Pertanto, il giudice può direttamente emettere nei suoi confronti una pronuncia di condanna anche se l'attore non ne abbia fatto richiesta, senza per questo incorrere nel vizio di extrapetizione.
I proprietari di appartamenti posti all'ultimo piano di un fabbricato convenivano in giudizio il Condominio per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni subiti dai loro appartamenti a causa delle infiltrazioni di acque provenienti dal terrazzo condominiale, verificatisi a seguito dei lavori di rifacimento del terrazzo...
Svolgimento del processo
E. ricorre, formulando tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 1920/2020 della Corte d'Appello di Roma, resa pubblica in data 8 aprile 2020; resiste con controricorso il Condominio di Omissis; nessuna attività difensiva risulta svolta in questa sede da O.C., W.P., P.C., R.S., E.C., rimasti intimati;
P.C., R.S., O.C. e W.P., proprietari di appartamenti posti all'ultimo piano del fabbricato di omissis, convenivano, dinanzi al Tribunale di Tivoli, il Condominio di omissis, per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni subiti dai loro appartamenti, ritenuti causati da infiltrazioni di acque meteoriche provenienti dal terrazzo condominiale, verificatisi a seguito dei lavori di rifacimento del terrazzo, commissionati dal Condominio alla ditta E.
S.r.l. di Tivoli e realizzati sotto la direzione di E.C.;
il Condominio, costituitosi in giudizio, rappresentava che le infiltrazioni erano da imputare all'erronea realizzazione dei lavori di rifacimento del terrazzo da parte della ditta appaltatrice ed al mancato controllo di E.C.; chiedeva, quindi, il rigetto della domanda risarcitoria nei propri confronti e la chiamata in causa di E. S.r.l. e di E.C.;
E. si costituiva in giudizio ed eccepiva la litispendenza, per gli stessi fatti, di altro giudizio innanzi allo stesso Tribunale, avente ad oggetto la richiesta risarcitoria formulata dal Condominio, ed eccepiva che, ai sensi dell'art. 106 cod.proc.civ., non poteva essere estesa nei suoi confronti la domanda attorea, stante che il chiamante aveva fatto valere un rapporto - quello contrattuale derivante dal contratto di appalto - diverso da quello - violazione dell'art. 2051 cod.civ. - dedotto dall'attore; nel merito, chiedeva il rigetto della domanda, adducendo che le infiltrazioni erano state provocate dall'inadeguatezza delle soglie perimetrali del terrazzo e dei canali di gronda in pvc che il Condominio, per ragioni economiche, non aveva voluto sostituire;
E.C. si costituiva in giudizio, negando ogni addebito per omesso controllo, rilevando di avere rappresentato al Condominio la necessità di sostituire le vecchie gronde e imputando le infiltrazioni al distacco dei cornicioni, che non erano stati oggetto dei lavori affidati con il contratto di appalto;
il Tribunale, con sentenza n. 1184/2011, accoglieva la domanda e condannava il Condominio a risarcire a favore di ciascun attore i danni nella misura di euro 1.200,00, dichiarava inammissibile la domanda proposta dal Condominio nei confronti dei terzi chiamati, regolava le spese di lite;
il Condominio interponeva appello per non avere il Tribunale accolto la domanda nei confronti dei terzi chiamati, rimasti soccombenti nell'altro giudizio avente ad oggetto il risarcimento dello stesso danno;
la Corte d'Appello, con la sentenza oggetto dell'odierno ricorso, reputata estesa ai terzi chiamati la domanda attorea e ritenuto dimostrato che le infiltrazioni erano dipese dall'erronea esecuzione delle opere commissionate alla E., ha giudicato quest'ultima ed il direttore dei lavori responsabili dei danni, ha riformato la sentenza di prime cure, ponendo l'obbligo risarcitorio a favore dei proprietari danneggiati a carico di E. e di E.C.;
il relatore designato, avendo ritenuto sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell'art. 380-bis cod.proc.civ., ha redatto proposta che è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza della Corte;
