L'accertamento della responsabilità deve essere condotto ai sensi dell'art. 2051 c.c. e non risulta predicabile la ricorrenza del caso fortuito a fronte del mero accertamento di una condotta colposa della vittima.
L'attuale ricorrente conveniva in giudizio un Supercondominio e la società amministratrice al fine di sentirli condannare al risarcimento dei danni conseguenti alle lesioni che aveva riportato a seguito della caduta in una buca presente sul marciapiede.
In sede di legittimità, la ricorrente denuncia la violazione...
Svolgimento del processo
G.M.C. convenne in giudizio il Supercondominio (omissis) di Opera e la società amministratrice dello stesso, (omissis) s.r.l., per sentirli condannare al risarcimento dei danni conseguenti alle lesioni che aveva riportato in data 15.4.11, quando, scendendo dal marciapiede posto in corrispondenza del civico 14, era inciampata in una buca posta a ridosso del cordolo ed era caduta a terra;
entrambi i convenuti resistettero alla domanda;
il giudizio, interrotto a seguito del fallimento della (omissis), venne riassunto nei confronti del Supercondominio e fu definito con sentenza del Tribunale di Milano che accolse la domanda per l'importo di oltre 41.000,00 euro e accessori;
la Corte di Appello milanese ha riformato la sentenza rigettando la domanda dell'attrice e condannandola al pagamento delle spese di lite e alla restituzione di quanto riscosso in forza della sentenza di primo grado;
la Corte ha osservato che:
«la prova della caduta nelle circostanze dedotte da parte appellata e cioè l'avvenuto appoggio del piede della [...] C. in area dissestata, posta in prossimità del marciapiedi, e della conseguente perdita di equilibrio dovuta al dislivello dell'area calpestabile, non costituisce elemento di per sé sufficiente all'accoglimento della domanda risarcitoria»;
«il custode, per escludere la sua responsabilità, ha l'onere di provare il caso fortuito, ossia l'esistenza di un fattore estraneo che, per il suo carattere di imprevedibilità e di eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale»;
«nei casi in cui il danno non sia l'effetto di un dinamismo interno alla cosa [ ...], ma richieda che l'agire umano ed in particolare quello del danneggiato si unisca al modo di essere della cosa, essendo essa di per sé statica e inerte, per la prova del nesso causale occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presentava un'obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile il danno»;
nel caso di specie, «non risulta che il sinistro si sia verificato a causa di una situazione di obiettiva pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile il danno»; e ciò in quanto il dislivello non era «affatto occulto ed anzi ben visibile» ed era «posto in prossimità della discesa del marciapiedi e dunque in punto che, proprio a causa della presenza del gradino, richiede maggiore attenzione e cautela nella regolazione del passo»; tanto più che «l'incidente è avvenuto in luogo frequentato dall'attrice» ed «in piena luce naturale» e che «la limitatissima velocità del pedone avrebbe consentito di avvedersi delle caratteristiche della strada», senza «che la presenza di un'auto in sosta possa aver significativamente influito in proposito»;
la Corte ha concluso che «non si ritiene quindi che nel caso in esame sussistesse una situazione di obiettiva pericolosità, tale da rendere probabile se non inevitabile il danno e per contro devesi ritenere che il sinistro si sia verificato per una colpevole distrazione» dell'appellata;
ha proposto ricorso per cassazione la C., affidandosi a quattro motivi illustrati da memoria; ha resistito il Supercondominio con controricorso la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell'art. 380 bis.1. c.p.c..
