Svolgimento del processo
1. La Corte d'Appello di Perugia ha respinto l’appello di S.R., confermando la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta da predetto confronti della società (omissis) srl, di risarcimento dei danni conseguenti all’infortunio occorso il 2.8.2009.
2. La Corte territoriale ha accertato che S.R., associato in partecipazione della (omissis) srl con mansioni di direttore commerciale, è stato vittima di un grave incidente nel corso di una manifestazione fieristica svoltasi il 2.8.2009 ad Umbertide; che il predetto, mentre era alla guida di un tosaerba durante una dimostrazione pratica, aveva perso il controllo del mezzo e, a causa delle ferite cagionate dalle pale meccaniche del tosaerba, aveva riportato una menomazione dell’integrità psicofisica del 70%; ha giudicato priva di valore confessorio e, comunque, inattendibile la dichiarazione scritta a firma di M.G., all'epoca amministratore unico e legale rappresentante della società nonché convivente del R. e madre di due figli avuti con il medesimo (in tale dichiarazione la G. riferiva che il macchinario, coinvolto nell’incidente, era stato riparato da M.F., dipendente della società, e che questi aveva dimenticato di riposizionare correttamente il sistema di sicurezza), ed inattendibile anche la deposizione testimoniale della G.; ha accertato, in base alla deposizione del teste M.R., che il tosaerba era stato consegnato al R. il giorno precedente alla manifestazione fieristica con il dispositivo di sicurezza perfettamente funzionante; ha giudicato imprudente e sconsiderata la condotta dell'infortunato consistita nelle manovre compiute nel corso della prova pratica su un terreno scosceso, assolutamente inadeguato a dimostrare la funzionalità di un tosaerba normalmente usato su superfici piane ed essendo il predetto, al momento dell'incidente, in uno stato di ebrezza alcolica con concentrazioni di alcol nel sangue pari quasi al doppio della soglia limite prevista per il reato di guida in stato di ebbrezza.
3. I giudici di appello hanno ritenuto che l’art. 2087 c.c. potesse trovare applicazione unicamente nei confronti di un lavoratore subordinato e non di un associato in partecipazione; che quindi non gravasse sulla società l’onere di dimostrare l’adempimento dell’obbligo di sicurezza; che fosse invece onere del R. dimostrare che l'incidente era stato causato da fatto doloso o colposo di terzi e che tale prova non era stata in concreto fornita.
4. Hanno quindi respinto l’appello nei confronti della (omissis) spa e dichiarato inammissibile la domanda proposta dal R. nei confronti della HDI Assicurazioni spa perché nuova.
5. Avverso tale sentenza S.R. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. La (omissis) srl in liquidazione non ha svolto difese. La HDI Assicurazioni spa, chiamata in causa dalla (omissis) dal primo grado di giudizio, ha resistito con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c.
Motivi della decisione
6. Con il primo motivo del ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione degli artt. 2087, 2549, 2552 c.c. e dell’art. 2, dlgs. 81 del 2008, per avere la sentenza impugnata escluso che la disciplina di cui all'articolo 2087 cod. civ. potesse trovare applicazione nei confronti degli associati in partecipazione.
7. Si osserva come all'associante spetti la titolarità esclusiva dell'impresa, con il corrispondente potere gestorio e di direzione, e che la posizione dell'associato in partecipazione deve considerarsi assimilabile a quella del lavoratore subordinato; che l’art. 2, comma 1, lett. a) del d.lgs. 81 del 2001 include tra i lavoratori destinatari della disciplina anche gli associati in partecipazione.
8. Con il secondo motivo, il ricorrente ha chiesto di sollevare eccezione di legittimità costituzionale dell'art. 2087 cod. civ. ove si ritenesse lo stesso non applicabile agli associati in partecipazione di cui all'art 2549 c.c.
9. Con il terzo motivo di ricorso è denunciata la violazione degli artt. 2697 e 1218 c.c. rispetto all’art. 2549 c.c. nella versione anteriore al d.lgs. 81 del 2015, nonché violazione degli artt. 2087, 2549, 2552 c.c. e dell’art. 2, d.lgs. 81 del 2008, per avere la sentenza impugnata addossato l'onere di prova al lavoratore anziché all'impresa.
10. I motivi di ricorso, fra loro connessi e quindi da trattare congiuntamente, sono fondati.
11. L’art. 2087 c.c., norma di chiusura del sistema di prevenzione e sicurezza dei lavoratori, fonda l’obbligo datoriale di adottare tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a proteggere l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
12. L’espressione “prestatori di lavoro” adoperata dalla disposizione in esame ha una portata ampia, come agevolmente desumibile dalla comparazione lessicale con il successivo art. 2094 cod. civ. che definisce e disciplina specificamente la figura del “prestatore di lavoro subordinato”.
13. La categoria dei prestatori di lavoro non coincide quindi con quella dei lavoratori subordinati ma include anche altri soggetti, sia normativamente equiparati ai lavoratori subordinati e sia comunque attratti nell’alveo di protezione della sicurezza e salute sul lavoro, anche se estranei al rapporto di lavoro (v. Cass. n. 21694 del 2011; Cass. n. 21894 del 2016).
14. Si è ritenuto che, in materia di normativa antinfortunistica, in forza della disposizione generale di cui all’art. 2087 cod. civ. e di quelle specifiche previste dalla normativa anzidetta, il datore di lavoro è costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale del prestatore di lavoro, non potendosi distinguere, al riguardo, che si tratti di un lavoratore subordinato, di un soggetto a questi equiparato o, finanche, di persona estranea all'ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso causale tra l'infortunio e la violazione della disciplina sugli obblighi di sicurezza (Cass. pen., n. 31303 del 2004).
15. L’art. 2 del d.lgs. 81 del 2008, al comma 1, lett. a) definisce "lavoratore" la persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un'arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari. Al lavoratore così definito è equiparato: il socio lavoratore di cooperativa o di società, anche di fatto, che presta la sua attività per conto delle società e dell'ente stesso; l'associato in partecipazione di cui all'articolo 2549, e seguenti del codice civile; il soggetto beneficiario delle iniziative di tirocini formativi e di orientamento […]”.
16. L’ordinamento individua i beneficiari dell’obbligo di protezione prescindendo dalla formale categoria contrattuale attraverso cui la prestazione lavorativa viene svolta ma dando rilievo allo svolgimento di un’attività lavorativa nell’ambito di un contesto professionale organizzato da un datore di lavoro, anche al solo fine di apprendere un mestiere e quindi con o senza retribuzione.
17. L’associato in partecipazione che svolta attività lavorativa rientra tra i destinatari delle disposizioni in materia di sicurezza e nei suoi confronti devono trovare applicazione sia la normativa prevenzionistica a tutela della salute e sicurezza e sia la norma cd. di chiusura di cui all’art. 2087 cod. civ., con il connesso regime probatorio, oltre che la tutela Inail (v. sul punto Corte Cost. n. 332 del 1992).
18. Al riguardo, secondo l’indirizzo costante di questa Corte, il lavoratore che agisca nei confronti del datore di lavoro per il risarcimento integrale del danno patito a seguito di infortunio sul lavoro ha l'onere di provare il fatto costituente l'inadempimento, da intendersi come fatto da cui sia desumibile l’inadempimento datoriale, ed il nesso di causalità materiale tra questo ed il danno, ma non anche la colpa della controparte, nei cui confronti opera la presunzione ex art. 1218 c.c.. In particolare, nel caso di omissione di misure di sicurezza espressamente previste dalla legge, o da altra fonte vincolante, cd. nominate, la prova liberatoria incombente sul datore di lavoro si esaurisce nella negazione degli stessi fatti provati dal lavoratore; viceversa, ove le misure di sicurezza debbano essere ricavate dall’art. 2087 c.c., cd. innominate, la prova liberatoria è generalmente correlata alla quantificazione della misura di diligenza ritenuta esigibile nella predisposizione delle indicate misure di sicurezza, imponendosi l’onere di provare l’adozione di comportamenti specifici che siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, quali anche l’assolvimento di puntuali obblighi di comunicazione (Cass. n. 10319 del 2017; n. 14467 del 2017; n. 34 del 2016; n. 16003 del 2007).
19. Si è ulteriormente precisato che il datore di lavoro, ai sensi dell'art. 2087 c.c., è tenuto a prevenire anche le condizioni di rischio insite nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia del lavoratore, dimostrando di aver messo in atto a tal fine ogni mezzo preventivo idoneo, con l'unico limite del cd. rischio elettivo, da intendere come condotta personalissima del dipendente, intrapresa volontariamente e per motivazioni personali, al di fuori delle attività lavorative ed in modo da interrompere il nesso eziologico tra prestazione e attività assicurata (v. Cass. n. 16026 del 2018). Al di fuori dei casi di rischio elettivo, eventuali comportamenti colposi del lavoratore possono rilevare ai fini dell'art. 1227, comma 1, c.c. Si è, tuttavia, affermato che la condotta incauta del lavoratore non comporta un concorso idoneo a ridurre la misura del risarcimento quando, ad esempio, l'infortunio si sia realizzato per l'osservanza di specifici ordini o disposizioni datoriali che impongano colpevolmente al lavoratore di affrontare il rischio (così Cass. n. 30679 del 2019) e che l’art. 2087 cod. civ. sanziona la omessa predisposizione, da parte del datore di lavoro, delle misure e cautele idonee a preservare l'integrità psico- fisica del lavoratore in relazione alla specifica situazione di pericolosità, inclusa la mancata adozione di direttive inibitorie nei confronti del lavoratore medesimo (così Cass. n. 15112 del 2020).
20. la sentenza impugnata, che pure ha svolto un complesso accertamento in fatto sulle modalità dell’incidente e sulla condotta del lavoratore, ha tuttavia analizzato le allegazioni e gli elementi di prova secondo una prospettiva deviata dalla ritenuta inapplicabilità, nei confronti dell’associato in partecipazione, delle disposizioni in materia antinfortunistica e dell’art. 2087 cod. civ. e, perpetuando l’errore, ha addossato al lavoratore l’onere di provare “che l’incidente occorso, che gli ha cagionato un danno, (fosse) stato determinato dal fatto doloso o colposo di terzi” ed ha ritenuto tale onere non assolto.
21. La doverosa inclusione dell’associato in partecipazione nell’alveo di protezione di cui al citato art. 2087 c.c., in relazione all’attività lavorativa svolta, rende necessaria una nuova valutazione della fattispecie oggetto di causa, da condurre secondo le disposizioni in materia di salute e sicurezza applicabili anche a tale figura contrattuale e nel rispetto del connesso regime probatorio.
22. per le regioni esposte, il ricorso deve trovare accoglimento e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che provvederà, inoltre, alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.