
La Cassazione risponde al quesito ricordando le tre regole applicative da osservare per individuare “l'exordium praescriptionis”.
In un giudizio avente ad oggetto la domanda risarcitoria proposta dagli eredi della de cuius nei confronti del Ministero della Salute per la patologia epatica contratta da quest'ultima a causa di un'emotrasfusione, gli istanti ricorrono in Cassazione lamentando, tra i motivi di doglianza, la violazione delle regole sulla prescrizione...
Svolgimento del processo
La Corte d'appello di Caltanisetta ha accolto parzialmente l'appello proposto da E.A. e G.A. avverso la decisione del Tribunale della stessa città che aveva ritenuto prescritta la domanda risarcitoria iure hereditatis proposta dai predetti, quali eredi di C C., nei confronti del Ministero della Salute per la patologia epatica derivata alla loro dante causa a causa della somministrazione di emoderivati praticatale il 1 aprile 1981 in occasione del parto cesareo e aveva rigettato perché non provata la domanda risarcitoria avanzata dagli stessi per i pregiudizi non patrimoniali patiti iure proprio; in particolare, la Corte di appello ha invece accolto quest'ultima domanda e condannato il Ministero della salute a risarcire il danno cagionato agli odierni ricorrenti iure proprio in conseguenza della morte della loro congiunta che ha liquidato, in via equitativa, per ciascuno, in Euro 165.960,00, oltre interessi e rivalutazione, oltre alle spese del doppio grado.
Avverso la sentenza d'appello, E.A. e G.A. propongono ricorso per cassazione sulla base di sei motivi di impugnazione; il Ministero della Salute resiste con controricorso e propone ricorso incidentale sulla base di due motivi.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell'art. 380-bis. l. c.p.c. Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni né le parti memorie.
Motivi della decisione
1. I ricorrenti lamentano, con i primi quattro motivi del ricorso principale "Vizi attinenti la violazione delle regole sulla prescrizione in tema di risarcimento iure hereditatis" ed in particolare, con il primo motivo la "Violazione e falsa applicazione degli articoli 2935 e 2947, comma 1, codice civile, in relazione all'art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c, con riferimento all'esatta individuazione del dies a quo dell'exordium praescriptionis". Sostengono che l'errore di diritto in cui è incorsa la Corte territoriale con la sentenza impugnata sta nell'aver individuato quale esordio della prescrizione il sol fatto che i sanitari avessero inserito nella relazione clinica il dato della trasfusione, senza indagare se detto inserimento fosse tale da consentire alla danneggiata di collegare causalmente la malattia (di "epatopatia cronica" diagnosticatale nel settembre 1990) alla trasfusione praticatale 9 anni prima.
Richiamano sul punto gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità (citando, tra le altre, Cass. Sez. 3 31/05/2018 n. 13745) e sottolineano, infine, che la de cuius, durante vita, non aveva conseguito alcuna consapevolezza dell'ascrivibilità del contagio alla trasfusione e non aveva potuto far valere il proprio diritto al risarcimento, tanto è vero che non si era neppure determinata a presentare domanda di indennizzo ex legge 210/1992.
2. Con il secondo motivo, "Violazione e falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c., e dell'art. 116 c.p.c. in relazione all'art. 360, comma primo, n. 3 e 4 c.p.c., con riferimento alla distribuzione dell'onere probatorio" i ricorrenti si dolgono che la Corte di appello abbia ritenuto prescritto il diritto e, in particolare, contestano il punto della motivazione (a pagina 5) ove ha ritenuto che le informazioni acquisite dalla defunta alla data del 29 settembre 1990 (in occasione della diagnosi di epatopatia) fossero senz'altro idonee a consentirle di mettere in relazione la patologia con l'emotrasfusione praticatale 9 anni prima. Con ciò, risultando la motivazione viziata sia con riferimento ai criteri di riparto fissati in tema di distribuzione dell'onere probatorio, sia con riferimento al ragionamento presuntivo. Contestano pure, in relazione all'art. 116 c.p.c., l'errore metodologico in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale allorquando ha attribuito rilevanza (ai fini dell'exordium prescriptionis) al solo dato anamnestico della subìta emotrasfusione contenuto nella relazione clinica del 1990. Ribadiscono che la de cuius ha praticato la trasfusione nel 1981 e solo dopo 9 anni (nel 1990) in una relazione clinica è stato inserito il dato anamnestico della subìta emotrasfusione. Sottolineano che la Corte di merito, basandosi solo su quel dato, non ha adeguatamente motivato la ragione in base alla quale ha ritenuto raggiunta la prova della consapevolezza, in capo alla stessa, dell'ascrivibilità della malattia alla trasfusione. Precisano, lungi dal denunciare la valutazione della prova (relazione clinica del 1990 - all.2 del fascicolo di primo grado e all.3.5 del fascicoletto-) da parte del giudice di merito, di contestare il metodo di giudizio adoperato dal giudice per compiere tale valutazione ai fini della decorrenza del dies quo per la prescrizione e, quindi, la violazione dei criteri ermeneutici utilizzati in punto di individuazione della decorrenza del termine di prescrizione.
3. Con il terzo motivo, "Violazione dell'art. 132 n. 4 c.p.c. in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c." i ricorrenti denunciano l'errar in procedendo in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale, motivando la decisione sulla base dell'errore metodologico compiuto e sopra meglio individuato con il precedente motivo.
4. Con il quarto motivo, "Omesso esame di un fatto decisivo principale oggetto di discussione tra le parti in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c." i ricorrenti lamentano che la Corte di appello non ha tenuto conto del fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, che la de cuius, durante vita, non aveva presentato domanda di indennizzo ex lege 210/1992.
s. Con il quinto motivo di ricorso, "Vizio attinente la violazione del risarcimento iure proprio" ed in particolare, la "Violazione e falsa applicazione dell'art. 116 c.p.c. in relazione all'art. 360, comma primo, n. 3 e 4 c.p.c, con riferimento alla corretta liquidazione del risarcimento iure proprio" i ricorrenti denunciano, non la errata valutazione della prova da parte del giudice di merito, ma contestano il metodo di giudizio adoperato dal giudice per compiere la liquidazione del danno parentale, negando gli aumenti a titolo di personalizzazione del danno.
6. Con il sesto motivo di ricorso, "Vizio attinente la liquidazione delle spese" ed in particolare la "Violazione e falsa applicazione degli articoli 4 e 5 del DM 140/2012 e dell'art. 4 del D.M. n. 55 del 10/03/2014 e s.m.i., in relazione all'art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c. con riferimento alla errata quantificazione dei compensi liquidati in favore del difensore", i ricorrenti denunciano che, nella liquidazione dei due gradi di giudizio, la Corte di appello, in violazione di legge, sia andata al di sotto dei minimi di legge previsti dagli scaglioni tariffari (D.M. 140 del 2002 e 55 del 2014).
7. Con il primo motivo del ricorso incidentale, il ministero resistente lamenta la "Violazione dell'art. 360/1 n. 3 e 4 c.p.c. Assenza di responsabilità in capo al Ministero. Violazione e falsa applicazione delle norme distributive delle competenze in materia e somministrazione di emoderivati - Violazione dell'art. 2043 c.c. - difetto del nesso causale"; in particolare, dopo aver compiuto un excursus normativo risalente agli anni 30' del secolo scorso, si duole dell'affermata responsabilità in capo al Ministero che sarebbe frutto di un'erronea interpretazione delle decisioni rese a Sezioni Unite della Corte di cassazione nn. 576, 579 e 584 del 2008 (secondo cui la conoscenza del possibile contagio HBV comportava la possibilità di prevenire HCV E HIV) e n. 581 del 2008 (avente ad oggetto un caso nel quale la patologia era derivata da molteplici contagi). Secondo il resistente va escluso che le valutazioni di carattere tecnico, laddove recepite nelle sentenze della Suprema Corte, anche a sezioni unite, possano solo per tale ragione, acquisire la natura e il rilievo di principi di diritto con anomali effetti di trascinamento della successiva giurisprudenza, tenuto conto che nella CTU disposta nella fattispecie in esame veniva esclusa "per il tempo in cui fu effettuata la trasfusione che fossero stati identificati trattamenti chimici o fisici termici atti ad assicurare l'inattivazione del virus su emocomponenti (e non sul sangue intero) divenuti disponibili solo a partire dal 1985".
8. Col secondo motivo la difesa erariale lamenta la "Violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 1223, 2699 e 2729 c.c. Violazione dell'art. 360. Motivazione apparente" in quanto la Corte di appello avrebbe ritenuto sussistente il danno iure proprio sulla base di presunzioni semplici, nonostante controparte non avesse offerto elementi utili idonei a provare lo sconvolgimento di vita tale da integrare il danno parentale come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità. Nella specie, l'allontanamento del figlio della de cuius dalla casa coniugale avrebbe giustificato, nei suoi confronti, una liquidazione differenziata del danno; infine, le allegazioni -pur indicate nell'atto introduttivo riguardo le condizioni psicologiche dei congiunti superstiti- sono rimaste sfornite di prova.
9. Per ragioni di ordine logico, vanno anzi tutto scrutinati i motivi di ricorso incidentale proposti dal Ministero resistente.
9.1. Il primo motivo così come prospettato sopra sinteticamente riassunto va disatteso.
Come già ripetutamente affermato da questa Corte, con indirizzo cui si intende dare continuità e ribadire nel caso di specie, in caso di patologie conseguenti ad infezione da virus HBV, HIV e HCV, contratte a seguito di emotrasfusioni, la responsabilità del Ministero della salute anche per le trasfusioni eseguite in epoca anteriore alla conoscenza scientifica di tali virus e all'apprestamento dei relativi test identificativi è configurabile già a partire dal 1° gennaio 1968, posto che solo con la I. n. 592 del 1967 (che ha attribuito al Ministero specifiche funzioni in materia di "raccolta, conservazione e distribuzione del sangue umano") vennero enucleati gli obblighi di cautela la cui violazione è suscettibile di fondare la condotta omissiva colposa del Ministero medesimo, e tenuto conto del lasso di tempo ragionevolmente occorrente per organizzare le attività di vigilanza e controllo (in tal senso, da ultimo, Cass. Sez. 3, n. 14748 10/05/2022; e in senso conforme, Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 21145 del 22/07/2021; Cass. Sez. 3 n. 1566 del 22/01/2019 Cass. Sez. 3 13/07/2018 n. 18520).
9.2. Il secondo motivo del ricorso incidentale è inammissibile quanto alle lamentate violazioni e false applicazioni di norme e non fondato quanto al vizio di apparente motivazione lamentato.
È inammissibile poiché, ad onta della sua formale intestazione, attiene a profili di fatto ed invoca una rivalutazione delle risultanze istruttorie al fine di suscitare dalla Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito in contrapposizione a quello motivatamente formulato dalla Corte di appello.
Esso è pure infondato tenuto conto che il vizio di apparente motivazione non sussiste.
La Corte nissena, nel legittimo esercizio del potere riservato al giudice di merito, ha correttamente ritenuto provati i danni patiti iure proprio dai congiunti in conseguenza della privazione del loro rapporto parentale con la vittima sia sulla base delle nozioni di comune esperienza sia in ragione dell'assenza di prova in senso contrario da parte del convenuto (sentenza impugnata pag. 13).
10. Venendo all'esame del ricorso principale, il primo motivo è fondato e meritevole di accoglimento.
10.1. Questa Corte ha già ripetutamente affermato che "il diritto al risarcimento di danni alla salute lungolatenti o ad esordio occulto (come nel caso di contagio o di patologie silenti) inizia a prescriversi dal momento in cui il danneggiato, con la diligenza esigibile non da lui, ma dall'uomo medio, possa avvedersi sia di essere malato, sia che la causa della malattia fu la condotta illecita di un terzo" (per tutte, in tal senso, Sez. U, Sentenza n.
576 del 11/01/2008, Rv. 600901 - 01; così, testualmente, ancora di recente, Cass. Sez. 3 28/06/2019 n. 17421).
Nel richiamato precedente, è stato anche affermato che "l'individuazione dell'exordium praescriptionis in base al principio appena ricordato deve avvenire osservando tre regole applicative, tutte e tre già stabilite da questa Corte.
La prima regola è che quando la persona contagiata da emotrasfusione presenti la domanda amministrativa di concessione dell'indennizzo previsto dalla legge 25.2.1992 n. 210, dimostra per ciò solo di essere consapevole sia della sua malattia sia della causa di essa. Pertanto, tale consapevolezza deve presumersi in capo alla vittima, ex art. 2727 c.c., almeno dal momento di presentazione della suddetta domanda.
La seconda regola è che, una volta dimostrata dalla vittima la data di presentazione della domanda amministrativa di concessione dell'indennizzo ex lege 210/92, l'onere di provare che il danneggiato avesse acquisito la consapevolezza dell'esistenza del contagio, e della sua derivazione causale dalla trasfusione, già prima dell'inoltro della suddetta domanda amministrativa di indennizzo, è ribaltato sulla parte che si oppone alla domanda di risarcimento. Tale prova, ovviamente, potrà essere fornita con ogni mezzo, ivi comprese le presunzioni semplici, alle condizioni e nei limiti stabiliti dagli artt. 2727 e 2729 c.c..
La terza regola è che la prova presuntiva della previa conoscenza o conoscibilità, in capo alla vittima, della malattia e delle sue cause, non può mai ridursi ad una mera congettura od illazione.
La prova presuntiva, infatti, è "una deduzione logica; si deve fondare su fatti certi"; si può dedurre da questi sulla base di massime d'esperienza o dell'id quod plerumque accidit. "La congettura, invece, è una mera supposizione che si fonda su fatti incerti" e viene dedotta da questi in via di semplice ipotesi (ex multis, Sez. 3 - , Ordinanza n. 6387 del 15/03/2018, Rv. 648463 - 02; Sez. L, Sentenza n. 14620 del 28/12/1999, Rv. 532551 - 01; così, ancora, testualmente Cass. Sez. 3 28/06/2019 n. 17421e Cass. Sez. 3 28/06/2019 n. 17421).
10.2. Giova richiamare inoltre il principio di diritto espresso da questa Corte e debitamente evidenziato anche dalla parte ricorrente, secondo cui il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto per contagio da emotrasfusioni una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo, decorre dal giorno in cui tale malattia venga percepita - o possa essere percepita usando l'ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche - quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo. Incorre, pertanto, in un errore di sussunzione e, dunque, nella falsa applicazione dell'art.2935 c.c., il giudice di merito che, ai fini della determinazione della decorrenza del termine di prescrizione, ritenga tale conoscenza conseguita o, comunque, conseguibile, da parte del paziente, pur in difetto di informazioni idonee a consentirgli di collegare causalmente la propria patologia alla trasfusione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che la dichiarazione anamnestica con la quale il paziente privo di conoscenze mediche - rispondendo ad una non meglio identificata interrogazione del sanitario ed in mancanza di specifiche indicazioni nel referto circa la causa della malattia epatica diagnosticatagli - aveva fatto riferimento ad una trasfusione a cui si era sottoposto quindici anni prima, non integrasse il presupposto, rilevante ai fini della decorrenza del termine di prescrizione, della percezione da parte dello stesso paziente, della riconducibilità causale della patologia alla trasfusione: Cass. Sez. 3 n. 13745 del 2018, cit.; in senso conforme, Cass. Sez. 3 27/09/2019 n.24164).
10.3. Facendo applicazione dei richiamati principi, va sottolineato che, se è vero che il dies a quo della prescrizione non può essere identificato - unitariamente e per tutti i soggetti che hanno subito il contagio- nel giorno della presentazione della domanda per la corresponsione dell'indennizzo, in quanto esso costituisce, come veduto, regola presuntiva individuata dal diritto vivente di questa Corte, è altrettanto vero che, nella specie, risulta come circostanza peculiare e pacifica che la vittima non avesse neppure proposto, in vita, la domanda amministrativa per l'indennizzo, che, quindi, del tutto incerto fosse il tempo al quale risalire in termini di consapevolezza della predetta sia in ordine alla sua malattia sia in ordine alla causa di essa.
10.4. La Corte di appello ha ritenuto fornita detta prova, in via presuntiva, e ha ritenuto di desumere il fatto ignoto della conoscenza o della conoscibilità della causa della malattia in capo alla danneggiata da un unico fatto noto: da una relazione clinica dell'Istituto di Medicina generale e Pneumologia dell'Università degli studi di Palermo (facente parte della documentazione sanitaria prodotta in atti dai congiunti della vittima) relativa al ricovero cui la predetta si sottopose nei giorni 28 e 29 settembre 1990. Nella richiamata relazione «si legge "epatite cronica a moderata attività. La paziente con ipertransaminasemia da oltre 6 mesi, valori fino a 10 volte la norma e posititività per AMA 1/80, si è ricoverata per una valutazione istologica dell'epatopatia cronica. Nel 1981 ha praticato una emotrasfusione in corso di parto cesareo (...)"» e ha concluso: «Risulta I dunque documentato che, nel settembre del 1990, la defunta signora C., oltre ad avere ricevuto una diagnosi di epatite cronica, è stata messa al corrente di una probabile relazione tra la patologia e la trasfusione praticatale 9 anni prima» e che «In ogni caso, anche a voler ipotizzare che il testuale riferimento alla trasfusione del 1981 non fosse stato percepito dalla C. come indicativo di un'evidente relazione causale tra la trasfusione stessa e il contagio, la signora avrebbe dovuto comunque diligentemente attivarsi» (v. pag. 4 e 5 della sentenza impugnata).
10.5. Il "fatto storico", per come ricostruito dalla Corte territoriale, non appare rispettoso dei princìpi richiamati, alla luce dei quali va invece ricostruito in termini di percezione ed anche solo di percepibilità da parte della signora C. - in occasione della diagnosi di epatopatia cronica del 1990 - della riconducibilità sul piano causale della malattia diagnosticatale alla trasfusione alla quale, nove anni prima, si era dovuta sottoporre e, dunque, ad un evento che poteva consentirle di individuare come responsabile il Ministero.
Non risulta, pertanto, conforme a diritto (né alla consolidata giurisprudenza di questa Corte) equiparare la mera diagnosi (nel caso in esame, di generica epatopatia cronica) alla consapevolezza in capo alla vittima della riferibilità di essa alla trasfusione, in mancanza di altri elementi e senza alcun ulteriore approfondimento riguardo al fatto se, in occasione della predetta diagnosi, la vittima fosse stata in qualche modo messa sull'avviso circa una qualche importanza, se non della rilevanza, della pregressa trasfusione, in relazione alla condizione che dopo l'anamnesi e la eventuale visita le si diagnosticò. Nulla è dato sapere dalla sentenza impugnata, una volta comunicata la diagnosi, riguardo alla percepibilità da parte della C. della ascrivibilità della malattia diagnosticatale alla trasfusione, anche in relazione all'onere di diligenza posto a suo carico.
Onere che sarebbe potuto scattare solo se fossero state fornite dal sanitario nel referto informazioni atte a consentire all'interessata il collegamento con la causa della patologia o se ella fosse stata posta in condizione di assumere tali conoscenze. In mancanza di tali informazioni ha errato in iure la Corte territoriale a desumere dal dato della mera anamnesi e dalla mera annotazione della precedente trasfusione l'acquisizione da parte della vittima della necessaria consapevolezza; essa, pur in mancanza di tali informazioni, sarebbe stata configurabile solo se la C. avesse avuto e si fosse dimostrato che avesse un livello di conoscenze mediche tali da porla in condizione di ricollegare la malattia diagnosticatale alla trasfusione. In tale ambito, va sottolineato che la valutazione istologica è precedente alla stessa legge n. 210 del 1992, con le necessarie ricadute in termini di conoscibilità della patologia e della sua riconducibilità alla trasfusione.
Va quindi ribadito che la consapevolezza idonea a far decorrere il termine di prescrizione è da apprezzarsi tenendo conto che per il quivis de populo il naturale mediatore della conoscibilità e della riconducibilità non può che essere l'indicazione del medico e, pertanto, di norma, deve ritenersi che occorra che il collegamento sia frutto di tale specifica indicazione.
Per altro verso, manca del tutto, nella motivazione della sentenza impugnata, ogni riferimento (che sarebbe risultato già di per sé decisivo, sul piano della prova presuntiva) al fatto storico della omessa richiesta di indennizzo ante mortem da parte della donna.
Dall'accoglimento del primo motivo, discende l'assorbimento del secondo, terzo e quarto.
11. Il quinto motivo del ricorso principale va disatteso.
Nello specifico, parte ricorrente non contesta l'applicazione delle Tabelle milanesi (Cass. Sez. 3 21/04/2021 n. 10579; in senso conforme Cass. Sez. 3 - 29/09/2021 n. 26300) ma lamenta che la Corte territoriale "pur prendendo come riferimento, ai fini della liquidazione del danno le Tabelle elaborate dall'Osservatorio per la giustizia civile di Milano", non avrebbe operato con "prudente apprezzamento" ai fini della liquidazione allorquando ha negato gli aumenti a titolo di personalizzazione del danno.
Ad onta della sua formale intestazione, la doglianza attiene a profili di fatto ed invoca una rivalutazione delle risultanze istruttorie al fine di suscitare dalla Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito in contrapposizione a quello motivatamente formulato dalla Corte di appello, rivalutazione inammissibile in questa sede, oltre a porsi in frontale contrasto con i principi univocamente affermati da questa Corte, a partire dalla sentenza n. 7513 del 2018, in tema di personalizzazione del danno.
12. Dall'accoglimento del primo motivo di ricorso, discende pure l'assorbimento del sesto in tema liquidazione delle spese di lite.
13. In conclusione, il ricorso incidentale va rigettato e va accolto quello principale limitatamente al primo motivo, assorbiti secondo terzo e quarto motivo, rigettato il quinto e assorbito il sesto motivo; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e il procedimento va rinviato alla Corte di appello di Caltanisetta, in diversa composizione, che provvederà secondo i principi sopra ricordati, e anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso incidentale e accoglie quello principale limitatamente al primo motivo, assorbiti secondo, terzo e quarto motivo, rigettato il quinto e assorbito il sesto motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di appello di Caltanisetta, in diversa composizione, che provvederà secondo i principi sopra ricordati e anche sulle spese del giudizio di legittimità.