A differenza delle innovazioni, le modifiche alle parti comuni dell'edificio possono essere apportate dal singolo condomino nei limiti indicati dall'art. 1102 c.c.. In caso di impugnazione spetta al condominio dimostrare il superamento dei limiti del pari uso.
La controversia trae origine dal ricorso di una condomina avente ad oggetto la decisione della Corte d'Appello di respingere l'impugnazione
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
L.H. ha proposto ricorso articolato in due motivi avverso la sentenza n. 1137/2021 della Corte d’appello di Genova, depositata l’11 novembre 2021.
L’intimato Condominio via Omissis, Savona, ha notificato controricorso.
La sentenza impugnata ha accolto l’appello contro la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Savona n. 189/2015 ed ha così respinto l’impugnazione ex art. 1137 c.c. presentata dalla condomina L.H. contro la deliberazione dell’assemblea del Condominio via Omissis, Savona, del 20 aprile 2016. Questa delibera aveva esaminato la “richiesta” della H. di aprire un terrazzo a tasca sul tetto condominiale nella parte soprastante il proprio appartamento, statuendo che “considerando innovazione il lavoro richiesto”, non era raggiunto il “quorum del 2/3 per poter eseguire il lavoro”. La Corte d’appello, pronunciando sul gravame del Condominio via Omissis, ha valutato la sussistenza dei presupposti di legittimità del terrazzo a tasca ai sensi dell’art. 1102 c.c., affermando che spetta al condomino dimostrare che tali limiti non sono violati (sul punto viene richiamato precedente della Corte d’appello di Milano), e che, nella specie, non erano state dimostrate le tecniche costruttive adoperate al fine di garantire la funzionalità del tetto. Pur avendo il CTU verificando che i lavori eseguiti avrebbero garantito la impermeabilità del tetto, era rimasta ignota l’effettiva idoneità delle modalità realizzative dell’intervento. La Corte d’appello ha così concluso che “in difetto della prova della ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 1102 c.c., l’opera realizzata dalla condomina deva inquadrarsi nella previsione di cui all’art. 1120 c.c., con conseguente legittimità della delibera impugnata”.
Il primo motivo del ricorso di L.H. denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 1102 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), quanto al rapporto tra l’art. 1120 c.c. e l’art. 1102 c.c., che la sentenza impugnata avrebbe ignorato.
Il secondo motivo di ricorso, proposto in via gradata, denuncia l’omesso esame di una prova documentale, consistente in una “perizia illustrativa” relativa alle tecniche costruttive adoperate.
Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere accolto per manifesta fondatezza del primo motivo, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all'art. 380-bis c.p.c., in relazione all'art. 375, comma 1, n. 5), c.p.c., il presidente ha fissato l'adunanza della camera di consiglio.
Le parti hanno presentato memorie.
Va disattesa l’eccezione pregiudiziale del controricorrente sulla “mancata attestazione informatica di conformità della procura alle liti notificata anch'essa via PEC in una con il ricorso e sulla mancata menzione “in ordine all’avvenuta notifica della procura alle liti, unitamente al ricorso per cassazione”; ai fini della procura ex artt. 83, comma 3, e 365 c.p.c., incorporata nell'atto di impugnazione, non rileva la sua mancata riproduzione o segnalazione nella copia notificata, essendo sufficiente, per l'ammissibilità del ricorso per cassazione, la sua presenza nell'originale (Cass. Sez. Unite, 19/11/2021, n. 35466).
Non è pertinente la giurisprudenza invocata nella memoria ex art. 380 bis, comma 2, c.p.c. dal controricorrente, relativa ad ipotesi di procura conferita su supporto cartaceo ed alla attestazione di conformità da depositare ai sensi dell'art. 9, commi 1 bis e 1 ter, della l. n. 53 del 1994 “[q]ualora non si possa procedere al deposito con modalità telematiche dell'atto notificato”, stante l'entrata in vigore dell'art. 221, comma 5, d.l. n. 34 del 2020 e del d.m. 27 gennaio 2021, che hanno consentito il deposito telematico degli atti e dei documenti nei procedimenti civili dinanzi alla Corte di cassazione.
Non può nemmeno procedersi a correggere la motivazione della sentenza impugnata, ai sensi del quarto comma dell'art. 384 c.p.c., come propone il controricorrente, in quanto non è conforme al diritto la decisione contenuta nel dispositivo della sentenza impugnata.
Il primo motivo di ricorso è fondato nei sensi di seguito indicati.
La Corte d’appello di Genova ha fatto cattiva applicazione degli artt. 1102 e 1120 c.c., intesi secondo la costante interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità.
I) Innanzitutto, questa Corte spiega costantemente che le innovazioni di cui all’art. 1120 c.c. si distinguono dalle modificazioni disciplinate dall’art. 1102 c.c., sia dal punto di vista oggettivo, che da quello soggettivo: sotto il profilo oggettivo, le prime consistono in opere di trasformazione, che incidono sull’essenza della cosa comune, alterandone l’originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facoltà riconosciute al condomino, con i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c., per ottenere la migliore, più comoda e razionale utilizzazione della cosa; per quanto concerne, poi, l'aspetto soggettivo, nelle innovazioni rileva l’interesse collettivo di una maggioranza qualificata, espresso con una deliberazione dell’assemblea, elemento che invece difetta nelle modificazioni, che non si confrontano con un interesse generale, bensì con quello del singolo condomino, al cui perseguimento sono rivolte (ex multis, Cass. Sez. 2, 04/09/2017, n. 20712; Cass. Sez. 6 - 2, 03/02/2022, n. 3440).
L’opera sulle cose comuni che sia realizzata ad iniziativa di un condomino e a sue spese non può dunque residualmente valutarsi alla stregua dell’art. 1120 c.c., come intende la Corte d’appello di Genova, essendo piuttosto tale fattispecie del tutto estranea all’indicata norma, la quale regola le modalità di espressione ed i limiti delle attribuzioni dell’assemblea, allorché la maggioranza qualificata dei partecipanti voglia disporre l’intervento con deliberazione che vincola peraltro tutti i condomini a sostenere le spese.
A differenza dalle innovazioni – configurate, come appena ribadito, dalle nuove opere, le quali immutano la sostanza o alterano la destinazione delle parti comuni e che vengono deliberate dall'assemblea nell'interesse di tutti i partecipanti - le modifiche alle parti comuni dell'edificio, contemplate dall'art. 1102 c.c., possono essere apportate dal singolo condomino, nel proprio interesse ed a proprie spese, al fine di conseguire un uso più intenso, sempre che non alterino la destinazione e non impediscano l'altrui pari uso. Le modifiche delle parti comuni che il singolo condomino intende apportare a proprie spese per il miglior godimento di esse non richiedono alcuna preventiva autorizzazione dell’assemblea, salvo che tale autorizzazione non sia imposta da una convenzione contrattuale approvata dai condomini nell’interesse comune, mediante esercizio dell’autonomia privata (ad esempio, Cass. Sez. 2, 21/05/1997, n. 4509). Alla eventuale autorizzazione ad apportare tali modifiche concessa dall'assemblea (autorizzazione nella specie negata alla condomina L.H. dalla deliberazione dell’assemblea del Condominio via Omissis del 20 aprile 2016), può attribuirsi altrimenti il valore di mero riconoscimento dell'inesistenza di interesse e di concrete pretese degli altri condomini rispetto alla concreta utilizzazione del bene comune che voglia farne il singolo partecipante (Cass. Sez. 2, 20/02/1997, n. 1554).
II) L’interpretazione di questa Corte spiega anche che il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune dell'edificio, può trasformarlo in terrazza di proprio uso esclusivo, sempre che un tale intervento dia luogo a modifiche non significative della consistenza del bene, in rapporto alla sua estensione, e sia attuato con tecniche costruttive tali da non affievolire la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, quali la coibentazione termica e la protezione del piano di calpestio di una terrazza mediante idonei materiali (Cass. Sez. 2, 03/08/2012, n. 14107; si vedano anche Cass. Sez. 6 - 2, 04/02/2013, n. 2500; Cass. Sez. 6-2, 25/01/2018, n. 1850; Cass. Sez. 6-2, 21/02/2018, n. 4256; Cass. Sez. 2, 29/01/2021, n. 2126). L’accertamento circa la non significatività del taglio del tetto praticato per innestarvi la terrazza di uso esclusivo e circa l’adeguatezza delle opere eseguite per salvaguardare la funzione di copertura e protezione dapprima svolta dal tetto è riservato al giudice di merito.
Allorché il condominio (o altro partecipante) intende negare la legittimità della modificazione della cosa comune apportata dal singolo condomino, il superamento dei limiti del pari uso, di cui all'art. 1102 c.c., si configura come un fatto costitutivo, inerente alle condizioni dell'azione esperita, sicché (a differenza di quanto ritenuto dalla Corte d’appello di Genova, che ha desunto la illegittimità dell’opera dalla carenza di prova delle modalità costruttive adoperate) deve essere provato dallo stesso condominio, mentre la deduzione, da parte dell’autore, della legittimità della modifica non comporta alcun onere probatorio a carico del medesimo (cfr. Cass. Sez. 6 - 2, 22/02/2022, n. 5809; Cass. Sez. 6 - 2, 18/11/2021, n. 35213).
III) Nella memoria presentata ai sensi dell’art. 380 bis, comma 2, c.p.c., il Condominio via Omissis illustra pregevolmente le proprie difese, anche con riguardo alla proposta del relatore, sulla base di argomenti così sintetizzabili: 1) è la ricorrente L.H. che ha agito per rivendicare la legittimità della modifica del bene comune ex art. 1102 c.c., sicché sulla stessa grava l’onere probatorio della sussistenza delle condizioni dettate da tale norma;
2) la ricorrente neppure ha proposto un motivo di ricorso per violazione dell’art. 2697 c.c.; 3) spetta comunque alla condomina ricorrente dimostrare la circostanza che le opere per cui è causa non avessero alterato la cosa comune, e non già al condominio convenuto comprovare l’avvenuto superamento dei limiti del pari uso.
