Svolgimento del processo
Il Tribunale di Como, con sentenza n. 1267 del 2017, ha accolto la domanda principale della società Stamperia C. G. s.p.a. (breviter, C.) diretta a far accertare, con le correlate inibitorie e i danni, che la società tedesca R.(breviter R.) aveva compiuto atti di concorrenza sleale e pratiche commerciali ingannevoli mediante la commercializzazione, nel periodo dal 1°-4-2009 al 5-5-2014, di golfari ((omissis)) (omissis) muniti di simbolo “H”, attestante il possesso della certificazione rilasciata dall’ente tedesco DGUV, viceversa scaduta. Ha inoltre accolto la riconvenzionale della R., e le correlate domande di inibitoria e danni, diretta a far accertare il compimento di atti di concorrenza sleale e di pratiche commerciali ingannevoli a loro volta imputabili alla società C., per aver commercializzato fino al 16-7-2015 golfari ((omissis)), essi pure muniti di simbolo “H” attestante il possesso della medesima certificazione, in verità non conseguita.
La sentenza è stata riformata dalla Corte d’appello di Torino, su gravame principale di C., con sentenza non definitiva n. 444 del 2019.
Per la parte che unicamente interessa in questa sede, la corte d’appello ha accertato e statuito che le condotte di concorrenza sleale di R.: (a), da un lato, avevano avuto a oggetto l’intera gamma dei golfari ((omissis)), comprensiva di quelli di “vecchia generazione”; (b) dall’altro, avevano riguardato non il solo mercato italiano ma anche quello comunitario; (c) dall’altro ancora si erano protratte, quanto ai prodotti ((omissis)) di vecchia generazione, anche dopo la data del 5-5- 2014 indicata dal tribunale.
Ha quindi rimesso la causa sul ruolo, come da separata ordinanza, ai fini della conseguente prosecuzione dell’istruttoria.
La R. ha impugnato la sentenza con ricorso per cassazione affidato a nove mezzi.
La C. ha replicato con controricorso. Le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
I. – La ricorrente articola il ricorso nel modo seguente.
(i) Col primo mezzo deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ., la nullità della sentenza e l’omesso esame di fatto controverso, perché, diversamente da quanto sostenuto dalla corte territoriale, le domande accolte si sarebbero dovute considerare nuove, non essendo state prospettate dall’attrice nella citazione introduttiva del giudizio di primo grado; la quale aveva avuto a oggetto i soli quattro specifici prodotti ((omissis)) correttamente ritenuti dal tribunale.
(ii) Col secondo, denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 2598 cod. civ., 112, 163 e 183 cod. proc. civ. e l’omesso esame di fatto decisivo, perché nel dire il contrario la corte d’appello avrebbe, in poche righe di motivazione, equivocato in ordine al fondamento della concorrenza sleale, che può consistere in diverse attività suscettibili di dar luogo ad autonome condanne; viceversa, la stessa C. aveva riconosciuto che l’asserito illecito era derivato dalla commercializzazione dei soli prodotti indicati in citazione. In questo senso la corte d’appello avrebbe fatto erronea applicazione delle indicate norme, da un lato confondendo la concorrenza sleale da produzione e commercializzazione con la concorrenza sleale da diffusione di depliant, dall’altro ampliando in maniera inaccettabile la domanda attorea, dall’altro ancora traendo immotivate conclusioni dall’illegittima presenza del segno nei cataloghi.
(iii) Col terzo motivo la ricorrente deduce inoltre la violazione o falsa applicazione dell’art. 2598 cod. civ. a proposito del giudizio circa i limiti territoriali della controversia. Si sostiene che la sentenza, nell’affermare inammissibile l’eccezione di carenza di giurisdizione sollevata da essa R., siccome non assistita da impugnazione incidentale della decisione di primo grado, avrebbe confuso la questione relativa alla giurisdizione con quella sostanziale relativa alla legge applicabile all’illecito concorrenziale; legge che, essendo individuabile nell’art. 2598 cod. civ., dovrebbe considerarsi rivolta a reprimere solo le condotte poste in essere sul territorio italiano, senza possibilità di estendere l’ambito di applicazione a regolare le attività che esplicano i loro effetti fuori da esso.
(iv) Col quarto motivo la ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 2598 cod. civ. e 112 cod. proc. civ., perché in nessuna parte della motivazione la corte d’appello avrebbe individuato la norma di legge – italiana o straniera - in base alla quale il comportamento tenuto da R. sarebbe stato da annoverare nell’alveo della condotta anticoncorrenziale.
