La Suprema Corte non condivide la tesi del ricorrente sulla piena sovrapposizione tra il c.d. obbligo di repêchage e i limiti al trasferimento del lavoratore che assiste con continuità un familiare convivente disabile, in quanto trasferimento e licenziamento del lavoratore restano due fenomeni ontologicamente diversi.
La Corte d'Appello di Bologna confermava la decisione con cui il Tribunale aveva respinto le domande del lavoratore volte all'accertamento dell'illegittimità del suo trasferimento e alla condanna del datore di lavoro a ricevere la prestazione di lavoro presso gli stabilimenti e gli uffici siti nel territorio del Comune della sede corrente del lavoratore, il quale nel...
Svolgimento del processo
1. la Corte d'Appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Ravenna con cui erano state respinte le domande proposte da F. B. contro il datore di lavoro H. s.p.a. (già respinte in doppio grado cautelare), volte all'accertamento dell'illegittimità del trasferimento da R. a F., disposto con lettera del 24/12/2015 e confermato con lettera del 26/05/2016, ed alla condanna della società a ricevere la prestazione di lavoro del ricorrente presso gli stabilimenti e gli uffici siti nel territorio del Comune di R., in quanto assistente con continuità il padre disabile ai sensi dell'art. 33, comma 5, legge n. 104/1992;
2. avverso la predetta sentenza il lavoratore propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resiste con controricorso parte datoriale;
3. entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.;
Motivi della decisione
1. la Corte di merito ha richiamato, in diritto, i principi ribaditi da Cass. n. 24015/2017 in ordine alle limitazioni normative al trasferimento del lavoratore con diritto alla tutela di cui all'art. 33, comma 5, legge 104/1992, ove il trasferimento sia idoneo a pregiudicare gli interessi di assistenza familiare del dipendente e ove il datore di lavoro non provi che il trasferimento è stato disposto per effettive ragioni tecniche, organizzative e produttive insuscettibili di essere diversamente soddisfatte; in fatto, ha valutato provati dal datore di lavoro l'effettività delle esigenze tecniche, organizzative e produttive del trasferimento, insuscettibili di essere diversamente soddisfatte, ed il rifiuto dell'appellante di un'offerta di una posizione lavorativa alternativa a R.;
2. il ricorrente si duole, con il primo motivo, di falsa applicazione dell'art. 33, quinto comma, della legge n. 104/1992: sostiene che la Corte d’Appello ha errato nel non ritenere che il trasferimento senza consenso del titolare della tutela può lecitamente avvenire solo quale alternativa alla risoluzione del rapporto, con conseguente necessità di prova dell'impossibilità di ricollocare altrove nella stessa sede dove si è verificata la soppressione del posto o in sede più prossima il lavoratore, anche in posizioni professionalmente diverse o deteriori, con onere della prova dell’impossibilità di cd. repêchage incombente sul datore di lavoro;
3. con il secondo motivo, si duole di omessa valutazione circa il fatto decisivo per il giudizio che controparte non avrebbe dato prova dell'impossibilità di assolvere l'onere di repêchage esteso anche a mansioni non equivalenti;
4. i motivi sono da trattare congiuntamente in quanto involgenti, in diritto ed in fatto, la questione se, come prospettato dalla difesa del lavoratore, l'onere di ricollocazione, in materia di trasferimento di lavoratore che assista con continuità un congiunto disabile, debba operare allo stesso modo che nella valutazione della legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, e della connessa questione concreta dell’onere della prova del rifiuto, da parte del lavoratore, di mansioni diverse, anche inferiori;
5. la tesi di parte ricorrente propugna, in astratto, la piena sovrapposizione tra il cd. obbligo di repêchage (concetto che esprime icasticamente, nella giurisprudenza in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l'obbligo per il datore di lavoro di dimostrare l'impossibilità di adibire il dipendente da licenziare ad altri posti di lavoro rispetto a quello da sopprimere), ed i limiti al trasferimento del lavoratore che assiste con continuità un familiare disabile convivente, di cui all'art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992, nel testo modificato dall'art. 24, comma 1, lett. b), della legge n. 183 del 2010;
6. si tratta di tesi non condivisibile nel suo automatismo, perché trasferimento e licenziamento del lavoratore rimangono ontologicamente fenomeni diversi, per natura e per portata, e che neppure può essere desunta dalla giurisprudenza di legittimità in materia, che dà rilievo in ogni caso al bilanciamento di interessi nel caso concreto;
7. invero, Cass. S.U. 16102/2009 ha chiarito (in motivazione, pp. 10 ss.), quanto al diritto di scelta della sede di lavoro a conclusione di una procedura concorsuale pubblica, che la legge n. 104/1992, art. 33, comma 5, non configura, in generale, un diritto assoluto e illimitato, poiché esso può essere fatto valere allorquando, alla stregua di un equo bilanciamento fra tutti gli implicati interessi costituzionalmente rilevanti, il suo esercizio non finisca per ledere in maniera consistente le esigenze economiche, produttive ed organizzative del datore di lavoro;
