Ciò accade ogniqualvolta permanga tra i coniugi un vincolo assimilabile a quello familiare per via di una mantenuta consuetudine di vita comune ovvero dell'esercizio condiviso della responsabilità genitoriale.
La Corte d'Appello di Milano riformava parzialmente la pronuncia impugnata, riconoscendo la continuazione tra i reati di cui al presente giudizio e quelli oggetto della sentenza emessa dallo stesso Giudice di primo grado, rideterminando la pena inflitta all'imputato per le condotte di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e lesioni personali ai danni della ex...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 14/12/2021, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia emessa il 3/2/2021 dal Tribunale di Pavia, riconosceva la continuazione tra i reati di cui al presente giudizio e quelli di cui alla sentenza emessa dallo stesso Tribunale il 14/10/20.20 (irrevocabile il 1/3/2021), così rideterminando - a carico di C.O. - la pena inflitta per le condotte di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e lesioni personali.
2. Propone ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi:
- mancata assunzione di prova decisiva. La Corte di appello avrebbe rigettato con argomento viziato la richiesta di rinnovazione istruttoria, avanzata con riguardo alla registrazione di una conversazione tra il ricorrente e la persona offesa avvenuta il 19/9/2018, dunque il giorno della presunta violenza sessuale di cui al capo 2). Questa registrazione, che non sarebbe affatto tardiva e non porrebbe dubbi circa la provenienza o l'identità degli interlocutori (in quanto rintracciabile nello storico delle conversazioni whatsapp), dimostrerebbe che tra i due era in corso una relazione sentimentale e sessuale, ripresa dopo l'abbandono del tetto coniugale da parte di lei nell'aprile 2018. Il tenore della captazione, la circostanza che la donna sapesse dove l'imputato abitava (per esserci stata più volte, come confermato da un testimone), la presunta richiesta di "prova di fedeltà" che l'uomo le avrebbe rivolto, ebbene tutto questo dimostrerebbe che la persona offesa era andata a trovare il ricorrente per consumare un rapporto sessuale, tanto che, appena entrata nell'appartamento, i due erano andati in camera da letto;
- mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. La Corte di appello avrebbe travisato le prove con riguardo a due circostanze decisive sul capo 2), quali la chiusura a chiave della porta della camera da letto e la percezione, da parte dell'imputato, di un ipotetico dissenso della persona offesa. In particolare, la sentenza non avrebbe considerato che la donna, entrata nella stanza, si era spogliata spontaneamente, dal che il ricorrente non avrebbe potuto immaginare alcun dissenso. Ancora, quanto alla chiusura a chiave, nessuna prova l'avrebbe confermata, ed anzi le testimonianze di soggetti terzi indurrebbero a conclusioni opposte. In ogni caso, peraltro, risulterebbe accertato che la giovane - che non aveva chiesto aiuto - sarebbe uscita per prima dalla stanza, dunque aprendo quella stessa porta; ne conseguirebbe che, quand'anche fosse stata chiusa, la chiave sarebbe rimasta nella serratura, cosi da consentire alla donna di aprire la porta in ogni momento. Ancora sul punto, il ricorso evidenzia che, se davvero costretta ad iniziare un rapporto sessuale, la giovane si sarebbe immediatamente divincolata; ancor prima, se la sua intenzione fosse stata solo quella di parlare con il ricorrente, non si sarebbe recata con lui nella camera da letto. Con riguardo, poi, alla fase successiva al rapporto sessuale (terminato per decisione della persona offesa), l'istruttoria avrebbe provato che l'uomo le aveva preso il telefono, così scoprendo che la giovane intratteneva una relazione sessuale con altra persona, tanto da essere rimasta incinta; solo allora, dunque, sarebbe sorto il litigio, non con riguardo all'incontro intimo, a conferma ulteriore dell'esistenza di una relazione sentimentale tra