Nel caso di specie, la documentazione era stata consegnata due settimane prima della scadenza del termine e la cliente aveva comunicato all'avvocato di non voler impugnare la pronuncia. Il professionista è comunque tenuto ad informare la parte sulle conseguenze della scelta effettuata.
Il Tribunale accoglieva la domanda di un avvocato e condannava la cliente al pagamento del compenso professionale relativo ad un giudizio di lavoro. Veniva, invece, rigettata la domanda dell'assistita volta ad ottenere una condanna per responsabilità professionale formulata sul presupposto che l'avvocato le avesse restituito...
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. F.A. propone ricorso articolato in unico motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 134 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c.) avverso l’ordinanza resa il 10 giugno 2021 dal Tribunale di Vicenza ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011.
2. Resiste con controricorso l’avvocato M.G.B..
3. Il Tribunale di Vicenza, per quanto qui rileva, ha accolto la domanda dell’avvocato M.G.B. e condannato F.A. al pagamento del compenso professionale, pari ad € 7.029,86 (detratto l’acconto versato di € 2.126,88), inerente ad un giudizio di lavoro (nel quale il B. era stato il terzo difensore subentrato ai precedenti incaricati dalla A.), definito con sentenza del 3 maggio 2018 dal Tribunale di Vicenza con rigetto delle domande della attrice A..
Il Tribunale di Vicenza, rigettando le “domande ed eccezioni anche riconvenzionali della resistente”, nell’ordinanza qui impugnata, ha peraltro affermato:
“[L]a resistente formula poi un’ipotesi di addebito di responsabilità professionale (o genericamente extracontrattuale) per la mancata tempestiva restituzione del fascicolo di parte che avrebbe indotto la decadenza dall’impugnativa. Assume al riguardo che il fascicolo sarebbe stato restituito non prima del 1° novembre 2018, di modo che avrebbe avuto a disposizione per l’appello soltanto quattro giorni, di cui due festivi (il 1° novembre e la domenica antecedente a lunedì 5 novembre).
Anche tale doglianza pare pretestuosa. Va premesso che dalla documentazione allegata dal ricorrente (cfr. in particolare doc. 2) risulta che la sentenza fosse stata comunicata e registrata in data 15.05.2018, di modo che il termine “lungo” semestrale (ex art. 327 c.p.c.) sarebbe semmai scaduto in data 15.11.2018 e non in data 05.11.2018 (come rileva il ricorrente a pag. 4 delle note difensive autorizzate). Per di più la sig.ra A., in data 6 agosto 2018, comunicava al legale (doc. 8 ricorrente) “...ho riflettuto attentamente, ed ho deciso di non proseguire oltre con la causa”. Se è pur vero che l’interessata avrebbe pur sempre avuto facoltà di mutare opinione (magari dopo essersi consultata con un diverso legale) e decidere di proporre l’impugnativa, nondimeno l’evenienza appare più che altro utilizzata come pretesto per non versare alcunché (oltre al semplice acconto) all’avv. B., opponendo una domanda riconvenzionale (subordinata) di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale o da responsabilità extracontrattuale, per pretesi danni indicati in modo del tutto generico ed evanescente. Tanto più che, se l’intenzione (re melius perpensa) di proseguire il giudizio fosse stata autentica, la (ex) cliente ben avrebbe potuto (forse più efficacemente) coltivarla con un nuovo giudizio (il possibile credito ex art. 230 bis c.c. non sarebbe stato precluso dalla sentenza del Giudice del Lavoro, che non costituiva rigetto nel merito della possibile diversa causa petendi e così un giudicato assorbente)”.
4. Il motivo del ricorso di F.A., ritenendo violato l’art. 134 c.p.c., relativo a forma, contenuto e comunicazione dell’ordinanza, critica la frase della decisione impugnata secondo cui: “Assume (la resistente) al riguardo che il fascicolo sarebbe stato restituito non prima dell’1 novembre 2018…..”, sostenendo che in tal modo “il Tribunale ha travisato quanto dedotto da parte resistente, la quale ha solo prospettato, in via ipotetica, ma mai ammesso, di aver ricevuto il fascicolo”. Solo con messaggio del 31 dicembre 2018 il fascicolo sarebbe stato effettivamente restituito, quando il termine per appellare era comunque scaduto.
5. Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato inammissibile, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 1), c.p.c., il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
6. Il motivo di ricorso è carente di completezza e riferibilità alla complessiva ratio decidendi dell’ordinanza impugnata (art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c.), in quanto non esamina l'intero contesto dell'iter argomentativo svolto dal Tribunale, limitandosi ad estrapolare una singola espressione contenuta nella pronuncia (“Assume [la resistente] al riguardo che il fascicolo sarebbe stato restituito non prima dell’1 novembre 2018…..”), per sostenere che si supponesse così un fatto la cui verità è esclusa, senza però leggere tale espressione nell’impianto complessivo della pronuncia.
6.1. Nel vigore del testo dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., introdotto dal d.l. n. 83 del 2012, convertito con modifiche nella legge n. 134 del 2012, non è più configurabile il vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, costituendo, piuttosto, vizio di nullità della sentenza ai sensi del n. 4) del medesimo art. 360 c.p.c. le ipotesi di "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", "motivazione apparente", "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile" (Cass. Sez. Unite, 07/04/2014, n. 8053). L’ordinanza del Tribunale di Vicenza contiene, allora, le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione.
6.2. Non vi è qui questione sull’obbligo dell’avvocato, se richiesto, di restituire senza ritardo gli atti ed i documenti ricevuti dal cliente e dalla parte assistita per l’espletamento dell’incarico e consegnare loro copia di tutti gli atti e documenti, anche provenienti da terzi, concernenti l’oggetto del mandato e l’esecuzione dello stesso sia in sede stragiudiziale che giudiziale (art. 33 del codice deontologico forense e art. 66 del R.D.L. del 27 novembre 1933 n. 1578; cfr. Cass. Sez. Unite, 08/02/2011, n. 3033).
E’ poi certo che l'avvocato, nell'adempimento della propria prestazione professionale, è tenuto ad informare il cliente sulle conseguenze del compimento o del mancato compimento degli atti del processo, ad esempio con riferimento alla proposizione di una impugnazione avverso una pronuncia sfavorevole, e, se del caso, a sollecitarlo nel compimento di essi ovvero, sussistendo le condizioni, a dissuaderlo della loro esecuzione.
Ove sia così addebitabile all’avvocato un errore professionale per non aver informato il cliente sulle conseguenze della mancata impugnazione di una sentenza sfavorevole, o per non aver posto in condizione di sperimentare utilmente tale facoltà anche avvalendosi di altro difensore, restituendo per tempo atti e documenti, la prestazione professionale può dirsi inadempiuta e tale inadempimento, se eccepito, paralizza la pretesa del compenso azionata dal legale (ad esempio, Cass. Sez. 3, 20/11/2009, n. 24544; Cass. Sez. 3, 26/02/2013, n. 4781; Cass. Sez. 3, 23/03/2017, n. 7410). E’ ipotizzabile anche una responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per un siffatto negligente svolgimento dell'attività professionale, ove sia provato il danno ed il nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente (Cass. Sez. 3, 06/07/2020, n. 13873).
6.3. Il Tribunale di Vicenza ha allora motivatamente negato la configurabilità di una responsabilità professionale dell’avvocato M.G.B. (o genericamente extracontrattuale) non solo sulla base della supposizione, ritenuta erronea dalla ricorrente, che il fascicolo sarebbe stato comunque restituito il 1° novembre 2018, quando mancavano ancora quattordici giorni alla scadenza del termine per appellare, ma anche perché la cliente A., in data 6 agosto 2018, aveva comunicato al legale la propria intenzione di non proporre impugnazione avverso la sentenza sfavorevole. Il Tribunale ha altresì valutato, alla stregua di criteri probabilistici, che la A. avrebbe potuto più utilmente conseguire il riconoscimento delle proprie ragioni non proponendo appello, ma promuovendo un nuovo giudizio per il credito ex art. 230 bis c.c.
L’ordinanza del Tribunale, pertanto, si basava su tre distinte "rationes decidendi", ciascuna di per sé sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, con il conseguente onere della ricorrente di impugnarle tutte, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione.
7. Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’importo liquidato in dispositivo.
Deve respingersi l’istanza del controricorrente di “emettere provvedimento di condanna ai sensi dell’art. 96, comma III, C.p.c. a carico della Signora A.F., liquidato ex officio anche equitativamente per abuso dello strumento processuale”. Non risultano accertate la mala fede o la colpa grave della ricorrente soccombente, ai fini della condanna al risarcimento dei danni da responsabilità aggravata ex art. 96 comma 3 c.p.c., sub specie di pretestuosità dell'iniziativa giudiziaria per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, ovvero di palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 2.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.