
Pertanto, nel periodo di emergenza pandemica, deve ritenersi legittimo lo svolgimento dell'udienza di discussione orale della causa ex art. 281-sexies c.p.c. in forma scritta, mediante l'assegnazione alle parti di un termine unico e comune anteriore alla data dell'udienza per il deposito di note scritte.
La controversia tra origine dal pignoramento di un credito vantato da un terzo creditore nei confronti di un Comune. Quest'ultimo, in sede di legittimità, lamenta che la sentenza impugnata sarebbe nulla in quanto la decisione era stata pronunciata all'esito di una fase di trattazione orale
Svolgimento del processo
Secondo quanto è possibile desumere dal ricorso, la società (omissis) S.r.l., creditrice del Consorzio Acquedotti Riuniti degli Aurunci, ha pignorato un credito da quest’ultimo vantato nei con- fronti del Comune di Sperlonga; il giudice dell’esecuzione ha pronunciato ordinanza di assegnazione, ai sensi dell’art. 553 c.p.c., avverso la quale il terzo pignorato Comune di Sperlonga ha proposto opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 617 c.p.c..
L’opposizione è stata rigettata dal Tribunale di Latina. Ricorre il Comune di Sperlonga, sulla base di nove motivi. Resiste con controricorso (omissis) S.r.l..
Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’altro ente intimato.
È stata chiesta e disposta la trattazione in pubblica udienza. Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c. (parte ricorrente ha altresì depositato documenti ai sensi dell’art. 372 c.p.c.).
Motivi della decisione
1. La verifica di ammissibilità del ricorso risulta pregiudiziale ed assorbente in relazione ad ogni altra questione, anche con riguardo alla corretta instaurazione del contraddittorio (per evidenti motivi di economia processuale) ed ai fatti sopravvenuti relativi all’esito del giudizio tra il Comune di Sperlonga e il Consorzio degli Acquedotti Riuniti degli Aurunci avente ad oggetto il credito pignorato, documentati dall’ente ricorrente in vista dell’udienza di discussione orale.
1.1. La suddetta verifica, infatti, sortisce esito negativo, in quanto il ricorso stesso non rispetta il requisito della esposi- zione sommaria dei fatti prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c.. Tale requisito è considerato dalla norma come uno specifico re- quisito di contenuto-forma del ricorso e deve consistere in una esposizione sufficiente a garantire alla Corte di cassazione di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass., Sez. U, Sentenza n. 11653 del 18/05/2006, Rv. 588770 – 01; conf.: Sez. 3, Ordinanza n. 22385 del 19/10/2006, Rv. 592918 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 15478 del 08/07/2014, Rv. 631745 – 01; Sez. 6 - 3, Sentenza n. 16103 del 02/08/2016, Rv. 641493 - 01). La prescrizione del requisito in questione non risponde ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass., Sez. U, Sentenza n. 2602 del 20/02/2003, Rv. 560622 – 01; Sez. L, Sentenza n. 12761 del 09/07/2004, Rv. 575401 – 01; Cass., Sez. U, Sentenza n. 30754 del 28/11/2004). Stante tale funzione, per soddisfare il suddetto requisito è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto su cui si è fondata la sentenza di primo (o, se del caso, di unico) grado, delle difese svolte dalle parti nell’eventuale grado di appello, ed infine del tenore della sentenza impugnata.
Il ricorso in esame, nell’esposizione del fatto, non presenta tale
contenuto minimo.
1.2. L’ente ricorrente, nella sezione dell’impugnazione intitolata
«Premesse in fatto», si limita a trascrivere le conclusioni del proprio atto di citazione introduttivo della fase di merito dell’opposizione agli atti esecutivi proposta avverso l’ordinanza di assegnazione delle somme pignorate nella procedura esecutiva in cui aveva assunto la posizione di terzo pignorato, descrivendo poi lo svolgimento del relativo giudizio di primo e unico grado in fase contenziosa, con particolare riguardo alle vicende relative all’instaurazione del contraddittorio, all’assegnazione della causa alla sezione ed all’istruttore tabellarmente competenti, nonché all’andamento delle udienze in tale fase del giudizio e allo svolgimento dell’udienza di discussione ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c..
Manca, invece, una adeguata esposizione delle vicende del processo esecutivo e, quindi, dei fatti processuali che avevano dato origine all’opposizione, nonché dei presupposti di fatto e di diritto che avevano determinato l’emissione del provvedimento impugnato, di cui non è richiamato in modo puntuale il contenuto. Risulta del pari difettare un adeguato richiamo alle specifiche ragioni, in fatto ed in diritto, poste in concreto a base dell’opposizione e non vi è alcun richiamo al contenuto del ricorso presentato al giudice dell’esecuzione nella fase sommaria del procedimento.
In particolare, non vengono adeguatamente chiarite, nell’esposizione dei fatti di causa, una serie di circostanze relative alle vicende del processo esecutivo la cui precisa e puntuale illustrazione sarebbe stata necessaria per consentire alla Corte di intendere pienamente sia l’oggetto, il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento del giudice dell’esecuzione con l’opposizione agli atti esecutivi, sia quelli delle censure rivolte alla sentenza che tale opposizione ha respinto e che viene impugnata nella presente sede.
Manca, in primo luogo, l’indicazione precisa delle pretese fatte valere in via esecutiva dal creditore procedente; non vengono poi indicati con sufficiente precisione l’oggetto e il titolo del credito pignorato presso l’ente ricorrente, né viene adeguatamente richiamato l’esatto e completo contenuto della dichiarazione di quantità da quest’ultimo resa (di cui risulta, quindi, solo apoditticamente predicato il contenuto negativo), quello delle eventuali contestazioni insorte in ordine alla stessa in sede esecutiva e quello dei provvedimenti emessi dal giudice dell’esecuzione in proposito, con l’esplicazione delle ragioni che lo avrebbero indotto a pronunciare comunque l’ordinanza di assegnazione.
Manca anche, nell’esposizione dei fatti di causa, come già rilevato, il richiamo al preciso contenuto dell’atto di opposizione avanzato con il ricorso al giudice dell’esecuzione e, quindi, l’indicazione delle specifiche ragioni poste, già in quella fase sommaria, a sostegno dell’assunta illegittimità del provvedimento contestato, ragioni peraltro non modificabili con l’atto introduttivo della fase a cognizione piena del giudizio di merito, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la cui mancata indicazione, di conseguenza, non consente di ricostruire in modo adeguato e certo l’ammissibile oggetto dell’opposizione (il che costituisce di per sé ragione assorbente dell’inammissibilità del presente ricorso), nonché quello dello stesso atto introduttivo del relativo giudizio di merito, del quale sono riportate le sole conclusioni, il cui tenore non consente però di comprendere in pieno le ragioni di fatto e di diritto poste a sostegno delle domande avanzate.
1.3. È opportuno precisare che neanche sulla base del contenuto espositivo delle censure di cui ai singoli motivi di ricorso possono ritenersi sufficientemente emendate le indicate lacune, in modo chiaro, preciso e comprensibile, e ciò anche a volere ritenere possibile una siffatta integrazione, peraltro quanto meno irrituale, dal momento che l’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., richiede al ricorrente una specifica e autonoma, sia pur sommaria, esposizione dei fatti di causa, distinta dalla formulazione dei motivi di ricorso.
In definitiva, questa Corte non è stata messa in condizione di intendere adeguatamente e, quindi, di poter valutare la eventuale fondatezza nel merito delle censure avanzate con il ricorso, le quali, inevitabilmente, risultano pertanto, a loro volta, difettare di specificità, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c..
2. Come premesso, la radicale inammissibilità del ricorso, per il segnalato difetto di esposizione dei fatti di causa, assorbe ogni altra questione, incluse quelle relative all’integrità ed alla corretta instaurazione del contraddittorio e renderebbe superflua anche l’esposizione dei singoli motivi posti a base dello stesso. Ritiene peraltro la Corte, anche ai fini di cui all’art. 363, comma 3, c.p.c., che sia opportuno dare conto dell’infondatezza del primo motivo del ricorso, relativo ad una questione di diritto di carattere meramente processuale che, a differenza delle altre, è possibile, in qualche modo, estrapolare dalla narrazione del fatto e dall’illustrazione della relativa doglianza, che prescinde dallo specifico oggetto del merito dell’opposizione e che non risulta ancora – a quanto consta, ed allo stato – essere stata affrontata da precedenti specifici di legittimità, presentandosi quindi come di interesse generale.
Il motivo risulta formulato nei seguenti termini: «In relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.: Nullità della sentenza, cagionata dalla violazione del diritto di difesa e del diritto al contraddittorio ex art. 101 c.p.c., aventi copertura costituzionale (artt. 24 e 111 Cost., nonché art. 117 cost., in rapporto all’art. 6 CEDU), in relazione all’udienza del 15 giugno 2020, fissata ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., ed agli adempimenti disposti dal giudicante in previsione dell’udienza – In ogni caso, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 111, comma 6, Cost. e 132, comma 2, n. 4, c.p.c., derivante dalla apoditticità, se non addirittura apparenza, della parte di motivazione resa in riferimento alle modalità di pubblicazione della sentenza ex art. 281 sexies c.p.c., totalmente estranea ai rilievi del Comune – Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 24, 111 e 117 (in relazione all’art. 6 CEDU) Cost., che tutelano il diritto di difesa, sancito come inviolabile, e il diritto al contraddittorio ex art. 101 c.p.c., nonché dell’art. 101, comma 2, Cost., che richiede al giudicante di adeguare i propri provvedimenti alla legge ordinaria nonché, a maggior ragione, alle fonti normative alla stessa sovraordinate - Sotto altro profilo, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 24, 111 e 117 (in relazione all’art. 6 CEDU) Cost., che rimettono in via esclusiva al difensore la de- finizione delle strategie e scelte difensive. Sussistono i presupposti del ricorso per cassazione».
2.1. Tale motivo può interpretarsi come segue: l’ente ricorrente sostiene, nella sostanza, che la sentenza impugnata sarebbe nulla in quanto la decisione è stata pronunciata all’esito di una fase di trattazione orale, ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., svoltasi in base alle previsioni di cui all’art. 83, comma 7, lettera h, del decreto-legge 17 marzo 2020 n. 18, convertito con modificazioni in legge 24 aprile 2020 n. 37, senza comparizione personale dei difensori, ma con mera autorizzazione alle parti al deposito di note scritte fino a tre giorni prima della data dell’udienza stessa (15 giugno 2020).
Tale modalità di svolgimento, secondo la prospettazione di cui al ricorso, non avrebbe adeguatamente assicurato la pienezza del contraddittorio, anche per non essere stata accolta dal giudice la richiesta di essa parte opponente, di fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni ai fini della tratta- zione scritta, ai sensi dell’art. 190 c.p.c., ovvero, in subordine, di assegnazione alle parti di un termine successivo per ulteriori repliche o, in alternativa, quanto meno di un rinvio della stessa udienza di discussione, con assegnazione di un nuovo termine per note di replica.
Si tratta di censure infondate in diritto.
2.2. Va premesso che l’udienza di trattazione è stata fissata nell’aprile 2020, con provvedimento emesso dall’istruttore, in funzione di giudice unico, e si è svolta in data 15 giugno 2020, durante il periodo di emergenza pandemica, nella vigenza della formulazione dell’art. 83 del decreto-legge 17 marzo 2020 n. 18, convertito con modificazioni in legge 24 aprile 2020 n. 37 (intitolato «Nuove misure urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenerne gli effetti in materia di giustizia civile, penale, tributaria e militare»), secondo la quale i capi degli uffici giudiziari potevano, tra l’altro, adottare una serie di misure al fine di contenere gli effetti della pande- mia, tra cui (in base al comma 7, lettera h) disporre «lo svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti mediante lo scambio e il deposito in telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, e la successiva adozione fuori udienza del provvedimento del giudice».
Non è in discussione, e del resto risulta dalla stessa sentenza impugnata, che il Presidente del Tribunale di Latina avesse autorizzato tale forma di svolgimento delle udienze civili, anche con specifico riferimento a quelle di trattazione orale da tenersi ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., disciplinandone per di più le concrete modalità, con le puntuali disposizioni richiamate nella sentenza gravata.
Neanche è in discussione, ed è del resto pacifico, che l’udienza di trattazione orale di cui all’art. 281 sexies c.p.c. non richieda di regola la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti. Secondo l’ente ricorrente, le modalità di deposito delle note scritte disposte in concreto dal giudice (autorizzazione alle parti a depositare note scritte in un termine unico comune, anteriore alla data dell’udienza) non avrebbero peraltro adeguatamente garantito la pienezza del contraddittorio, anche in relazione alla delicatezza dell’oggetto della controversia, non assicurando alle parti la possibilità di repliche, come sarebbe avvenuto in caso di discussione effettivamente orale.
Di conseguenza, il giudice avrebbe dovuto quanto meno accogliere le sue istanze di concessione di un ulteriore termine per consentire tali repliche e, in mancanza, la sentenza dovrebbe ritenersi nulla.
L’assunto è infondato.
2.3. Le modalità di svolgimento dell’udienza in «forma scritta» disposte dal giudice risultano in realtà pienamente conformi alle previsioni della già richiamata disposizione di cui all’art. 83, comma 7, lettera h, del decreto-legge 17 marzo 2020 n. 18, convertito con modificazioni in legge 24 aprile 2020 n. 37, nella formulazione applicabile alla fattispecie ratione temporis, sopra trascritta.
Tale disposizione si limitava a prevedere il possibile svolgimento delle udienze civili non richiedenti la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti mediante «lo scambio e il deposito in telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, e la successiva adozione fuori udienza del provvedimento del giudice», su autorizzazione o provvedimento del singolo capo dell’ufficio.
Come già rilevato, nella specie, oltre a sussistere tale autorizzazione o provvedimento del capo dell’ufficio, l’udienza in concreto svolta mediante il deposito di note scritte (cioè quella di discussione ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c.) certamente non è tra quelle che richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti.
Non era affatto prevista, secondo la disposizione emergenziale applicabile ratione temporis (a differenza di quanto previsto dalla successiva normativa in materia, il cui contenuto non può peraltro ritenersi nella specie rilevante), la possibilità per le parti, di fronte al provvedimento del giudice di individuazione delle modalità di svolgimento dell’udienza in forma scritta, di pretenderne lo svolgimento nelle forme ordinarie o comunque in altre forme, per qualsiasi ragione ed anche eventualmente in ragione del particolare oggetto della controversia (nella specie, peraltro, di natura documentale e di diritto), né vi era la possibilità di una richiesta vincolante per il giudice di assegnazione di termini ulteriori per il deposito di note di replica o di fissa- zione di termini cd. “sfalsati” per il deposito delle note da parte dell’attore e del convenuto.
D’altra parte, non potrebbe ammettersi, a giudizio di questa Corte, una interpretazione della indicata disposizione che imponesse di distinguere caso per caso, in relazione all’oggetto, alla rilevanza ed all’eventuale complessità della controversia, al fine di stabilire se fossero in concreto necessarie forme di attuazione del contraddittorio più complesse ed articolate, onde valutare la legittimità della decisione assunta all’esito dello svolgimento dell’udienza in forma scritta. In primo luogo, tanto non era contemplato nel provvedimento generale del capo dell’ufficio, stando almeno al tenore testuale di quanto riportato negli atti legittimamente consultabili da questa Corte; ma, in via dirimente, ciò determinerebbe, infatti, una situazione di intollerabile incertezza in ordine alla validità dei provvedimenti Data pubblicazione 19/12/2022 decisori, legata alle mere forme di attuazione del preventivo contraddittorio, ma non dipendente dalla corretta applicazione di precisi schemi procedurali fissi e predeterminati, delineati da norme astratte, bensì sulla base di valutazioni legate a valori mutevoli, evidentemente sempre opinabili e controvertibili.
Né potrebbe giovare al ricorrente invocare i principi enunciati da questa Corte a Sezioni Unite (Cass., Sez. U, Sentenza n. 36596 del 25/11/2021, Rv. 663244 – 01), con riferimento al caso della violazione di termini nel procedimento di decisione della controversia fissati e predeterminati per legge, trattandosi di fattispecie radicalmente diversa da quella attuale, nella quale la fissazione stessa del termine e la determinazione della scansione processuale era rimessa e devoluta, per diretta previsione della legge emergenziale, al giudice.
Deve pertanto ritenersi che il contraddittorio sia stato nella specie adeguatamente assicurato, nelle eccezionali forme previste dalla legge per il periodo di emergenza epidemiologica.
È, infine, appena il caso di precisare che neanche può ritenersi che il giudice avesse uno specifico obbligo di motivazione ulteriore ad esplicazione delle ragioni per cui avesse disposto lo svolgimento dell’udienza nelle forme previste dalla legge, senza dar seguito alle contrarie istanze di parte, che andasse al di là del al richiamo del provvedimento del capo dell’ufficio che espressamente tali forme di svolgimento dell’udienza autorizzava, sulla base della corrispondente previsione della normativa emergenziale.
2.4. Vanno, in definitiva, affermati i seguenti principi di diritto:
«l’assegnazione alle parti di un termine unico e comune per il deposito di note scritte, in linea generale (e salve le eccezioni normativamente previste), deve ritenersi una forma adeguata a garantire il contraddittorio in tutti i casi in cui sia per legge consentita la trattazione della causa in forma scritta e non sia invece imposta la discussione in forma orale (o addirittura in Data pubblicazione 19/12/2022 presenza), anche, quindi, in relazione alla fase decisoria del giudizio di merito, senza che possa ammettersi in proposito una valutazione casistica fondata sull’oggetto, sulla rilevanza e sull’eventuale complessità della controversia, che determinerebbe una intollerabile incertezza in ordine alla validità dei provvedimenti decisori, non fondata sull’applicazione di precisi schemi procedurali fissi, ma sulla base di valutazioni legate a valori mutevoli, opinabili e controvertibili; di conseguenza, nel periodo di emergenza pandemica, nella vigenza dell’art. 83, comma 7, lettera h, del decreto-legge 17 marzo 2020 n. 18, convertito con modificazioni in legge 24 aprile 2020 n. 37, deve ritenersi legittimo lo svolgimento dell’udienza di discussione orale della causa ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c. in forma scritta, mediante l’assegnazione alle parti di un termine unico e comune anteriore alla data dell’udienza per il deposito di note scritte».
3. Il ricorso è dichiarato inammissibile.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.
Non può procedersi, invece, alla liquidazione delle spese del procedimento incidentale di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata di cui all’art. 373 c.p.c., richiesta dalla società controricorrente, non essendo stata regolarmente pro- dotta la necessaria documentazione relativa allo svolgimento del suddetto procedimento (cfr. Cass., Sez. 6 - 3, Sentenza n. 21198 del 20/10/2015, Rv. 637485 – 01; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 18079 del 31/08/2020, Rv. 658763 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 36646 del 25/11/2021, Rv. 662989 - 01): né a tanto avrebbe potuto procedere la parte, che non vi avesse provveduto già in precedenza nel presente giudizio di legittimità, direttamente all’udienza di discussione e, quindi, senza il rispetto della normativa dell’art. 372 c.p.c..
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, co. 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228.
P.Q.M.
La Corte:
- dichiara inammissibile il ricorso;
- condanna l’ente ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della società controricorrente, liquidandole in complessivi € 8.000,00, oltre € 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228, per il versamento, da parte dell’ente ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.