A tal fine è necessaria infatti la prova che, a causa di un'infermità transitoria o permanente o di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto al momento della redazione del testamento della coscienza dei suoi atti o della capacità di autodeterminarsi.
L'attore chiedeva in giudizio la divisione di un immobile oggetto di una successione testamentaria lasciato indivisamente alle tre figlie della de cuius. Le sorelle dell'attrice si costituivano in giudizio chiedendo in via riconvenzionale l'annullamento del testamento per incapacità naturale della madre e, in subordine, la riduzione delle...
Svolgimento del processo
-G. G. ha chiamato in giudizio le sorelle G. L. e G. M. R. e, in relazione alla successione testamentaria della comune madre B. S., ha chiesto la divisione di un immobile, che la testatrice aveva lasciato indivisamente alle tre figlie (un ulteriore cespite era stato lasciato alla sola G. G.);
-le convenute, costituendosi, hanno chiesto in riconvenzionale disporsi l’annullamento del testamento per incapacità naturale della testatrice;
-in subordine, le convenute hanno chiesto la riduzione delle disposizioni testamentarie per lesione di legittima;
-il Tribunale ha rigettato la domanda di annullamento del testamento e ha accolto la domanda di riduzione;
-sulla domanda principale di divisione, il Tribunale ha disposto la vendita all’incanto dell’immobile, avendone accertato l’incomoda divisibilità;
-avverso la sentenza M. R. e L. G. hanno proposto appello, al quale ha resistito la sorella G. G.;
-la Corte d’appello ha confermato la decisione;
-la sentenza d’appello ha posto le spese di lite a carico delle due appellanti, soccombenti in primo e in secondo grado sulla domanda di annullamento del testamento;
-per la cassazione della sentenza, S. N., nella qualità di procuratore generale di G. M. R., ha proposto ricorso, affidato a sei motivi;
-G. G. ha resistito con controricorso;
-G. L. è rimasta intimata;
-le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
-i primi tre motivi di ricorso censurano la sentenza impugnata perché la Corte d’appello avrebbe dato una motivazione illogica e incoerente della propria decisione;
-a sua volta, secondo il ricorrente, tale anomalia della motivazione ridondava nella violazione dell’art. 591 c.c. in tema di accertamento della incapacità naturale del testatore;
-in particolare, con il primo motivo, la contraddizione è ravvisata nel fatto che la Corte d’appello, al fine di giustificare la decisione, ha invocato precedenti di legittimità che erano intervenute in fattispecie diverse rispetto a quella in esame, che sarebbe caratterizzata da un quadro probatorio che deponeva univocamente nel senso che la testatrice versava in uno stato di incapacità permanente;
-con il secondo motivo, l’anomalia motivazionale oggetto di denuncia è identificata in ciò: la Corte d’appello avrebbe negato la sussistenza di uno stato di incapacità permanente della testatrice, idoneo a giustificare l’inversione dell’onere della prova, in modo contraddittorio e sulla base di argomenti incongrui;
-con il terzo motivo il ricorrente censura la parte della sentenza in cui la Corte d’appello ha ritenuto che l’attrice avesse fornito la prova della sussistenza della capacità del testatore al momento di formazione del testamento;
-secondo il ricorrente la Corte di merito non avrebbe tenuto conto che le dichiarazioni rese dai testimoni al riguardo non erano attendibili, in particolare, non lo era quella resa dal notaio L., essendo la professionista in strettissima conoscenza con una delle parti del giudizio;
-con riguardo a tale aspetto della decisione il ricorrente sottolinea ancora che il fatto stesso che la Corte d’appello abbia sentito il bisogno di cercare la prova della capacità al momento del testamento stava a dimostrare che era stata raggiunta la prova dell’incapacità nel periodo precedente e successivo all’atto di ultima volontà, perché, altrimenti, una tale prova non era necessaria;
-si rimprovera poi al giudice d’appello di avere giustificato la decisione anche sulla base di considerazioni desunte dal contenuto del testamento;
-i motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati;
-è principio acquisito che l’incapacità naturale del testatore postula l’esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius, bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell'atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti o della capacità di autodeterminarsi; poiché lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l'eccezione, spetta a chi impugni il testamento dimostrare la dedotta incapacità, salvo che il testatore non risulti affetto da incapacità totale e permanente, nel qual caso grava, invece, su chi voglia avvalersene provarne la corrispondente redazione in un momento di lucido intervallo e delle cause idonee in linea di principio a determinarla (Cass. n. 3934/2018; n. 25053/2018; n. 27351/2014);
-i giudici di merito hanno ritenuto che, seppure l’istruzione avesse fatto emergere che la testatrice avesse “dei momento in cui non era vigile” e tenesse dei “comportamenti abnormi e indicativi” di un’alterazione delle sua facoltà mentali”, nondimeno non era stata raggiunta la prova che “al momento della formazione della scheda testamentaria fosse incapace di intendere e di volere ovvero avesse del tutto perso la capacità di autodeterminazione libera e cosciente della testatrice al tempo della redazione del testamento”;
-tenuto conto dei principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte sul tema dell’incapacità naturale del testatore, si comprende come sia arbitrario assumere le considerazioni proposte con la sentenza impugnata, circa le anomalie comportamentali manifestate dalla de cuius, alla stregua dell’implicito riconoscimento di uno stato di incapacità totale e permanente della testatrice tale da giustificare una presunzione di incapacità al momento della formazione del testamento;
-si deve ancora aggiungere che la Corte di merito ha ritenuto di condividere la valutazione del primo giudice sul fatto che l’attrice avesse fornito «la prova della sussistenza della [...] capacità libera e cosciente della testatrice al tempo della redazione del testamento, attraverso la testimonianza del notaio rogante e di una testimone presente al compimento dell’atto [...]»;
-tale rilievo, diversamente da quanto ritiene il ricorrente, non è minimamente in contrasto con l’assunto, fatto proprio dalla Corte d’appello, circa l’insussistenza di un quadro patologico di natura permanente tale da giustificare l’inversione dell’onere della prova;
-deve infatti riconoscersi senza riserve la possibilità che il giudice, dinanzi al quale sia richiesto l’annullamento del testamento per incapacità naturale del testatore, seppure persuaso che non sia stata data prova di una incapacità totale e permanente del testatore, tale da giustificare la presunzione di incapacità e la conseguente inversione dell’onere della prova, ben può convincersi che gli elementi acquisiti alla causa diano ugualmente la prova della capacità del testatore nel momento in cui fece testamento, senza incorrere con ciò in alcuna contraddizione;
-la sentenza, pertanto, è chiara e rende perfettamente percepibili le ragioni del decisum, che possono compendiarsi nel mancato riconoscimento di una patologia tale da compromette, in termini generali, in modo permanente la capacità della testatrice, essendoci comunque la prova che ella era capace quando fu ricevuto il testamento;
-nessuna anomalia, infine, è ravvisabile nell’avere la corte di merito utilizzato nella propria indagine il testamento impugnato, valorizzando l’enunciazione delle ragioni del lascito operata dalla testatrice;
-questa Corte ha più volte chiarito che «ai fini del giudizio in ordine alla sussistenza o meno della capacità di intendere e di volere del de cuius al momento della redazione del testamento, il giudice del merito non può ignorare il contenuto dell'atto di ultima volontà e gli elementi di valutazione da esso desumibili, in relazione alla serietà, normalità e coerenza delle relative disposizioni, nonché ai sentimenti e ai fini che risultano averle ispirate» (Cass. n. 230/2011; n. 8690/2019);
-consegue dai rilievi di cui sopra che i motivi di ricorso in esame, sotto l’apparenza della denuncia dell’anomalia motivazionale o della violazione di legge, investono in via diretta la ricostruzione dei fatti e la valutazione di attendibilità dei testimoni, che sono prerogativa del
giudice di merito, il cui esercizio è incensurabile in questa sede (Cass. n. 20553/2021), quando, come nel caso in esame, sia immune da vizi logici o giuridici (Cass. n. 27197/2011; n. 331/2020);
-il quarto motivo denunzia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, identificato nell’accertamento medico legale dell’invalidità al 100% della de cuius con riconoscimento dell’indennità di accompagnamento;
-il motivo è infondato, non solo perché il fatto è stato considerato dalla Corte di merito, che l’ha valutato nel quadro complessivo degli elementi istruttori acquisiti alla causa (Cass., S.U., n. 8053/2014), ma anche perché esso è palesemente non decisivo: il riconoscimento di una “invalidità totale e permanente della capacità lavorativa di natura non esclusivamente psichica”, non porta, di per sé, a riconoscere una situazione di incapacità “totale e permanente” del soggetto;
-il difetto di decisività, nella specie, risulta in modo ancora più evidente, tenuto conto del positivo riscontro della capacità della testatrice al momento di formazione del testamento;
-la censura, pertanto, ancora ripresa con la memoria, si traduce nella mera critica della valutazione delle prove da parte del giudice di merito, in contrasto con il principio che “con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità” (Cass. n. 29404/2017; n. 19547/2017);
-il quinto motivo, il quale denuncia violazione dell’art. 591 c.c., è inammissibile;
-il ricorrente riprende le dichiarazioni di alcuni dei testimoni, sostenendo che le stesse, valutate in relazione alle risultanze documentali, comprovavano lo stato di incapacità della testatrice;
-consegue che, sotto la veste della denuncia della violazione dell’art. 591 c.c., la censura ha un significato del tutto diverso, in quanto il ricorrente pretende di accreditare, in questa sede di legittimità, un apprezzamento delle prove diverso da quello fatto dai giudici di merito, sollecitando inammissibilmente il riesame dell’intera vicenda processuale da parte della Corte di cassazione (cfr. Cass. S.U., n. 34476/2019);
-con il sesto motivo la ricorrente si duole della mancata compensazione delle spese del grado, in presenza di una situazione oggettiva di reciproca soccombenza;
-il motivo è inammissibile, perché investe il mancato esercizio di una facoltà – quella di compensare le spese al cospetto di una situazione di oggettiva soccombenza reciproca - che è prerogativa esclusiva del giudice di merito, incensurabile in cassazione (Cass. n. 24502/2017);
-in conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con addebito di spese e raddoppio del contributo a carico della ricorrente.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.