Non basta provare la condotta asseritamente colpevole dell'avvocato.
Il Condominio conveniva in giudizio l'avvocato asserendo che a causa della mancata notificazione dell'atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Alessandria su istanza di una società, il provvedimento monitorio era passato in giudicato, provocandogli un danno. Il Tribunale rigettava la domanda, rilevando che le prove orali dedotte non erano...
Svolgimento del processo
1. Il Condominio Il S. di via T., nn. XX, in A. convenne in giudizio l'avv. P. C. deducendo che il professionista, benché avesse redatto, in adempimento dell'incarico ricevuto, l'atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Alessandra su istanza della Z. s.r.l. nei confronti del Condominio, non lo aveva poi notificato, con conseguente passaggio in giudicato del provvedimento monitorio.
Il Condominio aveva esposto che in conseguenza dell'inadempimento del convenuto aveva subito un danno pari almeno all'importo portato dal precetto notificato sulla base del decreto ingiuntivo definitivo, con il quale l'impresa Z. aveva richiesto il pagamento del saldo per opere di rifacimento del tetto del Condominio, nonché il pagamento di opere extra contratto.
Il Tribunale di Alessandria rigettò la domanda attrice, condannando il Condominio al rimborso delle spese in favore del convenuto. Rilevò, in particolare, che la parte attrice, con la memoria ex art. 183, sesto comma, n. 2, cod. proc. civ., aveva introdotto un nuovo tema di indagine - quello destinato ad accertare l'esistenza, nel contratto stipulato tra il Condominio e la Z. s.r.l., di una clausola arbitrale che avrebbe comportato, nell'eventuale giudizio di opposizione, la revoca del decreto ingiuntivo - e che, a prescindere da ogni valutazione circa la tempestività di tale eccezione, essa era comunque inidonea a sostenere l'esistenza di un eventuale danno in capo al Condominio (consistente nelle spese di lite liquidate con il decreto), non potendo la previsione di tale clausola impedire l'emissione del decreto ingiuntivo. Anche se il professionista non aveva contestato l'omissione addebitatagli, secondo il giudice di merito, le prove orali dedotte dal Condominio non erano idonee a provare il diritto al risarcimento dei danni, posto che la mancata esecuzione di opere extra contratto e la non corretta esecuzione delle opere contrattuali si evinceva da una relazione di parte redatta in data successiva alla predisposizione dell'atto di citazione in opposizione, non rientrante nel materiale probatorio rimesso all'avv. C. per la redazione dell'atto difensivo e, comunque, insufficiente a supportare la dedotta responsabilità del professionista.
Il Tribunale precisò, del tutto correttamente, a tale riguardo, che in tema di responsabilità per colpa professionale, la regola del «più probabile che non» si applicava tanto all'accertamento del nesso causale tra l'omissione e l'evento danno, quanto all'accertamento del nesso tra il danno e le conseguenze dannose risarcibili e che, sulla scorta del materiale probatorio offerto, non era possibile compiere una valutazione prognostica circa il probabile esito dell'azione giudiziale intrapresa. Peraltro, aggiunse il Tribunale, il mancato rispetto del termine per la fine lavori pattuito al punto 9 del contratto d'appalto non avrebbe potuto comunque comportare da solo l'accoglimento della domanda riconvenzionale spiegata dall'avv. C., in quanto la clausola penale mirava a determinare preventivamente il risarcimento dei danni soltanto in relazione alle ipotesi pattuite, costituite dal ritardo e dall'inadempimento.
2. Con ordinanza ex art. 348-bis e 348-ter cod. proc. civ. emessa all'esito dell'udienza del 4 aprile 2019, la Corte di appello di Torino dichiarò inammissibile l'appello proposto dal Condominio Il S. per la riforma della sentenza di primo grado, sul rilievo che tale impugnazione non avesse una ragionevole probabilità di essere accolta.
3. Per la cassazione di tale ordinanza, nonché della sopra citata sentenza di primo grado, il Condominio Il S. ha proposto ricorso contenente otto motivi di censura alla sentenza e due motivi di impugnazione rivolti alla ordinanza d'inammissibilità.
P.C. ha resistito con controricorso.
