Ad essa si assegna il termine di trenta giorni dalla comunicazione o notificazione del provvedimento. Rimane comunque applicabile il termine lungo d'impugnazione previsto dall'art. 327 c.p.c. con decorrenza dalla data della pubblicazione del decreto.
Il Giudice di primo grado dichiarava l'inammissibilità per tardività dell'opposizione proposta dalla Procura presso il Tribunale di Roma avverso il provvedimento avente ad oggetto la liquidazione dei compensi maturati da un avvocato quale difensore di una parte ammessa al gratuito patrocinio. Per il Tribunale, l'opponente non...
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
Il Tribunale di Roma, RG 52742/2020, ha dichiarato inammissibile l’opposizione proposta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma avverso il provvedimento, che il ricorrente afferma essere stato “emesso il 19/06/2019”, con il quale lo stesso Tribunale di Roma aveva liquidato i compensi maturati dall’avvocato I.M.P. quale difensore di una parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato.
L’ordinanza ha ravvisato l’inammissibilità per tardività dell’opposizione, non risultando dimostrato dall’opponente che il rimedio di cui all’art. 170 del DPR n. 115/2002 fosse stato esperito nei trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento opposto, in relazione alla data del “visto PM” emergente dall’estratto storico del procedimento. Ad avviso del Tribunale, l’indicazione risultante dal registro informatico attesterebbe l’inizio del subprocedimento di comunicazione, essendo l’atto stato indirizzato verso la sfera di conoscibilità del PM.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma sulla base di due motivi.
I.M.P. è rimasto intimato.
Il primo motivo di ricorso denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, con la violazione e falsa applicazione dell’art. 136 c.p.c.: il ricorrente non avrebbe mai ricevuto una rituale comunicazione del decreto opposto, mentre le risultanze della schermata del fascicolo prodotta dal sistema SICID non sarebbero in grado di attestare che l’atto era stato effettivamente comunicato nelle forme prescritte dal codice di procedura civile, sebbene l’Ufficio di Procura fosse dotato di un indirizzo pec.
Il secondo motivo denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in quanto la decisione gravata non avrebbe preso in considerazione l’attestazione redatta dal direttore amministrativo dell’ufficio affari civili della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, nella quale si riferiva che alcuna comunicazione telematica o cartacea era stata effettuata. Né poteva gravarsi il Pubblico Ministero di dover dimostrare la data di effettiva entrata dell’atto nella sua sfera di conoscibilità.
Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato inammissibile, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all'art. 380-bis c.p.c., in relazione all'art. 375, comma 1, n. 1), c.p.c., il presidente ha fissato l'adunanza della camera di consiglio.
Il ricorso è innanzitutto inammissibile per l’inosservanza dell’art. 366 comma 1 n. 3 c.p.c., in quanto risulta del tutto carente della sommaria esposizione dei fatti di causa. Dopo aver indicato in epigrafe l’ordinanza impugnata, il ricorso fa seguire in via immediata la formulazione dei motivi di ricorso, e ciò non consente una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa sostanziali e processuali, nonché delle vicende relative ai pregressi gradi di giudizio.
In ogni caso il ricorso non supera lo scrutinio di cui all’art. 360 bis n. 1 c.p.c., avendo il Tribunale deciso la questione di diritto in modo conforme all’interpretazione di questa Corte, seppur con motivazione in parte da correggere.
Il Tribunale di Roma ha, infatti, concluso per la tardività dell’opposizione, sul presupposto che, pur essendo stata fornita la dimostrazione della comunicazione del decreto opposto all’Ufficio del Procuratore della Repubblica, sia pure con modalità diverse da quelle prescritte dal codice di rito, l’opponente non aveva dimostrato che il ricorso fosse stato proposto nei trenta giorni dalla conoscibilità dell’atto. I motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente per la loro evidente connessione, criticano tale conclusione, negando la rilevanza che il giudice dell’opposizione ha assegnato alla trasmissione del fascicolo per il visto del PM. Occorre tuttavia rilevare quanto segue.
A norma dell’art. 84, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, avverso il decreto di pagamento del compenso al difensore di soggetto ammesso al patrocinio a spese dello Stato (decreto che va comunicato al difensore e alle parti, compreso il pubblico ministero), è ammessa opposizione ai sensi dell'articolo 170. Tale opposizione è disciplinata dall'art. 15 del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150. Il ricorso è proposto al capo dell'ufficio giudiziario cui appartiene il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato; per i provvedimenti emessi da magistrati dell'ufficio del giudice di pace è competente il presidente del tribunale.
L’art. 15, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2011 dispone che le opposizioni ai decreti in tema di spese di giustizia «sono regolate dal rito sommario». Ciò presuppone che il decreto di liquidazione del compenso – emesso dal giudice ed opponibile innanzi al capo dell’ufficio cui appartiene quel magistrato – debba, di conseguenza, considerarsi equiparato all’ordinanza del giudice monocratico, appellabile ex art. 702-quater cod. proc. civ. Pertanto, all’opposizione avverso il decreto sulle spese di giustizia è riferibile il termine di trenta giorni dalla comunicazione o notificazione del provvedimento (Corte cost. n. 106/2016). In assenza di tale notificazione o comunicazione, rimane applicabile, con decorrenza dalla data della pubblicazione del decreto, il termine lungo d'impugnazione di cui all'art. 327 c.p.c., che opera per tutti i provvedimenti a carattere decisorio e definitivo (Cass. n. 16893 del 2018; Cass. n. 32961 del 2019; Cass. n. 5990 del 2020; arg. anche da Cass. Sez. Unite 5 ottobre 2022, n. 28975).
Ne consegue comunque che è accertata l’inammissibilità per tardività ex art. 327 c.p.c. dell’opposizione proposta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Non devono regolarsi le spese del giudizio di cassazione, sia in ragione della natura del ricorrente di organo propulsore dell'attività giurisdizionale, sia per la mancata costituzione dell’intimato.
Neppure sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n.115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.