La disposizione di cui all'art. 117, comma 7, TUB che determina il tasso sostitutivo in ipotesi di tassi ultralegali non è retroattiva, dunque non si estende ai contratti conclusi prima dell'entrata in vigore della norma.
La società agiva in giudizio per chiedere l'accertamento della nullità parziale del contratto conto corrente intrattenuto con la Banca, oltre alla condanna di quest'ultima alla ripetizione delle somme corrisposte a titolo di interessi, spese e commissioni non dovute.
Il Tribunale di Taranto accoglieva le domande della società e, a seguito di gravame, la Corte...
Svolgimento del processo
1. Con citazione notificata il 9 settembre 2013 Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. proponeva appello contro la sentenza del Tribunale di Taranto con cui la banca stessa era stata condannata al pagamento della somma di euro 217.474,40, oltre interessi nei confronti di I. Group s.r.l.. Quest’ultima aveva agito in giudizio domandando l’accertamento della nullità parziale del contratto di conto corrente da essa intrattenuto con la Banca Nazionale dell’Agricoltura ¿ poi Banca Antonveneta, quindi Banca Monte dei Paschi di Siena ¿, oltre che la condanna della controparte alla ripetizione delle somme corrisposte per interessi, spese e commissioni non dovute.
2. Con sentenza depositata il 20 febbraio 2017 la Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, rigettava il gravame.
3. Contro tale pronuncia Banca Monte dei Paschi di Siena ha proposto un ricorso per cassazione fondato su tre motivi.
4. La causa giunge oggi all’esame del Collegio dopo un differimento disposto in attesa della decisione delle Sezioni Unite sulla questione, in questa sede dibattuta, vertente sulla precisa estensione del potere di acquisizione documentale del consulente tecnico (questione posta dall’ordinanza interlocutoria di rimessione n. 8924/2021). La controricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo viene opposta la violazione o falsa applicazione degli artt. 184, 152, 154 e 194 c.p.c. La banca istante lamenta che il consulente tecnico nominato per la rielaborazione del conto abbia utilizzato documenti prodotti dalla controparte in sede di operazioni peritali, oltre il termine perentorio previsto dall’art. 184 c.p.c. (nella versione vigente al momento dell’introduzione del giudizio di primo grado). È spiegato che la produzione riguardava tredici estratti conto e che, in considerazione dell’inammissibilità dell’acquisizione processuale, la domanda attrice avrebbe dovuto essere respinta per carenza di prova: in ogni caso, ad avviso della ricorrente, l’impiego dei predetti documenti aveva inciso sulla rideterminazione del saldo di conto corrente, onde la sentenza impugnata dovrebbe sul punto cassata.
Il motivo è infondato.
Sul tema sono di recente intervenute le Sezioni Unite di questa Corte le quali, con riferimento al tema oggetto del mezzo di doglianza in esame, hanno enunciato il principio di diritto per cui in materia di esame contabile, ai sensi dell'art. 198 c.p.c., il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza della disciplina del contraddittorio delle parti ivi prevista, può acquisire, pure prescindendo dall'attività di allegazione delle parti, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, anche se diretti a provare i fatti principali posti dalle parti a fondamento della domanda e delle eccezioni (Cass. Sez. U. 1 febbraio 2022, n. 3086). In base alla richiamata giurisprudenza deve quindi ritenersi che nel corso del giudizio di ripetizione dell’indebito proposto dal correntista nei confronti della banca il c.t.u. possa procedere all’acquisizione degli estratti conto relativi al rapporto che le parti abbiano mancato di produrre (o di produrre tempestivamente, pima che si consumassero i termini preclusivi di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c.): estratti conto che sono atti a comprovare i fatti costitutivi del diritto azionato, documentando essi l’andamento del conto e le singole rimesse suscettibili di ripetizione, in quanto riferite a somme non dovute.
2. Col secondo mezzo è lamentata la violazione o falsa applicazione degli artt. 2946 e 2935 c.c.. La censura investe l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito relativa alla nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi decorre dalla chiusura del conto; secondo la Corte di appello, in particolare, «la normalità, nell’andamento del rapporto di conto corrente, è […] che gli addebiti effettuati abbiano funzione non solutoria, ma ripristinatoria della provvista»: affermazione da cui il giudice del gravame aveva fatto discendere l’assunto per cui l’onere della prova della funzione solutoria delle rimesse gravava sull’istituto bancario, che non vi aveva assolto. Deduce l’istante che la Corte del merito avrebbe dovuto invece verificare l’effettività delle rimesse solutorie espungendo dal calcolo del saldo le competenze che si erano prescritte.
Tale motivo è inammissibile, in quanto non coglie la ratio decidendi della pronuncia sul punto che qui interessa.
La distinzione, nel quadro della disciplina della ripetizione dell’indebito in materia di contratti bancari, tra rimesse solutorie e rimesse ripristinatorie della provvista si deve alle Sezioni Unite, che hanno affrontato il problema della decorrenza della prescrizione del diritto di ripetizione. Spiega Cass. Sez. U. 2 dicembre 2010, n. 24418 che l'azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all'ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell'ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati: ciò in quanto il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell'esecuzione di una prestazione da parte del solvens, con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell'accipiens. In sintesi, hanno spiegato le Sezioni Unite, se il correntista, nel corso del rapporto, abbia effettuato non solo prelevamenti ma anche versamenti, in tanto questi ultimi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo scopo e l'effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca: e questo accadrà ove si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell'affidamento: non così in tutti i casi nei quali i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell'affidamento concesso al cliente, fungano unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere (sent. cit., in motivazione).
Ora, nel caso di specie, la Corte di appello ha accertato ¿ e il punto non è investito da censura ¿ che il conto doveva ritenersi affidato. E’ vero che anche in presenza di un affidamento possono venire ad esistenza rimesse solutorie: ciò si verifica, come si è appena detto, ove i versamenti siano operati su una esposizione debitoria eccedente il limite dell’affidamento concesso. Ma è altrettanto vero che la Corte di merito ha ritenuto, con un accertamento qui non sindacabile ¿ e comunque nemmeno specificamente impugnato ¿ che nella fattispecie si era in presenza di un fido «di fatto»: in tale evenienza ¿ ha precisato la stessa Corte ¿ il limite massimo della linea di credito accordata doveva identificarsi nella misura più elevata dello scoperto che la banca aveva consentito si producesse senza assumere iniziative preordinate al rientro (sentenza impugnata, pag. 4).
Ne deriva che, a prescindere dalla condivisibilità o meno di altre affermazioni formulate dallo stesso Giudice distrettuale nel trattare la questione relativa alla prescrizione (oggetto del primo motivo di appello: pagg. 2 ss. della sentenza), è indiscusso che l’affermata esclusione delle rimesse solutorie trovi il proprio fondamento nel rilievo per cui, una volta accertato che il limite massimo dell’affidamento concesso coincideva con il picco più alto dello scoperto di conto, tutte le rimesse eseguite dovevano ritenersi ripristinatorie. In altri termini, quanto rilevato dalla Corte di appello è, in sé, concettualmente inconciliabile con il dato dell’esistenza delle rimesse solutorie: e tanto vale ad escludere che il secondo motivo di ricorso censuri efficacemente la conclusione cui è pervenuto il Giudice del gravame.
3. Il terzo motivo oppone la violazione o falsa applicazione degli artt. 5 e 6 l. n. 152/1994. La doglianza concerne l’applicazione dell’interesse sostitutivo operante in ragione della accertata nullità della clausola di determinazione del tasso con rinvio agli usi su piazza. La Corte di appello aveva ritenuto che dovesse farsi luogo all’applicazione dell’interesse di cui all’art. 1284 c.c. fino all’entrata della l. n. 154 del 1992 e all’applicazione del saggio previsto dall’art. 5 della detta legge, coincidente con quello di cui all’art. 117, comma 7, lett. a), t.u.b., per il periodo successivo. Viene dedotto che tale soluzione risulterebbe contrastante con il principio di irretroattività della legge.
Il motivo appare fondato.
In base all’art. 161, comma 6, t.u.b., i contratti già conclusi alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 385/1993 restano regolati dalle norme anteriori. Secondo quanto ritenuto in più occasioni da questa Corte, poi, le norme che prevedono la nullità dei patti contrattuali che determinano gli interessi con rinvio agli usi, introdotte con l'art. 4 della l. n. 154/1992, poi trasfuso nell'art. 117 t.u.b. non sono retroattive, al pari della disciplina in materia di usura, e l’irretroattività opera anche per la previsione della sostituzione della clausola nulla con la diversa disciplina legale all'uopo dettata dal legislatore (Cass. 31 dicembre 2019, n. 34740; Cass. 1 marzo 2007, n. 4853; Cass. 21 dicembre 2005, n. 28302; cfr. pure, più di recente, Cass. 13 giugno 2022, n. 23872, e Cass. 19 luglio 2021, n. 20625, non massimate in CED).
Sul punto la sentenza va dunque cassata. Il giudice del rinvio dovrà conformarsi al seguente principio di diritto: «La disposizione di cui all’art. 117, comma 7, t.u.b., che determina il tasso sostitutivo in ipotesi di tassi ultralegali non è retroattiva, onde la disciplina ivi prescritta non si estende ai contratti conclusi prima dell’entrata in vigore della detta norma».
4. In ragione dell’accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata è cassata e la causa va rinviata alla Corte di appello di Lecce, in diversa composizione, la quale statuirà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo, rigetta il primo e dichiara inammissibile il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, in altra composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.