i due. La corretta interpretazione delle prove - tra le quali il fatto che i coinquilini non avessero riferito di percosse nel corridoio - imporrebbe, quindi, l'assoluzione dell'imputato, o, quantomeno, il riconoscimento della fattispecie di minore gravità di cui all'art. 609-bis, comma 3, cod. pen. Sotto altro profilo, infine, si contesta l'affermazione secondo cui il gravame avrebbe riproposto le stesse considerazioni già espresse in primo grado, così da giustificare un integrale richiamo alla sentenza del Tribunale; l'atto di appello, infatti, sarebbe stato proposto da un legale diverso da quello che aveva assistito il ricorrente in primo grado, e avrebbe contenuto differenti argomenti, che, pertanto, avrebbero meritato una attenta disamina da parte della Corte, così come la memoria depositata dagli Avv.ti G.;
- la motivazione, ancora, sarebbe viziata anche con riguardo al delitto di maltrattamenti, del quale non ricorrerebbero i presupposti. Nessuna prova, infatti, vi sarebbe quanto alle innumerevoli telefonate delle quali la donna sarebbe stata destinataria, in realtà non più di 1-2 al giorno ben giustificabili in presenza di un figlio minore; il mutamento dell'utenza da parte della persona offesa, peraltro, nulla avrebbe a che fare con le vicende qui in esame. In ordine, poi, alle presunte minacce o ai pedinamenti, questi - se realmente accaduti - si sarebbero svolti in presenza di terze persone che, però, non sarebbero mai state chiamate in udienza a conferma. L'abitualità delle condotte, ancora, sarebbe esclusa da un fattore temporale, in quanto l'imputato nel 2018 avrebbe avuto orari di lavoro incompatibili con il modus operandi delineato. Del delitto di cui all'art. 572 cod. pen., infine, mancherebbe il presupposto, ossia il vincolo familiare, dato che i due avrebbero convissuto per pochi mesi, che il figlio era già nato e che il matrimonio sarebbe stato contratto soltanto per far ottenere al ricorrente un titolo di permanenza regolare in Italia. Si contesta, infine, l'entità della pena irrogata, anche a titolo di continuazione.
Motivi della decisione
4. Il ricorso risulta infondato.
5. Con riguardo, in primo luogo, alla richiesta di rinnovazione istruttoria in appello, la Corte osserva che questa è stata rigettata dalla sentenza con argomento adeguato ed ancorato a valutazioni logiche, ossia con una motivazione che non merita censura.
5.1. Il Collegio del gravame, in particolare, ha sottolineato che questa registrazione (oltre che oggetto di produzione tardiva) risultava di incerta provenienza e, soprattutto, assolutamente non necessaria ai fini della decisione, alla luce dell'esaustività dell'impianto probatorio assunto in primo grado. Ebbene, il ricorso non si confronta affatto con tale considerazione, e si affida a differenti ed "autonomi" argomenti, peraltro di puro merito, propri della sola fase di cognizione e, dunque, non consentiti in sede di legittimità, evidenziando: a) di aver potuto "recuperare l'audio solo in un secondo tempo, trovandosi in carcere per altra causa"; b) che la relativa provenienza sarebbe "facilmente rintracciabile nello storico delle conversazioni Whatsapp" tra lo stesso imputato e la persona offesa, così da rendere peraltro certa anche l'identificazione dei soggetti coinvolti; c) che, dunque, i due - nel settembre 2018 - avrebbero avuto una nuova relazione sentimentale, tanto che la donna avrebbe frequentato la casa del ricorrente e sarebbe andata lì al fine di consumare un rapporto sessuale, come confermato dalla circostanza che, appena giunta, si sarebbe recata con lui in camera da letto.
6. Il carattere palesemente fattuale della prima censura, peraltro, investe anche il secondo motivo di ricorso, che - con ampio spettro ·- riguarda i reati di violenza sessuale e di maltrattamenti in famiglia.
6.1. Al riguardo, occorre innanzitutto ribadire che il controllo del Giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l'oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247).
In tal modo individuato il perimetro di giudizio proprio della Suprema Corte, osserva allora il Collegio che le censure mosse dal ricorrente al provvedimento impugnato sono inammissibili; dietro la parvenza di una violazione di legge o di un vizio motivazionale, infatti, lo stesso tende ad ottenere in questa sede una nuova ed alternativa lettura delle medesime emergenze istruttorie (testimoniali) già esaminate dai Giudici di merito, sollecitandone una valutazione diversa e più favorevole.
Il che, come riportato, non è consentito.
7. La complessa doglianza, inoltre, trascura che la Corte di appello - pronunciandosi proprio sulle questioni qui riprodotte - ha steso una motivazione del tutto congrua, fondata su oggettive risultanze dibattimentali e non manifestamente illogica; come tale, quindi, non censurabile.
8. La sentenza, in primo luogo, ha evidenziato che la persona offesa era risultata del tutto attendibile, e che il suo racconto era apparso coerente, omogeneo e lineare, oltre che privo di richiami volutamente enfatizzati o di intenti calunniosi.
9. Con specifico riguardo alla violenza sessuale del 19/9/2018, poi, la donna aveva riferito molti elementi chiaramente indicativi, per un verso, della radicale mancanza di consenso da parte sua e, per altro verso, dell'altrettanto certa consapevolezza di ciò in capo al ricorrente, senza, dunque, potersi accedere alla tesi difensiva secondo la quale questi non si sarebbe reso conto di un eventuale dissenso.
9.1 In particolare, la Corte di appello ha evidenziato che la circostanza che la giovane si fosse spogliata autonomamente non implicava affatto una decisione spontanea: il gesto, invero, costituiva il frutto dell'atteggiamento gravemente intimidatorio che l'uomo aveva posto in essere - in quella come in altre occasioni con gesti e con parole. L'istruttoria aveva infatti provato che, appena entrati nella camera da letto, il ricorrente aveva subito chiuso la porta a chiave, insistendo per ottenere un rapporto sessuale, e che si era rivolto alla donna in maniera aggressiva, minacciandola che non sarebbe uscita dalla stanza finché non avesse ceduto alle sue richieste. La mancanza di consenso, peraltro, era stata palesata dal pianto della giovane, dal suo divincolarsi, dal suo cercare di spostare il corpo dell'uomo, così da non poter sorgere alcun ragionevole dubbio sul punto.
10. La sentenza, di seguito, si è espressa anche su numerosi elementi di censura sollevati nel gravame (ed ampiamente riproposti nel ricorso), e su tutti ha sviluppato ancora una motivazione rigorosa e logica, che non ammette censura.
10.1 In primo luogo, la circostanza che la persona offesa si fosse quel giorno recata nell'appartamento dell'imputato, e lì nella camera da letto di lui, è stata adeguatamente giustificata con le parole della stessa donna, che aveva riferito, per un verso, che il ricorrente l'aveva rassicurata sul fatto che in casa sarebbero state presenti anche altre persone, e, per altro verso, che non avrebbe mai immaginato di essere aggredita.
10.2 In ordine, poi, alla chiusura a chiave della porta della camera, molto trattata nel ricorso, la sentenza l'ha ritenuta sufficientemente confermata dalle parole della persona offesa, nonché sottratta ad affidabile prova contraria, tale non potendosi ritenere la doppia deposizione testimoniale richiamata anche nell'impugnazione.
10.3 Il fatto, ancora, che i coinquilini non avessero riferito delle percosse subite dalla donna nel corridoio, dopo la violenta lite (pacificamente sorta successivamente alla violenza sessuale), è stato valutato di scarso rilievo dalla Corte di merito; l'esistenza di quelle lesioni, infatti, aveva trovato conferma in un certificato medico in atti, e quello stesso atteggiamento violento era stato confermato anche dal ricorrente.
10.4 La mancata rivelazione della violenza sessuale nell'assoluta immediatezza dei fatti, infine, è stata ritenuta priva di alcun significato, considerando che la ragazza aveva subito parlato dell'accaduto alla propria madre, e che, peraltro, il giorno stesso - dopo aver contattato un legale - si era recata in Questura ed aveva sporto querela.
11. In forza di tutte queste considerazioni - che, si ribadisce, il ricorso contesta esclusivamente con argomenti di puro fatto, in particolare con il richiamo al contenuto delle prove dichiarative - la Corte d'appello ha quindi confermato la responsabilità dell'imputato con riguardo al delitto di cui al capo 2), del quale, inoltre, ha escluso l'ipotesi attenuata dell'art. 609-bis, comma 3, cod. pen.; in particolare, e senza che possa accogliersi la generica censura sul punto, la sentenza ha richiamato le modalità della violenza, subita in una stanza chiusa a chiave, con atteggiamento verbalmente aggressivo e tra le lacrime, ossia un contesto del tutto incompatibile con un fatto di minore gravità.
12. Con riguardo, di seguito, al delitto di maltrattamenti in famiglia, di cui al capo 2), la sentenza risulta ancora solida, adeguata e non meritevole di censura; con la premessa, peraltro, che il ricorrente era stato già condannato - con pronuncia definitiva - proprio per il delitto di cui all'art. 572 cod. pen., commesso a danno della stessa persona offesa dal luglio 2017 all'aprile 2018, e che tali condotte sono state unite in continuazione (proprio dalla Corte di appello) a quelle di cui al presente giudizio.
12.1. In particolare, la sentenza ha evidenziato l'atteggiamento abitualmente vessatorio, minaccioso, ingiurioso e violento del ricorrente nei confronti della persona offesa; condotta tenuta, peraltro, anche contro i familiari di lei, a chiara espressione di un generale ed ordinario habitus di prevaricazione ed umiliazione, tale da integrare il delitto di cui all'art. 572 cod. pen. In senso contrario, peraltro, non possono valere le considerazioni contenute nel ricorso, ancora di puro fatto e quindi inammissibili, come il conteggio delle telefonate in entrata ed in uscita, l'esame degli screenshot o l'affermazione - del tutto ipotetica, oltre che irrilevante che minacce o pedinamenti, quand'anche esistenti, si sarebbero svolti alla presenza di terze persone, la cui mancata citazione in dibattimento sarebbe espressione di non veridicità di quanto riferito. Parimenti ipotetico ed indimostrato, infine sul punto, è l'assunto - ancora di merito - secondo cui le condotte maltrattanti non si sarebbero potute tenere, perché incompatibili con l'orario lavorativo osservato dal ricorrente nell'intero anno 2018.
12.2 Ancora, quanto alla denunciata assenza di un elemento costitutivo del delitto di cui all'art. 572 cod. pen., ossia la convivenza tra i coniugi (per di più sostenuta da un vincolo di reciproca solidarietà), il Collegio ritiene di aderire all'indirizzo, oggi maggioritario, in forza del quale nei casi di cessazione della convivenza "more uxorio" (e, a maggior ragione, del matrimonio), è comunque configurabile il delitto di maltrattamenti in famiglia, e non invece quello di atti persecutori, quando tra i soggetti permanga un vincolo assimilabile a quello familiare, in ragione di una mantenuta consuetudine di vita comune o dell'esercizio condiviso della responsabilità genitoriale (tra le altre, Sez. 6, n. 7259 del26/11/2021, L., Rv. 283047); esattamente come nel caso in esame, nel quale il ricorrente e la persona offesa avevano avuto un figlio, nel novembre 2016, ed i contatti tra i due erano rimasti attivi nell'evidente interesse di questo e per la gestione di quanto lo riguardava.
13. Del tutto generica, poi, risulta la censura relativa al mancato esame della memoria depositata dagli Avv.ti G.; il ricorso, infatti, non indica alcun passo di questo scritto, non consentendo, dunque, di comprendere quali argomenti non sarebbero stati esaminati, e quale la loro valenza a fronte dell'intero compendio istruttorio.
13.1. Le considerazioni che precedono, infine, comportano il rigetto anche del motivo relativo al trattamento sanzionatorio, peraltro sostenuto da un argomento generico, ossia che gli aumenti a titolo di continuazione non sarebbero adeguati "al reale andamento della vicenda" e che questa sarebbe risultata notevolmente ridimensionata dall'istruttoria.
14. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.