Inoltre, la violazione del diritto di difesa deve essere dedotta con elementi specifici.
Accusata di favoreggiamento della prostituzione, l'imputata ricorre in Cassazione lamentando, tra i motivi di doglianza, l'omessa traduzione della sentenza di primo grado e di quella d'appello nella sua lingua madre.
Secondo la ricorrente, qualora fosse stata informata con la traduzione della sentenza, la stessa avrebbe potuto privare...
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Napoli con sentenza del 5 aprile 2021ha confermato la decisione del Tribunale di Napoli del 26 settembre 2016 che aveva condannato Z.S. alla pena di anni 2 di reclusione e di euro 1.000,00 di multa per i reati unificati con la continuazione di cui agli art. 3, n. 1 della I. n. 75/1958 (perché mediante la condotta di seguito illustrata favoriva la prostituzione : dirigendo e amministrando il centro massaggi denominato "(omissis)" [...] avente anche natura di casa di prostituzione ove svolgevano attività di meretricio una molteplicità di cittadine straniere di nazionalità cinese; introitando parte del corrispettivo aggiuntivo che le dette cittadine di nazionalità cinese si facevano corrispondere quale controprestazione di prestazioni a carattere sessuali. Reato accertato il 13ottobre 2015 e commesso fino a tale data, capo A), art. 61n. 2 e 337 cod. pen. (capo 2, in danno dei carabinieri intervenuti V. e N., commesso il 13 ottobre 2015), art. 582, 585 in relazione all'art. 576 e 61 n. 2 cod. pen. (commessi in danno dei carabinieri E. e N. il 13 ottobre 2015, capo C).
2. Z.S. ha proposto ricorso in cassazione per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
2. 1. Violazione di legge (art.143, 178 e 180 cod. proc. pen.). Omessa traduzione della sentenza di primo grado.
L'imputata non conosce la lingua italiana, benché di nazionalità italiana, e nel corso del giudizio di primo grado è stata assistita da un interprete. La sentenza di primo grado doveva essere tradotta nella lingua madre della ricorrente. Per la Corte di appello solo personalmente la ricorrente potrebbe far valere l'omessa traduzione. Tale interpretazione non può essere condivisa per una parziale abrogazione interpretativa della norma. La lettura restrittiva della norma viola i principi costituzionali e comunitari del diritto di difesa e del giusto processo (art. 24, 111 Costituzione e 6 Cedu).
L'imputata, invero, ove fosse stata informata con la traduzione della sentenza avrebbe potuto privare di efficacia l'appello proposto dal difensore o compiere qualsiasi altra scelta.
La difesa chiedeva anche una restituzione nel termine, ai sensi dell'art. 175 cod. proc. pen.
Anche la sentenza di appello, non tradotta, deve ritenersi nulla per le stesse considerazioni.
2. 2. Difetto di motivazione in relazione all'art. 3, n. 1, legge n. 75/1958.
La sentenza di appello omette la motivazione sulle censure proposte con l'appello. La motivazione risulta solo apparente in quanto la difesa aveva evidenziato l'insufficienza del quadro probatorio e individuato le prove da assumere per eliminare l'incertezza probatoria. Sia il Tribunale che la Corte di appello non hanno assunto le prove richieste dalla difesa, ritenendole superflue.
2. 3. Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all'art. 3, n. 1, legge n. 75/1958.Gli agenti provocatori si erano recati nel centro massaggi per gli accertamenti e due di loro si fingevano clienti della struttura. R.V. consegnava alla ricorrente 50,00 euro per un massaggio di un'ora (una banconota con matricola segnata). Solo in un secondo momento al militare era richiesta una somma ulteriore per prestazioni sessuali. In maniera del tutto identica anche l'intervento dell'agente di P.G. C.G..
Alla struttura erano sequestrati euro 2.900,00 divisi in diversi borselli, uno dei quali dell'imputata.
Per le sentenze di merito, la presenza della donna nel centro massaggi e l'avere la stessa accompagnato i due agenti di P.G. presso le massaggiatrici costituisce prova logica dell'attività di gestore della casa di prostituzione da parte dell'imputata. Invero la condotta della ricorrente risulta neutra, non può certamente configurare in capo alla ricorrente un ruolo di gestore.
In data 15 maggio del 2014 la ricorrente aveva trasferito un ramo d'azienda della società "(omissis) di Z.S.." in favore di altra società. Tuttavia, per la sentenza impugnata la stessa gestiva di fatto la casa di prostituzione.
Del resto, solo una parte del denaro sequestrato (anche la banconota segnata dalla P.G.) era stata rinvenuta nel borsello della ricorrente. Non risulta accertato che tale somma fosse relativa alla prostituzione delle altre donne. La somma era stata, però, corrisposta per il legittimo massaggio e non per la prostituzione.
2. 4. Violazione di legge (art. 3, n. 1, legge n. 75 del 1958).
Il reato in oggetto richiede il dolo, la consapevolezza e la volontà di gestire, organizzare o amministrare una casa di prostituzione. Le sentenze di merito omettono di motivare sul punto. La Corte di appello desume il dolo dal possesso della banconota segnata dalla P.G.
Non risulta, comunque, dimostrata la consapevolezza della ricorrente che le massaggiatrici offrissero prestazioni sessuali, in cambio di ulteriori soldi.
La banconota segnata era stata spesa per i massaggi. Le proposte di rapporti sessuali erano avanzate dalle massaggiatrici nell'assenza della ricorrente. Il dolo, quindi, è stato presunto, senza reali prove.
