Inoltre, la confessione della madre che rivela l'identità del vero padre può assumere un valore probatorio nel giudizio sullo status filiationis.
L'attore presentava domanda dinanzi al Tribunale al fine di ottenere la nullità del riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicità
Svolgimento del processo
1 La Corte d'Appello di Bologna, confermando la pronuncia del Tribunale di Modena, ha rigettato, per quel che ancora interessa, la domanda presentata da D.S. notificata alla sorella unilaterale L.S. (unica discendente del presunto padre K.S.) e diretta ad ottenere la nullità del riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicità ex art. 263 c.c..
In fatto, l'attore ha dedotto di aver appreso dalla madre C.M., al termine di un'accesa lite avvenuta dopo il decesso di K.S., che quest'ultimo non era suo padre biologico e che lo aveva riconosciuto come figlio solo perché spinto da un forte sentimento verso la madre. Dopo diversi anni, aveva altresì appreso dalla sorella L.S., con la quale la madre si era confidata, la vera identità del padre naturale e che, a seguito di indagini personali, lo aveva rintracciato e da allora anche intrattenuto frequenti rapporti telefonici e personali.
2. La Corte territoriale, a sostegno della sua decisione, ha affermato: la necessità di una integrazione probatoria alle risultanze della CTU genetico ematologica disposta in primo grado, di per sé ritenute non sufficienti ad affermare o ad escludere con ragionevole certezza la contestata paternità (le conclusioni erano nel senso che per l '87% era probabile che .K.S. non fosse il padre biologico, mentre per il 13 % era probabile che lo fosse); l'irrilevanza, ai fini decisori, delle presunte ammissioni contenute nell'atto di costituzione in giudizio della convenuta, posto che la stessa si era limitata a riportare fatti che aveva appreso solo in via indiretta dai racconti della madre.
3. Contro la sentenza della Corte d'Appello, D.S. ha proposto ricorso per Cassazione sulla base di tre motivi. L.S. è rimasta intimata.
4. 11 PG, con requisitoria scritta, ha concluso per la rimessione della causa alla pubblica udienza al fine di stabilire, anche alla luce dei più recenti contrasti giurisprudenziali (cfr. Ord. Cass. n. 10775/2019; Ord. Cass. n. 3252/2022), la posizione di litisconsorte necessario del genitore non coinvolto dall'azione di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicità (nel caso di specie, la madre).
Motivi della decisione
5. Con il primo motivo, viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 263 c.c. e 2697 c.c., avendo il Giudice d'appello errato nel ritenere necessaria, ai fini della esclusione della contestata paternità, una integrazione probatoria alle risultanze della CTU genetico ematologica espletata in primo grado.
Nel secondo, viene dedotto l'omesso esame circa un fatto decisivo per la controversia, per non aver la Corte d'appello attribuito rilievo alle ammissioni della sorella L.S. contenute nella memoria di costituzione nel giudizio di primo grado.
cNel terzo motivo viene dedotto l'omesso esame di una prova documentale decisiva per la controversia e la violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., per non aver il Giudice d'appello considerato il documento sottoscritto dalla madre del ricorrente (presente nel fascicolo di primo grado doc.6 e secondo grado doc.2 e non contestato dalla sorella convenuta) che avrebbe potuto integrare il quadro probatorio, ritenuto insufficiente ai fini dell'accertamento della contestata paternità.
6. Preliminarmente occorre affrontare la questione di rito sollevata dal PM relativamente alla necessità di integrare il contraddittorio nei confronti della madre in qualità di litisconsorte necessaria.
La risoluzione della questione induce a confrontare il regime giuridico relativo ai litisconsorti necessari nel giudizio di disconoscimento di paternità ex art. 243 bis c.c. con quello relativo al giudizio di impugnazione del riconoscimento dello status di figlio naturale per difetto di veridicità ex art. 263c.c.c.
Nella prima ipotesi, sia la normativa di riferimento (art. 247 comma 1 c.c. secondo cui "il presunto padre, la madre ed il figlio sono litisconsorti necessari nel giudizio di disconoscimento") sia la giurisprudenza di legittimità (cfr. sent. Cass. 5727/1977) stabiliscono espressamente la necessità di un litisconsorzio tra la madre, il figlio legittimo ed il presunto (padre; nel secondo caso, invece, tale necessità, non è prevista da alcuna norma e ciò ha dato luogo alle decisioni ritenute contrastanti dalla requisitoria del Procuratore Generale.
Al riguardo, le pronunce che si confrontano sono, da un lato, l'ord. Cass. n.10775/2019 e, dall'altro, l'ord. Cass. n.3252/2022.
