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30 novembre 2022
L’apologia di reati con finalità terroristica tramite Internet ha natura di delitto di pericolo concreto
Il pericolo concreto può concernere non solo la commissione di specifici atti di terrorismo ma anche l'adesione di un terzo ad un'associazione terroristica.
La Redazione
La Corte d''Appello confermava la condanna emessa dal Tribunale confronti dell'imputato per il delitto di istigazione a delinquere. Nello specifico, all'uomo era stato contestato di aver fatto apologia di reati di natura terroristica (associazione terroristica ex art. 270-bis c.p. e delitti contro la persona con la finalità di terrorismo ex art. 270-sexies c.p.), tramite la pubblicazione sul suo profilo Facebook di svariate immagini riconducibili al mondo dell'integralismo islamico.
 
Contro questa decisione, l'incolpato propone ricorso in Cassazione deducendo la carenza  degli elementi oggettivo e soggettivo del delitto in questione. Per quanto attiene al primo aspetto, dai vari post riferibili all'uomo questi non risultava in grado di dispensare insegnamenti o consigli tanto da poter fare opera di proselitismo. In riferimento al secondo aspetto, mancherebbe il cd. dolo istigatorio, consistente nella coscienza e volontà di turbare l'ordine pubblico o la personalità dello Stato.
 
Con sentenza n. 45448 del 30 novembre, la Suprema Corte dichiara il ricorso fondato.
 
L'apologia riguardante atti terroristici ha natura di reato di pericolo concreto. Pericolo, derivante dalla condotta dell'agente di consumazione di altri reati lesivi di interessi omologhi a quelli offesi dal reato esaltato, che può concernere non solo la commissione di specifici atti di terrorismo ma anche l'adesione ad un'associazione terroristica.
 
È tuttavia necessario «l'acclarato travalicamento dei confini della mera adesione interiore e ideologica per giungere ad un'attivazione fattiva in favore della 'causa jihadista'», mediante un'opera di propaganda sui social network che si sostanzia nella diffusione di teorie volte a giustificare gli atti terroristici compiuti contro i cittadini degli Stati ritenuti nemici dello stato islamico.
 
Ciò detto, si rileva che come dedotto dal ricorrente la brevissima motivazione resa dalla Corte territoriale, a fronte di una pluralità di condotte, tra le altre, la pubblicazione di due foto raffiguranti uomini a cavallo armati, con bandiere nere e scritte in arabo, e la pubblicazione di una bandiera verde, contestate nell'imputazione, risulta apparente.
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