Il coniuge che richiede l'addebito della separazione all'altro coniuge per inosservanza dell'obbligo di fedeltà deve provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza.
Svolgimento del processo
- che, per quanto di interesse, con sentenza n. 1235/2021, depositata il 15.11.2021, la Corte d’Appello di Torino ha confermato la sentenza del 23.7.2020 con cui il Tribunale di Cuneo, nell’ambito del giudizio di separazione pendente tra V. B. e F. M., ha respinto le reciproche domande di addebito formulate dai coniugi;
- che avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione V. B. affidandolo a due motivi, mentre F. M. ha resistito con controricorso;
che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380-bis c.p.c.;
che il ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis c.p.c.;
Motivi della decisione
1. che con il primo motivo è stato dedotto l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, violazione e falsa applicazione degli artt. 167, 183 n. 1, 112, 115 e 116 cod. proc. civ., 2697 cod. civ.; nullità della sentenza o del procedimento in relazione agli artt. 156 comma 2°, 161 , 167, 183 n. 1 cod. proc. civ.;
che, in particolare, il ricorrente deduce che la M., soltanto con la comparsa conclusionale in primo grado, ha eccepito che l’affectio coniugalis fosse venuta meno ben prima dell’ultima infedeltà, così incorrendo irrimediabilmente in una preclusione;
che, in sostanza, la M., nel costituirsi in giudizio, ha concentrato le proprie energie sulle richieste economiche e sulla domanda di addebito al marito, non facendo alcun cenno alla risalente disgregazione del matrimonio, non avendo nemmeno dedotto delle prove al riguardo;
2. che il motivo è inammissibile;
che, in particolare, il ricorrente invoca la tardività (perché avvenuta solo con la comparsa conclusionale di primo grado) dell’allegazione della moglie in ordine alla risalente disgregazione del matrimonio senza neppure dedurre di aver fatto specificamente valere tale tardività ed il conseguente asserito vizio della sentenza di primo grado con l’atto d’appello, ex art. 342 cod. proc. civ., di talché può ritenersi che sulla questione si sia formato il giudicato interno;
- che, in ogni caso, l’odierna deduzione del ricorrente ha natura meramente assertiva, non avendo neppure riportato dei passaggi della comparsa di costituzione della ricorrente in primo grado, come invece ha fatto la stessa M. nel controricorso, idonei a consentire di individuare il tenore delle difese da quest’ultima svolte in primo grado;
3. che con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 163 n. 5 164, 167, 186,187, 189, 244 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ.;
che, in particolare, il ricorrente deduce che l’affermazione secondo cui il matrimonio si fosse disgregato da anni è smentita dall’intero impianto probatorio acquisito e, all’uopo, ha preso in esame tutte le deposizioni testimoniali e gli altri elementi di prova da cui emergerebbe che il fallimento dell’unione matrimoniale è stata determinata dalle infedeltà coniugali della M.;
4. che il motivo è inammissibile;
- che, va, preliminarmente, osservato che secondo il consolidato orientamento di questa Corte (vedi recentemente Cass. n. 3923 del 19/02/2018; vedi anche Cass. n. 2059/2012), grava sulla parte che richieda, per l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà, l'addebito della separazione all'altro coniuge l'onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre è onere di chi eccepisce l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell'infedeltà nella determinazione dell'intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l'eccezione si fonda, vale a dire l'anteriorità della crisi matrimoniale all'accertata infedeltà;
- che, nel caso di specie, la Corte d’Appello ha fatto un corretto uso di tali principi, ritenendo all’esito della valutazione degli elementi probatori emergenti in causa di condividere la ricostruzione operata dal giudice di primo grado secondo cui la disgregazione del matrimonio era già in atto da tempo, tanto è vero che gli stessi coniugi avevano presentato un primo ricorso congiunto per separazione nel lontano 2012, poi abbandonato non per essere intervenuta una effettiva ricomposizione dell’unità familiare, ma “per il bene dei figli”;
che, pertanto, le condotte poste in essere da entrambi i coniugi in contrasto con i doveri coniugali – le aggressioni fisiche del ricorrente nei confronti della moglie e i tradimenti coniugali di quest’ultima – non erano stati la causa, bensì la conseguenza del venir meno dell’affectio coniugalis;
- che tale valutazione in fatto non può essere sindacata in sede di legittimità, neppure a norma dell’art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c., atteso che in una fattispecie di doppia conforme – quale quella di specie – il ricorso per cassazione, in virtù dell’art. 348 ter comma 4° c.p.c. non può essere proposto a tale titolo;
che, invece, il ricorrente, con l’apparente deduzione di violazioni di legge, non ha fatto altro che sollecitare inammissibilmente una diversa valutazione degli elementi probatori rispetto a quella operata dalla Corte d’Appello;
5. che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo;
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in € 3.100, di cui € 100,00 per spese, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.