Sussistente il fumus del reato di interferenza illecita nella vita privata.
Svolgimento del processo
1. Con l'ordinanza impugnata il Tribunale di Siracusa, in funzione di giudice del riesame, ha annullato il provvedimento di sequestro probatorio adottato dal pubblico ministero nel procedimento nei confronti di M.G. per il reato di interferenze illecite nella vita privata. In particolare la M. è stata querelata dal marito per aver illecitamente registrato una conversazione tra lo stesso ed altra persona, utilizzando tale registrazione nella causa civile di separazione e per opporsi all'archiviazione del procedimento intentato nei confronti del coniuge per il reato di cui all'art. 570 c.p. Nell'ambito delle successive indagini il pubblico ministero ha dunque disposto la perquisizione e il sequestro dei cellulari dell'indagata, rigettando successivamente l'istanza di restituzione presentata da quest'ultima adducendo l'esigenza di verificare se nei dispositivi in sequestro vi fossero ulteriori conversazioni captate arbitrariamente. I giudici del merito, pur ritenendo sussistente il fumus del reato contestato, hanno, come accennato, annullato il decreto di sequestro e disposto la restituzione dei dispositivi all'avente diritto ritenendo già esaustivamente soddisfatte attraverso le esigenze probatorie poste a fondamento della misura cautelare in ragione della già avvenuta estrazione di copia forense del loro contenuto. Successivamente alla restituzione dei dispositivi l'indagata ha presentato al Tribunale istanza di correzione di errore materiale dell'ordinanza adducendo la mancata disposizione della restituzione all'indagata anche della copia forense ovvero della distruzione di quest'ultima. Istanza che è stata rigettata dal Presidente del collegio con provvedimento del 26 aprile 2022 con il quale ha escluso la sussistenza di errori materiali, rinviando alla motivazione dell'ordinanza.
2. Avverso l'ordinanza ricorre l'indagata articolando quattro motivi. Con il primo deduce violazione di legge, eccependo il difetto del fumus delicti e del nesso di pertinenzialità tra i dispositivi sequestrati e il reato in contestazione ovvero la mancanza di motivazione in riferimento a tali profili. In particolare la ricorrente lamenta che il Tribunale abbia ingiustificatamente ritenuto legittimo il sequestro indiscriminato ed omnicomprensivo dei dati contenuti nei dispositivi dell'indagata, senza rilevare la carenza di motivazione del decreto genetico in ordine ai criteri di selezione di quelli da assoggettare a vincolo. Conseguente illegittima sarebbe la mancata restituzione anche della copia forense formata dal pubblico ministero. Con il secondo motivo viene dedotta violazione del principio di proporzionalità ed adeguatezza della misura cautelare, disposta con riguardo all'interezza dei dati contenuti nei dispositivi, vizio che si trasmette inevitabilmente anche alla copia forense nella misura in cui questa replica l'intero contenuto di un sistema informatico senza selezionare i dati di effettivo interesse investigativo. Ulteriore violazione di legge viene denunziata con il terzo motivo, lamentando la ricorrente la natura meramente apparente della motivazione del provvedimento impugnato con riguardo al collegamento tra i beni sequestrati e il fatto addebitato all'indagata. Ancora violazione di legge viene dedotta con il quarto motivo in merito alla riqualificazione ai sensi dell'art. 310 c.p.p. del motivo di gravame relativo al rigetto da parte del pubblico ministero dell'istanza di restituzione dei beni sequestrati, posto che in tale provvedimento era evidenziata la natura sostanzialmente esplorativa del vincolo apposto sui dispositivi dell'indagata.
3. Con memoria depositata 1'8 ottobre 2022 i difensori dell'indagata hanno replicato alle conclusioni del procuratore generale confutandone le argomentazioni e ribadendo i motivi di ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è nel suo complesso infondato.
2. Va innanzi tutto ricordato che in materia di misure cautelari reali il ricorso per cassazione è ammesso solo per violazione di legge e che pertanto è consentito dedurre censure attinenti la motivazione del provvedimento impugnato solo nei limiti in cui oggetto di doglianza sia l'assoluta mancanza di un apparato giustificativo della decisione o, quanto meno il difetto dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza del medesimo, tanto da evidenziarne l'inidoneità a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/5/2008, Ivanov, Rv. 239692; Sez. U, n. 5876 del 28/1/2004, P.C. Ferazzi in proc.Bevilacqua, Rv. 226710). Ne consegue che devono ritenersi inammissibili le censure proposte dalla ricorrente con riguardo alla sussistenza del fumus commissi delicti, posto che in riferimento a tale profilo la motivazione del provvedimento impugnato non è assente né meramente apparente, come invece eccepito.
Analoghe considerazioni devono essere svolte in merito al lamentato difetto di pertinenzialità tra i beni sequestrati e il reato contestato, rapporto logicamente ricostruito, contrariamente a quanto sostenuto, nel provvedimento genetico che ha enucleato le finalità probatorie perseguite attraverso l'apprensione dei dispositivi alla luce della natura del reato per cui si procede ed alle sue modalità di consumazione.
3. La ricorrente lamenta inoltre l'omessa confutazione dei rilievi svolti in merito all'indiscriminata estensione della perquisizione e del sequestro disposti dal pubblico ministero. Doglianza che si rivela invero infondata, posto che il giudice del riesame ha evidenziato come il relativo decreto avesse indicato specificamente i dati da ricercare e sottoporre al vincolo in funzione della prova dei reati per cui si procede e come il sequestro sia stato esteso ai dispositivi ed ai supporti nella necessità di individuare i dati ricercati, tra i quali eventuali conversazioni ulteriori e diverse rispetto a quella prodotta dall'indagata nel giudizio civile e di cui il querelante aveva paventato l'esistenza.
