Svolgimento del processo
1. Viene in esame la sentenza della Corte d'Appello di Venezia che, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Verona del 12.6.2016, ha ridotto la pena inflitta a P.P. nella misura di anni due di reclusione, in relazione al reato di lesioni aggravate ai danni di L.M.L., spinto violentemente contro la parete di un bar e caduto in terra il 25.4.2016. La vittima ha riportato la frattura scomposta del collo omerale sinistro, da cui è derivata una malattia di 55 giorni. All'imputato già in primo grado erano state concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti all'aggravante della recidiva qualificata ritenuta sussistente; egli è stato condannato in via generica anche al risarcimento del danno nei confronti della parte civile, da liquidarsi in sede civile, ed al pagamento di una provvisionale di 10.000 euro.
2. Avverso tale decisione ha proposto ricorso P.P., tramite il difensore di fiducia, deducendo otto motivi diversi di censura riferiti alle statuizioni penali e due motivi afferenti a quelle civili.
2.1. Il primo argomento difensivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilità del ricorrente quanto alla sua imputabilità, che, secondo la difesa, appariva con evidenza insussistente in virtù del percorso di vita acclarato documentalmente dalla sottoposizione alla misura dell'amministrazione di sostegno a tempo indeterminato dall'anno 2010, disposta con decreto del giudice tutelare di Verona del 8.6.2010 per i disturbi psichiatrici riscontratigli, ed applicatagli in seguito a due tentativi di suicidio, nell'anno 2009 e nell'anno 2010.
Si lamenta anche l'omessa assunzione di prova decisiva avuto riguardo ad una perizia psichiatrica del ricorrente per la valutazione della sussistenza dell'imputabilità al momento dei fatti contestatigli, per incapacità di intendere e di volere, e si denuncia l'illogicità della motivazione della sentenza d'appello che, per respingere qualsiasi apertura ad una verifica di inimputabilità del ricorrente, ha utilizzato un argomento fuori fuoco quale quello del mancato deposito di documentazione medica recente, che provasse i disturbi psichiatrici dell'imputato: questi, infatti, è evidentemente in una condizione di incapacità di agire, conclamata dalla perdurante validità del provvedimento di amministrazione di sostegno nei suoi confronti mai variato dal momento della sua applicazione.
2.2. Il secondo motivo di ricorso eccepisce manifesta illogicità della motivazione in relazione alla valutazione della prova dichiarativa costituita dalle dichiarazioni del teste E.M. ed alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, desunta anche da quelle dichiarazioni tutt'altro che precise e chiare. Non è mai stata puntualizzata la posizione di osservazione della dinamica dell'aggressione che aveva il testimone, sicchè non può escludersi la tesi difensiva dell'aver agito il ricorrente dietro provocazione e per legittima difesa, in seguito al diverbio nato per il comportamento violento della vittima.
2.3. Il terzo motivo denuncia ancora mancanza della prova del dolo del reato di lesioni, dubitando della veridicità di uno degli elementi dai quali è stato desunto, vale a dire il tentativo di aggressione ai danni della vittima del reato da parte del ricorrente posto in essere anche, successivamente ai fatti, in ospedale: la motivazione del provvedimento impugnato è apodittica al riguardo. Inoltre, non sono stati tenuti in conto i referti medici che attestano le lesioni subite dall'imputato e che confermano la sua versione dei fatti circa la sussistenza in suo favore della scriminante della legittima difesa.
2.4. La quarta e la quinta censura eccepiscono violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato, per travisamento della prova costituita dalle dichiarazioni del teste M., in relazione alla ritenuta insussistenza della scriminante, anche putativa, della legittima difesa.
La tesi del ricorrente è quella già esposta nel secondo e nel terzo motivo, guardata nel prisma degli artt. 52 e 59 cod. pen..
2.6. Il sesto motivo di ricorso denuncia manifesta illogicità della motivazione quanto alla ritenuta inapplicabilità della circostanza attenuante di cui all'art. 62, comma primo, n. 2, cod. pen.: il ricorrente sostiene di essere stato provocato dalla vittima e, ancora una volta, contesta gli approdi della sentenza impugnata, basati sull'incerta testimonianza del teste M..
2.6. Il settimo argomento difensivo si lamenta della manifesta illogicità della motivazione con cui sono state negate le circostanze attenuanti generiche, sul presupposto erroneo che il comportamento del ricorrente successivo al reato provasse la pervicace volontà delittuosa, laddove invece nessuna prova vi è in atti che l'imputato abbia tentato di aggredire la vittima nuovamente in ospedale. Risulta soltanto che i sanitari hanno chiamato le forze di polizia per calmare l'imputato.
2.7. Infine, l'ottavo motivo di ricorso contesta l'affermazione di responsabilità statuita in violazione di legge, poiché non al di là di ogni ragionevole dubbio.
2.8. Due motivi distinti dagli altri sono dedicati dal ricorrente a dolersi della statuizione relativa al riconoscimento del danno in favore della parte civile ed alla quantificazione della somma liquidata a titolo di provvisionale, nonché alla mancanza di motivazione in merito alla condanna alla rifusione delle spese di giudizio in favore della parte civile. Non vi è prova dell'entità del danno subito, sia in termini di danno fisico che di danno morale.
5. Il PG L.B. ha chiesto l'inammissibilità del ricorso.
5.1. La difesa di parte civile ha depositato conclusioni e nota spese con le quali chiede il rigetto del ricorso e la condanna alla rifusione delle spese di giudizio, quantificata in euro 1344,00 oltre accessori di legge.
Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile.
1. Il primo motivo, che propone una sorta di automatismo tra sottoposizione ad amministrazione di sostegno e incapacità di intendere e di volere al momento dei fatti, è manifestamente infondato, oltre che reiterativo di argomenti già ampiamente superati dalla sentenza impugnata.
1.1. L'amministrazione di sostegno, ancorchè disposta nei confronti dell'imputato in epoca antecedente alla condotta delittuosa e mai revocata, non determina l'automatica sua incapacità di intendere e di volere al momento della commissione del fatto di reato, così come - si è già chiarito - non determina automaticamente l'incapacità del medesimo a partecipare coscientemente al processo, ai sensi dell'art. 70 cod. proc. pen. (dovendo quest'ultima essere autonomamente accertata dal giudice ai fini della sospensione del processo, ai sensi dell'art. 71 cod. proc. pen., così Sez. 3, n. 3659 del 14/11/2017, dep. 2018, P., Rv. 272576).
L'istituto di "protezione" in esame - introdotto nell'ordinamento dall'art. 3 della legge 9 gennaio 2004 n. 6 - ha la finalità di offrire, a chi si trovi nell'impossibilità anche parziale o temporanea di provvedere propri interessi, uno strumento flessibile ed agile di assistenza, che ne sacrifichi nella minor misura possibile la capacità di agire, distinguendosi con tale specifica funzione dagli altri istituti a tutela degli incapaci, più invasivi della sfera di autonomia giuridica soggettiva, quali l'interdizione e l'inabilitazione, che pure sono stati modificati dalla medesima legge, attraverso la novella degli articoli 414 e 427 del codice civile.
Tale prospettiva è stata avallata dalla Corte costituzionale che, con la sentenza n. 440 del 2005, ha chiarito che la disciplina complessivamente inserita dalla novella del 2004 all'interno del codice civile affida al giudice il compito di individuare l'istituto che, da un lato, garantisca all'incapace la tutela più adeguata al concreto atteggiarsi dei suoi bisogni di assistenza e, dall'altro, limiti nella minor misura possibile la sua capacità; l'ambito dei poteri dell'amministratore di sostegno, infatti, è modulato sulle caratteristiche del caso concreto. La Corte costituzionale sottolinea come solo se il giudice non ravvisi interventi di sostegno idonei ad assicurare all'incapace siffatta protezione può ricorrere alle ben più invasive misure dell'inabilitazione o dell'interdizione, che attribuiscono status veri e propri di incapacità, estesa, per l'inabilitato agli atti di straordinaria amministrazione, e, per !'interdetto, anche a quelli di amministrazione ordinaria.
Sulla base di tali premesse, si è condivisibilmente affermato che la persona beneficiaria dell'amministrazione di sostegno non è considerata dal legislatore quale "incapace di intendere e di volere", essendo estranee all'istituto specifiche situazioni infermità mentale che rendono la persona totalmente incapace; ed infatti, l'art. 409 cod. civ. precisa che il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono una rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno (cfr. la sentenza n. 3659 del 2018, cit.).
1.2. Alla luce di tali considerazioni di ordine sistematico, è evidente che chi voglia dedurre nel ricorso per cassazione il tema dell'incapacità di intendere e di volere al momento della commissione del reato non può limitarsi a sostenere l'inimputabilità come automatica conseguenza della sottoposizione all'amministrazione di sostegno dell'imputato, ma deve, invece, indicare le ragioni specifiche sulla base delle quali si sostiene che questi, sottoposto all'istituto di protezione più moderno e meno invasivo, indirizzato alla cura e tutela di situazioni di "incapacità" minori o marginali o solo temporanee, sia stato afflitto da un'incapacità totale di intendere e di volere al momento della commissione del reato.
