
Con l'ordinanza in commento, la Cassazione individua le caratteristiche dell'istituto in materia agraria comparandole con quelle del tentativo di conciliazione nel processo del lavoro.
La Sezione specializzata agraria del Tribunale di Imperia accoglieva la domanda formulata nei confronti dell'attuale ricorrente e dichiarava cessato il contratto di affittanza agraria che lo stesso aveva stipulato con il padre dell'attrice e lo condannava al rilascio dei fondi al termine dell'annata agraria. Inoltre, il Giudice riteneva...
Svolgimento del processo
M.M., in proprio e nella qualità di titolare dell’Azienda Agricola “M. Flor di M. M.” ricorre, avvalendosi di due motivi, per la cassazione della sentenza della Corte d'Appello di Genova n. 1037/2021, depositata il 17 gennaio 2022;
resiste con controricorso R.F.;
il Tribunale di Imperia, sez. specializzata agraria, con la sentenza n. 339/2021, accogliendo la domanda formulata nei confronti dell’odierno ricorrente da R.F., dichiarava cessato, alla data del 15/07/2016, il contratto di affittanza agraria che M. M. aveva stipulato con E. F., padre di R.F., cui quest’ultima era subentrata in veste di erede nel 2005, e condannava M. M. al rilascio dei fondi, condotti in affitto, al termine dell’annata agraria; riteneva rinunciata la domanda riconvenzionale con cui M. M. aveva chiesto l’accertamento del suo diritto all’indennità per migliorie;
M. M. interponeva gravame dinanzi alla Corte d’Appello di Genova, chiedendo di rigettare la domanda di convalida dell’intimata licenza per finita locazione al 15/07/2016 e la conseguenziale domanda di condanna al rilascio, previo accertamento della vigenza e della prevalenza tra le parti del contratto di impresa familiare, stipulato in data 30/12/1998, o in subordine, di individuare l’1/1/1999, quale data di presa di possesso dei fondi oggetto di causa, nonché di accertare il suo diritto di permanere nei predetti fondi, atteso il rinnovo del contratto di affitto per tutta la durata del periodo legale (15 anni) dalla prima scadenza, quella del gennaio 2014;
in aggiunta, domandava la riforma della sentenza impugnata in punto di rinuncia alla domanda riconvenzionale, alla luce della mancata accettazione da parte della controparte della rinuncia agli atti, e chiedeva che venisse dichiarata l’improcedibilità della stessa per mancanza del tentativo obbligatorio di conciliazione per la richiesta indennità di migliorie, ai sensi dell’art. 46 della l. n. 203 del 1982;
R.F. contestava l’asserita errata individuazione del termine iniziale della presa in possesso dei fondi in oggetto, sostenendo che il contratto di affitto e quello costitutivo di impresa familiare, intercorrente con l’appellante e con suo fratello, W.M., erano autonomi, distinti e facenti capo a parti diverse, e, con appello incidentale, denunciava l’errata qualificazione della parziale modifica delle conclusioni della difesa resistente in ordine alla domanda riconvenzionale, ritenendo la rinuncia alla riconvenzionale da parte di M. M. una rinunzia agli atti del giudizio ex art. 306 cod.proc.civ. che, come tale, avrebbe dovuto essere da lei accettata, a pena di inefficacia, e sostenendo, in aggiunta, che l’appellante non aveva argomentato la propria tesi sulla improcedibilità della domanda di migliorie, perché l’eccezione avente ad oggetto il mancato tentativo di mediazione, a pena di decadenza, avrebbe dovuto essere sollevata in sede di costituzione in giudizio o comunque con la prima difesa utile;
con sentenza n. 1037/2021, la Corte di Appello di Genova, sezione specializzata agraria, ha disatteso l’appello di M. M., ha accolto quello incidentale di R.F., e, per l’effetto, ha riformato sul punto la parte motivazionale della sentenza di primo grado, respingendo nel merito la domanda riconvenzionale;
per quanto di interesse, la Corte di Appello ha sostenuto che i due contratti, quello di impresa familiare e quello di affitto, erano due contratti successivi nel tempo, indipendenti tra di loro e, sull’appello incidentale, ha giudicato erronea la decisione del Tribunale di non pronunciarsi nel merito sulla domanda riconvenzionale di M. M., respingendola in quanto sfornita di prova;
avendo ritenuto sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.