(v) Nel quinto motivo, deducendo la violazione o falsa applicazione dell’art. 2598 cod. civ. e l’omesso esame di fatto decisivo, la ricorrente addebita alla sentenza di non aver accertato se i concorrenti svolgessero o meno la propria attività imprenditoriale su tutto il territorio europeo (impropriamente definito come “comunitario”), volta che l’attrice non aveva fornito a tal riguardo alcuna prova.
(vi) Il sesto mezzo, deducendo la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., si appunta sulla seguente affermazione: “atteso che l’art. 2598 non può trovare applicazione per i motivi sopraesposti a comportamenti posti al di fuori del territorio italiano (..) si deve osservare che una pronuncia che si fosse basata sull’eventuale applicazione delle norme straniere repressive della concorrenza sleale (peraltro mai indicate) finirebbe per concretare una violazione dell’art. 112 c.p.c., dal momento che nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado l’attrice appellante C. ha inteso riferirsi esclusivamente all’asserita violazione degli artt. 2598 c.c. e 32.1 del cd. Codice del consumo”.
(vii) Col settimo motivo la ricorrente torna sui fondamenti della pronuncia di merito, per denunziare ancora la violazione e falsa applicazione degli artt. 2598 cod. civ. e 115 cod. proc. civ., e l’omesso esame di fatto decisivo, a proposito dell’affermazione dell’impugnata sentenza secondo cui le condotte anticoncorrenziali di R. avrebbero riguardato il periodo 2009-2014 “anche per i prodotti di nuova generazione”; cosa che dice esser stata affermata in carenza di motivazione e senza che l’attrice avesse fornito in proposito alcuna prova.
(viii) Analogamente con l’ottavo mezzo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2598 cod. civ. e 115 cod. proc. civ., e l’omesso esame di fatto decisivo, per ciò che attiene all’affermazione dell’impugnata sentenza secondo cui le condotte anticoncorrenziali di R. per i prodotti di “vecchia generazione” sarebbero proseguite anche dopo la data del 5-5-2014; cosa che sarebbe stata dedotta da elementi di fatto ininfluenti.
(ix) Infine, col nono motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2598 cod. civ. e 115 cod. proc. civ., e ancora l’omesso esame di fatto decisivo, per ciò che attiene all’affermazione dell’impugnata sentenza secondo cui le condotte anticoncorrenziali di R. avrebbero riguardato, dopo il 5-5-2014, i golfari di “vecchia generazione” senza limitazione territoriale, In sostanza la corte d’appello non avrebbe spiegato perché tali condotte, relative a comportamenti posti in essere sul mercato italiano, avrebbero avuto rilevanza sull’intero territorio europeo.
II. - I primi due motivi, tra loro connessi, possono essere esaminati unitariamente.
I motivi non hanno fondamento.
Il divieto di proporre domande nuove in appello implica che è preclusa la facoltà di avanzare pretese che involgano la trasformazione obiettiva del contenuto intrinseco della domanda proposta in primo grado.
In sostanza per aversi domanda nuova occorre l'immutazione del fatto costitutivo del diritto vantato, con l'introduzione nel processo di un nuovo tema d'indagine, fondato su una situazione radicalmente diversa da quella delimitata in precedenza.
Non si incorre in violazione del divieto se, rimanendo identico il fatto posto a fondamento della domanda, si determini in appello una estensione dell’accertamento sulla base di una interpretazione più ampia del perimetro della condotta (nella specie anticoncorrenziale) posta dall’attore a fondamento della pretesa.
III. - Nel caso concreto la corte d’appello ha affermato che fin dal primo grado l’attrice C. aveva chiesto in verità l’accertamento “dell’illecita commercializzazione dell’intera gamma dei golfari ((omissis)) di R., per concorrenza sleale ex art. 2598 n. 2 e 3 e per pratica commerciale ingannevole ex art. 23 co 1 lett b) d.lgs. n 146/2007”, con le annesse condanne “al risarcimento dei danni, all’inibitoria e al ritiro dal commercio”.
L’affermazione non è idoneamente contraddetta da quanto evinto dalla “tabella sinottica” riportata dalla difesa della R. nel ricorso per cassazione.
Ove anche si reputasse soddisfatto per tale via il canone di autosufficienza (in luogo della effettiva trascrizione del contenuto della parte saliente della citazione), resta il fatto che i termini ivi esposti, seppure riferiti all’oggetto dell’ordine di inibizione e al ritiro dei prodotti, non conforta il diverso assunto della ricorrente, dal momento che anche in tal caso il riferimento a “tutti i prodotti appartenenti alla gamma del (omissis) ((omissis))”, a prescindere dalle specificazioni poste tra parentesi, sorreggerebbe anche e proprio la conclusione sostenuta dal giudice a quo.