Nella prima la Corte afferma che: "Nell'azione di impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento di un figlio nato da genitori non uniti in matrimonio, l'altro genitore, che pure abbia operato il riconoscimento, è litisconsorte necessario nel giudizio, secondo la regola dettata all'art. 250 c.c.c che pone un principio di natura generale da applicarsi, pertanto, anche nell'ipotesi disciplinata dall'art. 263 c.c., perché l'acquisizione di un nuovo "status" da parte del minore è idonea a determinare una rilevante modifica della situazione familiare, della quale resta in ogni caso partecipe l'altro genitore, alla cui posizione soggettiva può ricondursi, a seconda dei casi, l'interesse o la mancanza di interesse alla bigenitorialità con il soggetto che impugna il riconoscimento, con tutto ciò che ne consegue in termini di obblighi morali e materiali verso il figlio"; nella seconda, invece, stabilisce che: "Nell'azione, intrapresa da un terzo interessato, di impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento di un figlio nato da genitori non uniti in matrimonio, già maggiorenne ed economicamente indipendente al momento della instaurazione del giudizio, l'altro genitore non è un litisconsorte necessario, perché l'eventuale pronuncia caducatoria dello "status filiationis" del soggetto maggiorenne non produce effetti rilevanti di alcun genere nei confronti del primo, sotto il profilo della responsabilità genitoriale, come pure degli obblighi morali di crescita, educazione ed istruzione e di quelli materiali al mantenimento del figlio, ormai non più ipotizzabili; tale genitore, comunque, può intervenire volontariamente nel processo, ove intenda tutelare eventuali propri diritti e/o interessi, o esservi chiamato dal figlio stesso, laddove quest'ultimo voglia giovarsi della sua partecipazione alla lite".
Tali orientamenti apparentemente sembrerebbero contrastanti ma, a ben vedere, la divergenza si stempera se si distingue tra giudizi ex art. 263 c.c. che coinvolgono un figlio maggiorenne e quelli che coinvolgono un figlio minorenne. Più precisamente, il più recente orientamento di legittimità citato stabilisce che nelle fattispecie caratterizzate dalla minore età del figlio il cui riconoscimento è impugnato per difetto di veridicità (come nel caso su cui si è pronunciata l 'Ord. Cass. n.10775/2019), il litisconsorzio necessario con l'altro genitore non coinvolto dall'azione è giustificato dal fatto che quest'ultimo risentirebbe in modo significativo della variazione della condizione del minore che potrebbe derivare da una pronuncia caducatoria del suo status filiationis, sia sotto il profilo della responsabilità genitoriale sia sotto il profilo degli obblighi morali di crescita, educazione ed istruzione e di quelli materiali al mantenimento; viceversa nelle fattispecie caratterizzate dalla maggiore età del figlio al momento dell'instaurazione del giudizio (come nel caso in esame), all'altro genitore (nella specie, la madre), pur essendo riconosciuta una legittimazione ad agire della madre in base all'art. 263 c.c. ("il riconoscimento può essere impugnato per difetto di veridicità dall'autore del riconoscimento, da colui che è stato riconosciuto e da chiunque vi abbia interesse"), tuttavia la stessa non è litisconsorte necessario, posto che una eventuale pronuncia caducatoria dello status filiationis di un soggetto maggiorenne, in via generale pienamente capace e consapevole, certamente non produrrebbe effetti di alcun genere né sotto il profilo della responsabilità genitoriale né sotto il profilo degli obblighi morali e materiali.
Ne consegue che il Collegio, nel caso di specie, aderisce al principio di diritto formulato dall'ultimo orientamento di legittimità ed esclude che la madre nel giudizio di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, possa essere ritenuta litisconsorte necessaria, quando il figlio sia maggiorenne.
La questione processuale sollevata, pertanto, è infondata.
7. Quanto al merito, il Collegio ritiene di dover esaminare prioritariamente il terzo motivo per ragioni di pregiudizialità logica.
Dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata emerge che il Giudice d'appello (cfr. pag. 5 sentenza) ha affermato che avrebbe utilizzato ai fini probatori il documento fornito dal ricorrente solo qualora le dichiarazioni ivi contenute fossero state suffragate dalla deposizione testimoniale della madre in sede di giudizio.
Tale assunto è coerente con la giurisprudenza di legittimità (cfr. ex multis, Ord. Cass. n. 31974/2019), ove ci si riferisca in particolare a giudizi di carattere patrimoniale. Nel caso in esame, tuttavia, trattandosi di un giudizio sullo status filiationis, fortemente caratterizzato dal principio di prossimità della prova, le dichiarazioni della madre possono assumere certamente un valore probatorio quanto meno indiziario all'interno di un quadro istruttorio più ampio complessivamente considerato.
La Corte d'appello non ha fatto buon governo dei principi sopra indicati dal momento che ha compiuto una valutazione atomistica e non complessiva dei singoli elementi probatori (risultanze della CTU e dichiarazioni della sorella L.S. in sede di costituzione in giudizio), ignorando completamente la valenza probatoria della dichiarazione documentalmente riprodotta all’interno di un contesto quale quello familiare nel quale le circostanze rilevanti sono, secondo un giudizio probabilistico, conosciute in via prevalente se non esclusiva solo dai familiari stessi.
Inoltre, la Corte, al fine di escludere il raggiungimento di una prova certa della contestata paternità, ha stigmatizzato il comportamento della madre, definendolo ambiguo (cfr. pag. 5 della sentenza), e compiuto solo delle valutazioni ipotetiche, peraltro illegittimamente, non essendo la madre una parte di questo processo.
8. In conclusione, il ricorso va accolto limitatamente al terzo motivo, mentre il primo ed il secondo restano assorbiti, e la pronuncia impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d'Appello di Bologna, in diversa composizione, perché si pronunci anche sulle spese processuali della fase di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, assorbe i primi due motivi e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'Appello di Bologna in diversa composizione perché provveda anche sulle spese processuali del presente giudizio.