Motivi della decisione
1) con il primo motivo il ricorrente deduce «Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ovvero sulla data di ingresso e relativa presa di possesso da parte del M. dei fondi per cui è causa ai fini del calcolo della durata del contratto di affittanza agraria»;
le censure formulate con questo motivo sono plurime, non tutte riconducibili al vizio denunciato in epigrafe, e comunque tutte immeritevoli di accoglimento:
a) la Corte d’appello di Genova non avrebbe tenuto conto del dato testuale dell’atto costitutivo di impresa familiare, da cui si evinceva che i partecipanti prestavano in modo continuativo la loro attività lavorativa nell’impresa dall’1/1/99 e che avevano messo a disposizione, ai fini della coltivazione, i terreni, di proprietà o in affitto, dall’1/1/99;
la sua tesi è che R.F., che all’epoca risultava affittuaria dei terreni per cui è causa, li avesse messi a disposizione dell’impresa; il fatto che successivamente, nel 2001, egli avesse stipulato con il padre di R.F., E. F., un contratto di affitto, avente ad oggetto gli stessi terreni, non avrebbe dovuto portare alla conclusione che R.F. non ne avesse la disponibilità all’epoca della costituzione dell’impresa familiare, perché, alla luce della costante giurisprudenza in tema di affitto agrario, «al fine di stabilire la scadenza del rapporto di affitto ai sensi dell'art. 2, l. n. 203 del 1982, deve aversi riguardo al momento genetico del rapporto, ossia al momento in cui il conduttore si è in concreto installato sul fondo, con correlativa perdita di disponibilità di questo da parte del concedente, attribuendo rilevanza, ai fini della durata, alla continuità del rapporto a partire da quell'epoca, indipendentemente dalla circostanza che, dopo la stipulazione dell'originario contratto, siano stati conclusi nuovi accordi parzialmente modificativi per quanto attiene all'estensione del fondo, o che siano intervenute eventuali novazioni soggettive del rapporto stesso per subentro di discendenti» (Cass.18/07/2008, n.19925);
la Corte d‘Appello avrebbe dato per accertato che E. F. avesse recuperato la disponibilità dei fondi in precedenza concessi in affitto a R.F. e apportati da quest’ultima nell’impresa familiare del marito; sostiene, nondimeno, il ricorrente che, pur essendo innegabile che i contratti erano due, essi intercorrevano tra le stesse parti, essendo pacifico che R.F. era subentrata a E. F. alla sua morte, avvenuta nel 2005, e che non aveva mai domandato lo scioglimento del contratto di impresa familiare, ancora valido e vigente;
b) per sostenere che tra le parti era intercorsa una novazione dell’originario contratto, la Corte territoriale avrebbe dovuto indagare sulla loro reale volontà novativa, ai sensi dell’art. 1230 cod.civ., tenendo nella dovuta considerazione che R.F. era sua moglie, che non era da lei separato e che entrambi erano parti della stessa impresa familiare, non essendo intervenuto alcun fatto modificativo/estintivo di quest’ultima;
c) indipendentemente dalla eventuale prevalenza del contratto di affitto rispetto al contratto costitutivo di impresa familiare, la disponibilità, da parte sua, dei fondi in oggetto, oggetto avrebbe dovuto essere ricondotta al contratto di affitto, con la conseguenza che la disdetta avrebbe dovuto considerarsi intempestiva e il suo diritto di permanere nei predetti fondi avrebbe dovuto considerarsi rinnovato per tutta la durata del periodo legale (15 anni) dalla prima scadenza;
1.1.) vale rilevare che la circostanza che il ricorrente abbia omesso di individuare la categoria giuridica tra quelle individuate dall’art. 360 cod.proc.civ. cui ricondurre il vizio cassatorio non è ragione sufficiente per ritenere inammissibile il motivo, come preteso dalla controricorrente, essendo possibile evincere dal tenore delle censure formulate, in maniera inequivoca la sostanza del vizio denunciato (Cass., Sez. Un., 24/07/2013, n. 17931 e successiva giurisprudenza conforme);
nondimeno, pesa il fatto che il ricorrente abbia denunciato un vizio – quello di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione - non più configurabile all’epoca della proposizione del ricorso; peraltro, anche nella previgente formulazione, cui fa rifermento il ricorrente, il vizio denunciato implicava che la motivazione della "quaestio facti" fosse affetta non da una mera contraddittorietà, insufficienza o mancata considerazione, ma che fosse tale da determinare la logica insostenibilità della motivazione (Cass. n. 17037 del 20/08/2015); il che non può certo affermarsi a proposito della sentenza gravata;
basta rilevare che la Corte d'appello ha fondato il proprio percorso motivazionale sulla circostanza che, anche a prescindere dall’osservazione, contenuta nella sentenza di primo grado, che nell’atto costitutivo di impresa familiare non erano indicati i beni conferiti da R.F., all’epoca in cui erano stati concessi in affitto da E. F. all’odierno ricorrente con il contratto per cui è causa, essi non erano più nella disponibilità di R.F. – altrimenti E. F. non avrebbe potuto stipulare un nuovo contratto di affitto con l’odierno ricorrente (nuovo rispetto a quello in precedenza intercorso tra R.F. ed il padre: segno che E. F. ne aveva recuperato la disponibilità); di qui la conclusione che il contratto di impresa familiare e quello di affitto fossero indipendenti ed autonomi l’uno dall’altro;
tale conclusione non è stata efficacemente confutata dall’odierno ricorrente e, quindi, resiste alle sue censure;
1.2) l’affermazione della Corre «al più, v’è stata una novazione soggettiva ed oggettiva del rapporto, avente per oggetto il fondo de quo» non costituisce ratio decidendi della sentenza impugnata – quindi, il ricorrente non aveva interesse ad impugnarla, pretendendo dalla Corte la prova di avere valutato la volontà delle parti, al fine di verificare se avessero inteso novare il contratto di impresa familiare;
va rammentato che è inammissibile per difetto di interesse la censura mossa ad un'argomentazione della sentenza impugnata svolta ad abundantiam e, pertanto, non costituente una ratio decidendi della medesima; infatti, un'affermazione siffatta, contenuta nella sentenza di appello, che non abbia spiegato alcuna influenza sul dispositivo della stessa, essendo improduttiva di effetti giuridici, non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse (ex multis cfr. Cass. 9/06/2022 n. 18636; Cass. 17/05/2022 n. 15727; Cass. 3/09/2021 n. 23885);
1.3) quanto all’asserita violazione della giurisprudenza di questa Corte secondo cui, ai fini della scadenza del contratto di affitto, deve aversi riguardo per il momento in cui il concedente ha perduto la disponibilità del fondo, indipendentemente da successivi accordi parzialmente modificativi dell’estensione del fondo o di novazioni soggettive del rapporto per subentro dei discendenti, si osserva che, nel caso di specie, questa giurisprudenza è inconferente, perché ammesso che R.F. avesse conferito il fondo nell’impresa familiare, successivamente ne aveva perduto la disponibilità e solo con un nuovo contratto di affitto intercorso tra il ricorrente ed Enzo F. era stato possibile per il primo ottenerne o riottenerne la disponibilità; come opportunamente osservato dalla controricorrente la novazione cui si riferisce la sentenza di questa Corte avrebbe dovuto considerarsi quella in cui R.F. era subentrata nella titolarità del fondo a seguito della morte del padre, senza alcuna possibilità di considerare come momento genetico della disponibilità del fondo quello di conferimento dello stesso nell’impresa familiare;
1.4) a tutto concedere, vale comunque il rilievo che la denuncia per vizio motivazionale è inammissibile ai sensi dell’art. 348 – ter cpc per mancata dimostrazione della diversità delle ragioni circa le questioni di fatto in presenza di doppia conforme;
2) con il secondo motivo il ricorrente denuncia «Violazione ed errata applicazione delle seguenti norme di diritto: art. 306 cpc – art 46 Legge 3 maggio 1982 n. 203 - improponibilità della domanda riconvenzionale di migliorie, errata pronuncia nel merito»;
la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare improponibile la domanda riconvenzionale, attesa la mancanza del requisito del necessario preventivo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione;
2.1) giova innanzitutto precisare che:
- avuto riguardo per l'epoca di instaurazione della lite (luglio 2018), la vicenda in esame è ratione temporis disciplinata dal d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 11, il quale riproduce, senza significative alterazioni, il contenuto precettivo della L. n. 203 del 1982, art. 46, cui fa riferimento il ricorrente, talché, ai fini della soluzione della questione esaminata, ben può muoversi dagli indirizzi ermeneutici formatisi in relazione a detta norma nella giurisprudenza di questa Corte, dopo avere riqualificato la censura:
- il tentativo obbligatorio di conciliazione si declina nel processo agrario in modo ben diverso rispetto al processo del lavoro: ciò esclude la ricorrenza dell’omologia strutturale su cui fonda il suo ragionamento la controricorrente, allo scopo di sostenere che l’eccezione qui sollevata non possa essere rilevata d’ufficio né in ogni stato e grado del procedimento; - Cass. 29/01/2010, n. 2046 ha stabilito che: a) il tentativo di conciliazione in materia agraria deve essere sempre "preventivo", cioè attivato prima dell'inizio di qualsiasi controversia, atteso che la norma, "inderogabile e imperativa", non consente che il filtro dallo stesso costituito possa essere posto in essere successivamente alla domanda giudiziale; laddove l'esperimento del tentativo di conciliazione nel processo del lavoro può essere, invece, promosso in corso di causa, previa sospensione del giudizio per il termine di giorni sessanta (con conseguente necessità di riassunzione, a pena di estinzione); b) in materia agraria, il requisito della necessità del preventivo esperimento del tentativo individua una condizione di "proponibilità", la cui mancanza, rilevabile anche d'ufficio nel corso del giudizio di merito, comporta la definizione della causa con sentenza dichiarativa di improponibilità della domanda; mentre, in materia lavoristica, esso integra una condizione di "procedibilità", il cui mancato esperimento determina una "improcedibilità sui generis", avuto riguardo al regime della sua rilevabilità e all'iter che consegue a tale rilievo";
2.2) va ulteriormente sottolineato che, stando al tenore letterale del dato positivo, la "domanda", in relazione alla quale va esperito il tentativo di conciliazione, non può che essere intesa nel significato, omnicomprensivo, di istanza volta al riconoscimento di un diritto o comunque alla tutela di un bene della vita avente scaturigine in un contratto agrario, alcuna rilevanza assumendo, per tale nozione, la sequenza procedimentale attivata (ordinaria o semplificata) o la modalità di proposizione seguita (in via principale o riconvenzionale);
2.3) ad avviso del Collegio, ricorrevano, nel caso di specie, i presupposti per ritenere obbligatorio il tentativo di conciliazione: in considerazione del fatto che con la domanda riconvenzionale il convenuto esponeva «"aspetti" nuovi della controversia conosciuti anticipatamente, avrebbero potuto condurre ad una definizione bonaria della controversia» (Cass. 14/11/2008, n. 27255);
M. M. non aveva solo resistito alle pretese della moglie, limitandosi in sede difensiva a spiegare delle mere eccezioni in senso proprio, ma aveva chiesto un provvedimento giudiziale a sé favorevole e sfavorevole alla controparte che aveva ampliato l'ambito della controversia rispetto ai limiti posti alla stessa in sede di esperimento del tentativo di conciliazione, di cui alla domanda principale; né, d'altra parte, la sentenza impugnata si è preoccupata in alcun modo di spiegare le ragioni per cui ha ritenuto che tale tentativo non dovesse essere esperito, nonostante l’odierno ricorrente avesse presentato apposita richiesta nelle proprie conclusioni in grado di appello (v. sentenza impugnata a p. 2, ove si dà atto che M. M. aveva chiesto di modificare la sentenza di primo grado qualificando la propria rinuncia alla domanda riconvenzionale come rinuncia agli atti o «improcedibile per mancanza del tentativo obbligatorio di conciliazione»);
2.4) il motivo merita, pertanto, accoglimento;
3) il primo motivo è inammissibile; il secondo motivo va accolto; la decisione impugnata è cassata in relazione al motivo accolto, decidendo nel merito, si dichiara la improponibilità della domanda riconvenzionale; le spese del giudizio di appello e quelle del giudizio di legittimità sono interamente compensate, posto che l’accoglimento parziale del ricorso, corrispondente all’accoglimento dell’appello limitatamente alla questione della proponibilità della domanda riconvenzionale, costituisce ragione di compensazione.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il primo motivo; accoglie il secondo, cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara improponibile la domanda riconvenzionale; compensa tra le parti le spese del giudizio di appello e quelle del giudizio di legittimità.