In sostanza, la parziale trascrizione operata nel ricorso non toglie niente a quanto di diverso sostenuto dalla corte d’appello in ordine alla necessità di intendere la domanda come fin dall’inizio involgente tutti i prodotti in questione.
Dopodiché, la diretta lettura dell’atto, al quale la Corte può accedere essendo state dedotte violazioni di ordine processuale, conforta ulteriormente l’interpretazione della domanda fatta dal giudice territoriale (v. Cass. Sez. U n. 8077-12); cosicché nessuna violazione può dirsi realizzata ai fini delle attuali doglianze.
IV. - Il terzo motivo è inammissibile.
La ricorrente muove dal presupposto che la normativa anticoncorrenziale sia contraddistinta dal requisito di territorialità processuale, sicché descriverebbe il fenomeno con limitazione dell’ambito di efficacia delle corrispondenti norme entro i soli confini dello Stato che le ha emanate.
Da ciò sarebbe da trarre la conseguenza che ciascun legislatore, nel dettare le norme in materia, ha come riferimento solo il mercato nazionale, con conseguente impossibilità di applicare le norme a condotte che si manifestino su mercati esteri.
Sennonché la serie di affermazioni che sorregge una siffatta tesi non è conducente, perché la questione così prospettata può animare la contestazione non in merito all’estensione applicativa della norma sostanziale, ma in ordine alla giurisdizione nazionale, ove siano stati contestati illeciti concorrenziali integrati da condotte realizzate all’estero.
E questo è evidente anche in base alle difese della stessa parte, che invero in memoria ha esplicitato il proprio assunto dichiarando di sottoporre a critica la sentenza per aver dichiarato inammissibile l’eccezione di carenza di giurisdizione proposta da essa R. in mancanza di appello incidentale.
Ma deve osservarsi che questa doglianza non è stata prospettata nel ricorso per cassazione; e, ove anche lo fosse stata, non avrebbe avuto alcun fondamento.
Dire che l’eccezione di carenza di giurisdizione era stata “sostanzialmente accolta” dalla decisione di primo grado significa difatti attribuire a quella decisione un senso completamente distorto ed esattamente opposto a quel che invece emerge dagli atti.
Il tribunale aveva semplicemente ritenuto che l’accertamento delle condotte anticoncorrenziali oggetto del giudizio dovesse avvenire con limitazione al mercato italiano perché “il radicamento della causa dinanzi al giudice italiano si fonda sulla circostanza, dedotta dall’attrice nell’atto introduttivo, che in tale mercato si sono verificati gli effetti dell’attività concorrenziale vietata”.
In nessun modo una simile frase può essere interpretata come di accoglimento di un’eccezione di difetto di giurisdizione; accoglimento che del resto non trova riscontro in alcuna corrispondente declaratoria.
Dopodiché invece il punto è tutt’altro.
Il punto è che, una volta che sia stata definita la giurisdizione con affermazione di esistenza (ancorché implicita) passata in giudicato, è ovvio che la competenza giurisdizionale del giudice italiano si estende alle condotte lesive che si siano verificate anche al di fuori del territorio dello Stato, presupponendo l’applicazione delle norme repressive nazionali. Difatti l’illecito concorrenziale rientra nel più ampio alveo della responsabilità extracontrattuale, che a livello di diritto internazionale privato è regolata dalla legge dello Stato in cui si è verificato l’evento (art. 62 l. n. 218 del 1995), nella specie costituito dal danno lamentato dalla società italiana.
Nel caso concreto la corte d’appello ha esattamente rilevato l’esistenza di un giudicato implicito sulla giurisdizione nei riguardi dello straniero, poiché la sentenza di primo grado, che aveva ritenuto la giurisdizione per l’appunto pronunciando nel merito delle domande, non era stata impugnata sulla questione pregiudiziale.
La decisione è pienamente conforme all’insegnamento di questa Corte, poiché il giudicato implicito sulla giurisdizione si forma tutte le volte in cui la causa sia stata decisa nel merito (v. già Cass. Sez. U n. 24883-08 e poi di lì tutta la giurisprudenza successiva: indicativamente Cass. Sez. U n. 27531-08, Cass. Sez. U n. 2067-11, Cass. Sez. U n. 28503-17 e via seguitando), con esclusione delle sole decisioni che contengano statuizioni – come, per esempio, quelle meramente strumentali o processuali – che di per sé non presuppongono l'affermazione della giurisdizione stessa (cfr. Cass. Sez. U n. 7454-20). Ne discende che, non essendo più in discussione la legittimità della vocatio della società tedesca dinanzi all’autorità giurisdizionale italiana, è consequenziale la legittimità della decisione così adottata in base alla persistente operatività delle regole di diritto internazionale privato proprie della legislazione della parte che ha dichiarato di aver subito il danno.
Va quindi fissato il seguente principio di diritto:
- “in tema di concorrenza sleale, la competenza giurisdizionale del giudice italiano che sia stata affermata (anche solo implicitamente) con decisione passata in giudicato si estende anche alle condotte lesive che si siano verificate al di fuori del territorio dello Stato; in tal caso l’accertamento presuppone l’applicazione delle norme repressive nazionali in base alla persistente operatività delle regole di diritto internazionale privato proprie della legislazione della parte che ha dichiarato di aver subito il danno, essendo l’illecito concorrenziale sussumibile nel più ampio alveo della responsabilità extracontrattuale che, a livello di diritto internazionale privato, è regolata dalla legge dello Stato in cui l’evento dannoso si è verificato”.
V. - Il quarto e il quinto mezzo sono inammissibili, perché implicano e sottendono una (peraltro generica) critica di merito.
Per quanto sinteticamente e di rimando alla decisione di primo grado, la corte d’appello, richiamando il corredo documentale a sostegno della domanda, ha accertato i fondamenti dell’illecito concorrenziale secondo le richiamate norme dell’art. 2598 cod. civ. e dell’art. 23 del d.lgs. n. 146 del 2007, e ha ritenuto provati i fatti attraverso l’espletamento di un ordine di esibizione e l’esame dei campioni di prodotti relativi alla Germania e ai Paesi Bassi.
Si tratta della valutazione della prova, notoriamente insindacabile in cassazione ove motivata.
VI. – Nel sesto motivo si denunzia una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in nome del fatto che una “eventuale pronuncia basata sull’eventuale applicazione di norme straniere repressive della concorrenza sleale (..)” finirebbe per concretarla, avendo l’attrice fatto riferimento esclusivamente alla violazione delle suindicate norme nazionali.
Il motivo è privo di costrutto, essendo basato su un’astratta eventualità (peraltro smentita dalla stessa prioritaria affermazione difensiva circa l’applicazione delle norme nazionali), che niente ha da spartire col denunziato vizio di non corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
Codesto, sia nella forma della ultrapetizione che in quella della extrapetizione, si sostanzia quando il giudice del merito abbia attribuito alla parte un bene della vita non richiesto perché non compreso neppure implicitamente o virtualmente nelle deduzioni o allegazioni (v. Cass. Sez. 1 n. 12014-19), ovvero abbia alterato gli elementi obiettivi dell'azione (petitum o causa petendi) mediante, ancora una volta, emissione di un provvedimento non richiesto (v. pure Cass. Sez. 2 n. 8048-19, Cass. Sez. 1 n. 9002-18).
Tali situazioni nella specie non si apprezzano e, ben vero, neppure sono specificate.
VII. – I motivi dal settimo al nono, anch’essi suscettibili di unitario esame, sono inammissibili perché nella sostanza risolti in altrettante censure alla valutazione della prova.
Anche a proposito della estensione dell’illecito imputabile alla R., sul piano oggettivo (quanto cioè ai prodotti di nuova generazione) cronologico (per il periodo pur successivo al maggio 2014) e territoriale (per condotte realizzate fuori dal territorio nazionale), nuovamente deve osservarsi che la corte d’appello ha motivato la decisione sulla scorta delle emergenze documentali pur sinteticamente richiamate.
La motivazione al riguardo, per quanto estremamente sintetica, è ben comprensibile nel riferimento operato ai documenti prodotti dalla C.. E nessun fatto storico decisivo è indicato dalla difesa ricorrente come ipoteticamente omesso.
Invero l’allusione della ricorrente all’omesso esame di fatti è solo nominale, quando invece ciò di cui essa si duole è che la sentenza sia stata caratterizzata da “palesi errori” nella valutazione delle prove offerte dall’attrice. La quale di contro, essa sostiene, non avrebbe fornito alcuna prova a sostegno della pretesa commercializzazione nel senso indicato: oggettivo, cronologico e territoriale.
È però abbastanza evidente che così facendo la ricorrente traduce le critiche in censure di merito, in netto contrasto coi noti limiti del giudizio di cassazione.
Non può che essere ribadito che mai è consentito, in cassazione, prospettare una difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al giudice del merito valutare le prove in base alle fonti di convincimento indicate, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova; mentre alla Corte di cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito cui l'apprezzamento dei fatti è istituzionalmente rimesso.
VIII. – Il ricorso è rigettato.
Le spese processuali seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Processuali, che liquida in 10.200,00 EUR, di cui 200,00 EUR per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima percentuale di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.