4. Venendo alle ulteriori doglianze della ricorrente, va ribadito che è certamente illegittimo, per violazione del principio di proporzionalità ed adeguatezza, il sequestro a fini probatori di un dispositivo elettronico che conduca, in difetto di specifiche ragioni, alla indiscriminata apprensione di una massa di dati informatici, senza alcuna previa selezione di essi e comunque senza l'indicazione degli eventuali criteri di selezione (ex multis Sez. 6, Sentenza n. 6623 del 09/12/2020, dep. 2021, Pessotto Rv. 280838).
Non di meno questa Corte ha ripetutamente avuto modo di precisare come la ricerca e l'individuazione all'interno di un sistema informatico dei dati da assoggettare al vincolo probatorio sia operazione che può rivelarsi complessa in ragione del volume dei dati conservati nel sistema, come della difficoltà di identificare quelli rilevanti ed anche per la necessità di adottare le adeguate misure tecniche di cui all'art. 247 comma 1-bis c.p.p. In tal senso è stato dunque ritenuto legittimo e non in contrasto con i principi di proporzionalità ed adeguatezza il sequestro dell'intero dispositivo piuttosto che l'estrazione della copia di singoli dati in esso contenuti, quando ciò sia giustificato dalle difficoltà tecniche di estrapolare in maniera mirata i dati ricercati nella memoria del sistema (Sez. 5, Sentenza n. 38456 del 17/05/2019, Benigni, Rv. 277343), così come l'estrazione di copia integrale dei dati contenuti in quest'ultimo, realizzando solo una copia-mezzo, che consente la immediata restituzione del dispositivo (Sez. 6, Sentenza n. 34265 del 22/09/2020, Aleotti, Rv. 279949). In entrambi i casi l'estensione del sequestro (che rimane tale anche nel caso dell'apprensione della mera copia integrale dei dati, come chiarito da Sez. U, Sentenza n. 40963 del 20/07/2017, Andreucci, Rv. 270497) assume natura meramente strumentale a garantire l'effettività della perquisizione e quindi non legittima il trattenimento della totalità delle informazioni apprese oltre il tempo necessario a selezionare quelle pertinenti al reato per cui si procede, gravando sul pubblico ministero l'onere di predisporre un'adeguata organizzazione per compiere tale selezione nel tempo più breve possibile e provvedere, all'esito, alla restituzione del dispositivo o della copia integrale all'avente diritto (cfr. la citata sentenza Andreucci).
Facendo buon governo di tali principi il Tribunale ha dunque ritenuto superfluo il mantenimento del vincolo sui dispositivi sequestrati una volta che il pubblico ministero aveva provveduto all'estrazione della copia-mezzo (o copia forense che dir si voglia), disponendo conseguentemente la loro restituzione. In tal senso il giudice del riesame ha ritenuto che l'attività di ricerca della prova evidenziata nel decreto di sequestro si fosse nel frattempo "trasferita" sulla copia del contenuto dei beni sequestrati. Attività ritenuta legittima in presenza dell'accertato fumus commissi delicti e della pertinenza dei beni sequestrati alla prova del reato in contestazione. Ed anche in questo senso la decisione del Tribunale va esente dalle censure proposte dalla ricorrente, posto che, come detto, quella trattenuta è una copia-mezzo del contenuto dei dispostivi strumentale alla verifica della eventuale presenza dei dati ricercati, operazione, che una volta conclusa con esito negativo, deve esitare nella restituzione integrale della stessa, mentre, qualora i dati ricercati vengano effettivamente rinvenuti, comporta il trattenimento di questi ultimi - sui quali si verrà dunque a concentrare la cautela reale - e la restituzione di quelli ritenuti ininfluenti ai fini della prova del reato per cui si procede. Né il tempo intercorso tra l'estrazione della copia e la decisione del Tribunale può ritenersi ancora incompatibile con la funzione dell'estrazione della copia menzionata, fermo restando che la sua eventuale ulteriore protrazione, se non giustificata da eventuali difficoltà incontrate nello svolgimento delle operazioni, consentirebbe all'interessata di reclamare la restituzione dell'integrale compendio acquisito con le modalità indicate.
5. Inammissibili sono infine le censure proposte con l'ultimo motivo. Invero il provvedimento con il quale il pubblico ministero ha rigettato l'istanza di restituzione del 28 marzo 2022 non era né poteva costituire oggetto della richiesta di riesame. In tal senso correttamente il Tribunale ha ritenuto di riqualificare come autonoma impugnazione di tale provvedimento ai sensi dell'art. 310 c.p.p. il secondo motivo articolato con l'istanza di riesame. Impugnazione che ha ritenuto peraltro assorbita dall'accoglimento di quest'ultima, vista l'identità dell'oggetto (ossia la restituzione dei dispositivi), ma che più correttamente avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile, posto che avverso il provvedimento del pubblico ministero doveva essere preventivamente proposta opposizione ai sensi dell'art. 263 c.p.p. Ininfluente è invece la lamentela della ricorrente per cui in realtà alcuna impugnazione era stata proposta, essendo stato il citato provvedimento evocato al solo fine di dimostrare la natura meramente esplorativa del sequestro. Ed infatti anche qualora dovesse ritenersi che il Tribunale abbia frainteso il senso del secondo motivo di riesame, comunque ed a maggior ragione la decisione sarebbe coerente con l'accoglimento del primo motivo. Né comunque da tale provvedimento potrebbe trarsi valida smentita della motivazione del decreto di sequestro, unico effettivo e legittimo terminale del giudizio dello stesso Tribunale.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali