione) in ragione del fatto che la richiedente la notifica era persona diversa dalla creditrice.
Evidenzia, in proposito, che nella relata di notifica della sentenza, in data 2 marzo 2002, era scritto che la stessa veniva eseguita ad istanza di I.S., residente in (omissis), Via (omissis), mentre la creditrice, successiva precettante, era residente in (omissis).
8.1. Il motivo è manifestamente infondato.
Premesso, in generale, che legittimati a richiedere la notificazione di un atto giudiziario, ai sensi dell’art. 137 c.p.c. e dell’art. 104, secondo comma, del d.P.R. n. 1229 del 1959, sono la parte personalmente ed il suo difensore munito di procura, nonché qualunque persona da loro incaricata pure verbalmente, purché non vi sia incertezza assoluta sull’istante e si possa individuare la parte a richiesta della quale la notifica è eseguita (Cass. 04/02/2020, n. 2415 del 2020; in precedenza v. Cass. 08/03/2016, n.4520), nel caso di specie la circostanza che la notificazione provenisse da persona legittimata si evinceva direttamente dal titolo, avuto riguardo all’identificazione della richiedente la notifica con la persona che risultava essere la parte vittoriosa in favore della quale era stata pronunciata la condanna; tale identificazione non poteva ragionevolmente ritenersi essere stata messa in forse dalla mera inesattezza sull’indirizzo di residenza indicato nella relata di notificazione.
9. Può essere ora esaminato il quarto motivo di ricorso, che attiene all’eccezione preliminare di merito sollevata dalla debitrice precettata, in ordine alla prescrizione del diritto di credito vantato dalla creditrice precettante.
Con esso F.I. denuncia, ai sensi dell’art.360, n. 3, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 2943 e 1219 c.c., nonché degli artt. 477 e 479 c.p.c..
Lamenta che la Corte di appello avrebbe attribuito alla notifica della sentenza del Pretore del lavoro di Siracusa del 1987 (titolo esecutivo azionato da S.I.) l’efficacia di atto interruttivo della prescrizione esclusivamente sulla base di considerazioni astratte, fondate sul disposto degli artt. 479 e 477 c.p.c., senza procedere all’esame del contenuto della sentenza notificata, per accertare, sulla base di un giudizio di merito riferito alla specifica fattispecie, se la notificazione del titolo esecutivo presentasse, nel caso concreto, i requisiti della costituzione in mora richiesti dall’art. 2943, quarto comma, c.c..
9.1. Il motivo è fondato, nei limiti che si vanno a specificare.
La Corte territoriale ha formulato, in guisa di principio generale, il rilievo che la sentenza notificata a sensi dell’art. 479 c.p.c. avrebbe la finalità esclusiva di manifestare alla controparte la volontà di procedere in executivis e di suscitarne l’adempimento spontaneo, traendone l’implicazione che a tale notifica deve attribuirsi efficacia interruttiva della prescrizione; analoga implicazione ha tratto dall’ulteriore rilievo, sempre formulato a mo’ di principio generale, secondo il quale, allorché venga in considerazione un titolo esecutivo emesso contro il defunto, la sua notifica nei confronti dell’erede deve precedere quella dell’intimazione ad adempiere.
Nel formulare questi rilievi, la Corte territoriale ha, però, disapplicato l’opposto principio – affermato da questa Corte sin da epoca risalente, recentemente ribadito e condiviso dalla dottrina, al quale il Collegio intende dare continuità – secondo il quale la notificazione della sentenza di primo grado non rientra fra gli atti interruttivi della prescrizione contemplati dai primi due commi dell’art. 2943 c.c. (notifica della domanda introduttiva del giudizio e domanda proposta nel corso di un giudizio già pendente) e, pertanto, può spiegare autonoma efficacia interruttiva della prescrizione solo quando presenti i connotati dell’atto di costituzione in mora, a norma del citato art. 2943, quarto comma, c.c. (Cass., Sez. Un., 24/06/1981, n. 4108; Cass. 24/0572018, n. 12983): soltanto, cioè, allorché, alla stregua della forma e del contenuto specifico dell’atto, possa dirsi che esso contenga l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare la volontà del creditore di far valere il proprio diritto nei confronti del soggetto indicato (Cass. 25/08/2015, n. 17123; Cass. 14/06/2018, n. 15714; Cass. 07/09/2020, n. 18546; Cass. 31/05/2021, n. 15140). E tanto, per l’evidente inadeguata univocità di tale condotta ai fini della significazione della volontà che dovrebbe sorreggere ed orientare ogni azione rilevante a fini interruttivi.
In applicazione di questo principio, la Corte territoriale, chiamata a delibare l’eccezione di prescrizione sollevata dalla precettata e a decidere se essa fosse stata o meno interrotta dalla notifica del solo titolo esecutivo effettuata dalla precettante in data 2 marzo 2002, non avrebbe, dunque, dovuto deciderla sulla base di argomentazioni astratte, ma avrebbe dovuto valutare in concreto, sulla base di un vero e proprio apprezzamento di merito, se, avuto riguardo alle modalità e ai tempi della notifica e al contenuto dell’atto notificato, emergesse o meno l’univoca volontà della notificante di esigere il credito, e cioè se la notifica presentasse o meno, nel caso concreto, i connotati della costituzione in mora.
Negli specificati termini, il motivo in esame va pertanto accolto e la sentenza va cassata in relazione ad esso, con rinvio alla Corte etnea, in diversa composizione, che rinnoverà il giudizio sull’eccezione di prescrizione del credito azionato, sulla base dell’indagine di merito precedentemente omessa ed in applicazione del principio di diritto appena più sopra ribadito.
10. L’accoglimento del quarto motivo implica l’assorbimento del nono, con cui è stata denunciata, ai sensi dell’art. 360, n.3, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art.91 c.p.c. e dei principi sulla causalità e sulla soccombenza in tema di regolazione delle spese del giudizio, nonché nullità della sentenza limitatamente al capo sulle spese: la cassazione della sentenza, in dipendenza dell’accoglimento del quarto motivo, travolge infatti pure ogni statuizione sulle spese, il cui regolamento dovrà essere rinnovato dal giudice del merito in considerazione complessiva dell’esito finale della lite.
11. In definitiva, deve essere accolto il quarto motivo di ricorso, rigettati il primo, il secondo, l’ottavo, dichiarati inammissibili il terzo, quinto, sesto e settimo, ma assorbito il nono.
La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione, che si atterrà agli enunciati principi e, dopo aver proceduto all’apprezzamento di merito precedentemente omesso, risponderà alla questione se, nel caso concreto, la notifica del titolo esecutivo abbia prodotto o meno l’effetto interruttivo della prescrizione del diritto di credito per cui si è proceduto.
Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità (art. 385, terzo comma, c.p.c.).
P. Q. M.
La Corte accoglie il quarto motivo del ricorso, rigetta il primo il secondo, l’ottavo, dichiara inammissibili il terzo, il quinto, il sesto e il settimo e dichiara assorbito il nono; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.