Tali considerazioni svolte dal controricorrente non possono tuttavia essere condivise, giacché:
1) si ha qui riguardo ad una azione di impugnazione di deliberazione dell’assemblea di condominio, ai sensi dell’art. 1137 c.c., la quale ha rigettato la richiesta di una condomina di modificare il tetto condominiale per mancato raggiungimento della maggioranza ritenuta necessaria e per difetto delle condizioni di liceità dell’uso della cosa comune ex art. 1137 c.c.
2) in tema di impugnazione della deliberazione dell’assemblea condominiale, l'onere di provare il vizio di contrarietà alla legge o al regolamento di condominio, da cui deriva l'invalidità della stessa, grava sul condomino che la impugna (arg. da Cass. Sez. 1, 19/02/2018, n. 3946; Cass. Sez. 1, 10/11/2005, n. 21831);
3) la contrarietà alla legge della impugnata deliberazione discende dalla constatazione che le modifiche alle parti comuni dell'edificio, contemplate dall'art. 1102 c.c., possono essere apportate dal singolo condomino, nel proprio interesse ed a proprie spese, senza necessità di alcuna preventiva autorizzazione dell’assemblea, salvo che tale autorizzazione non sia imposta da una convenzione contrattuale approvata dai condomini nell’interesse comune;
4) allorché l’assemblea deneghi comunque l’autorizzazione ad apportare tali modifiche, come nella specie, opponendosi alla concreta utilizzazione del bene comune che voglia farne il singolo partecipante, così adottando un provvedimento non previsto dalla legge o dal regolamento, spetta al condominio dimostrare il superamento dei limiti del pari uso, di cui all'art. 1102 c.c., che possa perciò giustificare la legittima espressione della volontà collettiva dei partecipanti a tutela delle esigenze conservative dei diritti inerenti alle parti comuni;
5) ove il condomino esperisca, in via di azione, una impugnazione di deliberazione dell’assemblea, allegando l’invalidità della stessa per avergli negato un uso legittimo della cosa comune e perciò postulando l’inesistenza della attribuzione collegiale ad impedire tale uso, nell’applicare le regole di distribuzione dell’onere probatorio poste dall’art. 2697 c.c. occorre, quindi, dare rilievo non al criterio dell’iniziativa processuale, bensì al criterio di natura sostanziale relativo alla posizione delle parti riguardo ai diritti oggetto del giudizio, sicché l’onere di provare il superamento dei limiti del pari uso, di cui all'art. 1102 c.c., grava sul condominio che si afferma titolare della potestà deliberativa a tutela dei diritti inerenti alle parti comuni.
IV) Devono enunciarsi i seguenti principi:
le modificazioni per il miglior godimento della cosa comune (a differenza dalle innovazioni che vengono deliberate dall'assemblea nell'interesse di tutti i partecipanti ai sensi dell’art. 1120 c.c.) possono essere apportate a proprie spese dal singolo condomino con i limiti indicati dall’art. 1102 c.c. e non richiedono alcuna preventiva autorizzazione assembleare, salvo che tale autorizzazione non sia imposta da una convenzione contrattuale approvata dai condomini nell’esercizio dell’autonomia privata, potendo altrimenti attribuirsi all’eventuale autorizzazione alle modifiche comunque richiesta o concessa dall'assemblea il valore di mero riconoscimento dell'inesistenza di interesse e di concrete pretese degli altri condomini rispetto alla utilizzazione del bene comune che voglia farne il singolo partecipante;
in tema di impugnazione della deliberazione dell’assemblea condominiale, l'onere di provare il vizio di contrarietà alla legge o al regolamento di condominio, da cui deriva l'invalidità della stessa, grava sul condomino che la impugna; ove, tuttavia, l’assemblea neghi ad un condomino l’autorizzazione ad apportare modifiche alle parti comuni, così adottando un provvedimento non previsto dalla legge o dal regolamento, avuto riguardo alla posizione delle parti riguardo ai diritti oggetto del giudizio, spetta al condominio dimostrare il superamento dei limiti del pari uso, di cui all'art. 1102 c.c., che possa perciò giustificare la legittima espressione della volontà collettiva dei partecipanti a tutela delle esigenze conservative delle parti comuni.
V). Il ricorso va perciò accolto nel suo primo motivo, rimanendo assorbito il secondo motivo proposto in via subordinata e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione, che procederà ad esaminare nuovamente la causa uniformandosi agli enunciati principi e provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo ricorso, dichiara assorbito il secondo motivo e cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione.