Il Consiglio di Stato affronta la questione del bilanciamento tra le garanzie di tutela delle vittime di stalking e le garanzie di partecipazione procedimentale e di accesso agli atti da parte dei destinatari dei provvedimenti di ammonimento prefettizio.
La controversia trae origine dal provvedimento di ammonimento emesso dal Questore nei confronti dell'attuale ricorrente dopo aver ritenuto provato il suo atteggiamento persecutorio nei confronti della ex partner. Tuttavia, l'Amministrazione ometteva di inviare al ricorrente la comunicazione di avvio del procedimento diretto all'emanazione dell'atto di ammonimento in ragione della ritenuta urgenza visto l'alto rischio di recidiva.
Il TAR rigettava il ricorso sul rilievo dell'esaustività della motivazione dell'Amministrazione e tenuto anche conto che «ai fini dell'adozione della misura monitoria dell'ammonimento orale non è richiesta la piena prova della responsabilità dell'ammonito, ben potendo detto provvedimento fondarsi anche su un quadro istruttorio indiziario».
La sentenza viene impugnata dinanzi al Consiglio di Stato. In particolare, il ricorrente si duole dell'omessa comunicazione di avvio del procedimento finalizzato emanazione dell'atto di ammonimento sul rilievo che la logica sottesa a tale misura non consente di sottrarla dai principi di garanzie procedimentali poste a tutela del corretto esercizio del potere amministrativo, in particolare ove non sussistano specifiche ragioni di urgenza.
Nella stessa sede, lamenta la violazione della disciplina sull'accesso agli atti della PA.
Il Consiglio di Stato rigetta il ricorso con sentenza n. 10369 del 24 novembre 2022.
In relazione al primo motivo, il Giudice ha stabilito che «nei procedimenti amministrativi finalizzati all'emanazione di un provvedimento di "ammonimento orale" in tema di atti persecutori, vista la natura spiccatamente preventiva e cautelare di tale atto, l'inoltro della comunicazione di avvio del procedimento non è obbligatorio nei casi in cui sussistano specifiche ragioni di urgenza evidenziate nell'atto».
Nel caso di specie, il Consiglio ritiene che le ragioni di urgenza siano state espressamente menzionate nel provvedimento della Questura, la quale ha ravvisato la necessità e l'urgenza di emettere il provvedimento visto «l'alto rischio di recidiva».
Anche il secondo motivo è infondato. A tal proposito, viene richiamato l'indirizzo secondo cui «al privato debba essere garantito, comunque, l'accesso ai documenti amministrativi per difendere i propri interessi non può essere inteso nel senso che di fatto, in ogni situazione, l'interesse alla cura di interessi privati prevalga sulle esigenze di tutela degli interessi pubblici tipizzati dall'art. 24 (…). Ne discende che il diritto di accesso ai documenti amministrativi si estrinseca con moduli non di contenuto predeterminato, ma di ampiezza variabile, compatibile con la contestuale esigenza di tutela degli interessi pubblici con i quali deve contemperarsi».
In particolare, in materia di procedimento di ammonimento previsto dalla disciplina sulle misure in materia di contrasto alla violenza sessuale e atti persecutori, «mentre la garanzia partecipativa viene salvaguardata mediante il coinvolgimento dell'interessato a mezzo di audizione, quest'ultimo tuttavia non ha titolo ad accedere alle categorie di documenti che in qualche misura siano attinenti o comunque connessi ad attività investigative ancora in corso, ed alla "identità delle fonti"; tra le quali - oltre alle dichiarazioni del soggetto denunciante – spesso possono esserci anche altri dati provenienti dalla raccolta di informazioni provenienti da terzi».
Applicando tali principi al caso di esame, il Consiglio osserva che il bilanciamento tra l'interesse dell'istante alla difesa dei propri interessi giuridici ai sensi della disciplina sull'ostensione dei documenti amministrativi e l'interesse pubblico alla segretezza degli atti investigativi, fosse stato congruo e proporzionato, visti i potenziali rischi per le persone coinvolte. Inoltre, il ricorrente aveva avuto modo di conoscere in maniera adeguata le contestazioni a lui mosse: in primo luogo nel corso del procedimento, in sede di audizione disposta dalla Prefettura, nelle more della trattazione del ricorso gerarchico; e poi, anche grazie alla lettura del provvedimento finale di ammonimento, che gli aveva esposto in maniera circostanziata e analitica tutti i fatti ascrittigli.
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza (ud. 10 novembre 2022) 24 novembre 2022, n. 10369
Svolgimento del processo
1. -OMISSIS- il Questore della Provincia di Rimini ha emesso un provvedimento di ammonimento ex art. 8, d.l. n. 11/2009, conv. in l. n. 28/2009, nei confronti del sig. -OMISSIS-.
L’atto amministrativo trae fondamento da quanto riferito dalla ex moglie dell’odierno appellante, sig.ra -OMISSIS-. In particolare, ella ha dato conto del fatto che l’ex marito -OMISSIS-, si introduceva senza permesso all’interno della sua abitazione, il più delle volte ubriaco, e usava violenza psicologica nei suoi confronti insultandola.
Dalla disamina degli atti e dall’escussione della parte offesa e dei testimoni, la Questura ha ritenuto provato l’atteggiamento ossessionante dell’appellante, il quale ha cagionato un perdurante stato di ansia e di paura nei confronti dell’ex partner.
L’Amministrazione, nel corso del procedimento, ha omesso la comunicazione di avvio del procedimento in ragione della ritenuta urgenza sottesa all’emanazione del provvedimento di ammonimento.
2. L’interessato ha adito in sede gerarchica il Prefetto della Provincia di Rimini il quale, previa audizione personale del ricorrente in data -OMISSIS-, ha rigettato il ricorso.
Nell’occasione la Prefettura ha precisato da una parte che la comunicazione di avvio del procedimento non è dovuta in caso di emanazione di provvedimenti aventi precipua finalità cautelare, e dall’altra che può ritenersi attendibile la ricostruzione offerta dalla ex moglie del ricorrente, anche in ragione della precedente querela sporta da quest’ultima -OMISSIS- nei confronti dell’ex marito per fatti di reato a base violenta.
3. A seguito del rigetto del ricorso gerarchico, -OMISSIS- il Prefetto della Provincia di Forlì-Cesena ha imposto all’odierno appellante il divieto di detenzione di armi e munizioni ex art. 39, r.d. n. 773/1931 (cd. TULPS), motivato in ragione del venir meno dei requisiti di affidabilità in capo al titolare dell’autorizzazione, desunto in via principale dal provvedimento di ammonimento a carico.
4. Conseguentemente, e per gli stessi motivi, con provvedimento -OMISSIS il Questore della Provincia di Forlì-Cesena ha proceduto alla revoca della licenza di porto di fucile per uso caccia.
5. Avverso tutti i sopra menzionati provvedimenti amministrativi l’interessato ha proposto ricorso per l’annullamento avanti al Tar per l’Emilia Romagna.
6. Con sentenza -OMISSIS- il Tar ha respinto il ricorso, ritenendo esaustiva la motivazione dell’Amministrazione, tenuto anche conto che ai fini dell’adozione della misura monitoria dell’ammonimento orale non è richiesta la piena prova della responsabilità dell’ammonito, ben potendo detto provvedimento fondarsi anche su un quadro istruttorio indiziario.
7. Il ricorrente ha impugnato l’indicata sentenza con appello notificato - OMISSIS- e depositato il successivo -OMISSIS-.
7.1. Con il primo motivo si deduce il vizio di violazione dell’art. 7, l. n. 241/1990 e il difetto di istruttoria, atteso che l’Amministrazione ha omesso di inviare la comunicazione di avvio del procedimento diretto all’emanazione dell’atto di ammonimento.
Sul punto, l’appellante osserva che la logica di prevenzione sottesa a tale misura non consente di sottrarla dai principi di garanzie procedimentali poste a presidio del corretto esercizio del potere amministrativo, specie ove non sussistano specifiche ragioni di urgenza. La difesa sottolinea che, nel caso di specie, tali ragioni erano del tutto assenti, considerato che: a) il provvedimento di ammonimento è stato emanato a distanza di oltre un mese dalla presentazione della relativa istanza; b) i fucili detenuti dall’appellante erano custoditi a centinaia di chilometri di distanza dalle abitazioni dei soggetti coinvolti nella vicenda, come da ricevute di consegna delle armi in atti.
Si deduce inoltre il difetto di istruttoria, lamentando il mancato accoglimento delle richieste dell’appellante di ascoltare -OMISSIS-, che ben conoscerebbero i rapporti tra i due ex coniugi.
7.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 24, l. n. 241/1990 e del DM n. 415/1994, nella parte in cui l’Amministrazione ha negato l’accesso richiesto dall’appellante, in quanto concernente atti della polizia giudiziaria normativamente sottratti ex art. 3, comma 1, lett. b) del predetto DM.
In merito, la difesa osserva che è illegittima una prassi applicativa che venga a determinare una sottrazione generalizzata e automatica alle richieste ostensive dei documenti formati dal Ministero dell’Interno nelle specifiche materie incluse nella disposizione regolamentare. La Questura di contro – nella prospettazione difensiva - avrebbe dovuto verificare la sussistenza o meno di esigenze di tutela di determinati interessi (disvelamento di tecniche investigative e identità delle fonti di informazione, rischi per la sicurezza dei beni e delle persone coinvolte etc.) alla luce delle circostanze del caso concreto.
7.3. Con il terzo, quarto e quinto motivo di impugnazione si deduce la violazione degli artt. 8, d.l. n. 11/2009 e 612-bis c.p., nonché il vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria, sproporzione e carenza di motivazione.
In particolare, l’appellante afferma l’impossibilità di ricondurre le condotte da lui tenute entro la cornice dell’art. 612-bis c.p., e in ogni caso l’inattendibilità della ricostruzione fattuale offerta dalla ex moglie e accolta dall’Amministrazione.
Sul punto, si sostiene che i fatti posti alla base dei provvedimenti impugnati documenterebbero una mera situazione di reciproco rancore tra gli ex coniugi, senza alcun intento persecutorio da parte dell’odierno appellante.
A sostegno di ciò, la difesa ha prodotto numerose chat e tabulati telefonici da quali si desumerebbe che i contatti tra gli ex coniugi erano e sono limitati a scambi di informazioni -OMISSIS-, e non si evincerebbe da essi alcun intento aggressivo e/o persecutorio.
L’appellante sottolinea inoltre che la vicina di casa della parte offesa – come da documentazione in atti - ha affermato di non aver mai sentito litigare gli ex coniugi.
L’atto di appello contesta poi la versione della ex moglie nella parte in cui rappresenta che l’ex marito si introduceva nella sua abitazione “senza permesso” e in stato di ebbrezza alcolica. A tal riguardo si evidenzia che l’appellante, oltre ad essere immune da precedenti di polizia, non risulta mai essere stato sanzionato per guida in stato di ebbrezza.
Da ultimo, la difesa ha prodotto in giudizio un’autocertificazione -OMISSIS-, nella quale si dà atto che -OMISSIS-, e che in tali occasioni non ha mai assistito ad atti di violenza, né visto -OMISSIS- ubriaco.
7.4. Con il sesto motivo si deduce l’illegittimità derivata dei provvedimenti di divieto di detenzione armi e munizioni e di revoca del porto di fucile per uso caccia, in quanto dirette conseguenze del provvedimento di ammonimento.
7.5. Nell’atto di appello, la difesa ha formulato richieste istruttorie, chiedendo l’interrogatorio libero della sig.ra -OMISSIS- e la testimonianza del sig. - OMISSIS-.
8. Il Ministero dell’Interno non si è costituito in giudizio.
9. All’udienza pubblica del 10 novembre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
L’appello è infondato.
1. Il primo motivo di appello, relativo all’asserita violazione dell’art. 7, l. n. 241/1990, non è meritevole di accoglimento.
La Sezione ritiene che, nei procedimenti amministrativi finalizzati all’emanazione di un provvedimento di ammonimento orale ai sensi dell’art. 8, d.l. n. 11/2009, vista la natura spiccatamente preventiva e cautelare di tale atto, l’inoltro della comunicazione di avvio del procedimento non è obbligatorio nei casi in cui sussistano specifiche ragioni di urgenza evidenziate nell’atto (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, n. 2620/2020; n. 2108/2019).
