La nozione di impresa agricola non può infatti essere impiegata per definire il concetto di entità agricola ben individuata ordinata ad una propria vicenda produttiva, requisito richiesto dalla giurisprudenza di legittimità per il riconoscimento dell'usucapione ai sensi dell'art. 1159-bis c.c..
L'attore citava in giudizio la convenuta per chiedere di essere riconosciuto quale proprietario del fondo rustico per intervenuta usucapione ai sensi dell'art. 1159-bis c.c., affermando di avere posseduto tale fondo pubblicamente in buona fede e senza interruzioni.
La convenuta si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della suddetta domanda e contestando il carattere...
Svolgimento del processo
1. Con ricorso notificato in data 28/07/2006, il sig. V.B. citava in giudizio la sig.ra M.D.I. per chiedere di essere riconosciuto proprietario del fondo rustico sito in B. d'Ischia alla località (omissis), zona (omissis), per intervenuta usucapione ex art. 1159 bis c.c. e L. n. 346/1976, affermando di avere posseduto pubblicamente in buona fede e in modo continuativo senza interruzioni, dal 1986 al 2007, il suddetto fondo rustico trovato in stato di abbandono e incoltura.
2. Si costituiva in giudizio la convenuta, la quale, previa eccezione dell’inammissibilità del ricorso, invocava il rigetto della domanda attorea, sostenendo che il fondo in questione era stato acquistato dalla signora M. F. P. nell'anno 1986, con contratto di compravendita poi rescisso per lesione ultra dimidium, con effetti preclusivi del possesso rilevante ai fini di usucapione del sig. B. e comunque contestava la sussistenza del carattere rurale del fondo.
3. Con sentenza n. 35410 del 13/07/2010 il Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Ischia, accoglieva la domanda attorea, ritenendo sussistenti le condizioni oggettive e soggettive previste dalle norme in materia per l’acquisto per usucapione del fondo controverso e condannava la convenuta a rilasciare il medesimo libero da persone e cose.
4. Con atto di citazione notificato in data 05/08/2010 la sig.ra I. proponeva appello avverso tale pronuncia avanti alla Corte di Appello di Napoli, contestando che il Tribunale non avesse tenuto in considerazione la circostanza che l’immobile non sarebbe risultato di suo proprietà durante l'arco del quindicennio coincidente con il tempo di maturazione dell'usucapione ex art. 1159 bis c.c.; che l’appellato avrebbe dovuto provare l'intervenuto spossessamento iniziale del bene; che il giudice di primo grado non aveva rilevato che l'immobile era privo della caratteristica di fondo rustico, non presentando i requisiti di un terreno facilmente coltivabile.
Si costituiva in giudizio parte appellata.
5. Con sentenza n. 2946/2017, la Corte distrettuale, sulla scorta di una CTU disposta nel giudizio di seconde cure, volta a compiere un più approfondito esame circa la sussistenza degli elementi descrittivi degli immobili oggetto di controversia, affermava la carenza dell'elemento oggettivo di fondo rustico in capo al terreno di cui è causa.
6. Contro tale decisione propone ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, il sig. V.B..
7. M.D.I. ha presentato controricorso per richiedere la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto del ricorso.
8. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi degli artt. 345 comma 2 e 380-bis.1 c.p.c.
9. Il ricorrente ha depositato nei termini memoria illustrativa.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 1159 bis c.c. e dell'art. 2 della l. n. 346/1976 e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all'art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c.
Deduce V.B. che la Corte di Appello avrebbe confuso la nozione di fondo rustico come definita dalla legge n. 346/1976 con quella di azienda agricola organizzata da un imprenditore, travisando quanto indicato nella stessa CTU posta a fondamento della decisione impugnata. Il fondo rustico di cui all’art. 1159 bis c.c. deve infatti esistere come un'entità produttiva concreta, nel senso che deve essere effettivamente coltivato, ma non deve rivestire certo la forma di azienda agricola organizzata sotto il profilo imprenditoriale.
2.- Con il secondo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell'art. 1159 bis c.c. e dell'art. 2 l. n. 346/1976 e dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all'art. 360 co. 1, nn. 3 e 5 c.p.c.
Sostiene il ricorrente che i giudici di appello hanno effettuato la verifica delle condizioni previste dall'art. 1159 bis c.c. all'attualità e non al momento dell'avvio del possesso ad usucapionem e che gli stessi non avrebbero considerato le affermazioni svolte dalla I. in sede di ricorso promosso per ottenere la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza, in base alle quali il fondo risultava “intensamente coltivato” e “destinato alla coltivazione di prodotti ortofrutticoli”, dalla quale la stessa traeva il suo sostentamento.
3.- Il terzo motivo è diretto a censurare l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all'art. 360 comma 1, n. 5 c.p.c.
Secondo il ricorrente la prova della sussistenza dell'elemento oggettivo richiesto dall'art. 1159 bis c.c., seppur ampiamente fornita nel corso dell'intero giudizio e ampiamente dibattuta, non è stata in alcun modo presa in considerazione dalla Corte di Appello di Napoli con la decisione gravata.
1.- Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
2.- La decisione sullo stesso va preliminarmente collocata nel quadro dei precedenti di questo Giudice che hanno definito l’oggetto dell'usucapione speciale, inserita nel tessuto codicistico dalla L. n. 436/1976, i caratteri che devono rivestire i fondi cui essa fa riferimento e la specificità delle attività a questi riferite. Affinchè l’art. 1159 bis c.c. possa operare - solo per ciò che attiene all'acquisto a titolo originario del diritto di proprietà e non anche di diritti reali minori (Cass. n. 867/2000) – devono ricorrere anzitutto i seguenti presupposti: a) che si tratti di "fondi rustici" con annessi fabbricati siti in comuni classificati montani, qualunque siano la loro estensione ed il loro reddito; che – a seguito dell’aggiunta alla legge n. 346 del 1976 operata dalla legge n. 97 del 1994 - si tratti di “fondi rustici” con annessi fabbricati siti in comuni non classificati montani, quando il loro reddito dominicale non risulti superiore ai limiti fissati dalla legge speciale.
Sebbene l'art. 2 della legge n. 346 del 1976 si limiti a prevedere l'applicazione dell’art. 1159 bis c.c. ai "fondi rustici" senza alcuna indicazione per quanto riguarda la loro destinazione concreta, la costante giurisprudenza di legittimità ha affermato l’insufficienza dell'iscrizione del terreno nel catasto agrario, e per i fondi situati in Comuni non classificati montani, anche la presenza del reddito dominicale non superiore ai limiti di legge, ritenendo che “per l'applicazione dell'istituto dell'usucapione speciale sia sempre necessaria la concreta destinazione all'attività agricola del fondo rustico, il quale, quindi, deve consistere in ‘una bene individuata entità agricola, avente destinazione e preordinazione a una propria vicenda produttiva’” (in questi termini, richiamando Cass. n. 2159/1986, Cass. n. 1045/1995; conformi, tra altre, Cass. n. 1335/2000; Cass. n. 14577/2004).
Per riconoscere l’usucapione speciale di cui all’art. 1159 bis c. occorre dunque che al rispetto dei requisiti normativi (sopra elencati ai punti a e b) si unisca la coltivazione di "una bene individuata entità agricola, avente destinazione e preordinazione a una propria vicenda produttiva".
Con tale precisazione questo Giudice ha inteso interpretare e tradurre in concreto la ratio della legge speciale che, introducendo la disciplina dell'art. 1159 bis, ha inteso favorire lo sviluppo e la salvaguardia del lavoro rurale (Cass. 8778/2010; Cass. n. 20068/2018, Cass. n. 22476/2014), con l’intento di recuperare soprattutto le entità agricole che per la loro natura, la loro dimensione (“piccoli fondi rustici con annessi fabbricati” situati in zone montane: Cass. 24476/14) e bassa produttività (il limitato reddito dominicale) sono più esposte all'abbandono da parte del proprietario, premiando – di fronte all’inerzia di questi - il possessore operoso, in presenza di una effettiva destinazione agricola del terreno del quale si chiede l'intervenuto acquisto per usucapione, con la riduzione del termine ordinariamente previsto per quest’ultima.
Per la sua specificità, la norma è stata ritenuta non applicabile analogicamente e neppure suscettibile di interpretazione estensiva (Cass. n. 20451/2017).
3.- Ciò precisato in via generale, deve rilevarsi che nel caso in esame la sentenza gravata conferma che i fondi oggetto di causa rientravano nel perimetro applicativo della legge speciale, in ragione della presenza di un reddito dominicale inferiore al limite di legge e dunque erano da qualificarsi come “fondi rustici”.
Fondandosi sulle argomentazioni della CTU, dal giudice di seconde cure espressamente disposta “in quanto presupposto motivazionale del terzo motivo di appello”, proprio al fine di appurare, in conformità ai precedenti della Corte, “la destinazione del terreno inteso come entità agricola ben individuata in quanto destinata ed ordinata ad una propria vicenda produttiva”, la decisione del giudice di appello giunge però a conclusioni errate.
Facendo proprie le deduzioni del consulente tecnico, la sentenza ha condiviso l’individuazione degli elementi “che concorrono alla definizione di fondo rustico, quali le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico, nonché le ulteriori fasi connesse inerenti la manipolazione, conservazione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti ottenuti dalla coltivazione del fondo o mediante l'allevamento di animali, concentrandosi in un coacervo di beni e servizi tipico dell'azienda agricola in quanto organizzata da un imprenditore”.
Aggiunge la decisione, accogliendo anche al riguardo le argomentazioni del nominato CTU (sebbene il ricorrente sostenga che la Corte di Appello di Napoli avrebbe male interpretato tale consulenza), che l'attività esercitata sulla superficie agricola utilizzata in concreto dal sig. B. per l’esercizio di attività produttiva, “anche in considerazione di pendenze elevate con rocce affioranti tra copertura vegetazionale tipica della macchia mediterranea che contraddistinguono una cospicua parte del fondo”, in minor parte “è quantificabile appena al di sopra del livello di autoconsumo e comunque non in grado di garantire la piena occupazione di una Unità Lavorativa Uomo”, in altra maggior parte la conformazione dei luoghi è tale da escludere “una attività umana diretta alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase di esso”.
Per escludere la sussistenza dell’elemento oggettivo di fondo rustico in capo al terreno di cui è causa, la Corte partenopea fa leva - impropriamente - sul concetto di imprenditore agricolo, sovrapponendo a tale concetto quello di lavoro rurale. Ne costituisce riprova il ricorso alle espressioni contenute nell’art. 2135 c.c., che offre la nozione codicistica di imprenditore agricolo, nonchè al concetto di Unità Lavorativa Uomo, parametro di riferimento per l’impiego di mano d’opera in aziende agricole.
4.- Il primo motivo del ricorrente coglie dunque nel segno.
La decisione impugnata si pone in contrasto con la ratio della norma indicata come violata (l’art. 1159 bis c.c.), che non è quella di incentivare l’attività agricola organizzata in forma imprenditoriale che si esplica sui fondi in questione, bensì quella di tutelare l’attività agricola svolta in piccole zone montane o di scarsa produttività (con basso reddito dominicale), con finalità di recupero di terreni incolti e abbandonati dal proprietario, capaci di attività agricola anche non imprenditoriale. Pertanto, la nozione di impresa agricola non può essere impiegata per definire il concetto di entità agricola ben individuata ordinata ad una propria vicenda produttiva.
Inoltre, il concetto di unità agricola bene organizzata non può essere misurato in termini quantitativi e assoluti, in assenza di un indice che rappresenti il limite discriminante derivante da un rapporto tra aree all’interno di una stessa proprietà, ma deve essere considerato con riguardo alla conformazione e alle specificità dei luoghi sui quali è esercitato il possesso. Nel caso di specie l’occupazione ha riguardato una località sita in una piccola isola (Ischia), il cui nome (omissis) è indice stesso della morfologia dei luoghi, la cui non facile accessibilità non può essere di per sé considerata elemento sintomatico di mancanza di svolgimento di un’attività agricola adatta alla struttura del territorio e sostenibile per lo stesso.
Dovrà il giudice del rinvio verificare se la superficie utilizzata dal ricorrente per l’esercizio di attività agricola, corrispondente alle particelle 109 e 124, abbia una sua autonoma consistenza in relazione alla conformazione dei luoghi, tale da integrare un’autonoma vicenda produttiva, senza attingere a norme dettate dall’ordinamento ad altri fini, valutando anche se la restante porzione del fondo si presenti come un’entità accessoria e funzionalizzata alla coltivazione operata sull’altra porzione.
Il concetto di entità agricola ben organizzata, cui si riferiscono gli arresti sopra menzionati di questo Giudice, deve quindi essere specificato in relazione alla peculiare conformazione dei luoghi quanto al requisito dimensionale e, quanto al requisito oggettivo di destinazione, non può essere equiparato a (o parametrato su) quello di un’impresa agricola.
5.- Anche il secondo motivo di ricorso è fondato.
Contesta il ricorrente che la perizia disposta dal CTU cinque anni dopo la perdita del possesso da parte dello stesso, con riferimenti all’attualità e senza considerare quanto disposto dalle CTU redatte nel corso del giudizio di primo grado, che per la loro collocazione temporale avevano potuto descrivere con precisione l’effettiva attività produttiva posta in essere dal Sig. V.B. sul fondo del quale si discute, avrebbe impedito di tenere conto della presenza di colture di viti, olivi, alberi da frutto e altre piante ortive sui terrazzamenti del terreno.
La sentenza non tiene in effetti in considerazione i precedenti di questo giudice che hanno affermato che la concreta destinazione all’attività agricola deve essere riscontrata “quanto meno all’atto dell’inizio della ‘possessio ad usucapionem’” (v., ad es., Cass. n. 8778/2010; Cass. n. 20451/2017) e da essa nulla emerge dello stato dei luoghi al momento temporale di inizio del possesso, senza contare che il non breve termine intercorso dallo spossessamento del ricorrente potrebbe avere alterato le colture dal medesimo poste in essere sull’appezzamento di terreno.
L’obiezione del controricorrente, secondo il quale la doglianza oggetto del secondo motivo di ricorso costituirebbe un’eccezione nuova, come tale inammissibile nel presente gravame, è priva di pregio, posto che si tratta di una consentita, mera articolazione delle argomentazioni difensive, specificate alla stregua dei costanti precedenti di legittimità.
Come contestato dal ricorrente, la Corte di merito non risulta inoltre avere vagliato in alcun modo il riconoscimento del carattere coltivabile del fondo effettuato dalla controricorrente nel corso del processo.
6.- Dall’accoglimento dei primi due motivi di ricorso deriva l’assorbimento del terzo, posto che il giudice del rinvio dovrà riesaminare la sussistenza, nella specie, dell’elemento oggettivo richiesto dall’art. 1159 bis c.c., attenendosi ai principi posti.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, dichiara assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio.