La circostanza che l'imputato abbia avuto l'accortezza di eliminare l'applicazione dal cellulare nel breve lasso di tempo intercorso fra la convocazione ricevuta ad opera della Polizia giudiziaria ed il momento in cui le ha consegnato il dispositivo dimostra la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato.
La Corte d'Appello confermava la sentenza del GIP del Tribunale di Milano che aveva condannato l'imputato per detenzione e accesso ad un'ingente quantità di materialepedopornografico. A corredo della pena detentiva, veniva disposta la confisca di tre telefoni cellulari sottoposti a giudiziale sequestro.
L'imputato ricorre...
Svolgimento del processo
Con sentenza pronunziata in data 20 ottobre 2021, la Corte di appello di Milano ha integralmente confermato la sentenza con la quale, in data 10 giugno 2021, il Gip del Tribunale di Milano, in esito a giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, aveva condannato M.G., in relazione alla commissione del reato di cui all'art. 600-quanter, comma secondo, cod. pen., con la recidiva reiterata, specifica ed infraquinquenale, per essersi lo stesso procurato ed avere detenuto un'ingente quantità di materiale pedopornografico, alla pena di anni 2 e mesi 6 di reclusione.
A corredo di tale pronunzia il Tribunale aveva anche disposto talune pene accessorie a carico del condannato nonché la confisca di n. 3 telefoni cellulari sottoposti a giudiziale sequestro.
Avverso la predetta sentenza ha interposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore fiduciario, il M., svolgendo a tale fine 2 motivi di impugnazione.
L'uno articolato in funzione della pretesa violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla raggiunta prova in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato contestato al prevenuto; l'altro riguardante il vizio di violazione di legge e di difetto di motivazione relativamente all'avvenuta confisca del telefono cellulare di marca Huawei, a cui disponibilità in capo al ricorrente non sarebbe riconducibile alla commissione del reato contestato.
Motivi della decisione
Il ricorso, solo parzialmente fondato, è, pertanto, accoglibile solo per quanto di ragione.
Infatti, con riferimento al primo motivo di impugnazione, si osserva che la Corte territoriale, nel confermare la sentenza emessa dal giudice di primo grado, ha rilevato che il M., soggetto dalla personalità tutt'altro che rassicurante in quanto già condannato diverse volte per reati a sfondo sessuale commessi in danno di soggetti minorenni, deteneva, all'interno della "memoria" di due telefoni cellulari in suo possesso svariati files a contenuto pornografico, molti dei quali, pari ad almeno il numero di 108, ritraenti soggetti di età inferiore, a volte anche in maniera macroscopica, ai 18 anni.
Ciò posto si rileva che la linea difensiva articolata dal ricorrente di fronte a questa Corte è sviluppata con riferimento alla carenza dell'elemento soggettivo del reato contestato.
In particolare, quanto alla consapevole detenzione del materiale in questione, non sarebbe risultato provato che il M. fosse a conoscenza del fatto che, attraverso un sistema applicativo istallato su due dei telefoni da lui detenuti, sistema denominato Telegram, egli potesse ricevere stabilmente, a seguito della conservazione nella memoria dei telefoni in questione delle immagini 'a contenuto pedopornografico e che ciò egli abbia inteso fare.
L'argomento difensivo non ha pregio ove si consideri, per un verso, che come in termini del tutto condivisibili ha osservato la Corte di merito - la quantità ingente del materiale pornografico e pedopornografico presente sui due apparecchi elettronici induce senza incertezze a ritenere che un loro scaricamento ed, ancora di più, la loro conservazione (anche tenuto conte della quantità di "memoria" occupata da tali files) sugli apparecchi elettronici non possa essere avvenuta in assenza di una scelta consapevole del possessore degli apparecchi stessi, nonchè laddove si consideri, per altro verso, che l'affermazione contenuta nell'atto introduttivo del presente giudizio cioè che la mera consultazione di siti web e la successiva volontaria visione di immagini pedopornografiche, condotta che ha sicuramente tenuto il M., non integri il reato di cui all'art. 600-quater cod. pen. - risulta priva di condivisibilità sol che si rifletta sulla circostanza che la visione di un'immagine su di un apparecchio elettronico del tipo di quelli di cui si parla presuppone la disponibilità delle immagini in questione e, quindi, la loro detenzione (in tale senso, infatti: Corte di cassazione, Sezione III penale, 13 gennaio 2011, n. 639, nella quale è precisato che integra il reato di detenzione di materiale pedopornografico la semplice visione di immagini pedopornografiche "scaricate" da un sito internet, poichè, per un tempo anche limitato alla sola visione, le immagini sono nella disponibilità dell'agente).
Nè, ritiene questo Collegio, ha una qualche forza persuasiva, ai fini della dimostrazione della mancanza dell'elemento soggettivo del reato in questione, consistente nella consapevole acquisizione delle immagini a contenuto pedopornografico e nella loro volontaria conservazione sui dispositivi elettronici nella disponibilità del M., la circostanza che questi, il quale, ha, pure, avuto la accortezza di rimuovere da tali apparati la citata applicazione Telegram nel breve lasso di tempo intercorso fra la convocazione ricevuta ad opera della Polizia giudiziaria ed il momento in cui ha ad essa consegnato i predetti strumenti, non abbia provveduto anche a rimuovere files a contenuto pedopornografico.
Tale evenienza, infatti, ben potrebbe essere spiegata - a differenza di quanto ritenuto dal ricorrente che, In termini meramente apodittici, ne ascrive la ragione al fatto che appunto, egli ignorasse la presenza di tali files allocati all'interno dei suoi telefoni - attraverso la convinzione in capo al M. di avere in tal modo rimosso dagli apparecchi non solo la applicazione ma anche tutti i documenti ricevuti tramite essa.
Vi è piuttosto da chiedersi, ed un siffatto elemento appare corroborare pesantemente la soluzione condannatoria adottata in sede di merito, per quale motivo il ricorrente, laddove effettivamente non fosse stato consapevole del fatto che tramite la più volte richiamata applicazione egli era entrato in possesso di immagini a contenuto pedopornografico, si sia preoccupato, con eloquente tempismo, di rimuovere l'installazione della applicazione in questione dagli apparecchi telefonici a sua disposizione.
Per le esposte ragioni il motivo di ricorso ora illustrato, essendo risultato manifestamente infondato, deve essere dichiarato inammissibile.
E', viceversa fondato, il secondo motivo di ricorso.
Nella sentenza impugnata si legge espressamente che "il materiale pedopornografico oggetto del presente procedimento era contenuto esclusivamente nei (...telefoni... ndr) cellulari di cui ai punti A) e B)" (cfr. pag. 2 della sentenza indicata); nella medesima sentenza si dà atto, al capoverso immediatamente precedente, del fatto che "venivano sottoposti a sequestro i tre telefoni cellulari individuati ai punti A), B) e C) in precedenza elencati".
Va, ancora, segnalato che il dispositivo della sentenza di primo grado, integralmente confermata in sede di gravame, riporta fra le statuizioni accessorie alla affermazione della penale responsabilità del M. la "confisca e distruzione dei cellulari in sequestro".
Va, anche, rimarcato che, in sede di proposizione dei motivi di appello avverso la sentenza di primo grado, la difesa del prevenuto aveva espressamente lamentato il fatto che il Tribunale di Milano avesse disposto la confisca di tutti i telefoni cellulari in sequestro, sebbene fosse emerso che nessun materiale proibito fosse stato rinvenuto nella "memoria" del dispositivo di cui al punto C), della elencazione contenuta nella sentenza di primo grado (si tratta di un telefono cellulare di marca Huawei tipo JNY-LXI, di cui è compiutamente indicato anche il codice IME! e la scheda telefonica in esso contenuta: cfr. pag. 2 della sentenza del Gip del Tribunale di Milano).
Ebbene, in relazione a detto motivo di impugnazione la Corte di appello ambrosiana, che pure ha correttamente dato atto nella sintesi dei motivi di gravame predisposti dalla difesa del M. della sua esistenza, non ha fornito alcuna risposta, venendo in tal modo, in maniera palmare, meno all'obbligo di motivazione del provvedimento giurisdizionale.
Obbligo che in questo caso tanto più sarebbe stato pressante, avendo la medesima Corte territoriale osservato, come dianzi ricordato, che il materiale pedopornografico nella cui disponibilità era il prevenuto, risultava allocato nelle memorie degli altri due telefoni cellulari e non anche nel terzo (quello contrassegnato, nella elencazione redatta dal giudice di primo grado, dalla lettera C), e della cui confisca il ricorrente, si può ben ora anticipare, giustamente si era doluto.
Ciò posto, dovendosi conseguentemente escludere che il predetto telefono cellulare abbia costituito un mezzo per la commissione del reato contestato al prevenuto, nulla essendo riportato in tale senso nella sentenza impugnata, nella quale, anzi, si dà atto del mancato reperimento di materiale pèdòpornografico all'interno della "memoria" del telefono sub C), e dovendosi, del pari, escludere che la sua detenzione costituisca di per sé reato, la confisca del medesimo, disposta dal giudice di primo grado e confermata in sede di gravame, va revocata, dovendo essere lo stesso restituito al soggetto che ne abbia il diritto.
Nei limitati termini di cui sopra la sentenza impugnata deve pertanto essere annullata, essendo, per il resto, risultato invece inammissibile il ricorso presentato dalla difesa del M..
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla confisca del telefono cellulare marca Huawei, confisca che elimina.
Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.