Ha chiesto, quindi, l'annullamento della decisione impugnata.
Motivi della decisione
3. Il ricorso risulta inammissibile, per manifesta infondatezza dei motivi e per genericità, articolato in fatto.
3. 1. Manifestamente infondato il motivo processuale dell'omessa traduzione della sentenza di primo grado e di quella d'appello.
Deve ribadirsi sul punto la giurisprudenza costante della Corte di Cassazione che esclude la rilevazione da parte del difensore dell'omessa traduzione di una sentenza: "Spetta in via esclusiva all'imputato alloglotta, e non al suo difensore, la legittimazione a rilevare la violazione dell'obbligo di traduzione della sentenza, previsto dall'art. 143 cod. proc. pen. al fine di consentire a detto imputato, che non comprenda la lingua italiana, l'esercizio di un autonomo potere di impugnazione ex art. 571 dello stesso codice" (Sez. 2, Sentenza n. 32057 del 21/06/2017 Ud. (dep. 04/07/2017 ) Rv. 270327 - 01; vedi anche Sez. 7 - , Ordinanza n. 9504 del 06/12/2019 Cc. (dep. 10/03/2020) Rv. 278873).
Infine, "In tema di traduzione degli atti, in mancanza di elementi specifici indicativi di un pregiudizio in ordine alla completa esplicazione del diritto di difesa, l'omessa traduzione della sentenza di appello in lingua nota all'imputato alloglotta non integra di per sé causa di nullità della stessa, atteso che, dopo la modifica dell'art. 613 cod. proc. pen., ad opera della legge 23 giugno 2017, n. 103, l'imputato non ha più facoltà di proporre personalmente ricorso per cassazione" (Sez. 5 - , Sentenza n. 15056 del 11/03/2019 Ud. (dep. 05/04/2019) Rv. 275103- 01).
Nel ricorso in cassazione non si specifica nessuna concreta lesione del diritto di difesa, ma la questione è stata prospettata solo in maniera ipotetica e teorica.
4. La ricorrente, come visto, è imputata di gestione e amministrazione di una casa di prostituzione (per gli altri due reati, dei capi B e C non ci sono motivi di ricorso in cassazione), e la sentenza impugnata (unitamente alla decisione di primo grado, in doppia conforme) immune da vizi di manifesta illogicità, contraddizioni e di carenza di motivazione/ rileva che i carabinieri hanno descritto la condotta dell'imputata (direttamente osservata) che accoglieva i clienti e dava disposizioni alle ragazze e, inoltre, custodiva i borselli con i denari. L'intestazione formale dell'azienda da circa un anno ad altro soggetto - per la sentenza impugnata - non risulta rilevante in quanto la donna di fatto gestiva la casa di prostituzione. Si tratta di evidenti accertamenti di merito insindacabili in sede di legittimità, in quanto adeguatamente motivati.
Relativamente al dolo la Corte di appello evidenzia che la disponibilità di rilevanti somme in possesso della ricorrente (tra cui la banconota contrassegnata dalla P.G.) è "sicuro indice e riscontro del fatto che l'imputata avesse la gestione di fatto del locale e che fosse a conoscenza dell'attività di meretricio svolta dalle massaggiatrici in servizio presso il centro benessere".
Il ricorso, articolato in fatto e generico, valutato nel complesso richiede alla Corte di Cassazione una rivalutazione del fatto, non consentita in sede di legittimità.
In tema di giudizio di Cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 - dep. 27/11/2015, Musso, Rv. 265482).
In tema di motivi di ricorso per Cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento. (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 - dep. 31/03/2015, O., Rv. 262965). In tema di impugnazioni, il vizio di motivazione non può essere utilmente dedotto in Cassazione solo perché il giudice abbia trascurato o disatteso degli elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero dovuto o potuto dar luogo ad una diversa decisione, poiché ciò si tradurrebbe in una rivalutazione del fatto preclusa in sede di legittimità. (Sez. 1, n. 3385 del 09/03/1995 - dep. 28/03/1995, Pischedda ed altri, Rv. 200705).
5. Il motivo sull'omessa assunzione di una prova (le testimonianze delle due massaggiatrici) ex art 507 e 603 cod. proc. pen. risulta oltremodo generico in quanto non si prospetta la decisività della prova e comunque, la sentenza adeguatamente valuta l'assenza di necessità della rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in considerazione del completo quadro probatorio risultante dalle prove assunte.
In sostanza ricorrente aveva formulato una rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, in primo grado ex art 507 cod. proc. pen. e in appello ex art. 603 cod. proc. pen., esplorativa, non ammessa: «Nel giudizio di appello, la presunzione di tendenziale completezza del materiale probatorio già raccolto nel contraddittorio di primo grado rende inammissibile (sicchè non sussiste alcun obbligo di risposta da parte del giudice del gravame) la richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale che si risolva in una attività "esplorativa" di indagine, finalizzata alla ricerca di prove anche solo eventualmente favorevoli al ricorrente. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esplorativa la richiesta di rinnovazione finalizzata a verificare l'intenzione della vittima, attraverso un nuovo esame, di ritrattare le accuse formulate nei confronti dell'imputato)» (Sez. 3, n. 42711 del 23/06/2016 - dep. 10/10/2016, H, Rv. 26797401).
6. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di € 3.000,00, e delle spese del procedimento, ex art 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati significativi, a norma dell'art. 52 del d. lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.