
Nel caso di specie, agli imputati è stato contestato di aver, senza le dovute autorizzazioni e concessioni, svolto per conto di un allibratore straniero attività di intermediazione telematica diretta alla raccolta delle scommesse c.d. anonime.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza 16.11.2021, la Corte d'appello di Firenze, in·parziale riforma della sentenza del tribunale di Livorno 16.05.2019, appellata da V.M. e P.A., riduceva ad entrambi la pena a mesi 6 di reclusione, confermando nel resto l'appellata sentenza che li aveva riconosciuti colpevoli del reato di cui all'art. 4, co. 4-bis, I. 401 del 1989, per avere, nelle rispettive qualità, svolto per conto della SOGNO DI TOLOSA Ltd. con sede in Malta, senza essere muniti della concessione da parte dell'AAM e della licenza richiesta dall'art. 88 TULPS, un'attività organizzata al fine di accettare o raccogliere o comunque favorire l'accettazione o in qualsiasi modo la raccolta, anche per via telefonica o telematica, di scommesse di qualsiasi genere da chiunque accettati in Italia o all'estero, in relazione a fatti contestati come commessi in data 15.12.2015.
2. Contro la sentenza ha proposto congiunto ricorso per cassazione il difensore di fiducia, iscritto all'Albo speciale previsto dall'art. 613, cod. proc. pen., articolando quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge ex art. 606, comma primo, lett.b), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 49,51,52 e 56 del T.F.U.E., con riferimento all'art. 4 L. 401/1989, ed in relazione agli artt. 4 e 27 Cost.
In sintesi, con un primo profilo di censura, la difesa contesta l'affermazione del giudice di seconde cure per cui la (omissis) s.r.l. (di cui il V. era legale rappresentante ed il P. era socio), solo apparentemente era un centro di elaborazione dati. Richiamata la giurisprudenza inerente i diversi ruoli propri del CTD e del bookmaker, la difesa afferma che il centro dei propri assistiti era effettivamente, e non solo apparentemente, un centro di elaborazione dati e ciò in quanto la (omissis) s.r.l. svolgeva in favore della società Sogno di Tolosa Ltd sia attività di promozione e commercializzazione, favorendo l'apertura del c.d. "conto-gioco" e creando così un rapporto diretto tra scommettitore e bookmaker, sia attività di c.d. intermediazione telematica, favorendo la raccolta e la trasmissione delle scommesse anonime, cioè delle scommesse dei clienti che non sono titolari di personali conti-gioco. Viene dunque specificato che il bookmaker utilizzava due diversi conti per tenere la contabilità: un conto relativo alle ricariche dei conti-gioco dei giocatori e un diverso conto, denominato "terminale virtuale", relativo alle scommesse anonime. Proprio quest'ultimo sarebbe stato il conto utilizzato dagli avventori all'interno dell'esercizio (omissis) s.r.l. in occasione del controllo operato dalla Guardia di Finanza in data 15.12.2015, sul cui esito il giudice di seconde cure avrebbe fondato il proprio giudizio di colpevolezza.
Chiarito ciò, con un secondo profilo di censura, la difesa si duole perché la Corte d'Appello, nel ritenere i propri assistiti responsabili del reato contestato, non avrebbe adeguatamente valutato le ragioni che hanno determinato il mancato possesso del titolo concessorio da parte della Società Sogno di Tolosa Ltd e della licenza ex art. 88 T.U.L.P.S da parte della (omissis) s.r.l. Nel caso di specie, infatti, il bookmaker comunitario non avrebbe potuto conseguire il titolo concessorio italiano a causa delle limitazioni imposte dalla normativa statale. In particolare, la difesa sottolinea che il bookmaker ha iniziato ad esercitare la propria attività del novembre 2011, pertanto non ha potuto partecipare al c.d. bando Bersani del 2006 - che comunque lo avrebbe costretto a sottostare a clausole assoluta mente discriminatorie - e, poiché nel 2011 l'AAMS non ha bandito alcuna gara per il rilascio di nuove concessioni, la Sogno di Tolosa Ltd e i CTD della cui collaborazione essa si avvaleva per fornire i propri servizi in Italia sarebbero stati costretti a svolgere le loro attività sul territorio italiano in mancanza del titolo concessorio. Successivamente, il bookmaker comunitario avrebbe autonomamente e legittimamente deciso di non partecipare al c.d. bando Monti del 2012, ritenendo le clausole in esso contenute irragionevoli, discriminatorie e lesive del principio di libera iniziativa economica. La (omissis) s.r.l., quindi, non avrebbe potuto conseguire la licenza di P.S. in quanto affiliata ad un bookmaker comunitario privo del titolo concessorio italiano a causa di una normativa interna discriminatoria. Per quanto sopra, la difesa invoca la disapplicazione dell'art. 88 T.U.L.P.S. perché, nella misura in cui dispone che l'autorizzazione di polizia può essere concessa solo ai soggetti che abbiano ottenuto le previste concessioni, contrasterebbe con gli artt. 43 e 49 Trattato C.E. impedendo ai titolari del c.d. "Sportello Virtuale" di conseguire la licenza di PS qualora essi siano affiliati ad un bookmaker comunitario privo del titolo concessorio italiano a causa delle limitazioni imposte dalla normativa statale.
La difesa, con un terzo profilo di censura, contesta poi la sussistenza del reato addebitato ai propri assistiti affermando che non sussistono motivi all'inibizione dell'esercizio dell'attività del bookmaker, e di conseguenza dei ricorrenti, in quanto la stessa CGUE, con la pronuncia "Biasci" del 13/9/13, avrebbe riconosciuto ad un bookmaker comunitario la possibilità di offrire il servizio transfrontaliero "puro", ossia la possibilità di distribuire in Italia i medesimi servizi di scommesse che si offrono all'estero per mezzo di ceci/internet point ubicati nello Stato italiano. A sostegno della propria tesi, la difesa sottolinea che proprio in tale occasione la Corte del Lussemburgo, pur riconoscendo che la necessità per un operatore di disporre sia di una concessione che di un'autorizzazione di polizia per poter accedere al mercato di cui trattasi non è in sé sproporzionata rispetto all'obbiettivo perseguito dal legislatore nazionale, ha affermato che "( ... ) poiché autorizzazioni di polizia sono rilasciate unicamente ai titolari di una concessione, le irregolarità commesse nell'ambito della procedura di concessione di queste ultime viziano anche la procedura di rilascio di autorizzazioni di polizia. La mancanza di autorizzazione di polizia non potrà perciò essere addebitata a soggetti che non siano riusciti a ottenere tali autorizzazioni per il fatto che il rilascio di tale autorizzazione presuppone l'attribuzione di una concessione, di cui i detti soggetti non hanno potuto beneficiare in violazione del diritto dell'Unione". A fortiori la difesa richiama anche la sentenza "Costa-Cifone" del 16/02/2012, con la quale la CGUE ha affermato che qualsiasi ostacolo e/o impedimento posto dalla normativa nazionale a carico del bookmaker comunitario per il conseguimento del titolo concessorio, discrimina automaticamente l'attività dei c.e.d./c.t.d. ad esso affiliati e, dunque, uno Stato membro non può applicare una sanzione penale per il mancato espletamento di una formalità amministrativa qualora l'adempimento di tale formalità venga rifiutato o sia reso impossibile dallo Stato membro interessato in violazione del diritto dell'Unione.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge ex art. 606, comma primo, lett.b), cod. proc. pen., in relazione all'art. 4 L.401/1981 in combinato disposto con l'art 88 T.U.L.P.S. nonché in relazione al D.M. 156/2001, al D. Direttoriale 21 marzo 2006 (così come integrato dal Decreto 25 giugno 2007), all'art. 24, commi 11-26, L.88/2009 e all'art. 2, commi 2 bis e 2 ter, del D.L. 40/2010 (convertito nella L. n.73/2010); deduce, inoltre, i vizi di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione e mancata assunzione di prova decisiva ex art. 606, comma primo, lett.d) ed e), cod. proc. pen.
In sintesi, la difesa ritiene che il bookmaker "Sogno di Tolosa Ltd" abbia subito una discriminazione per causa dell'art,1, comma 643, L. 190/2014 e dell'art,1, comma 926, L. 208/2015, che, nel settore delle scommesse, avrebbero rispettivamente introdotto e prorogato una sanatoria con finalità solo fiscale, su bordinando il rilascio del titolo abilitativo per l'attività di gestione e raccolta delle stesse alla compilazione di una dichiarazione di pagamento dell'imposta unica a titolo di emersione della pregressa evasione. La difesa è dell'avviso che una sanatoria siffatta sia lesiva degli artt. 3 Cost., 107 e 109 T.F.U.E. in quanto permetterebbe la regòlarizzazione solo ai soggetti evasori, escludendo, per contro, i soggetti che l'imposta l'hanno sempre corrisposta. La Sogno di Tolosa, infatti, non avrebbe potuto partecipare a detta sanatoria in quanto, avendo sempre adempiuto al versamento dell'imposta unica, non avrebbe avuto alcuna situazione fiscale da regolarizzare. Se dunque detta sanatoria fosse stata aperta anche ai soggetti non evasori, la Sogno di Tolosa vi avrebbe potuto partecipare e i ricorrenti avrebbero conseguentemente potuto ottenere la licenza ex art. 88 TULPS.
La difesa conclude la doglianza affermando che, in ogni caso, il giudice estensore della sentenza gravata, contestando ai ricorrenti il mancato possesso dell'autorizzazione ex art. 88 T.U.L.P.S., sarebbe incorso in un grave travisamento dei fatti in quanto l'attività svolta dai propri assistiti non potrebbe comunque considerarsi abusiva, e quindi illecita ex art. 4 L.401/1989, perché espressamente autorizzata in virtù della comunicazione effettuata alla Questura ai sensi dell'art. 1, comma 644, della legge n.190/2014, che, recependo i dettami della sentenza Biasci emessa dalla CGUE nel 2013, avrebbe consentito ad un rappresentante fisico italiano di svolgere attività transfrontaliera per conto di un bookmaker comunitario senza necessità di licenza ex art. 88 T.U.L.P.S.
2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge ex art. 606, comma primo, lett.b), e), d), cod. proc. pen., in relazione all'art. 4 L. 401/1989.
In sintesi, la difesa assume che, in ogni caso, non sarebbe configurabile l'elemento soggettivo del reato data la frammentarietà e la caoticità del quadro normativo e giurisprudenziale, che determinerebbero l'inevitabilità dell'ignorantia legis, e ciò specialmente in considerazione del fatto che i ricorrenti avevano superato i controlli diretti a verificare il possesso dei requisiti ex art. 11 T.U.L.P.S. ed avevano ottenuto una pronuncia favorevole sia in sede penale che tributaria (pag. 31 ricorso), venendosi conseguentemente a sentire legittimati ad esercitare la loro attività lavorativa.
2.4. Deduce, con il quarto ed ultimo motivo, il vizio di mancata assunzione di prova decisiva ex art. 606, comma primo, lett.d), cod. proc. pen., ed il vizio di violazione di legge ex art. 606, comma primo, lett.b), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 4 e 27 Cost., e agli artt.49,51,52 e 56 del T.F.U.E con riferimento all'art. 4, comma 4 bis, L.401/1989.
In sintesi, si censura l'affermazione con cui la Corte di Appello ha ritenuto inaccoglibili le doglianze difensive in punto di carenze istruttorie. Ad avviso della difesa, infatti, il giudice di seconde cure avrebbe erroneamente escluso l'ammissione di prove documentali fondamentali per valutare la posizione del bookmaker con riferimento al "Bando Monti 2012" in quanto atte a dimostrare la discrimina zione da questi subita.
2.5. Per i motivi sopra sintetizzati, la difesa chiede:
in via principale: l'annullamento della sentenza impugnata e, in ogni caso, la disapplicazione degli artt. 88 T.U.L.P.S. e 4 L. 401/1989 perché in contrasto con gli artt. 49 e 56 TFUE, con conseguente assoluzione dell'imputato (rectius, degli imputati) perché il fatto non sussiste; accertarsi e dichiararsi la legittimità e la liceità dell'attività di intermediaizone telematica svolta dalgi imputai per effetto della regolarizzazione dell'art. 1, co. 923, L. stabilità 2016 che richiama l'art. 1, co. 644, lett. e), legge stabilità 2015;
in via subordinata: l'assoluzione ex 131 bis, cod. pen., per la particolare tenuità del fatto, anche in considerazione del fatto che la (omissis) s.r.l. ha cessato la sua attività.