in vista dell'odierna camera di consiglio E. ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. con il primo motivo è dedotta «Violazione dell'art. 112 cod.proc.civ.: omesso rilievo della nullità dell'atto di appello e vizio di ultrapetizione», per avere la sentenza impugnata ritenuto emendabili le conclusioni formulate dall'appellante nell'atto di appello;
il motivo è inammissibile, principalmente perchè non sono state soddisfatte le prescrizioni di cui all'art. 366 n. 6 cod.proc.civ.;
la ricorrente non ha assolto l'onere, previsto dalla disposizione evocata, di specifica indicazione del contenuto dell'atto su cui il motivo si fonda, sicché esso non può essere scrutinato; né, al cospetto della carenza di un requisito di ammissibilità del motivo, può recepirsi quanto risultante dalla sentenza impugnata; solo da quest'ultima si evince, infatti, il contenuto della domanda di appello, essendosi parte ricorrente (p. 7 del ricorso) limitata ad affermare che le conclusioni riferibili in discussione si arrestavano alla locuzione «rigetto della domanda di parte attrice perché infondata in fatto e diritto, essendo il seguito frutto di un errore nell'assemblaggio dell'atto. La ricorrente aggiunge che l'ulteriore domanda, relativa alla condanna dei chiamati in causa in luogo del Condominio convenuto, è domanda del tutto nuova, non introducibile nell'udienza di precisazione delle conclusioni»;
la statuizione della Corte territoriale sul punto è piuttosto articolata: afferma la sentenza che, nelle conclusioni dell'atto di appello, parte appellante si era riportata a tutte le eccezioni e le domande svolte in primo grado e, poi, aveva chiesto il rigetto della domanda, introducendo un petitum del tutto avulso dalle allegazioni formulate nel corpo dell'atto; nondimeno, in sede di precisazione delle conclusioni, aveva chiesto che E. ed E.C. fossero dichiarati unici responsabili nella causazione dei danni, con manleva del Condominio da qualsivoglia responsabilità per i danni oggetto della domanda risarcitoria;
le conclusioni della Corte sono state duplici: i) ha escluso la nullità dell'atto di appello, come, invece, invocato dall'appellato E.C.; ii) ha ritenuto inammissibile, perché nuova, la domanda di manleva nei confronti dei chiamati (p. 8);
rispetto a tali statuizioni, come già si è detto, violando le prescrizioni di cui all'art. 366 n. 6 cod.proc.civ ., la società ricorrente assume la novità della «domanda relativa alla condanna dei chiamati in causa in luogo del Condominio convenuto... rispetto alle conclusioni articolate nell'atto di appello notificato alle parti, che non poteva essere introdotta nell'udienza di precisazione delle conclusioni» (p. 8 del ricorso); ma, stante il difetto di autosufficienza del motivo, non è dato sapere quale fosse lo specifico contenuto delle conclusioni rassegnate in sede di udienza di precisazione delle conclusioni;
2. con il secondo motivo alla sentenza d'appello si addebita «Violazione di legge in relazione all'art. 106 c.cp.c e 112 cod.proc.civ. per vizio di ultrapetizione in relazione all'estensione automatica della domanda degli attori ai terzi chiamati in causa»;
non avendo il Condominio proposto una domanda di manleva e garanzia - se non in sede di precisazione delle conclusioni: domanda giudicata inammissibile perché nuova sia dal Tribunale di Tivoli che dalla Corte d'Appello di Roma - nei confronti dei terzi chiamati in causa, ma avendo chiesto di essere estromesso dal giudizio e di condannare al risarcimento del danno i terzi chiamati, doveva escludersi, ad avviso della ricorrente, che gli attori avessero inteso estendere la domanda nei confronti dei terzi chiamati; la Corte d'Appello avrebbe, quindi, erroneamente applicato il portato delle sentenze n. 25559/2008 e nn. 13374/2017 e 13131/2006 di questa Corte, perché non si sarebbe avveduta che il principio di estensione automatica della domanda principale al terzo, chiamato in causa dal convenuto, trova applicazione quando la chiamata del terzo sia effettuata al fine di ottenere la liberazione del convenuto dalla pretesa attorea, ma non quando il chiamante faccia valere nei confronti del chiamato un rapporto diverso e, in particolare, un titolo di responsabilità diverso ed autonomo rispetto a quello invocato dall'attore come causa petendi;