Nel caso di specie, come si è già anticipato, il ricorrente si è limitato a reiterare la questione, tutta formale e già esaminata in appello, relativa al rilievo da attribuirsi all'ordinanza del giudice tutelare di Verona che, dal 2010, aveva sottoposto l'imputato ad amministrazione di sostegno, evocando la generica sussistenza di non meglio precisati disturbi psichiatrici, senza aggiungere alcun elemento specifico che possa far comprendere le ragioni specifiche sulla base delle quali invoca una situazione di incapacità di intendere e di volere in relazione al reato contestatogli.
Il motivo, pertanto, è generico, anche in considerazione del fatto che la Corte territoriale aveva evidenziato, in risposta all'analogo motivo d'appello proposto, la condanna in differenti processi penali, riportata dall'imputato nel periodo successivo alla disposizione nei suoi confronti dell'amministrazione di sostegno, poiché, evidentemente, ritenuto capace di intendere e volere, tanto da non essere stata riconosciuta nei suoi confronti neppure l'attenuante del vizio parziale di mente (si tratta di condanna per violenza sessuale e lesioni personali, reati commessi nel 2012, a cui è seguita l'esecuzione di un periodo di pena detentiva dal 17.11.2012 al 4.8.2015).
Ed è noto che la difesa avrebbe dovuto prospettare quali patologie mentali, ovvero gravi alterazioni del carattere, affliggevano la capacità di intendere e di volere dell'imputato e le ragioni per le quali esse si rivelavano determinanti, sotto il profilo causale, rispetto al fatto di reato oggetto di contestazione, poiché è necessario che tra il disturbo della personalità (nel caso di specie, come già esposto, soltanto genericamente invocato) e la condotta criminosa sussista un nesso eziologico, per effetto del quale il fatto di reato sia causalmente determinato dal disturbo mentale stesso.
Le Sezioni Unite, infatti, già da tempo hanno chiarito come, ai fini del riconoscimento del vizio parziale o totale di mente, è necessario che i disturbi della personalità siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, sempre che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale; sicchè, nessun rilievo, ai fini dell'imputabilità, deve essere dato ad altre anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati, nonché agli stati emotivi e passionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di "infermità" (Sez. U, n. 9163 del 25/1/2005, Raso, Rv. 230317). Ed è corretto il ragionamento seguito dalla Corte d'Appello che, in assenza di tali condizioni, ha motivato anche il diniego di procedere a perizia psichiatrica.
1.2. Dato il contenuto dell'ottavo motivo di ricorso, volto a contestare l'affermazione di colpevolezza, sostenendo il mancato superamento della soglia legale per l'affermazione di responsabilità dell'oltre ogni ragionevole dubbio, è opportuno sin d'ora esaminarne la manifesta infondatezza, oltre che la genericità: si fa leva, ancora una volta in modo aspecifico, sulla presunta assenza di capacità di intendere e di volere del ricorrente, che, invece, risulta essere un argomento già ampiamente superato dalla sentenza impugnata, per le ragioni alle quali si è già fatto riferimento.
2. Il secondo motivo di censura denuncia l'inidoneità della testimonianza del teste M., il gestore del bar dove è avvenuta l'aggressione, a costituire parte dell'ossatura della sentenza di condanna, sotto il profilo della configurabilità dell'elemento soggettivo, ma la doglianza si pone in una prospettiva meramente rivalutativa della prova, inammissibile in sede di legittimità, e reitera, come tutti i motivi del ricorso, censure alle quali la sentenza impugnata ha già fornito adeguata risposta. Come noto, sono precluse nel giudizio di cassazione - a meno che non si rivelino fattori di manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., tra le più recenti, Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482).
Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha motivato in maniera adeguata dell'affidabilità della piattaforma probatoria, costituita non soltanto dalle dichiarazioni testimoniali del teste M. - della cui attendibilità non sono state elencate ragioni di dubbio neppure dal ricorrente, che si limita ad indicare alcune diverse valutazioni del suo narrato - ma anche da altri elementi, del tutto idonei a fornire basi logiche e ricostruttive per l'affermazione di responsabilità, primi fra tutti le dichiarazioni della persona offesa e i certificati medici che confermano i racconti dei testimoni.
2.1. Le ragioni di inammissibilità del secondo motivo, poi, pervadono anche quelli che vanno dal terzo al sesto, tutti formulati secondo direttrici di censura di merito e rivalutative, che, come si è già richiamato, non possono trovare ingresso nel sindacato di legittimità, salvo che vengano in rilievo come strumenti dimostrativi della manifesta illogicità della sentenza impugnata, difetto che, invece, non investe il provvedimento.
