Ricordando che il credito indennitario ex art. 2041 c.c. è soggetto al regime del c.d. “cumulo” di rivalutazione ed interessi, la Cassazione risponde al quesito.
In un giudizio avente ad oggetto la richiesta di condanna al pagamento di una somma di denaro dovuto a titolo di indennizzo per indebito arricchimento, il creditore ricorre in Cassazione censurando la sentenza impugnata nella parte in cui aveva escluso che sulla somma, liquidata equitativamente a titolo di indennizzo, dovessero applicarsi, anche d'ufficio, interessi e rivalutazione monetaria. La debenza di tale indennizzo risultava già accertata in forza di una precedente sentenza, passata in giudicato, la quale aveva riconosciuto l'ingiustificato arricchimento goduto dal Comune in relazione all'attività professionale espletata dal ricorrente e consistita nella redazione del Piano per gli insediamenti produttivi del predetto Ente municipale.
In sede di legittimità, la Corte ribadisce che, al pari di ogni obbligazione pecuniaria “di valore”, anche quella prevista dall'
Pertanto, la Cassazione accoglie il motivo in esame con l'ordinanza n. 35480 del 2 dicembre 2022.
Svolgimento del processo
- che G.C. ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 442/21, del 30 marzo 2021, della Corte di Appello di Catanzaro, che - accogliendone solo parzialmente il gravame avverso la sentenza n. 137/17, del 16 febbraio 2017, del Tribunale di Vibo Valentia - ha condannato il Comune di (omissis) a pagare al C. la somma di €5.469,65, a titolo di indennizzo cx art. 2041 cod. civ., con interessi nella misura legale dalla domanda sino al soddisfo;
- che, in punto di fatto, l'odierno ricorrente riferisce aver convenuto in giudizio il predetto Comune, per chiederne la condanna al pagamento della somma di t: 83.092,31, comprensiva degli interessi moratori di cui alla legge 2 marzo 1949, n. 143, calcolati sul capitale originario di t: 9.116,09, dovuto a titolo di indennizzo per indebito arricchimento;
- che, difatti, la debenza di tale indennizzo risultava già accertata giudizialmente, in forza di altra sentenza resa dalla stessa Corte di Appello di Catanzaro, passata in giudicato, la quale - in relazione all'attività professionale espletata dal C. e consistita nella redazione del Piano per gli insediamenti produttivi del predetto Comune - aveva riconosciuto l'ingiustificato arricchimento goduto dal predetto ente municipale, pronunciandosi, tuttavia, solo sull'an del credito indennitario;
- che G.C. - individuata in t: 9.116,09 la somma dovuta a titolo di indennizzo ex art. 2041 cod. civ. (corrispondente al valore della prestazione professionale resa, stimato in l 17.651.214, come accertato e liquidato dal Consiglio dell'Ordine degli Inge6'11eri di Catanzaro) - si rivolgeva al Tribunale di Vibo Valentia per ottenerne il pagamento, assumendo che su tale importo fossero da corrispondere gli interessi di mora dalla data del dovuto (22 gennaio 1983) al saldo;
- all'esito del primo grado di giudizio - nel quale spiegavano intervento (peraltro, ritenuto in sentenza inammissibile) P. e F.C., per chiedere la liquidazione in proprio favore del 50% delle somme spettanti all'attore, sul presupposto dell'esistenza, con lo stesso, di un'associazione professionale, della quale gli intervenienti asserivano essere partecipi nella misura, ciascuno, del 25% - la domanda veniva rigettata, perché ritenuta sfornita di prova;
- che il gravame proposto dall'attore soccombente veniva accolto solo parzialmente, dato che l'indennizzo spettante all'attore/ appellante veniva liquidato equitativamente in soli € 5.469,65 (ovvero, nella misura del 60% dei compensi richiesti e indicati, come detto, in f 9.116,09), negandosi, però, la corresponsione degli interessi moratori connessi alle tariffe professionali, nella specie ritenute non applicabili, ma stabilendosi la debenza degli interessi moratori dalla <domanda al soddisfo;
- che il giudice di appello osservava, infatti, che - in assenza di contratto scritto, ciò che aveva reso necessario per il C. agire a norma dell'art. 2041 cod. civ. - il compenso non potesse essere liquidato secondo la tariffa professionale (richiamandosi a Cass. Sez. Un., sent. 27 gennaio 2009, n. 1875) e che, per la stessa ragione, non potessero riconoscersi gli interessi di cui alla legge n. 143 del 1949;
- che avverso la sentenza della Corte calabrese ricorre per cassazione il C., sulla base - come detto - di due motivi;
- che il primo motivo denuncia - ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. - violazione degli artt. 2041 e 1219, comma 2, cod. civ., censurandosi la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso che sulla somma, liquidata equitativamente a titolo di indennizzo, dovessero applicarsi, anche d'ufficio, interessi e rivalutazione monetaria;
- che il secondo motivo denuncia - sempre relazione all'art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. - violazione degli artt. 2041 e 1224 cod. civ., nonché dell'art. 9 della legge 2 marzo 1949, n. 143, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui esclude l'applicabilità degli interessi di mora previsti dalla tariffa professionale;
- che sono rimasti solo intimati il Comune di (omissis), nonché F. e P.C.;
- che la proposta del relatore, ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ., è stata ritualmente comunicata al ricorrente, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio per il 13 settembre 2022;
- che il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
- che il ricorso va accolto, limitatamente al suo primo motivo;
- che ritiene, infatti, questo Collegio che le conclusioni in tal senso rassegnate nella proposta del consigliere relatore non siano state superate dai rilievi svolti dal ricorrente nella memoria ex art. 380-bis, comma 2, cod. proc. civ., tesi a conseguire l'accoglimento anche del secondo motivo di ricorso;
- che il primo motivo di ricorso è, infatti, fondato, avendo errato la sentenza impugnata nell'escludere il cumulo di rivalutazione e interessi, facendo, oltretutto, decorrere gli stessi - pure in questo caso, erratamente - dal momento della domanda giudiziale;
- che, sul punto, occorre muovere dalla premessa - incontestata, nella giurisprudenza di questa Corte - secondo cui "il debito di chi si arricchisce senza causa è di valore e non di valuta, perché ha per contenuto o l'adempimento specifico o la rifusione del valore venuto meno nel patrimonio dell'impoverito, per cui, nel ristabilire l'equivalenza dovuta o la relativa diminuzione patrimoniale, devesi tenere conto anche della minore capacità di acquisto della moneta" (così già Cass. Sez. 2, sent. 27 ottobre 1973, n. 2794, Rv. 366348-01; in senso conforme, successivamente, Cass. Sez. 1, sent. 4 novembre 1980, n. 5916, Rv. 409710-01; Cass. Sez. 1, sent. 28 marzo 1984, n. 2039, Rv. 434105-01; Cass. Sez. 2, sent. 18 febbraio 1987, n. 1753, Rv. 451127- 01; Cass. Sez. 2, sent. 23 giugno 1992, n. 7694, Rv. 477884-01; Cass. Sez. 2, sent. 11 febbraio 2002, n. 1884, Rv. 552157-01; Cass. Sez. 1, sent. 11 maggio 2007, n. 10884, Rv. 597524-01);
- che, dunque, al pari di ogni obbligazione pecuniaria "di valore", anche quella ex art. 2041 cod. civ. è soggetta al regime del c.d. "cumulo" di rivalutazione e interessi essendosi, peraltro, precisato - quanto alle modalità di operatività dello stesso - che il credito indennitario "va liquidato alla stregua dlei valori monetari corrispondenti al momento della relativa pronuncia ed il ,giudice deve tenere conto della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla decisione, anche di ufficio, a prescindere dalla prova della sussistenza di uno specifico pregiudizio dell'interessato dipendente dal mancato tempestivo conseguimento dell'indennizzo medesimo" e che la "somma così liquidata produce interessi compensativi", i quali decorrono da data "coincidente con quella dell'arricchimento" (da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 28 gennaio 2013, 11. 1889, Rv. 624953-01; nello stesso senso la già citata Sez. 1, sent. 11 maggio 2007, 11. 10884, Rv. 597524-01);
- che il secondo motivo, che assume la necessità di ragguagliare tali interessi a quelli di cui all'art. 9 della legge 2 marzo 1949, n. 143, non è, invece, fondato;
che è vero, infatti, come evidenzia il ricorrente, che "costituiscono «interessi legali» non soltanto quelli stabiliti dall'art. 1284 cod. civ., ma anche qualsiasi interesse che, ancorché in misura diversa, sia previsto dalla legge", ivi compresi, pertanto, quelli di cui all'art. 9 della legge n. 143 del 1949 (Cass. Sez. 2, sent. 4 luglio 2012, n. 11187, Rv. 623134-01), ma resta inteso che è nel caso "di ritardato pagamento dei compensi dovuti per prestazioni professionali ad ingegneri cd architetti" che "è configurabile il diritto, oltre che agli interessi legali secondo la disciplina di cui all'art. 9 della legge 2 marzo 1949, n. 143 di approvazione della tariffa professionale, al maggior danno cx art. 1224 cod. civ." (Cass. Scz. 2, scnt. 7 febbraio 2003, n. 1833, Rv. 560305-01);
- che, nella specie, trattandosi di indennità liquidata, in via equitativa, a norma dell'art. 2041 cod. civ. (il cui importo, peraltro, neppure è stato interamente ragguagliato al valore della prestazione professionale resa dall'Ingegner C., come stimata dal competente Consiglio dell'Ordine, profilo in relazione al quale non vi è contestazione con il presente ricorso), non si è in presenza di un "compenso" per il quale gli interessi "di diritto", di cui al citato articolo 9 della legge n. 143 del 1949, potrebbero cumularsi - ma sempre "purché sia fornita la relativa prova, che non è in «re ipsa>>" ( così Cass. Sez. 2, scnt. n. 1833 del 2003, cit.) - al "danno maggiore" ex art. 1224, comma ?, cod.. civ.;
- che diversamente opinando, infatti, si verrebbe, appunto, a contraddire la natura indennitaria dell'obbligazione "de qud.', e quindi a considerare, sebbene solo "quoad effectum" (vale a dire, ai fini dell'individuazione del tasso di interesse applicabile), quello dovuto al C. come un compenso per prestazione professionale, difettandone però - come bene ha osservato la Corte catanzarese - il presupposto, 6,iacché il contratto in esecuzione del quale quell'attività venne espletata, in favore del Comune di (omissis), risultava privo della necessaria forma scritta;
- che, in conclusione, la scelta di escludere l'applicazione dell'art. 9 della legge n. 143 del 1949 deve considerarsi alla stregua di un corollario della decisione del giudice di appello di liquidare equitativamente l'indennizzo, attenendosi al p11nc1p10 ancora di recente ribadito da questa Corte (e, come detto, non contestato dall'odierno ricorrente) - secondo cui, "in tema di azione generale di arricchimento, l'indennizzo dovuto al professionista che abbia svolto la propria attività in favore della pubblica amministrazione, ma in difetto di un contratto scritto, non può essere determinato in base alla tariffa professionale, neppure indirettamente quale parametro dei compenso che il professionista avrebbe potuto ottenere se avesse svolto la sua opera a favore di un privato, né in base all'onorario che la P.A. avrebbe dovuto pagare, se la prestazione ricevuta avesse formato oggetto di un contratto valido" (così, da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 4 aprile 2019, n. 9317, Rv. 653420-01);
- che, pertanto, la sentenza impugnata, m accoglimento solo del primo motivo di ricorso, va cassata, con rinvio alla Corte di Appello di Catanzaro in diversa composizione, per la decisione nel merito (oltre che sulle spese processuali, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità), alla stregua del seguente principio di diritto:
"il credito indennitario ex art. 2041 cod. civ.. per espletamento di prestazioni professionali in favore della pubblica amministrazione in assenza di valido contratto scritto. va liquidato alla stregua dei valori monetari corrispondenti al momento della relativa pronuncia, dovendo il giudice tenere conto della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla decisione, anche di ufficio, a prescindere dalla prova della sussistenza di uno specifico pregiudizio dell'interessato dipendente dal mancato tempestivo conseguimento dell'indennizzo medesimo, producendo, inoltre, la somma così liquidata interessi da liquidarsi al tasso legale, e non ai sensi dell'art. 9 della legge 2 marzo 1949, n. 143, decorrenti dalla data dell'arricchimento della pubblica amministrazione, ovvero dal momento del completo espletamento della prestazione in suo favore".
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta il secondo, cassando, in relazione, la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Catanzaro, in diversa composizione, per la decisione nel merito, oltre che sulle spese processuali, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.