Motivi della decisione
con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2051, 1227, 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c.: assume che ad integrare la responsabilità ex art. 2051 c.c. «è necessario (e sufficiente) che il danno sia stato cagionato dalla cosa, assumendo rilevanza il solo dato oggettivo della derivazione causale del danno dalla cosa» e aggiunge che, mentre «incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l'evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno e dalle caratteristiche intrinseche della prima», «resta a carico del custode offrire la prova contraria alla presunzione iuris tantum della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità»;
con il secondo motivo (che deduce l'«omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.»), la ricorrente lamenta che la Corte di appello «ha omesso di esaminare l'intero contenuto della deposizione testimoniale resa dal teste P.», da cui emergeva che la buca era «posta in aderenza al marciapiede, per cui la stessa non era visibile alla [...] C. che scendeva appunto dal detto marciapiede»;
il terzo motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2051, 1227, 2697, 2727 e 2729 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio: la ricorrente contesta il rilievo che la stessa abitasse in prossimità del luogo in cui avvenne la caduta e che lo frequentasse abitualmente e si duole che la Corte abbia omesso di esaminare la prova testimoniale dedotta al riguardo;
il quarto motivo deduce, infine, la violazione degli artt. 2043 e 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché l'omesso esame di un fatto decisivo, sul duplice rilievo che la Corte di merito «ha omesso di esaminare la documentazione posta a base della richiesta di maggior danno per errata quantificazione del danno patrimoniale effettuata dal giudice di primo grado» e ha omesso, altresì, «di esaminare l'appello incidentale condizionato, proposto in via subordinata, sulla responsabilità del Supercondominio ex art. 2043 c.c.».
la responsabilità ex art. 2051 c.c. ha natura oggettiva e discende dall'accertamento del rapporto causale fra la cosa in custodia e il danno, salva la possibilità per il custode di fornire la prova liberatoria del caso fortuito, ossia di un elemento esterno che valga ad elidere il nesso causale e che può essere costituito da un fatto naturale e dal fatto di un terzo o della stessa vittima (cfr., da ultimo, Cass.,, S.U. n. 20943/2022);
tale essendo la struttura della responsabilità ex art. 2051 c.c., l'onere probatorio gravante sul danneggiato si sostanzia nella duplice dimostrazione dell'esistenza (ed entità) del danno e della sua derivazione causale dalla cosa, residuando, a carico del custode - come detto- l'onere di dimostrare la ricorrenza del fortuito; nell'ottica della previsione dell'art. 2051 c.c., tutto si gioca dunque sul piano di un accertamento di tipo causale (della derivazione del danno dalla cosa e dell'eventuale interruzione di tale nesso per effetto del fortuito), senza che rilevino altri elementi, quali il fatto che la cosa avesse o meno natura "insidiosa" o la circostanza che l'insidia fosse o meno percepibile ed evitabile da parte del danneggiato (trattandosi di elementi consentanei ad una diversa costruzione della responsabilità, condotta alla luce del paradigma dell'art. 2043 c.c.);
al cospetto dell'art. 2051 c.c., la condotta del danneggiato può rilevare unicamente nella misura in cui valga ad integrare il caso fortuito, ossia presenti caratteri tali da sovrapporsi al modo di essere della cosa e da porsi essa stessa all'origine del danno; al riguardo, deve pertanto ritenersi che, ove il danno consegua alla interazione fra il modo di essere della cosa in custodia e l'agire umano, non basti a escludere il nesso causale fra la cosa e il danno la condotta colposa del danneggiato, richiedendosi anche che la stessa si connoti per oggettive caratteristiche di imprevedibilità ed imprevenibilità che valgano a determinare una cesura rispetto alla serie causale riconducibile alla cosa (degradandola al rango di mera occasione dell'evento di danno);
giova richiamare, al riguardo, le lucide considerazioni svolte da Cass. n. 25837/2017 (già recepite, fra le altre, da Cass. n. 26524/2020 e da Cass. n. 4035/2021), secondo cui «la eterogeneità tra i concetti di "negligenza della vittima" e di "imprevedibilità" della sua condotta da parte del custode ha per conseguenza che, una volta accertata una condotta negligente, distratta, imperita, imprudente, della vittima del danno da cose in custodia, ciò non basta di per sé ad escludere la responsabilità del custode. Questa è infatti esclusa dal caso fortuito, ed il caso fortuito è un evento che praevideri non potest. L'esclusione della responsabilità del custode, pertanto, quando viene eccepita dal custode la colpa della vittima, esige un duplice accertamento: (a) che la vittima abbia tenuto una condotta negligente; (b) che quella condotta non fosse prevedibile. [ ... ] La condotta della vittima d'un danno da cosa in custodia può dirsi imprevedibile quando sia stata eccezionale, inconsueta, mai avvenuta prima, inattesa da una persona sensata. Stabilire se una certa condotta della vittima d'un danno arrecato da cose affidate alla custodia altrui fosse prevedibile o imprevedibile è un giudizio di fatto, come tale riservato al giudice di merito: ma il giudice di merito non può astenersi dal compierlo, limitandosi a prendere in esame soltanto la natura colposa della condotta della vittima»;
nel caso specifico della caduta del pedone in corrispondenza di una buca stradale, non può evidentemente sostenersi che la stessa sia imprevedibile (rientrando nel notorio che la sconnessione possa determinare la caduta del passante) e imprevenibile (sussistendo, di norma, la possibilità di rimuovere il dislivello o, almeno, di segnalarlo adeguatamente); deve allora ritenersi che il mero rilievo di una condotta colposa del danneggiato non sia idoneo a interrompere il nesso causale, che è manifestamente insito nel fatto stesso che la caduta sia originata dalla (prevedibile e prevenibile) interazione fra la condizione pericolosa della cosa e l'agire umano;
ciò non significa, peraltro, che tale condotta -ancorché non integrante il fortuito- non possa assumere rilevanza ai fini della liquidazione del danno cagionato dalla cosa in custodia, ma questo non può avvenire all'interno del paradigma dell'art. 2051 c.c., bensì ai sensi dell'art. 1227 c.c. (operante, ex art. 2056 c.c., anche in ambito di responsabilità extracontrattuale), ossia sotto il diverso profilo dell'accertamento del concorso colposo del danneggiato, valutabile sia nel senso di una possibile riduzione del risarcimento, secondo la gravità della colpa del danneggiato e le conseguenze che ne sono derivate (ex art. 1227, 1° co. c.c.), sia nel senso della negazione del risarcimento per i danni che l'attore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza (ex art. 1227, 2° co. c.c.), fatta salva, nel secondo caso, la necessità di un'espressa eccezione della controparte;
deve dunque affermarsi che, ove sia dedotta la responsabilità del custode per la caduta di un pedone in corrispondenza di una sconnessione o buca stradale, l'accertamento della responsabilità deve essere condotto ai sensi dell'art. 2051 c.c. e non risulta predicabile la ricorrenza del caso fortuito a fronte del mero accertamento di una condotta colposa della vittima (la quale potrà invece assumere rilevanza, ai fini della riduzione o dell'esclusione del risarcimento, ai sensi dell'art. 1227, 1° o 2° co. c.c.), richiedendosi, per l'integrazione del fortuito, che detta condotta presenti anche caratteri di imprevedibilità ed eccezionalità tali da interrompere il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, così da degradare la condizione della cosa al rango di mera occasione dell'evento di danno;
tanto premesso, deve rilevarsi come, nel caso di specie, la Corte di appello sia incorsa in plurimi errori di diritto che l'hanno condotta a prescindere del tutto dalla normativa applicabile -quella appunto di cui all'art. 2051 c.c.- che avrebbe comportato, una volta accertata la dinamica prospettata dalla C. (in termini di caduta conseguente alla perdita di equilibrio determinata dalla buca), la necessità di verificare se il custode (il Supercondominio) avesse fornito la richiesta prova del fortuito;
invero, dopo avere evidenziato -correttamente- l'onere del custode «di provare il caso fortuito, ossia l'esistenza di un fattore estraneo che, per il suo carattere di imprevedibilità e di eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale», la Corte ha "virato" su un tema diverso, affermando che, «per la prova del nesso causale, occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presentava un'obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile il danno», per giungere poi ad escludere che il sinistro si sia verificato «a causa di una situazione di obiettiva pericolosità» (e ciò -come detto sull'assunto che il dislivello era ben visibile da parte della C. che già conosceva i luoghi e che, scendendo dal marciapiede, era tenuta a particolare attenzione nel regolare il passo, tanto più in una situazione di piena luce naturale), concludendo che il sinistro si era verificato per una «colpevole distrazione» della vittima;
da ciò emerge chiaramente che la Corte territoriale, tradendo le sue stesse premesse, non ha compiuto alcun accertamento sulla ricorrenza del fortuito (quale elemento estraneo alla serie causale riferibile al modo di essere della cosa, imprevedibile ed inevitabile e tale, quindi da elidere il nesso causale con la stessa), ma si è limitata a valutare se la cosa presentasse una situazione di obiettiva pericolosità, con ciò compiendo un accertamento (costituente una riedizione della superata teorica della "insidia o trabocchetto") che è del tutto inconferente nella cornice dell'art. 2051 c.c.; in essa, infatti, rilevano esclusivamente il riscontro dell'incidenza causale del modo di essere della cosa (nello specifico, l'esistenza della buca) nel determinismo del danno (nel caso, le lesioni conseguite alla caduta) e l'indagine su eventuali elementi esterni, imprevedibili e inevitabili, che abbiano sviluppato un'autonoma ed esclusiva incidenza causale (tale, nella specie, da elidere o rendere irrilevante ogni nesso con la presenza della buca);
per altro verso, la Corte di Appello ha mostrato (implicitamente) di aderire ad una nozione di caso fortuito comprendente anche la condotta colposa del danneggiato, senza tuttavia tener conto della necessità di verificare se detta condotta presentasse anche i requisiti della non prevedibilità e non prevenibilità da parte del custode; è noto, invece, che la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato che la condotta della vittima del danno causato da una cosa in custodia può escludere la responsabilità del custode solo «ove sia colposa ed imprevedibile» (Cass. n. 25837/2017), ossia «quando essa, rivelandosi come autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile, risulti dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell'evento lesivo» (Cass. n. 18317/2015), giacché l'idoneità ad interrompere il nesso causale può essere riconosciuta solo ad un fattore estraneo avente «carattere di imprevedibilità ed eccezionalità» (Cass. n. 2660/2013); in tal senso sono orientati anche i più recenti arresti di legittimità, che, pur affermando che il comportamento del danneggiato (da valutare anche officiosamente ex art. 1227, co. 1°c.c.) può assumere incidenza causale tale da interrompere il nesso eziologico tra la cosa e il danno, non hanno mancato di evidenziare che ciò può avvenire «quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale» (Cass. n. 2480/2018 e Cass. n. 9315/2019);
non rilevano dunque la pericolosità della cosa e la correlata prevedibilità del danno, quanto piuttosto il fatto che la cosa abbia -in concreto- avuto incidenza causale nella produzione del danno, mentre i profili della non prevedibilità e non prevenibilità assumono rilevanza in relazione a un diverso elemento, ossia al fatto esterno (naturale o di un terzo o della stessa vittima) che il custode abbia individuato come caso fortuito, dovendosi peraltro escludere che il mero rilievo di una condotta colposa della vittima possa valere, se non connotato da imprevedibilità e inevitabilità, a integrare il fortuito (potendo al più rilevare ai fini dell'applicazione dell'art. 1227 c.c.);
il primo motivo del ricorso va pertanto accolto (assorbiti gli altri tre), con cassazione della sentenza e rinvio alla Corte territoriale che, in diversa composizione, dovrà procedere a nuovo esame, alla luce dei principi e delle considerazioni di cui sopra;
la Corte di rinvio provvederà anche sulle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, dichiarando assorbiti gli altri, cassa e rinvia, anche per le spese di lite, alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione.