Ove queste siano palesemente errate, l'appaltatore può essere esonerato da responsabilità solo se prova di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale nudus minister, per le insistenze del committente.
Svolgimento del processo
1.1. La corte d'appello, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato la domanda con la quale la (omissis) s.r.l. aveva chiesto la condanna di G.L. al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dei vizi dell'opera allo stesso appaltata.
1.2. La corte, in particolare, per quanto ancora interessa, ha evidenziato, in fatto, che: - la (omissis) s.r.l. aveva affidato in appalto al convenuto i lavori di impermeabilizzazione di un complesso immobiliare edificato dalla stessa; - l'opera, eseguita nell'autunno/inverno degli 2005-2006, è risultata, tuttavia, viziata tant'è che la committente, tentata una prima riparazione, ha provveduto a proprie spese alla sostituzione dell'intera guaina impermeabilizzante, completandone il rifacimento nell'ottobre del 2008; - la società committente, con ricorso e decreto di fissazione dell'udienza notificato nel mese di aprile del 2009, ha chiesto di procedere ad un accertamento tecnico preventivo, all'esito del quale il consulente tecnico, con relazione depositata in cancelleria 1'1/12/2009, ha rinvenuto la causa dei vizi nell'errata posa della guaina, in quanto eseguita in condizioni climatiche sfavorevoli (vale a dire a basse temperature ovvero in presenza di forte umidità, che ha impedito la corretta saldatura dei fogli della guaina nei punti di sovrapposizione), indicando, quali corresponsabili del danno, tanto l'appaltatore, per 1'80%, quanto il direttore dei lavori, per il 20%, e stimando il costo del rifacimento nella somma di €. 241.273,82.
1.3. La corte, quindi, alla luce di tali fatti, ha ritenuto: innanzitutto, che l'azione proposta dalla società attrice doveva essere ricondotta al paradigma dell'art. 1669 c.c. sul rilievo che i gravi difetti di costruzione che danno luogo alla garanzia prevista dalla predetta norma non si identificano necessariamente con vizi influenti sulla staticità dell'edificio ma possono consistere in qualsiasi alterazione che incida sulla struttura e la funzionalità globale dell'edificio menomandone in misura apprezzabile il godimento; - in secondo luogo, che erano infondate le eccezioni con le quali il convenuto aveva dedotto la prescrizione e la decadenza dell'azione di garanzia proposta dall'attrice, sul rilievo: a) quanto alla prima, che, in difetto di prova della comunicazione da parte della cancelleria dell'avvenuto deposito della relazione tecnica espletata nel corso dell'accertamento tecnico preventivo, non era stato dimostrato, neppure in via presuntiva, che la società committente già prima di un anno dall'inizio della causa sapesse che l'indagine peritale espletata nell'accertamento tecnico preventivo aveva confermato il suo assunto, e cioè che era stata la scorretta posa della membrana impermeabilizzante ad aver cagionato le infiltrazioni nel fabbricato dalla stessa edificato; b) quanto alla seconda, che il L. non aveva svolto alcune critica specifica alla decisione assunta sul punto dal tribunale, il quale aveva correttamente affermato che la committente solo dopo la sostituzione integrale della guaina, completata nell'ottobre del 2008, aveva appreso che il vizio era rappresentato da un difetto dell'opera d'impermeabilizzazione, e che la notifica del ricorso per l'accertamento tecnico preventivo, avvenuta nel mese di aprile del 2009, valeva come denuncia nel termine annuale del vizio riscontrato; - in terzo luogo, che l'azione di garanzia proposta dall'attrice era infondata.
1.4. La corte, su quest'ultimo punto, dopo aver condiviso le valutazioni espresse dal consulente tecnico d'ufficio e ribadito che "il vizio all'origine delle infiltrazioni è consistito nella scorretta esecuzione della guaina impermeabilizzante i cui fogli sono stati posati anche quando le condizioni climatiche impedivano che l'effetto adesivo della colla realizzasse la saldatura dei punti di sovrapposizione", ha, tuttavia, ritenuto che, nel caso in esame, operasse l'esimente, invocata dall'esecutore dell'opera, del nudus minister.
