L'azione di garanzia per vizi della cosa venduta si riferisce solo ai vizi che già esistevano al momento della conclusione del contratto e la relativa azione abilita il compratore a chiedere, a sua scelta, la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo.
La vicenda trae origine dall'acquisto da parte dell'attore di un immobile all'interno del quale, a distanza di mesi, si erano manifestate delle infiltrazioni d'acqua e di umido per via delle piogge abbondanti. Per questa ragione, l'attore agiva in giudizio chiedendo la riduzione del prezzo e la condanna degli alienanti al pagamento di un importo pari alle...
Svolgimento del processo
1. S. C. L., sulla premessa di aver acquistato, in data 28.7.2004, da M. e M. G. L. un appartamento in B., Via S. XX, ha dedotto che, a distanza di alcuni mesi, si erano manifestate infiltrazioni di acqua e di umido a causa delle abbondanti piogge verificatesi il 7 e l’8 ottobre 2005. Ha chiesto la riduzione del prezzo e la condanna dei convenuti al pagamento di € 6194,71, pari all’importo delle quote condominiali per i lavori straordinari deliberati dall’assemblea per eliminare le cause dei difetti.
I convenuti hanno resistito, eccependo l’intervenuta decadenza dalla garanzia; hanno poi dedotto che i vizi erano sopravvenuti rispetto al perfezionamento della vendita, come provava il fatto che il Condominio aveva già eseguito interventi al tetto, eliminando possibili difetti di costruzione. Il bene era stato inoltre acquistato con la clausola visto e piaciuto e con l’accordo che eventuali spese straordinarie deliberate dopo la vendita sarebbe rimaste a carico dell’acquirente, non potendo la venditrice rispondere dei costi di riparazione.
Espletata l’istruttoria, con acquisizione di documenti e con l’assunzione delle testimonianze, all’esito il tribunale ha accolto la domanda, regolando le spese.
L’appello di M. e M.G. L. è stato respinto dalla Corte di Bologna con sentenza n. 2295/2017.
Il giudice territoriale, rilevato che le spese straordinarie di rifacimento del tetto comune, da cui provenivano le infiltrazioni, erano state sostenute dall’acquirente per le corrispondenti quote millesimali, e che effettivamente nell’ottobre 2005 si erano manifestati infiltrazioni di acqua piovane nell’appartamento compravenduto, ha confermato la responsabilità dei convenuti per i difetti lamentati in giudizio.
Ribadita la tempestività della denuncia, in relazione al termine di otto giorni decorrente dalla scoperta dei vizi, la pronuncia ha escluso che il tribunale avesse nei fatti attribuito un risarcimento e non una semplice riduzione del prezzo, sostenendo che le due distinte poste venivano solo quantitativamente a coincidere.
La cassazione della sentenza è chiesta dalla M. e M. G.L. con ricorso in otto motivi, cui resiste con controricorso C. L. S..
Motivi della decisione
1. Il primo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360, comma primo, n 5 c.p.c., per aver il giudice di merito effettuato una lettura parziale della clausola sub 8) del contratto, omettendo di esaminare l’atto nella parte in cui poneva a carico dell’acquirente le spese condominiali straordinarie deliberate dopo il perfezionamento della vendita.
Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per aver il giudice d’appello confermato la condanna dei venditori alla restituzione di parte del prezzo, senza valutare le risultanze processuali e - segnatamente - la clausola con cui le spese straordinarie deliberate dopo la vendita era poste a carico dell’acquirente, clausola che non era legittimo disapplicare, avendo il contratto forza di legge tra le parti.
Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 1487, 1490 e 1372 c.c., lamentando che la Corte di merito non abbia considerato che, con la clausola di riparto delle spese straordinarie, i contraenti avevano inteso introdurre una clausola di esclusione della responsabilità dei venditori, avendo essi già precedentemente sostenuto le spese per il rifacimento del tetto.
I tre motivi, che, per la loro stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
La denuncia di omesso esame della clausola di accollo delle spese condominiali straordinarie ex art. 360 n. 5 c.p.c. , da intendersi come esclusione convenzionale della garanzia per vizi, è preclusa dalla previsione dell’art. 348 ter, comma IV e V c.p.c., essendo indubbio che la sentenza si fondi sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione di primo grado (cd. doppia conforme), quanto in particolare all’incondizionata applicabilità delle norme sulla garanzia per vizi e – dunque - all’assenza di previsioni negoziali limitative della responsabilità della venditrice.
Come si evidenzia anche nel ricorso (cfr. pag. 8), già il tribunale aveva ritenuto che la pattuizione non disciplinasse la garanzia per vizi dell’immobile compravenduto. La Corte d’appello, nel ritenere operante – senza limitazioni o condizioni – il regime della garanzia, ha assunto in proposito conclusioni del tutto conformi a quelle espresse nella sentenza di primo grado.
