La mancata presentazione da parte della lavoratrice della domanda di partecipazione al concorso non è sufficiente ad elidere il nesso causale.
La Corte d'Appello di Roma condannava il datore di lavoro al risarcimento del danno da perdita di chance per aver erroneamente inquadrato una lavoratrice nel terzo livello del c.c.n.l. di riferimento anziché nel superiore livello. Da tale erroneo inquadramento, era infatti conseguita l'impossibilità per la lavoratrice...
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 7437 del 31 gennaio 2015 la Corte d'Appello di Roma, per quanto ancora rileva, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato la domanda di E.C. volta al risarcimento del danno da perdita di chance per difetto di colpa della amministrazione, condannava il datore di lavoro A.S.I. a risarcire il predetto danno.
Nello specifico, la Corte territoriale osservava che con sentenza passata in cosa giudicata del Tribunale di Roma n. 13420 del 2004 era stato accertato che la Caparello, alla data del transito, il 1° novembre 2001, dai ruoli della Polizia dello Stato ai ruoli dell’A.S., era stata erroneamente inquadrata nel terzo livello del c.c.n.l. del comparto Enti di ricerca, anziché nel superiore livello quarto.
Da detto erroneo inquadramento era conseguita l'impossibilità per la lavoratrice di partecipare al concorso interno indetto nell'anno 2003 per la progressione al livello secondo, riservato ai dipendenti inquadrati nel livello terzo, che all’epoca ella non aveva ancora ottenuto in via giudiziale.
Rilevava il giudice di appello che la mancata partecipazione al concorso era effetto del tardivo inquadramento superiore e non della condotta della dipendente che, all'epoca dello svolgimento del concorso interno, non possedeva i requisiti per parteciparvi, sicché non poteva addebitarsi alla lavoratrice alcuna responsabilità per il mancato inoltro di una domanda di ammissione con riserva o per il mancato ricorso alla procedura giudiziaria di urgenza, a differenza di quanto ritenuto dal Tribunale che su questi presupposti aveva escluso la responsabilità datoriale per difetto di colpa.
L'inquadramento tardivo aveva determinato, aggiungeva la Corte territoriale, un oggettivo ritardo nello sviluppo della carriera della C., che aveva potuto partecipare al concorso per la progressione soltanto in epoca successiva, venendo inquadrata nel livello secondo solo dal gennaio 2007.
Quanto alla prova della perdita di chance, precisava la Corte territoriale, la lavoratrice aveva dimostrato, attraverso il raffronto con la graduatoria degli idonei al concorso interno, tra l'altro utilizzata integralmente dall'amministrazione, che, sommando i punti relativi ai titoli posseduti con i punti assegnati automaticamente sulla base della fascia stipendiale e ottenendo anche soltanto la valutazione minima nel colloquio, si sarebbe comunque collocata tra i vincitori della procedura selettiva. Era altamente probabile in via presuntiva, quindi, tenuto conto anche della circostanza, non contestata, del superamento positivo della selezione da parte di tutti i colleghi della lavoratrice in posizione analoga, che ella avrebbe ottenuto almeno il punteggio minimo.
Il danno veniva quindi quantificato nelle differenze retributive che sarebbero maturate in favore della lavoratrice, ove inquadrata nel livello secondo, con l'anteriore decorrenza prevista dal bando di concorso, invece che da gennaio 2007.
Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza l’A.S.I., affidato a due motivi di censura ed illustrato con memoria, cui E.C. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo mezzo l’A.S.I. ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli articoli 2043 e il 1227 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
Ha censurato la sentenza della Corte d’Appello sia per non aver dato rilevanza al comportamento della lavoratrice che, non presentando alcuna domanda (con riserva) di partecipazione alla selezione, aveva consolidato la propria impossibilità di partecipazione al concorso, dando luogo ad una interruzione del nesso causale, sia per non avere indagato sull’elemento soggettivo della colpa del datore che sarebbe, nel caso di specie, carente. Secondo l’ente ricorrente, la lavoratrice avrebbe dovuto usare l'ordinaria diligenza per preservare la sua possibilità di partecipare al concorso, come aveva fatto un altro dipendente, il dottor C., in posizione del tutto analoga.
Alla luce di tali rilievi, la parte ricorrente ha censurato la sentenza per la mancata applicazione dell'articolo 1227, comma 2, ovvero del comma 1 dello stesso articolo, con distribuzione delle rispettive responsabilità in base al grado della colpa.
2. Con il secondo motivo ha lamentato, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, consistente, da un canto, nella circostanza che la lavoratrice non aveva presentato domanda di ammissione al concorso con riserva, dall’altro, sotto il profilo della assenza di colpa e nella scusabilità dell’errore dell’amministrazione.
Quanto ad entrambi i profili, si riprendono, sotto l’angolo prospettico del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., le argomentazioni già innanzi illustrate con il primo motivo. Si sostiene, quindi, che la circostanza che la ricorrente non abbia presentato, come avrebbe dovuto usando l’ordinaria diligenza, domanda di ammissione con riserva alla procedura selettiva ha consolidato l’impossibilità della stessa di parteciparvi, così elidendo ogni nesso causale con il danno lamentato.
Quanto alla carenza dell’elemento soggettivo in capo ad essa amministrazione, si deduce che l'illegittimità di un provvedimento amministrativo costituisce solo uno degli indici presuntivi della colpevolezza e si assume che, nel caso di specie, difetta l'elemento soggettivo della colpa in capo al datore di lavoro, trovatosi egli ad applicare una normativa nuova, in ordine alla quale era ragionevole nutrire dubbi ermeneutici, ponendo in essere tutte le azioni possibili per addivenire ad una soluzione corretta, acquisendo il parere del Dipartimento della funzione pubblica ed orientandosi in conformità.
3. I due motivi stante l’intima connessione, sottoponendo all’esame del Collegio nella sostanza le medesime questioni, prima sotto il profilo dell’art. 360 n. 3c.p.c. ed indi sotto quello del n. 5 del medesimo articolo, possono essere esaminati congiuntamente.
3.1. La prima questione da esaminare è la rilevanza o meno, ai fini dell’interruzione del nesso causale, della mancata presentazione da parte della lavoratrice della domanda di partecipazione al concorso.
I meccanismi causali, anche in tema di perdita di chance, seguono le ordinarie regole eziologiche, sicché la rilevanza del concorso di cause sopravvenute nei meccanismi eziologici, va indagata alla luce dell’art. 41 del c.p. a tenore del quale:
“1. Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l'azione od omissione e l'evento.
2. Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l'evento. In tal caso, se l'azione od omissione precedentemente commessa costituisce per sè un reato, si applica la pena per questo stabilita.
3. Le disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui”.
È il comma 2 della disposizione innanzi riportata a venire in rilievo, in quanto l’aspetto che va esaminato, come già anticipato, è se la condotta della lavoratrice, nello specifico la mancata presentazione della domanda di ammissione con riserva alla procedura selettiva e/o la mancata domanda in via giurisdizionale affinché fosse il giudice a disporla, costituisca una causa sopravvenuta da sola sufficiente ad elidere il nesso causale, così determinando l’impossibilità di risarcimento del danno.
A riguardo deve osservarsi che il dibattito circa l’ambito applicativo dell’art. 41 c.p., comma 2, e in particolare se esso concerna solo le serie causali sopravvenute indipendenti o anche le concause sopravvenute inerenti allo stesso percorso causale, deve ritenersi risolto a favore dell’applicabilità della norma ad entrambe le ipotesi, essendosi peraltro osservato al riguardo che la rilevanza della serie causale autonoma sopravvenuta da sola sufficiente può facilmente inferirsi anche dall’applicazione dei normali meccanismi causali come delineati nell’art. 40 c.p., sicché, evidentemente, il comma 2 dell’art. 41 c.p. per rispettare il principio cd. di conservazione delle norme, in virtù del quale, alle disposizioni deve essere attribuito, laddove è possibile, un “contenuto” innovativo dell’ordinamento, va necessariamente inteso come riferito anche agli accidenti causali che si innestano su un processo eziologico già in corso.
Tanto premesso, osservato che la mancata presentazione della domanda rientra senz’altro nella medesima sequenza causale attivata dall’indizione della procedura selettiva, va verificato se essa costituisca fattore causale sopravvenuto da solo sufficiente, come espressamente è richiesto dal dato normativo, ad evitare o a cagionare, a seconda che venga in rilievo una ipotesi causale commissiva od omissiva, il danno.
La questione rilevante ai fini della decisione in ordine alla quale occorre quindi interrogarsi, in sintesi, è se l’omissione della lavoratrice, consistente nella mancata richiesta al datore di partecipare alla procedura concorsuale, sia da sola sufficiente ad elidere il nesso causale e ad escludere pertanto la risarcibilità del danno da perdita di chance.
Osserva il Collegio che tanto va negato, in quanto la presentazione della domanda concretizza, al più, una mera possibilità di evitare l’evento, ma certamente non può qualificarsi quale fattore causale da solo sufficiente a cagionarlo o più precisamente, nel caso di specie, ad escluderlo.
Premesso che l’interpretazione degli artt. 40 e 41 c.p. ne presuppone una lettura combinata, va evidenziato che la condotta che parte ricorrente rimprovera alla lavoratrice è una condotta omissiva e, in quanto tale, ai sensi dell’art. 40 comma 2 c.p., idonea ad avere un’attitudine causale solo ove il soggetto abbia un obbligo giuridico di impedire l’evento.
Ma nessuna norma di legge o principio giurisprudenziale impone l’obbligo (e neppure il mero onere) di chiedere un’ammissione con riserva ad un concorso o ad una procedura selettiva in mancanza dei requisiti di partecipazione fissati dal relativo bando.
Sotto altro profilo, è costante l’insegnamento di questa Corte per cui il mancato ricorso alla tutela cautelare non integra colpa del danneggiato ai detti fini, essendo il ricorso al giudice attività gravosa e rischiosa: v. Cass. n. 3797/19; Cass. n. 24522/18; Cass. n. 470/14; Cass. n. 14853/07; Cass. n. 16530/04.
E se l’omessa attivazione della tutela cautelare giudiziaria non integra colpa del danneggiato, a maggior ragione la sua attivazione non può essere considerata giuridicamente doverosa e, per l’effetto, causalmente efficiente (sempre alla stregua dell’art. 40 comma 2 c.p.).
3.1.1. Conseguentemente va ritenuto che in caso di indizione di una procedura selettiva interna, cui all’atto del bando il lavoratore non poteva partecipare, in quanto non in possesso dei requisiti, solo successivamente riconosciutigli in virtù di provvedimento giudiziale, la mancata presentazione della domanda di partecipazione al concorso non costituisca fattore causale interruttivo.
3.2. Nel motivo di ricorso in esame si deduce altresì la mancata applicazione dell’art. 1227 c.c., commi 1 e 2.
Al primo comma la norma prevede che “se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate”; al comma 2, dispone che “il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”.
Quanto al primo comma, si osserva che nessuna colpa è imputabile alla lavoratrice per non aver presentato domanda di partecipazione al concorso.
La C., al momento del bando, è incontestato non possedesse i requisiti per partecipare alla procedura selettiva; per l’effetto, non poteva esigersi che presentasse domanda di partecipazione al concorso interno o attivasse la tutela cautelare per ottenere un’ammissione con riserva.
E, quanto al ventilato profilo di omesso uso di ordinaria diligenza ex art. 1227 comma 2 c.c., basti ribadire la giurisprudenza innanzi menzionata, che esclude qualsivoglia profilo di colpa da parte del danneggiato che abbia omesso di invocare un provvedimento cautelare d’urgenza.
Va dunque esclusa, alla luce di quanto si è innanzi detto, l’applicazione al caso in esame sia del comma 1 sia del comma 2 dell’art. 1227 c.c., non essendo ravvisabile non solo colpa alcuna, ma nemmeno difetto di diligenza da parte della lavoratrice.
3.3. Nel primo motivo di ricorso, infine, il datore di lavoro si duole della mancata indagine da parte del giudice di appello dei profili inerenti alla colpa dell’amministrazione.
Sul punto va brevemente osservato che la responsabilità datoriale che viene qui in rilievo è una responsabilità non già aquiliana, ma contrattuale. Contrariamente a quanto dedotto da parte ricorrente, quello che viene in rilievo, infatti, non è un provvedimento amministrativo illegittimo, ma un mero atto di gestione del rapporto di lavoro di reinquadramento (erroneo) del dipendente, nell’adozione del quale il datore di lavoro pubblico non esercita poteri amministrativi, ma si trova in posizione analoga a quella del datore di lavoro privato.
Alla corretta qualificazione dell’illecito come contrattuale consegue che ex art. 1218 c.c. sarebbe stato onere della parte datoriale - che non l’ha fatto - allegare e provare la non imputabilità dell’inadempimento.
3.4. Alla luce dei rilievi innanzi svolti è infondato e va rigettato il primo motivo di ricorso.
4. Come anticipato, con la seconda doglianza vengono riproposte le medesime questioni di cui al primo motivo, ma sotto l’angolo prismatico del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., deducendo, quindi, l’omesso esame di un fatto decisivo della controversia.
4.1. Sotto tale profilo, però, il motivo è inammissibile in tutte le sue articolazioni, giacché la sentenza impugnata ha specificamente esaminato vuoi la mancata presentazione della domanda di partecipazione alla procedura selettiva vuoi il mancato ricorso alla tutela cautelare, concludendo per l’ininfluenza di entrambi i fatti.
Tali profili di censura si risolvono, quindi, in una richiesta di rivisitazione del giudizio di merito, inammissibile in sede di legittimità.
5. Alla luce di quanto innanzi il ricorso va rigettato.
6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore di C.E., liquidate in € 200, 00 per esborsi ed € 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori come per legge.