1.5. Ed infatti, dopo aver premesso che l'appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto nel caso in cui dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale nudus minister, per le insistenze del committente ed a rischio di quest'ultimo e che gli errori nelle istruzioni esecutive impartite all'appaltatore hanno, quindi, effetto esimente rispetto alla responsabilità dello stesso soltanto nel caso in cui lo stesso abbia manifestato il proprio dissenso al committente che gliele ha date e le abbia eseguite per l'insistenza dello stesso, che si è assunto il rischio della scorretta esecuzione dell'opera, la corte d'appello ha rilevato come l'istruttoria espletata in giudizio aveva dimostrato che: - il (omissis), legale rappresentante dell'impresa costruttrice nonché importatore e fornitore del materiale isolante che è stato posato, seguiva personalmente e quotidianamente "i lavori di posa", "dicendo agli operai che essa poteva essere eseguita anche in presenza di umidità o di basse temperature avendo appreso dal produttore spagnolo che ciò avrebbe rallentato ma non impedito la saldatura dei fogli isolanti"; - gli operai dell'appaltatore non volevano eseguire la posa in condizioni atmosferiche sfavorevoli ma "l'hanno ugualmente eseguita perché lo stesso ha insistito avendo fretta di completare la costruzione ed essendo stato rassicurato dai tecnici spagnoli sulla buona riuscita della stessa".
1.6. Tali emergenze, del resto, ha aggiunto la corte, hanno trovato riscontro nell'interpello formale reso dallo stesso (omissis), quando lo stesso ha, in sostanza, confermato la presenza in cantiere del committente, a sua volta "imprenditore edile ed anche...rappresentante/fornitore di materiale isolante impiegato nell'edilizia", nonché il fatto che egli stesso abbia riferito dell'ininfluenza delle condizioni climatiche sulla buona riuscita della posa della guaina isolante: e "se egli ha dato quest'informazione, è del tutto verosimile ritenere che l'abbia fatto perché, come hanno riferito gli stessi operai, essi non volevano lavorare quando le condizioni atmosferiche erano sfavorevoli".
1.7. In definitiva, ha concluso la corte, deve ritenersi che nella fattispecie operi effettivamente l'esimente del nudus minister e che la stessa escluda la responsabilità dell'appaltatore, con il conseguente rigetto della domanda di garanzia proposta dalla società committente e l'assorbimento delle domande di manleva proposte dal convenuto nei confronti delle altre parti processuali, e cioè il direttore dei lavori C.P. e la UGF Assicurazioni s.p.a. (oggi UnipolSai s.p.a.), la quale, dal suo canto, negando la copertura assicurativa, aveva chiesto il rigetto della domanda di manleva proposta dall'assicurato.
1.8. La corte, poi, rigettando l'appello incidentale proposto dalla compagnia di assicurazioni, ha confermato la statuizione di compensazione delle spese di lite assunta dal tribunale nei rapporti tra la stessa e il convenuto che l'aveva chiamata in causa.
1.9. La corte, sul punto, dopo aver evidenziato che: - il tribunale aveva disposto la compensazione delle spese di lite tra l'assicurato L. e la compagnia di assicurazioni sul rilievo che l'assicurato non aveva prodotto le condizioni generali di polizza per dimostrare che il rischio era oggetto di copertura assicurativa e che l'assicurazione non aveva provato che il tipo di danno verificatosi non era della specie prevista dalle clausole contrattuali relative al rischio assicurato; - la compagnia, proponendo appello incidentale avverso tale statuizione, ha dedotto che il danno lamentato era consistito nel costo di rifacimento dell'opera malamente eseguita dall'appaltatore; ha ritenuto che, al contrario di quanto dedotto, il contratto di assicurazione della responsabilità civile con riguardo ad una determinata attività dell'assicurato obbliga l'assicuratore a tenere indenne quest'ultimo (nella specie, appaltatore di lavori edili rivelatisi difettosi) di quanto costui è costretto a pagare a terzi a seguito di un fatto colposo a lui addebitato a titolo d'inadempimento, in quanto detta assicurazione presuppone l'imputabilità del fatto dannoso (a titolo di colpa) all'assicurato, come fondamento dell'obbligo di risarcire il danno, essendo esclusi dalla garanzia solo i danni derivanti da fatto doloso dell'assicurato (art. 1917, comma 1°, ult. parte, c.c.), e che, pertanto, a differenza dell'assicurazione contro i danni ove l'interesse dell'assicurato consiste nel risarcimento del danno subito da un suo determinato bene a seguito di un sinistro, in quella per la responsabilità civile detto interesse consiste nel cautelarsi contro il rischio di alterazione negativa del proprio patrimonio complessivamente considerato ed esposto a responsabilità illimitata per eventuali comportamenti colposi, anche gravi, con la sua reintegrazione attraverso il pagamento da parte dell'assicuratore, di una somma di danaro pari all'esborso dovuto dall'assicurato, nell'ambito per lo più di un tetto massimo detto massimale.