Gli argomenti difensivi puntano a sostenere la tesi della legittima difesa, dovuta ad una provocazione della parte offesa (di qui anche la richiesta di riconoscimento dell'attenuante prevista dall'art. 62, comma primo, n. 2, cod. pen., contenuta nel sesto motivo di censura), che non trova alcun elemento di conforto che non sia rappresentato dalle asserzioni difensive, come ben evidenziato dal provvedimento impugnato a pag. 8, in cui si è precisato che l'aggressione è avvenuta in modo del tutto immotivato sulla base di un alterco risalente ad alcune settimane prima.
Non sussistono, pertanto, i presupposti per la configurabilità della scriminante della legittima difesa e neppure quelli per ritenere sussistente in astratto, al di là della pur evidente genericità della prospettazione difensiva, l'attenuante della provocazione.
In proposito, basti ricordare che lo stato d'ira, rilevante ai fini della configurazione dell'attenuante della provocazione, pur se prescinde dalla mera immediatezza di connessione temporale tra azione e reazione, è escluso dalla sedimentazione nell'agente di un sentimento vendicativo e dalla perpetrazione di un'aggressione lucida e fredda, rilevabile quando il lasso di tempo trascorso tra l'azione che si assume provocatoria e quella "provocata" sia eccessivamente lungo ovvero comunque si riveli scollegato quale effetto di quella precedente provocazione (cfr. in tema, tra le altre, Sez. 1, n. 29480 del 25/10/2012, dep. 2013, Lile, Rv. 256449).
Nella stessa linea interpretativa, Sez. 1, n. 24391 del 14/4/2015, Manca, Rv. 263957 ha affermato che, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante della provocazione, lo stato d'ira, che ne è elemento costitutivo, è escluso quando la condotta è il risultato della sedimentazione nell'agente di un sentimento di vendetta, pur se riconducibile ad un fatto profondamente ingiusto, e non ricorre un "fatto nuovo" intervenuto in prossimità della commissione del reato, proprio come nella fattispecie in esame.
Nel caso della condotta ascritta al ricorrente, per come risulta accertata dalle sentenze di merito, varrà, quindi, ribadire che lo stato d'ira rilevante ai fini della configurazione dell'attenuante della provocazione, pur se prescinde dalla mera immediatezza di connessione temporale tra azione e reazione, è escluso dalla sedimentazione nell'agente di un sentimento vendicativo e dalla perpetrazione di un'aggressione lucida e fredda.
2.2.Per quanto attiene più specificamente alla prova del dolo, desunta anche dal comportamento pervicacemente aggressivo tenuto in ospedale dall'imputato (terzo motivo), la sentenza impugnata richiama la conforme pronuncia di primo grado, in cui la prova della volontà dolosa è stata desunta del tutto logicamente da dati affidabili, costituiti dalla circostanza che il medico di turno era stato costretto a richiedere l'intervento dei carabinieri, effettivamente recatisi al Pronto Soccorso dell'ospedale ove erano ricoverati imputato e vittima, per impedire al primo di raggiungere la stanza del secondo (e l'intenzione era assolutamente inequivoca, visto che è riportato come P. si sia addirittura strappato la cannula della flebo per poter raggiungere la persona offesa).
Il ricorso non si confronta realmente con tali approdi e, per questo, come detto si svela anche generico, oltre che manifestamente infondato.
3. Infine, gli ultimi due motivi di censura sono anch'essi inammissibili.
La sentenza d'appello ha adeguatamente fornito spiegazioni sulle ragioni di determinazione della provvisionale, che hanno tenuto conto della gravità delle lesioni riportate dalla vittima dell'aggressione dell'imputato (una frattura scomposta dell'omero sinistro) e delle conseguenze sulla vita di costei (l'incapacità della persona offesa di attendere alle normali attività di vita quotidiana per quasi due mesi).
Ne discende che i due motivi attinenti alle statuizioni civili, compresa la condanna alla rifusione delle spese di costituzione e difesa della parte civile, sono inammissibili perché manifestamente infondati.
4. Alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali nonché, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilità (cfr. sul punto Corte Cost. n.186 del 2000), al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in euro 3.000.
4.1. Deve essere riconosciuto alla parte civile anche il diritto alla rifusione delle spese sostenute nel giudizio di legittimità, che possono essere liquidate nella misura richiesta di 1344 euro, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile L.L.M., che liquida in complessivi euro 1.344,00, oltre accessori di legge.