4. La trattazione è stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell'art. 380-bis.1. cod. proc civ.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
In data 1° luglio 2022 il Condominio ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1. cod. proc. civ..
Motivi della decisione
1. Preliminarmente, deve darsi atto che non può essere presa in considerazione la memoria difensiva depositata dalla parte ricorrente, risultando la stessa depositata tardivamente rispetto termine di dieci giorni prima dell'udienza stabilito dall'art. 380-bis. l. cod. proc. civ.
2. Procedendo all'esame dei motivi rivolti all'ordinanza d'inammissibilità ex art. 348-bis e 348-ter cod. proc. civ., con il primo mezzo il Condominio, deducendo «vizio di motivazione - art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.», evidenzia che la Corte d'appello avrebbe integrato, con argomentazioni nuove, la motivazione della sentenza di primo grado, affermando: «nulla consente altresì di affermare che lo (scarso) corredo probatorio indicato dall'opponente sarebbe stato sufficiente a provare la sussistenza dei vizi delle opere commissionate all'impresa appaltatrice e la loro mancata ultimazione - tenuto anche conto, quale serio indizio obiettivamente a favore della Z. s.r.l., che l'appaltante, come ammesso nella predetta citazione, aveva disposto pagamenti». Tale affermazione, ad avviso del ricorrente, risulta illogica perché l'avvenuto pagamento di somme a titolo di acconto per le opere contrattuali non poteva essere considerato indizio confermativo dell'infondatezza dell'eccezione relativa alla mancata pattuizione di opere extra contratto.
3. Con il secondo mezzo, censurando l'ordinanza per vizio di motivazione ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., il ricorrente sostiene che la Corte d'appello, riferendosi alla penale per il ritardo, nell'intento di superare affermazioni errate contenute nella sentenza di primo grado, sarebbe caduta in un vizio di motivazione, ritenendo che tale clausola non fosse stata proficuamente attivata, in difetto di comunicazione, da parte della ditta appaltatrice al committente, della disponibilità all'espletamento della verifica di cui all'art. 1665 cod. civ.
3.1. In linea generale, è bene rammentare che le Sezioni unite di questa Corte hanno affermato che l'ordinanza ex art. 348-bis e 348- ter cod. proc. civ. può essere impugnata con ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 111, settimo comma, Cast., limitatamente ai vizi suoi propri costituenti violazioni della legge processuale (quali l'inosservanza delle specifiche previsioni di cui agli artt. 348-bis, comma secondo, e 348-ter, commi primo, primo periodo, e secondo, primo periodo, cod. proc. civ.), purché compatibili con la logica e la struttura del giudizio ad essa sotteso (Cass., sez. U, 02/02/2016, n. 1914), dovendosi escludere, invece, la deducibilità di errores in iudicando (art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ.) e di vizi di motivazione, salvo il caso - che però, come noto, trascende in violazione della legge processuale - della motivazione mancante sotto l'aspetto materiale e grafico, della motivazione apparente, del contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili ovvero motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (Cass., sez. U, n. 8053 del 2014).
3.2. La ratio sottesa alla decisione delle Sezioni unite è nel senso che la decisione che pronunci l'inammissibilità dell'appello per ragioni processuali non attinenti ai motivi di impugnazione, con ordinanza resa quindi al di fuori degli schemi consentiti dall'art. 348-ter cod. proc. civ., anche se nel rispetto della relativa procedura, è impugnabile con ricorso ordinario per cassazione, trattandosi, nella sostanza, di una sentenza di carattere processuale che, come tale, non contiene alcun giudizio prognostico negativo circa la fondatezza nel merito del gravame, differendo, così, dalle ipotesi in cui tale giudizio prognostico venga espresso, anche se, eventualmente, fuori dai casi normativamente previsti. L'ordinanza di inammissibilità dell'appello resa ex art. 348-ter cod. proc. civ. non è quindi ricorribile per cassazione, nemmeno ai sensi dell'art. 111, settimo comma, Cost., ove si denunci l'omessa pronuncia su uno specifico motivo di gravame, attesa la natura complessiva di giudizio «prognostico» che la caratterizza, necessariamente esteso a tutte le impugnazioni relative alla medesima sentenza e a tutti i motivi di ciascuna di queste, ponendosi, eventualmente, in tale ipotesi, solo un problema di motivazione.
3.3. Nella fattispecie in esame la pronuncia della Corte d'appello non riguarda una pronuncia di inammissibilità dell'appello emessa per ragioni processuali non riconducibili nello schema del procedimento ex art. 348-bis e 348-ter cod. proc. civ., bensì un giudizio prognostico di infondatezza dell'appello cui si è aggiunta, nella motivazione, una ulteriore argomentazione d'inammissibilità dell'azione proposta a sostegno delle statuizioni d'infondatezza nel merito già indicate nella sentenza di primo grado, confermate dal giudice di secondo grado.
3.4. Anche se alcune pronunce hanno ritenuto che la ordinanza de qua, ove intenda sostituirsi alla pronuncia di primo grado, sebbene abbia assunto la veste formale di ordinanza di inammissibilità dell'appello ex art. 348-bis cod. proc. civ., assume il carattere sostanziale di sentenza di merito, sicché è ricorribile direttamente per cassazione ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ. (Cass., sez. 3, 09/03/2018, n. 5655; Cass., 8/02/2018, n. 3023), questa Corte ha, successivamente, precisato che il discrimine logico tra ordinanza d'inammissibilità dell'appello impugnabile o non impugnabile con ricorso per cassazione, per motivi diversi da quelli processuali considerati dalla sentenza n. 1914 del 2016 delle Sezioni unite di questa Corte, è rinvenibile solo nell'eventualità che l'ordinanza ex art. 348-bis cod. proc. civ. si sovrapponga, con argomenti logicamente incompatibili, alle ragioni indicate nella pronuncia di primo grado, sostituendosi ad esse, in applicazione dell'effetto devolutivo e sostituivo della pronuncia di appello. Qualora, invece, la pronuncia emessa in sede di appello non contenga un'autonoma ragione del decidere incompatibile con la ratio decidendi della pronuncia di primo grado, tanto da inserirsi nel contesto di una valutazione complessiva in termini di manifesta infondatezza dell'appello, il motivo di ricorso per cassazione proposto avverso tale statuizione va dichiarato inammissibile, restando invece ricorribili gli accertamenti già compiuti dal giudice di primo grado, e confermati dal giudice di secondo grado, ai sensi dell'art. 348-ter, terzo comma, cod. proc. civ. (cfr. Cass., sez. 3, 29/07/2016, n. 15776; Cass., sez. 3, 19/09/2019, n. 23334).
3.5. L'ordinanza ex art. 348-bis e ter cod. proc. civ. qui in esame non si è resa incompatibile con gli argomenti di merito spesi in fatto e in iure dal giudice di primo grado, posto che la Corte territoriale ha confermato sia l'irrituale introduzione in giudizio della questione della clausola compromissoria, sia l'inidoneità del materiale probatorio offerto a far ritenere, secondo una valutazione prognostica, che la causa intrapresa dal Condominio committente nei confronti dell'impresa appaltatrice avrebbe potuto avere esito favorevole.
Del tutto irrilevante risulta, pertanto, il riferimento contenuto nell'ordinanza ai pagamenti effettuati dal Condominio in favore dell'impresa Z. s.r.l. e alla inoperatività della clausola penale, trattandosi di argomentazioni che non contengono una autonoma ratio decidendi in grado di elidere o comunque di sostituire quanto già deciso dal giudice di primo grado e dovendosi escludere che tali argomentazioni integrino una ipotesi di motivazione apparente o di motivazione illogica ed incomprensibile nei termini indicati da Cass., sez. U, n. 8053 del 2014.
Alla stregua dei principi sopra richiamati, entrambe le censure mosse all'ordinanza pronunciata dalla Corte d'Appello non si sottraggono alla declaratoria d'inammissibilità, considerato che esse non riguardano la violazione della legge processuale, ma sono piuttosto volte a prospettare questioni di merito.
4. Con il primo motivo d'impugnazione avverso la sentenza di primo grado, il Condominio deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 183 cod. proc. civ.
Rappresenta che con l'atto di citazione aveva prodotto il contratto concluso con l'impresa Z. s.r.l., che prevedeva la clausola compromissoria, e, con la memoria ex art. 183, sesto comma, n. 2, cod. proc. civ., aveva dedotto che, se l'avv. C. avesse proposto tempestivamente l'opposizione a decreto ingiuntivo, questo sarebbe stato revocato. Lamenta che il Tribunale avrebbe ritenuto tardiva una mera argomentazione difensiva desumibile da un documento ritualmente prodotto, sebbene la controparte non ne avesse eccepito l'intempestività, ed avrebbe omesso, poi, di valutare se la clausola compromissoria, diligentemente proposta, avrebbe potuto portare alla revoca del decreto ingiuntivo.
4.1. Con il secondo motivo di impugnazione il Condominio deduce, sotto altro profilo, la violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. e si duole che il Giudice non avrebbe potuto disattendere l'argomento difensivo rilevandone la tardività, che non era stata mai contestata dall'avv. C., il quale si era anzi difeso nel merito.
4.2. Con il terzo motivo il Condominio censura la sentenza gravata per violazione e falsa applicazione degli artt. 808-ter e 633 e ss. cod. proc. civ. ribadendo che il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che la mancata proposizione di una opposizione fondata sulla esistenza di una clausola compromissoria non avrebbe cagionato un danno, in quanto, se era vero che la clausola compromissoria non impediva l'emissione del decreto ingiuntivo, in caso di successiva opposizione, il giudice dell'opposizione era tenuto a dichiarare la nullità del decreto ingiuntivo, con conseguente annullamento anche delle spese della fase monitoria.
4.3. Con il quarto motivo di ricorso il Condominio deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 183, sesto comma, n. 2, cod. proc. civ. e censura la decisione impugnata nella parte in cui il Tribunale aveva ritenuto che la produzione documentale e le prove richieste non fossero idonee a sorreggere la pretesa del Condominio.
Evidenzia, in proposito, che le istanze istruttorie avrebbero potuto essere formulate entro il termine di cui all'art. 183, sesto comma, n. 2, cod. proc. civ. e non necessariamente con l'atto di opposizione e che, sebbene all'avv. C. non fosse stata consegnata la perizia asseverata, redatta in data successiva alla scadenza del termine per promuovere opposizione, tale fatto non avrebbe potuto spiegare alcuna incidenza sull'esito del giudizio.
4.4. Con il quinto motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ. e si duole che il Tribunale, affermando che la mancata esecuzione delle opere extra contratto si evinceva solo da una relazione peritale successiva alla scadenza del termine per proporre opposizione, aveva omesso di considerare che l'onere di provare l'esecuzione di opere extra contratto incombeva sulla ditta appaltatrice che ne reclamava il pagamento.
4.5. Con il sesto motivo il Condomino ricorrente censura, sotto un diverso profilo, la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ. Sostiene che in tema di responsabilità professionale dell'avvocato per condotta omissiva non vi è l'onere di provare con certezza che l'esito del processo sarebbe stato favorevole, essendo il limite dell'accertamento costituito dal criterio della preponderanza dell'evidenza o del «più probabile che non»; il Tribunale, secondo il ricorrente, non si era attenuto a tale criterio, poiché aveva tralasciato di considerare che era prevista una clausola compromissoria, che la impresa appaltatrice agiva per il compenso da esecuzione di opere extra contratto che dovevano dalla stessa essere provate e che i vizi denunciati emergevano dalla perizia, elementi che, complessivamente considerati, avrebbero dovuto indurre a ritenere che, se l'opposizione fosse stata proposta, il decreto sarebbe stato revocato.
4.6. Con il settimo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell'art. 1382 cod. civ., il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incomprensibile laddove la motivazione si riferisce alla clausola penale, atteso che questa era stata invocata quale sanzione proprio per il ritardo nella consegna delle opere e non per un diverso inadempimento.
4.7. Con l'ottavo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell'art. 132 cod. proc. civ., lamentando che il Tribunale non avrebbe specificato le ragioni per le quali aveva ritenuto inidonee e superflue le richieste istruttorie avanzate.
5. I primi tre motivi, tutti riguardanti la deduzione della previsione, nel contratto concluso dal Condominio con l'impresa Z. s.r.l., di una clausola compromissoria, sono strettamente connessi e sono infondati.
5.1. E' incontestato che l'odierno ricorrente, con l'atto introduttivo del giudizio di merito, ha dedotto, quale profilo di responsabilità professionale, soltanto l'omessa notifica dell'atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo.
Sulla base di quanto accertato dalla sentenza di primo grado, il Condominio, soltanto con la memoria ex art. 183, sesto comma, n. 2, cod. proc. civ., ha evidenziato che se l'avv. C. avesse tempestivamente proposto opposizione, avrebbe potuto eccepire che il decreto ingiuntivo doveva essere revocato in ragione della presenza di una clausola compromissoria nel contratto di appalto concluso dal Condominio con l'impresa Z. s.r.l.
5.2. Questa Corte ha più volte chiarito che il giudice ordinario è sempre competente ad emettere decreto ingiuntivo nonostante l'esistenza di una clausola compromissoria prevista nel contratto dal quale ha avuto origine il rapporto creditorio dedotto in giudizio; tuttavia, quando sia stata proposta opposizione al decreto ingiuntivo si instaura il normale procedimento di cognizione e, se il debitore eccepisce la competenza arbitrale, si verificano, a seguito della contestazione, presupposti fissati nel compromesso e, conseguentemente, viene a cessare la competenza del giudice precedentemente adito, il quale deve revocare il decreto ingiuntivo e rinviare le parti davanti al collegio arbitrale ovvero all'arbitro unico, secondo i casi (Cass. n. 365/1983; n. 1852/1976; n. 5265/2011, Cass., sez. 6-2, 24/09/2021, n. 25939). Con la ulteriore conseguenza che alla revoca del decreto ingiuntivo consegue anche la caducazione della condanna al pagamento delle spese della fase monitoria.
5.3. Non può, tuttavia, non rilevarsi che, nel caso in esame, l'allegazione, da parte del Condominio, del diverso profilo di inadeguatezza della prestazione professionale e, quindi, del diverso profilo di colpa, incidendo sul perimetro della responsabilità professionale del controricorrente, non integrava mera deduzione istruttoria e non poteva, di conseguenza, essere introdotta con la memoria ex art. 183, sesto comma, n. 2, cod. proc. civ., esclusivamente deputata a formulare richieste istruttorie.
Pertanto, la sentenza impugnata, nel rilevare la irrituale introduzione di un ulteriore tema di indagine, si sottrae alle censure ad essa rivolte con i mezzi in esame.
6. I motivi dal quarto al settimo, all'esame dei quali può procedersi congiuntamente in considerazione della connessione delle questioni poste, sono infondati.
6.1. Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale (tra le tante, Cass., sez. 3, 14/10/2019, n. 25778), il professionista non può garantire l'esito comunque favorevole auspicato dal cliente, per cui il danno derivante da eventuali sue omissioni, in tanto è ravvisabile, in quanto, sulla base di criteri necessariamente probabilistici, si accerti che, senza quell'omissione, il risultato sarebbe stato conseguito.
Ciò comporta che il cliente non può limitarsi a dimostrare la condotta asseritamente colpevole, dovendo dare la prova che, in assenza di quella condotta, si sarebbe probabilmente verificato un esito diverso e favorevole della lite (Cass., sez. 3, 10/11/2016, n. 22882; Cass., sez. 3, 16/05/2017, n. 12038). La responsabilità del prestatore d'opera intellettuale nei confronti del proprio cliente presuppone, quindi, la prova del danno e del nesso causale tra il fatto omesso, conseguente alla negligente condotta del professionista, ed il pregiudizio del cliente.
In particolare, nel caso di attività dell'avvocato, l'affermazione di responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell'azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita. Sul punto, va, quindi, ribadito che «in tema di responsabilità professionale dell'avvocato per omesso svolgimento di un'attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non", si applica non solo all'accertamento del nesso di causalità fra l'omissione e l'evento di danno, ma anche all'accertamento del nesso tra quest'ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell'omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull'esito che avrebbe potuto avere l'attività professionale omessa» (Cass. sez. 3, 24/10/2017, n. 25112; Cass., sez. 3, 20/11/2020, n. 26516; Cass., sez. 2, 12/03/2021, n. 7064).
La responsabilità dell'avvocato non può, quindi, affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell'attività professionale, occorrendo verificare se l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente e se, ove il professionista avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, dovendosi altrimenti ritenere che tale responsabilità difetti.
6.2. La sentenza impugnata non ha affatto disatteso tali principi, avendo affermato che l'avvocato non contestava l'omissione addebitata (consistente nella mancata tempestiva notifica dell'opposizione a decreto ingiuntivo), ma che, «sulla scorta delle produzioni agli atti» e stante l'inammissibilità delle prove orali dedotte dal cliente, in quanto inidonee a provare l'assunto difensivo, «non poteva dirsi provato il buon diritto del Condominio».
Il Tribunale ha, quindi ritenuto, all'esito dell'esame del materiale probatorio offerto dal Condominio, che non fosse «possibile fare una valutazione prognostica circa il probabile esito dell'azione giudiziale non intrapresa», in tal modo escludendo che il Condominio potesse ragionevolmente attendere il risultato positivo dalla controversia giudiziale che il professionista avrebbe dovuto incardinare. Così motivando, il giudice del merito ha escluso che l'avvocato avesse a sua disposizione il materiale probatorio necessario per far ascrivere all'impresa appaltatrice la responsabilità dei vizi denunciati dal Condominio, concludendo che non era stata raggiunta la prova che l'esito favorevole della controversia, nell'ipotesi di condotta adempiente dell'avvocato, risultasse «più probabile che non».
6.3. Con le doglianze in esame il ricorrente contesta, in realtà, la valutazione delle prove operate dal Tribunale, ma in tal modo introduce inammissibili questioni di merito, considerato che mentre l'errore compiuto dal giudice di merito nell'individuare la regola giuridica in base alla quale accertare la sussistenza del nesso causale tra fatto illecito ed evento è censurabile in sede di legittimità ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., risulta, per converso, del tutto consolidato il principio per cui l'accertamento che senza la condotta omissiva contestata l'esito favorevole della lite auspicato dal cliente sarebbe stato conseguito costituisce indagine riservata al giudice di merito, come tale non censurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata e scevra da vizi logici e giuridici (Cass., sez. 2, 27/03/2006, n. 6967; Cass., sez. 3, 14/12/2010, n. 25234).
6.4. Inammissibile è, peraltro, anche la censura indirizzata ad evidenziare una presunta errata applicazione dei criteri di ripartizione dell'onere probatorio, in quanto il Tribunale non ha attribuito al Condominio l'onere di dimostrare la mancata esecuzione di opere extra contratto, ma si è piuttosto limitato a sottolineare che «la mancata esecuzione di opere extra contratto» si apprendeva esclusivamente dalla relazione di parte.
6.5. Parimenti inammissibile, per inosservanza del principio di autosufficienza di cui all'art. 360, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., è anche il motivo che si appunta sulla penale contrattuale, in difetto, a tacer d'altro, di trascrizione della clausola contrattuale del contratto di appalto posta a fondamento della domanda riconvenzionale svolta dall'avv. C. nell'atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo.
7. Infine, infondato è l'ottavo motivo, con il quale si denuncia un difetto assoluto di motivazione.
Il Tribunale ha osservato che la prova orale articolata non fosse idonea a supportare la tesi difensiva del Condominio, in tal modo evidenziando l'ininfluenza della stessa ai fini della decisione. Trattasi di argomentazione che, seppure sintetica, evidenzia le ragioni sottese alla decisione di non assumere i mezzi istruttori, e che non si pone in contrasto con l'affermazione contenuta nella ordinanza istruttoria del 12 ottobre 2007, trascritta in ricorso, posto che una prova può essere ritenuta superflua proprio perché inidonea a dimostrare la fondatezza della domanda.
Non è, pertanto, configurabile la grave anomalia argomentativa denunciata, che è ravvisabile solo quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., sez. U, 03/11/2016, n. 22232 e giurisprudenza ivi richiamata).
8. In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.