Nel caso di specie – contrariamente a quanto sostenuto nell’atto di appello – le ragioni di urgenza sono state espressamente menzionate nel provvedimento della Questura.
In effetti, la parte offesa ha riferito che le condotte moleste dell’ex marito si ripetono “-OMISSIS-”. Conseguentemente, l’Amministrazione ha ritenuto la necessità e l’urgenza di emettere il provvedimento, visto “l’alto rischio di recidiva”.
Peraltro, si evidenzia che il diritto al contraddittorio procedimentale è stato comunque assicurato al destinatario dell’atto, giacché l’appellante è stato sentito in sede di audizione prima della decisione definitiva sul ricorso gerarchico (cfr. nello stesso senso Consiglio di Stato, sez. III, n. 8679/2021; n. 2108/2019).
Il motivo in esame non può dunque che essere respinto.
2. Il secondo motivo, relativo alla dedotta violazione dell’art. 24, l. n. 241/1990 e del DM n. 415/1994, non è fondato.
2.1. Sul punto giova richiamare l’orientamento della Sezione che ha stabilito come il principio espresso al comma 7 dell’articolo 24, l. n. 241/1990 (cioè che al privato debba essere garantito, comunque, l’accesso ai documenti amministrativi per difendere i propri interessi) “non possa essere inteso nel senso che, di fatto, in ogni situazione l’interesse alla cura di interessi privati prevalga sulle esigenza di tutela degli interessi pubblici tipizzati dall’art. 24 […] Ne discende, quindi, che il diritto di accesso ai documenti amministrativi si estrinseca con moduli non di contenuto predeterminato, ma di ampiezza variabile, compatibile con la contestuale esigenza di tutela degli interessi pubblici (con i quali deve contemperarsi)” (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, n. 5377/2018).
In particolare, si ritiene che in materia di procedimento di ammonimento previsto dalla legge n. 38/2009, mentre la garanzia partecipativa viene salvaguardata mediante il coinvolgimento dell’interessato a mezzo di audizione o di inoltro della comunicazione di avvio del procedimento, quest’ultimo tuttavia non ha titolo ad accedere alle categorie di documenti che in qualche misura siano attinenti ad attività investigative ancora in corso ed alla “identità delle fonti”, tra le quali - oltre alle dichiarazioni del soggetto denunciante già riportate nel provvedimento finale - ci possono essere anche altri dati provenienti da una prima raccolta di informazioni da terzi (così Consiglio di Stato, sez. III, n. 5377/2018 cit.).
L’ostensione di tali ulteriori documenti in questa fase, in mancanza di perspicue argomentazioni chiarificatrici sulla indispensabilità della documentazione ai fini del compiuto esercizio delle facoltà difensive, eccederebbe il limite segnato dal nesso di strumentalità difensiva della pretesa ostensiva (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, n. 7041/2019).
2.2. Nel caso di specie, si rileva in primo luogo come il bilanciamento di interessi operato dall’Amministrazione tra interesse dell’istante alla difesa dei propri interessi giuridici ex art. 24, comma 7, l. n. 241/1990 e interesse pubblico alla segretezza degli atti investigativi ex art. 3, comma 1, lett. a) DM n. 415/1994, appaia congruo e proporzionato, visti i potenziali rischi per le persone coinvolte derivante dalla disponibilità di armi in capo all’appellante.
In secondo luogo si osserva che l’appellante ha in ogni caso avuto modo di conoscere adeguatamente le contestazioni a lui mosse: a) dapprima nel corso del procedimento, in sede di audizione disposta dalla Prefettura nelle more della trattazione del ricorso gerarchico; b) successivamente, con la lettura del provvedimento finale di ammonimento, che espone in maniera puntuale e analitica i fatti a lui ascritti.
In terzo luogo, si evidenzia che allo stato attuale l’appellante risulta in possesso di tutta la documentazione inerente al procedimento di ammonimento, utile all’esercizio delle proprie prerogative difensive, essendo essa stata depositata in primo grado dall’Amministrazione resistente.
Il motivo deve dunque essere respinto.
3. Anche il terzo, il quarto e il quinto motivo di appello – che per ragioni di stretta connessione verranno trattati congiuntamente – non sono suscettibili di positivo apprezzamento.
3.1. In sintesi, la difesa contesta che le azioni tenute dall’appellante siano riconducibili alla fattispecie di cui all’art. 612-bis c.p., difettando la materialità delle condotte e l’intento persecutorio, e non essendo stato dimostrato lo stato di ansia perdurante in capo alla parte offesa.
3.2. Di contro, il Collegio ritiene che le valutazioni espresse dall’Amministrazione in sede di emanazione del provvedimento di ammonimento siano immuni da censure di irragionevolezza o sproporzione.
In effetti, le circostanze riferite dalla ex moglie dell’appellante hanno trovato plurimi riscontri negli atti di causa.
In particolare, la vicina di casa ha dichiarato che l’ex moglie dell’appellante le ha raccontato “che il suo ex entra dentro casa e la offende di continuo, - OMISSIS-. La sta portando all’esasperazione, è molto stressata, e non sopporta questa intromissione nella sua vita privata”.
L’attuale compagno dell’ex moglie dell’appellante ha dichiarato di non convivere con la predetta “per i problemi che purtroppo ha con l’ex marito.
Lei è molto stressata da questa situazione, non vive più tranquillamente e di conseguenza anche noi non riusciamo a frequentarci liberamente”.
-OMISSIS- ha dichiarato che -OMISSIS- si ferma sempre in casa -OMISSIS-, e che in tale occasione più volte -OMISSIS- litigano, spesso per questioni economiche.
A ciò si aggiunge la querela sporta dall’ex moglie dell’appellante -OMISSIS- - poi successivamente rimessa in sede di separazione consensuale - nella quale ella ha dichiarato “mi colpiva con diversi schiaffi al volto ed alla testa, e mi sferrava diversi calci colpendomi agli arti inferiori” e ha prodotto apposita certificazione medica documentando le lesioni.
Non assumono invece rilievo, in quanto inconferenti, i tabulati telefonici e le chat depositate in giudizio dall’appellante, considerato che la parte offesa non ha mai riferito di aver ricevuto molestie attraverso tali mezzi di comunicazione.
Alla luce di quanto sopra, non può ritenersi irragionevole o sproporzionata la misura monitoria adottata dall’Amministrazione. Del resto, la natura del provvedimento di ammonimento, sebbene correlato a condotte penalmente rilevanti ex art. 612 c.p., è spiccatamente preventiva. Ne consegue che l’intervento del Questore non è ancorato ai medesimi presupposti di quello penale, distinguendosene sia sul piano della ricognizione dei fatti atti a legittimarlo, sia in relazione ai mezzi di prova utili al loro accertamento (cfr. Consiglio di Stato, sez. II, n. 8679/2021).
In accordo con tale ratio, la Sezione ritiene che ai fini dell’adozione della misura non è richiesta la piena prova della responsabilità dell’ammonito per l’ipotesi di reato, ben potendo detto provvedimento essere motivato in base ad un quadro istruttorio indiziario, dal quale emergano eventi in grado di recare un vulnus alla riservatezza della vita di relazione o, su un piano anche solo potenziale, all’integrità della persona (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. III, n. 4127/2015).
Per le ragioni esposte, i motivi in esame sono da ritenersi infondati, unitamente alle relative richieste istruttorie formulate nell’atto di appello.
4. Dal rigetto degli anzidetti motivi consegue altresì il rigetto del sesto motivo di appello, relativo all’illegittimità derivata dei provvedimenti di divieto di detenzione armi ex art. 39 TULPS e di revoca del porto di fucile per uso caccia ex art. 43 TULPS emanati rispettivamente dal Prefetto e dal Questore della Provincia di Forlì-Cesena.
Invero, l’acclarata legittimità del provvedimento di ammonimento emanato dalla Questura esclude il dedotto vizio di invalidità derivata degli atti sopra citati, che lo hanno posto a loro esclusivo fondamento. La situazione conflittuale in ambito familiare ivi documentata è infatti incompatibile con i requisiti di affidabilità richiesti dalla legge al soggetto autorizzato alla detenzione o al porto di armi.
5. Per le ragioni che precedono, l’appello deve essere respinto.
6. Nulla è da prevedersi sulle spese, attesa la mancata costituzione
dell’Amministrazione.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Nulla sulle spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità della parte appellante.