nel caso di specie, la tesi della società ricorrente è che gli attori avessero chiesto il risarcimento del danno derivato ai loro appartamenti dall'inerzia del Condominio e che quindi avessero agito nei suoi confronti ex art. 2051 cod.civ. e che il Condominio convenuto avesse chiesto di imputare la responsabilità dei danni lamentati ai terzi chiamati, per inadempimento del contratto di appalto (E.) e per inadempimento del contratto di prestazione professionale (E.C.), senza proporre nei loro confronti domanda di manleva o di garanzia; data la diversità della causa petendi la Corte territoriale non avrebbe dovuto ritenere estesa ai terzi chiamati la domanda proposta dagli attori;
non solo: ove fosse stata ammessa la estensione della domanda, avrebbero dovuto essere distinti i danni derivanti dalle prime infiltrazioni lamentate dopo i lavori e quelli attribuibili alla perdurante inerzia del Condominio;
secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, qualora il convenuto, nel dedurre il difetto della propria legittimazione passiva, chiami un terzo indicandolo come il vero legittimato, si verifica l'estensione automatica della domanda al terzo, con la conseguenza che il giudice può direttamente emettere nei suoi confronti una pronuncia di condanna anche se l'attore non ne abbia fatto richiesta, senza per questo incorrere nel vizio di extrapetizione (fra le tante, da ultimo, tra quelle massimate, cfr. la decisione n. 22050 dell'll/09/2018);
è appena il caso di precisare che, ove effettivamente la chiamata abbia avuto il contenuto dell'indicazione del terzo come il responsabile esclusivo, verrebbe in rilievo il principio di diritto secondo cui qualora il convenuto evocato in causa estenda il contraddittorio nei confronti di un terzo assunto come l'effettivo titolare passivo della pretesa dedotta in giudizio dall'attore, se quest'ultimo escluda espressamente la condanna del terzo chiamato in causa qualora riconosciuto come responsabile e si limiti, invece, a chiedere la sola condanna dell'originario convenuto, al giudice, in virtù del principio generale della domanda, è inibito il potere di emettere una statuizione di condanna nei confronti dello stesso terzo e a favore dell'attore, senza che all'attore medesimo sia consentito di estendere successivamente la domanda condannatoria nei riguardi del terzo in appello, perché essa, configurandosi come nuova, incorrerebbe nella sanzione prevista dall'art. 345 cod.proc.civ. (Cass. n. 998 del 16/01/2009 e successiva giurisprudenza conforme);
al netto della domanda di manleva che la Corte territoriale ha reputato nuova,
la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione della giurisprudenza di questa Corte che considera estesa automaticamente la domanda dell'attore al terzo chiamato in causa dal convenuto ed indicato da questi come l'unico responsabile del danno, con richiesta non di essere dal terzo garantito in caso di condanna, ma di essere liberato dall'eventuale obbligo nascente dalla condanna risarcitoria;
proprio la decisione invocata tanto dalla Corte territoriale quanto dalla società ricorrente ha affermato che «il chiamato diviene parte del giudizio, in posizione alternativa con il convenuto, in relazione alla stessa obbligazione dedotta dall'attore, ferma restando l'unicità del complessivo rapporto controverso. Il principio non opera, invece, quando il chiamante faccia valere nei confronti del chiamato un rapporto diverso - ed in particolare un titolo di responsabilità diverso ed autonomo - rispetto a quello invocato dall'attore come "causa petendi"»;
ora, nel caso di specie, la sentenza impugnata ha preso in considerazione tale principio di diritto ed ha concluso, diversamente dalla società che qui ricorre, che, chiamando in causa i terzi, il Condominio convenuto non aveva inteso individuare la fonte della responsabilità di questi ultimi nel contratto di appalto e nella lettera d'incarico quanto piuttosto individuare i soggetti che avevano cagionato i danni (p. 5 della sentenza);
la società ricorrente non ha confutato tale ratio decidendi o almeno lo ha fatto solo affermando assertivamente che la Corre d'Appello si era limitata a leggere la massima della decisione di legittimità applicata, senza esaminare il caso concreto che, a suo avviso, era identico a quello per cui è causa, ed ha insistito ad affermare che il Condominio era stato chiamato a rispondere dei danni ex art. 2051 cod.civ. quindi per una causa petendi diversa da quella posta a fondamento della chiamata dei terzi;
come si è detto, la ratio decidendi della sentenza che, invece, ha affermato che la chiamata dei terzi era volta solo ad individuare i soggetti ritenuti responsabili dei danni non è stata attinta dalle censure del ricorrente; il che rende il mezzo impugnatorio inammissibile;
3. con il terzo ed ultimo motivo è lamentata «Violazione dell'art. 112 cod.proc.civ. per vizio di ultrapetizione relativamente alla condanna della ricorrente al risarcimento del danno a favore degli attori rimasti contumaci in appello»;
oggetto di impugnazione è la statuizione con cui la Corte d'Appello ha confermato la misura della condanna risarcitoria di primo grado che sarebbe/ viziata da ultrapetizione, secondo l'assunto cassatorio di E., poichè gli attori non si erano costituiti in appello e non avevano articolato alcun appello incidentale nei confronti della sentenza di primo grado; appello incidentale necessario, invece, ad avviso della ricorrente, per un duplice ordine di ragioni:
i) le conclusioni dell'atto di appello non rendevano possibile comprendere se l'appellante si fosse limitato ad insistere per ottenere il rigetto della domanda attorea o se avesse esteso la domanda di accertamento della responsabilità esclusiva dei chiamati in causa nei confronti degli attori o ancora se avesse insistito nell'accoglimento della domanda di manleva tardivamente articolata in primo grado; ii) l'accoglimento della domanda di esclusione della responsabilità del Condominio non avrebbe comportato automaticamente la condanna dei chiamati in causa nei confronti degli attori al risarcimento del danno che avrebbe dovuto continuare ad essere chiesto con appello incidentale;
il motivo è infondato;
nel caso di cosiddetto litisconsorzio "alternativo", sussistente allorché il convenuto nel giudizio chiami in causa un terzo, assumendo che questi debba ritenersi in via esclusiva tenuto al risarcimento del danno domandato dall'attore, quest'ultimo deve ritenersi vittorioso tanto se la domanda venga accolta nei confronti del convenuto, quanto se venga accolta nei confronti del chiamato in causa, al quale l'originaria domanda si estende automaticamente; ne consegue che, proposto appello dal chiamato in causa soccombente, il danneggiato non ha l'onere di proporre appello incidentale per far dichiarare la responsabilità di uno dei possibili responsabili, per l'ipotesi in cui venga accolto l'appello proposto dall'altro (Cass. n. 3613 del 17/02/2014 e successiva giurisprudenza conforme); peraltro, con riferimento alle conclusioni dell'atto di appello richiamate nel motivo all'esame, il mezzo risulta difettare di specificità, non essendo state le stesse testualmente riportate;
4. il ricorso va rigettato;
5. le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
6. si dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico della parte ricorrente l'obbligo di pagamento del doppio contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.