1.10. La corte, quindi, in mancanza di "altre specifiche censure" a norma dell'art. 342 c.p.c. da parte dell'appellante incidentale, ha ritenuto che la compensazione delle spese decisa dal tribunale doveva essere confermata.
1.11. La corte, infine, ha condannato l'appellante a rimborsare a tutti gli appellati, compresa l'UGF Assicurazioni s.p.a., le spese processuali maturate nel giudizio d'appello.
2.1. La (omissis) s.r.l., con ricorso notificato (lunedì) 31/7/2017, ha chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza della corte d'appello, notificata, come da relazione agli atti, in data 30/5/2017.
2.2. G.L. ha resistito con controricorso notificato in data 9/10/2017, nel quale ha proposto, per un motivo, ricorso incidentale condizionato.
2.3. La UnipolSai s.p.a., a sua volta, ha resistito con controricorso notificato in data 10/10/2017, nel quale, per due motivi, ha proposto ricorso incidentale.
2.4. C.P. è rimasto intimato.
2.5. La ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
3.1. Con il primo motivo, la società ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 1669, 1176, comma 2°, 1655, 1662, 1663 c.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello, dopo aver correttamente stabilito che i gravi difetti dell'opera accertati in sede di accertamento tecnico preventivo rientrano nella fattispecie prevista dall'art. 1669 c.c., ha escluso la responsabilità dell'appaltatore in ordine agli stessi sul rilievo che quest'ultimo, quale nudus minister, era stato un mero esecutore delle direttive impartite dalla committente la quale, nonostante il dissenso manifestato dall'appaltatore rispetto alle istruzioni di posa, aveva insistito per l'esecuzione dei lavori, assumendone conseguentemente il rischio. La corte d'appello, in particolare, ha rinvenuto la sussistenza dell'indicata esimente in ragione tanto della presenza del committente/imprenditore nel cantiere, quanto dell'avvenuta fornitura del materiale utilizzato per la posa da parte del committente stesso, a sua volta importatore e rivenditore di materiale isolante impiegato nell'edilizia.
3.2. Così facendo, tuttavia, ha osservato la ricorrente, la corte d'appello non ha considerato che l'appaltatore è responsabile per i difetti dell'opera anche nel caso in cui l'ingerenza e le istruzioni del committente ne abbiano limitato l'autonomia e la discrezionalità a meno che non sussista qualche indice, la cui prova spetta allo stesso appaltatore, che faccia supporre che quest'ultimo, in forza dei patti contrattuali intercorsi, sia stato sottoposto dal committente a direttive così stringenti da sottrargli qualsiasi possibilità di autodeterminazione.
3.3. L'esimente del nudus minister, infatti, ha proseguito la ricorrente, richiede che l'ingerenza e le istruzioni del committente abbiano avuto una continuità ed analiticità tali da elidere, per contratto, ogni facoltà di vaglio in capo all'appaltatore in quanto direttamente e totalmente condizionato dalle istruzioni ricevute senza possibilità di iniziativa.
3.4. L'appaltatore, peraltro, ha l'obbligo di rendere edotto il committente degli eventuali vizi del progetto e delle istruzioni ricevute, manifestando un dissenso espresso e non semplici impressioni o perplessità, senza che possa al riguardo rilevare né la professionalità posseduta dal committente, il quale, a fronte dell'autonomia di cui dispone l'appaltatore, non ha alcun onere di vigilanza e/o di controllo, né che il committente sia stato il fornitore del materiale utilizzato dall'appaltatore. Quest'ultimo, infatti, è tenuto a dare pronto avviso al committente dei difetti della materia dallo stesso fornita se si scoprono nel corso dell'opera e possono comprometterne la regolare esecuzione.
3.5. L'appaltatore, d'altra parte, deve valutare previamente il materiale consegnatogli e, ove non l'abbia mai impiegato prima, informarsi sulle caratteristiche intrinseche e sulle tecniche di applicazione che esso richiede.
3.6. Né, infine, ha concluso la ricorrente, rileva la presenza in cantiere del committente che, ove eserciti la funzione direttiva riservatagli dal contratto, riduce ma non esclude la tipica autonomia dell'appaltatore, salvo il solo caso in cui l'appaltatore sia tenuto per contratto a seguire il progetto e le istruzioni del committente senza alcun potere d'iniziativa e di valutazione e la sua posizione si riduca, perciò, a quella di nudus minister.
3.7. Con il secondo motivo, la società ricorrente, lamentando l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha rigettato la domanda della società attrice al risarcimento dei danni subiti per i gravi difetti dell'opera accertati in sede di accertamento tecnico preventivo sul rilievo che l'appaltatore era stato un mero esecutore delle direttive impartite dalla committente, senza, tuttavia, considerare che non può parlarsi di nudus minister nei casi in cui il committente non abbia impartito direttive così stringenti da sottrarre all'appaltatore qualsiasi possibilità di autodeterminazione e che, di conseguenza, l'esame di tale fatto decisivo, e cioè l'individuazione del soggetto che in cantiere ha impartito le direttive, risulta decisivo e non poteva essere, pertanto, omesso.
3.8. La sentenza impugnata, al contrario, ha osservato la ricorrente, non ha preso in considerazione, neppure implicitamente, tale fatto, benché sia stato oggetto di discussione tra le parti, non avendo, in particolare, individuato il soggetto che ab origine aveva assunto la direzione dei lavori ed aveva, dunque, deciso e programmato i tempi e le modalità esecutive della posa.
3.9. La corte d'appello, infatti, avrebbe dovuto verificare se il committente avesse o meno impartito direttive e le avesse ribadite all'appaltatore, non potendo diversamente sostenersi che vi sia stato dissenso da parte di quest'ultimo e insistenza da parte del committente con la conseguente assunzione di responsabilità.
3.10. Solo in caso di diretto e totale condizionamento dell'appaltatore alle direttive precise, stringenti e vincolanti del committente, in effetti, l'appaltatore è degradato a nudus minister, non essendo, per contro, sufficiente che il committente esprima opinioni o valutazioni, che l'appaltatore non può assecondare senza verificare la loro fondatezza e apprestare le misure necessarie per la corretta esecuzione dell'opera.
3.11. Il fatto che il (omissis), e cioè il committente, lavori e dicesse agli operai dell'appaltatore di nonostante le condizioni atmosferiche fossero inadatte, non legittima, pertanto, l'affermazione secondo cui la committente avrebbe diretto la posa impartendo direttive stringenti e vincolanti, né che il (omissis) stesso abbia dato sin da subito ai posatori dell'appaltatore istruzioni e dunque prima che fossero manifestate le perplessità sui lavori.
3.12. La corte d'appello, quindi, ha osservato la ricorrente, lì dove ha ritenuto la sussistenza dell'esimente del nudus minister, ha omesso di esaminare il fatto, controverso tra le parti e decisivo ai fini di un diverso esito del giudizio, che la direzione dei lavori era stata assunta non dalla committente ma dall'appaltatore, decidendo tempi e modalità della posa presso il cantiere.
3.13. L'appaltatore, infatti, può dirsi mero esecutore della volontà del committente solo nel caso in cui sia dimostrato che il primo abbia dato attuazione alle direttive impartite e ribadite dal committente, sicché, nel caso, come quello di specie, in cui il committente non ha mai impartito istruzioni o direttive, tanto meno stringenti, limitandosi a riferire in cantiere quanto appreso dai produttori del prodotto utilizzato per la posa e insistendo affinché posatori dessero seguito ai lavori nonostante le perplessità manifestategli, sarebbe stato onere dell'appaltatore, che non è stato privato o limitato nella sua autonomia, sospendere i lavori per verificare la fondatezza delle valutazioni tecniche manifestate dal committente, e non proseguire con i lavori stessi, come è invece avvenuto, perché il committente avrebbe insistito, facendo affidamento sulle nozioni tecniche dello stesso.
4.1. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.
4.2. Questa Corte, infatti, ha da tempo affermato che: - l'appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale nudus minister, per le insistenze del committente ed a rischio di quest'ultimo; - l'appaltatore, in mancanza di tale prova, è, pertanto, tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all'intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell'opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l'efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori (Cass. n. 23594 del 2017; conf., Cass. n. 8016 del 2012; Cass. n. 821 del 1983; più di recente, Cass. n. 777 del 2020).
4.3. La corte d'appello, nel decidere sulla domanda proposta dalla committente, si è senz'altro adeguata a tali principi, se non altro perché, dopo aver rilevato che "il vizio all'origine delle infiltrazioni è consistito nella scorretta esecuzione della guaina impermeabilizzante i cui fogli sono stati posati anche quando le condizioni climatiche impedivano che l'effetto adesivo della colla realizzasse la saldatura dei punti di sovrapposizione' ha accertato: - innanzitutto, che l'appaltatore (osservando, evidentemente, i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli), si era avveduto del vizio predetto; - in secondo luogo, che, a fronte del dissenso conseguentemente manifestato dall'appaltatore (''è del tutto verosimile ritenere che ..., come hanno riferito gli stessi operai, essi non volevano lavorare quando le condizioni atmosferiche erano sfavorevoli"), il legale rappresentante della società committente, il quale seguiva personalmente e quotidianamente "i lavori di posa", aveva detto agli operai dell'appaltatore "che essa poteva essere eseguita anche in presenza di umidità o di basse temperature avendo appreso dal produttore spagnolo che ciò avrebbe rallentato ma non impedito la saldatura dei fogli isolanti", tanto che gli stessi operai, che pure non volevano eseguire la posa in condizioni atmosferiche sfavorevoli, "l'hanno ugualmente eseguita perché lo stesso ha insistito avendo fretta di completare la costruzione ed essendo stato rassicurato dai tecnici spagnoli sulla buona riuscita della stessa"; traendone, così, la corretta conclusione per cui, a fronte degli errori nelle istruzioni esecutive impartite dal committente all'appaltatore, quest'ultimo non era responsabile dei vizi dell'opera avendo manifestato il proprio dissenso al committente che gliele aveva date e le aveva nondimeno eseguite solo per l'insistenza dello stesso, che si è, quindi, assunto il rischio della scorretta esecuzione dell'opera.
5. Il ricorso incidentale condizionato di G.L. è assorbito.
6.1. Con il primo motivo di ricorso incidentale, la controricorrente UnipolSai s.p.a., lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1362, 1366 e 1371 c.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha confermato la statuizione del tribunale che, in ordine ai rapporti tra il convenuto e la compagnia di assicurazione che lo stesso aveva chiamato in causa, aveva disposto la compensazione delle spese processuali, senza, tuttavia, considerare che, a norma dell'art. 2.1., lett. b) delle C.G.A., la copertura assicurativa era esclusa per i costi di sistemazione e di ripristino dell'opera malamente eseguita dall'appaltatore assicurato ed, in particolare, per i danni, come quelli lamentati dalla società committente, "alle opere in costruzione e a quelle sulle quali si eseguono direttamente i lavori", per evitare che l'assicurato possa essere indennizzato non per i danni arrecati a terzi ma per il proprio inadempimento all'obbligazione contrattuale, ossia per i danni che sono la conseguenza della sua esecuzione non a regola d'arte dei lavori di sua competenza.
6.2. La corte d'appello, pertanto, ha osservato la controricorrente, avrebbe dovuto verificare, in via incidentale, la non fondatezza delle eccezioni in ordine alla mancanza di copertura assicurativa e, di conseguenza, condannare il L. alla rifusione delle spese di lite maturate in favore della compagnia di assicurazioni.
6.3. Il motivo è infondato. Intanto, dev'essere ribadito che la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto ovvero un vizio di ragionamento nell'interpretazione di un testo negoziale (nella specie, delle clausole di un contratto di assicurazione relative alla portata ed all'estensione del rischio assicurato), ha l'onere, imposto dall'art. 366, comma 1°, n. 6, c.p.c., non solo di specificare i canoni interpretativi, ex artt. 1362 e ss. c.c., che in concreto assuma violati ed il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato (non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l'interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata), ma anche di indicare il contenuto delle clausole individuative dell'effettiva volontà delle parti, al fine di consentire alla Corte di cassazione di verificare l'erronea applicazione della disciplina normativa. Il ricorso incidentale della UnipolSai s.p.a., invece, si limita a richiamare il contenuto della clausola prevista dall'art. 2.1., lett. b), delle C.G.A., nella parte in cui esclude il rischio assicurativo per i danni "alle opere in costruzione e a quelle sulle quali si eseguono direttamente i lavori", senza, tuttavia, riprodurre in ricorso il testo del contratto nella misura idonea a consentirne una chiara comprensione. D'altro canto, l'interpretazione delle clausole di un contratto di assicurazione, in ordine, appunto, alla portata ed all'estensione del rischio assicurato, rientra tra compiti del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se, come nella specie, rispettosa dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed assistita da congrua motivazione (cfr. Cass. n. 12804 del 2006).
6.4. Per il resto, la corte d'appello ha risolto la questione di diritto, oggetto del ricorso della UnipolSai s.p.a., in modo conforme al principio (già enunciato da Cass. n. 7971 del 1993 e ribadito da Cass. n. 23948 del 2017) secondo il quale la stipula di un contratto di assicurazione della responsabilità civile obbliga la società assicuratrice a tener indenne l'appaltatore assicurato di quanto questi è costretto a pagare a terzi in conseguenza di un fatto colposo a lui addebitato a titolo di responsabilità da inadempimento. A norma dell'art. 1917, comma 1°, c.c., sono, infatti, esclusi dalla garanzia assicurativa unicamente i danni derivanti da fatti dolosi dell'assicurato, ma non certamente quelli colposi, anche se dovuti a colpa grave, in quanto l'assicurazione per la responsabilità civile presuppone ontologicamente una colpa dell'assicurato, e cioè un'imputabilità del fatto dannoso a titolo di colpa, come fondamento dell'obbligazione di risarcire il danno. L'appaltatore stipula, del resto, un contratto di assicurazione sulla responsabilità civile proprio in quanto intende evitare le eventuali possibili conseguenze patrimoniali negative connesse al contratto di appalto a seguito di un inadempimento o di un inesatto adempimento dell'appalto imputabile all'appaltatore a titolo di colpa ai sensi dell'art. 1218 c.c.. Sotto tale profilo, sono evidentemente diversi l'interesse dell'assicurato nell'assicurazione della responsabilità contro i danni e l'interesse nell'assicurazione sulla responsabilità civile. Nel primo caso, l'interesse dell'assicurato, che legittima la conclusione del contratto, ai sensi dell'art. 1904 c.c., è il risarcimento del danno subito da un proprio determinato bene in conseguenza di un sinistro. Nell'assicurazione della responsabilità civile, invece, l'assicurato si cautela contro il rischio dell'alterazione negativa del suo patrimonio, ponendo in essere con l'assicuratore un contratto in base al quale quest'ultimo si impegna a tener indenne ed a reintegrare il patrimonio dell'assicurato attraverso il pagamento di una somma di danaro pari all'esborso dovuto dall'assicurato stesso. Alla differente valutazione dell'interesse nelle due forme di assicurazione, addebitabili si aggiunge la diversa disciplina dei fatti a colpa grave dell'assicurato, esclusi nell'assicurazione contro danni, e che sono, per contro, alla base dell'assicurazione sulla responsabilità civile (così, testualmente, Cass. n. 23948 del 2017, in motiv., la quale, con riferimento ad un contratto di assicurazione della responsabilità civile sottoscritta da un'appaltatrice con lo scopo di restare indenne da eventuali richieste di risarcimento di danni connessi all'appalto, contro le possibilità dell'insorgere verso terzi di un debito di responsabilità civile per l'attività di impresa, anche a carattere colposo, tutelando in tal modo l'assicurata non un bene determinato, ma l'intero suo patrimonio e così spiegandosi la dedotta esclusione dalla copertura assicurativa dei "danni alle opere in costruzione, alle cose sulle quali si eseguono i lavori ed a quelle trovantisi nell'ambito di esecuzione dei lavori' ha rilevato che: - il risarcimento del danno in caso di vizi dell'opera appaltata costituisce un rimedio alternativo ed autonomo rispetto alle tutele (riduzione del prezzo e risoluzione) approntate a favore del committente dall'art. 1668 c.c., e normalmente consiste proprio nel ristoro delle spese sopportate dall'appaltante per provvedere, a cura di terzi, ai lavori ripristinatori; - ove, come nella specie, l'oggetto dell'appalto sia costituito dalla realizzazione di una res, gli interventi emendativi si rapportano, pertanto, all'opera come sarebbe dovuta risultare, ove realizzata a regola d'arte; - "il contratto di assicurazione della responsabilità civile stipulato dall'appaltatrice obbliga certamente l'assicuratore a tenere indenne la medesima appaltatrice delle spese che questa abbia dovuto rimborsare al committente per il rifacimento dell'opera viziata effettuata da un terzo").
6.5. Con il secondo motivo di ricorso incidentale, la controricorrente UnipolSai s.p.a ., lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all'art. 360 n. 3 e n. 4 c.p.c., nonché la contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello, confermando la compensazione delle spese processuali tra il L. e la compagnia di assicurazioni chiamata in causa, ha ritenuto che quest'ultima non aveva svolto, a norma dell'art. 342 c.p.c., altre specifiche censure avverso tale statuizione senza, tuttavia, considerare che, in realtà, la compagnia, nell'atto d'appello, aveva espressamente chiesto che, in ipotesi di ritenuta operatività della copertura assicurativa, le spese di giudizio dovevano essere poste a carico della (omissis), che aveva occasionato la chiamata in causa ed era rimasta soccombente all'esito del giudizio, tanto più che, a norma dell'art. 92, comma 2°, c.p.c., nella formulazione vigente ratione temporis, la compensazione delle spese può essere disposta, in assenza di reciproca soccombenza, solo in presenza di gravi ed eccezionali ragioni.
6.6. Il motivo è inammissibile. L'esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un errar in procedendo, presuppone comunque l'ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall'onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche puntualmente i fatti processuali alla base dell'errore denunciato, dovendo tale specificazione essere contenuta, a pena d'inammissibilità, nello stesso ricorso per cassazione per cui, ove il ricorrente censuri la statuizione d'inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l'onere (rimasto, nel caso in esame, del tutto inadempiuto) di precisare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto al giudice d'appello, riportandone il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità, non potendo limitarsi a rinviare all'atto di appello (Cass. n. 24048 del 2021).
7. Il ricorso principale, al pari del ricorso incidentale, devono essere, pertanto, rigettati. Il ricorso incidentale condizionato rimane, invece, assorbito.
8. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
9. La Corte, infine, dà atto, ai sensi dell'art. 13, comma 1- quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bisdello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte così provvede: rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale, assorbito l'incidentale condizionato; condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese processuali in favore di G.L., che liquida nella somma di €. 7.855,00, di cui €. 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; condanna la UnipolSai s.p.a. al pagamento delle spese processuali in favore di G. L., che liquida nella somma di €. 3.282,00, di cui €. 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bisdello stesso art. 13, se dovuto.