8. il bilanciamento degli indicati interessi avviene a livelli diversi in relazione alle distinte posizioni soggettive contemplate dalla disposizione in esame, e l’assenza dell'inciso "ove possibile", per l'ipotesi del trasferimento, per il quale la seconda parte della disposizione prevede semplicemente che il lavoratore non può essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso, esprime una diversa scelta di valori che è collegata alla diversità delle due situazioni, e specificamente ai riflessi negativi per il portatore di handicap di un trasferimento di sede del congiunto a fronte di una situazione assistenziale già consolidata;
9. tuttavia, la scelta operata dal legislatore significa soltanto che in questa ipotesi l'interesse della persona disabile, ponendosi come limite esterno del potere datoriale di trasferimento, quale disciplinato in via generale dall'art. 2103 c.c., prevale sulle ordinarie esigenze produttive e organizzative del datore di lavoro, ma non esclude che il medesimo interesse, pure prevalente rispetto alle predette esigenze, debba conciliarsi con altri rilevanti interessi, diversi da quelli sottesi alla ordinaria mobilità, che possono entrare in gioco nello svolgimento del rapporto di lavoro, pubblico o privato, così come avviene in altre ipotesi di divieto di trasferimento previste dall'ordinamento per le quali la considerazione dei principi costituzionali coinvolti può determinare, concretamente, un limite alla prescrizione di inamovibilità; in questo senso, l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità ha individuato situazioni di fatto riconducibili in via sistematica all'art. 2103 c.c., che si distinguono dalle ordinarie esigenze di assetto organizzativo, quali la soppressione del posto, per il fatto che il mutamento della sede corrisponde alla necessità obiettiva, da accertare rigorosamente, di conservare al lavoratore il posto di lavoro, ove risulti l'impossibilità della prosecuzione del rapporto nella precedente sede;
10. la particolarità delle esigenze sottese a tali situazioni, riconducibili a valori di rilievo costituzionale ed allo stesso mantenimento dell'assistenza alle persone handicappate, determina la inapplicabilità, in caso di soppressione del posto (o di incompatibilità ambientale, che in questo caso non rileva), della tutela di cui alla legge n. 104/1992, art. 33, comma 5, che riguarda invece le ipotesi di mobilità dei lavoratori per ordinarie ragioni tecnico-produttive;
11. coerentemente con tali principi, Cass. n. 24015/2017, richiamata nella sentenza qui gravata (conf. Cass. n. 2969/2021), ha chiarito che è innegabile che l'applicazione dell'art. 33, comma 5, cit., postula, di volta in volta, un bilanciamento di interessi, bilanciamento necessario, per vero, in via generale, per tutti i trasferimenti, atteso il disposto dell'art.2103 c.c., che, nel periodo finale del primo comma, statuisce che il lavoratore non può essere trasferito da una unità produttiva ad un'altra "se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive"; in particolare, poi, la norma di cui all'art. 33, comma 5, della legge n. 104/1992, deve essere interpretata in termini costituzionalmente orientati - alla luce dell'art. 3, secondo comma, Cost., della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (art. 26 – Inserimento dei disabili e art. 35 .- Protezione della salute) e della Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006 sui diritti delle persone con disabilità, ratificata in Italia con legge n. 18/2009;
12. alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale sopra richiamato, si deve quindi affermare che la tutela rafforzata cui ha diritto il lavoratore che assista con continuità una familiare invalido opera nei confronti delle ordinarie esigenze tecniche, organizzative, produttive, legittimanti la mobilità, con il limite della soppressione del posto o di altre situazioni di fatto insuscettibili di essere diversamente soddisfatte;
13. nel caso concreto tale situazione di fatto è stata ritenuta provata dalla Corte di merito, unitamente al rifiuto del lavoratore all’assegnazione a mansioni diverse in alternativa al trasferimento;
14. in relazione a tale accertamento in fatto, si rileva che la Corte d'Appello ha confermato integralmente le statuizioni di primo grado, così realizzandosi ipotesi di cd. doppia conforme rilevante ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c. e dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., nel senso che il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (nel testo riformulato applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012), deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell'appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 26774/2016; conf. Cass. n. 20994/2019, Cass. n. 8320/2021); ricorre l'ipotesi di «doppia conforme», ai sensi dell'art. 348-ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la situazione già assunta dal primo giudice (Cass. n. 7724/2022);
15. il ricorso, con il quale si sostiene in diritto una tesi non corrispondente all’assetto degli interessi da bilanciare e come bilanciati nel caso concreto, e con il quale si sollevano questioni di accertamento dei fatti non ammissibili in questa sede, deve, pertanto, essere respinto, con regolazione delle spese del presente grado di legittimità secondo soccombenza, e con conseguente raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 4.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.