Nell’asserire che il giudice distrettuale avrebbe amputato il contenuto della clausola, denunciando l’omesso esame dell’effettivo contenuto della pattuizione, si solleva in realtà una mera questione di interpretazione negoziale, tema che esula dall’ambito applicativo dell’art. 360, comma primo, n. 5 c.p.c., proponendo di stabilire che le parti avessero in tal modo inteso introdurre una limitazione della responsabilità della venditrice.
La sentenza, specificando che, in forza della previsione contrattuale, erano a carico dell’alienante le spese deliberate prima della vendita, ne ha riportato il significato complessivo, conseguendone logicamente che le spese successive, come previsto dalla pattuizione e come sostengono i ricorrenti, fossero invece poste a carico dell’acquirente.
La censura è comunque priva di decisività.
La clausola di accollo a carico dell’acquirente delle spese condominiali straordinarie non poteva che avere ad oggetto le obbligazioni che competono ai singoli condomini in virtù della comproprietà delle cose comuni, trovando titolo nelle delibere assembleari di approvazione delle spese, senza alcuna attinenza al tema alla corretta attuazione dell’effetto traslativo che scaturisce dalla vendita e che trova nel contratto il titolo esclusivo che legittima l’esercizio delle azioni di garanzia.
2. Il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 2697 e 1490 c.c., per aver la sentenza ritenuto sussistente l’obbligo di garanzia per vizi della cosa, pur mancando prova che i difetti dell’immobili fossero già esistenti al momento della vendita, circostanza che era onere del compratore dimostrare, dovendosi considerare che dopo la stipula del contratto erano già state eseguite riparazioni del tetto, ossia prima che si verificassero i fenomeni di infiltrazione di acqua a causa delle abbondanti piogge verificatesi nell’ottobre 2006 – a distanza di 14 mesi dalla vendita - e che prima di allora non si era verificato alcun danno o fenomeno analogo a quello denunciato.
Si assume che la preesistenza dei vizi non poteva ritenersi oggetto di una presunzione ricavabile dall’art. 1490 c.c., come infondatamente ritenuto dalla Corte di merito.
Il quinto motivo denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per aver la sentenza ritenuto provata la sussistenza dei vizi preesistenti alla vendita in totale carenza di prova.
I due motivi, che possono essere decisi contestualmente, sono fondati.
L’azione di garanzia per i vizi della cosa venduta si distingue dall’azione di adempimento o di esatto adempimento della vendita per i presupposti e per gli effetti: la garanzia si riferisce solo ai vizi che esistevano già prima della conclusione del contratto e la relativa azione abilita normalmente il compratore a chiedere, a sua scelta, la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo; laddove ogni vizio posteriore alla conclusione del contratto può dar luogo solo all'esatto adempimento della obbligazione di consegnare e rendere esperibile l'ordinaria azione contrattuale di risoluzione o di adempimento, la quale prescinde dai termini di decadenza o di prescrizione cui è soggetta l'azione di garanzia (Cass. 4382/1985; Cass. 4980/1983; Cass. 1438/1974 ed altre).
La prova della preesistenza dei vizi al momento del contratto grava – quindi - sul compratore (Cass. 3413/1980; Cass. 2841/1974), in coerenza con il principio per cui l'obbligo di garanzia dà luogo ad una responsabilità speciale interamente disciplinata dalle norme sulla vendita, che pone il venditore in situazione non tanto di obbligazione, quanto di soggezione, esponendolo all'iniziativa del compratore, intesa alla modificazione del contratto od alla sua caducazione mediante l'esperimento, rispettivamente, della "actio quanti minoris" o della "actio redibitoria". Ne consegue che, essendo dette azioni fondate sul solo dato obiettivo dell'esistenza di vizi, indipendentemente da ogni giudizio di colpevolezza, l'onere della relativa prova grava sul compratore, non trovando applicazione i principi relativi all'inesatto adempimento nelle ordinarie azioni di risoluzione e risarcimento danno e le regole probatorie enunciate da Cass. s.u. 13533/2001 (Cass. 9960/2022; Cass. s.u. 11748/2019; Cass. 18125/2013; Cass. 13695/2007).
Da tale principio si è tuttavia discostato il giudice distrettuale, avendo ritenuto che l’art. 1490 c.c. ponga una presunzione legale di “derivazione del fatto dannoso da epoca anteriore o coeva a quella della vendita”, travisando un orientamento di questa Corte che ricollega alla denuncia, effettuata al momento della consegna della merce, una mera presunzione di fatto della preesistenza dei vizi, presunzione che scaturisce solo dalla contestualità e dalla particolare tempistica della denuncia stessa e non direttamente dall’art. 1490 c.c. (cfr. Cass. 2841/1974; Cass. 3413/1980).
Non era quindi “la tempestività della denuncia e dell’esercizio dell’azione” a poter dimostrare, in via indiziaria, la preesistenza dei vizi, considerato che - come ha dato atto il giudice distrettuale – i fenomeni di infiltrazione si erano verificati a distanza di tempo rispetto al contratto e all’immissione in possesso e che solo dopo molti mesi erano stati denunciati dall’acquirente (cfr. sentenza, pag. 3).
Si profila – per le ragioni esposte - la non corretta applicazione del criterio dell’onere della prova, non competendo ai venditori dimostrare che i vizi erano derivanti da cause sopravvenute rispetto alla vendita, come invece ritenuto dal giudice distrettuale, e non sussistendo alcuna presunzione legale relativa di anteriorità dei difetti rispetto alla vendita (o alla consegna).
3. Il sesto motivo denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. 1495 c.c., per aver la sentenza ritenuto tempestiva la denuncia dei vizi, non considerando che una volta stabilito che tali difetti preesistevano alla vendita, essi si erano manifestati già nel corso del 2005, sicché la loro denuncia doveva considerarsi tardiva. Il motivo è assorbito, dovendo il giudice del rinvio nuovamente valutare l’eventuale preesistenza dei vizi rispetto alla consegna, dipendendo da tale accertamento la possibilità dell’acquirente di avvalersi della garanzia e di ottenere la riduzione del prezzo.
4. Il settimo motivo denuncia la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., contestando alla Corte distrettuale di aver quantificato la riduzione del prezzo sulla base della mera verificazione dei fenomeni di infiltrazione, senza accertare l’effettivo minor valore del bene a seguito delle violazioni contestate. Si assume che in corso di causa non era stata espletata alcuna c.t.u. e che la pronuncia avrebbe riconosciuto un importo pari alla quota di concorso nella spesa per il rifacimento di un tetto nuovo, anziché per il ripristino di quello precedente.
L’ottavo motivo denuncia la violazione dell’art. 1490 c.p.c., lamentando che la sentenza abbia ritenuto applicabile il regime della garanzia per vizi in difetto delle condizioni di legge, stante l’assenza di un’effettiva e riscontrabile riduzione di valore dell’immobile alienato.
I due motivi non meritano di essere condivisi.
Riguardo al profilo dell’insussistenza di un’effettiva riduzione del valore dell’immobile, la sentenza ha stabilito che, attraverso il rimborso di quanto speso per impedire che l’immobile rimanesse esposto ad ulteriori episodi di danneggiamento, si era ripristinato il riequilibrio tra l’ammontare del prezzo e il valore del bene, esprimendo quel costo l’entità della menomazione che il valore effettivo del bene aveva subito a causa dei vizi.
La riduzione del prezzo deve – difatti - porre il compratore nella situazione economica equivalente a quella in cui si sarebbe trovato se la cosa fosse stata immune da vizi e pertanto va quantificata in un importo pari al minor prezzo che il compratore avrebbe pagato ove avesse avuto conoscenza dei vizi, potendosi identificare anche con la somma occorrente per porre il bene in condizioni di normale conservazione.
Non appare dunque carente l’accertamento dell’entità dell’effettiva riduzione, operata dal giudice di merito: il costo della riparazione è stato preso in considerazione come semplice criterio equitativo — avuto riguardo a tutti gli elementi acquisiti e con riferimento, in particolare, alle caratteristiche ed alla natura del bene venduto ed alla ridotta capacità di soddisfare le aspettative dell'acquirente — in modo da ristabilire l'equilibrio economico tra le prestazioni contrattuali e per determinare la minore utilità e il minor valore ottenuto dall’acquirente (Cass. 12852/2008 in motivazione).
L’entità della riduzione non doveva essere necessariamente rapportata al valore del tetto preesistente, non trattandosi di ripristinare semplicemente lo stato dell’immobile nelle condizioni precedenti al verificarsi dei fenomeni, ma di ricomporre l’equilibrio tra il valore del bene e il prezzo, nei termini inizialmente fissati dai contraenti.
Ricorrevano – sotto tale profilo - tutte le condizioni di legge per l’applicazione della disciplina della garanzia nella vendita, data l’accertata sussistenza della riduzione di valore dell’immobile.
Sono quindi accolti il quarto e quinto motivo di ricorso, rigettati il primo, secondo, terzo, settimo e ottavo motivo e dichiarato assorbito il sesto.
La sentenza è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il quarto e quinto motivo di ricorso, rigetta il primo, il secondo, il terzo, il settimo e l’ottavo e dichiara assorbito il sesto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.