in via di ulteriore subordine:
1) di sollevare questione di legittimità costituzionale della norma di cui all'art. 1, comma 643, L.190/2014 in relazione agli artt. 3, 4, 10, 11, 13, 15, 23, 25, 41, 43, 53, 79 e 112 della Costituzione, per non aver previsto la possibilità di ottenere un titolo abilitativo anche a coloro che hanno già regolarmente pagato l'imposta unica, e dell'art. 1, comma 644, L.190/2014 per la violazione dell'art. 117 Cost in relazione all'art. 4 prot. 7 CEDU e agli artt. 5 e 6 CEDU;
2) di chiedere alla CGUE se gli articoli 49,56,107 e 109 TFUE ostano a una normativa nazionale come quella introdotta dalla sanatoria fiscale ex legge di stabilità n.190 del 2014, laddove con l'adozione dell'istituto del condono ha dato la possibilità agli evasori di conseguire la "regolarizzazione fiscale" ottenendo la riduzione di un terzo dell'imposta;
3) di disapplicare l'art. 1, co. 644, I. 190 del 2014, per violazione dell'art. 117, co. 1, Cost. in relazione all'art. 4, prot. 7 CEDU e agli artt. 5 e 6 CEDU direttamente applicabili nello Stato italiano o in subordine di sollevare questione di costituzionalità della medesima norma per violazione dell'art. 117, co. 1, Cost. in relazione all'art. 4, prot. 7 CEDU e agli artt. 5 e 6 CEDU;
4) di chiedere altresì alla CGUE di fornire chiara ed univoca interpretazione degli artt. 49 e 56 TFUE in relazione alla disciplina nazionale in materia di giochi e scommesse.
In particolare chiede la formulazione del seguente quesito: se gli artt. 49 e 56 TFUE ostino a una normativa di uno stato membro che prevede:
a) il divieto penalmente sanzionato a carico di un soggetto che svolge attività di raccolta e trasmissione di scommesse per conto di un operatore comunitario che è impossibilitato ad acquisire il titolo concessorio a causa: - della mancanza di concessioni, ad oggi scadute e prorogate illegittimamente; - della mancata partecipazione alle gare d'appalto del 2006 perché costituitosi in epoca successiva alla pubblicazione del bando; - della mancata partecipazione alla gara di appalto del 2012 a causa della non conformità del regime concessorio interno agli artt. 43 e 49 TCE.
b) l'espletamento di gare d'appalto al fine di allineare le concessioni "storiche" in scadenza al 2012 a quelle dell'ex Bando Bersani aventi termine finale nel 2016; la prescrizione inserita nel bando di gara, quale requisito di partecipa zione, di un fatturato minimo di Euro 2.000.000,00 nell'ultimo biennio escludendo così l'ingresso di nuovi operatori nel mercato italiano delle scommesse;
d) la prescrizione contenuta nel bando di gara di un irragionevole corrispettivo del c.d. "diritto di gestione" e di esosi costi per l'esercizio della raccolta, tali da non consentire agli operatori comunitari la possibilità di conseguire un risultato economico positivo nella gestione delle scommesse del tutto carente di libertà di autonomia organizzativa e imprenditoriale;
e) la prescrizione contenuta nel bando della durata delle concessioni rilasciate limitata a soli 40 mesi, rispetto ai 6 e 9 anni della durata dei precedenti bandi del 1999 e del 2006;
f) la prescrizione, contenuta nell'ultimo bando 2012, di un numero delle concessioni limitato a 2000, incluse i n.671 c.d. "concessionari storici", che dunque godono di una posizione privilegiata, essendo sul mercato da oltre 17 anni;
g) la clausola inserita nello schema della Convenzione all'art. 23, comma 2, che subordina l'ipotesi pattizia della decadenza ad una valutazione discrezionale di AAMS anziché di un'autorità giudiziaria;
h) la limitazione in relazione al numero e alle modalità di rilascio del titolo concessorio per lo svolgimento dell'attività di esercizio e raccolta di scommesse c.d. "terrestre" e, in particolare, l'esistenza di un regime concessorio che prevede un numero limitato di titoli concessori per l'esercizio e la raccolta del gioco c.d. "terrestre" (rilasciati attraverso la partecipazione a procedure di evidenza pubblica indette a distanza di 6 o 9 anni) e, al contempo però, introduce la liberalizzazione dell'esercizio della raccolta di scommesse c.d." a distanza";
i) la previsione di un titolo autorizzatorio il cui rilascio ex art. 88 T.U.L.P.S. è subordinato al previo ottenimento della concessione;
l) l'esistenza di un indirizzo generale di tutela dei titolari di concessioni rilasciate in epoca anteriore sulla base di procedura che illegittimamente ha escluso una parte degli operatori e ai quali è stata altresì automaticamente rilasciata l'autorizzazione per la raccolta "a distanza" (prorogata di diritto dalla Legge comunitaria n.88/99);
m) la presenza di disposizioni che garantiscono di fatto il mantenimento delle posizioni commerciali acquisite al termine di una procedura che illegittima mente ha escluso una parte degli operatori;
n) la fissazione di ipotesi di decadenza della concessione e di incameramento di cauzioni di entità molto elevata, tra le quali l'ipotesi che il concessionario gestisca direttamente o indirettamente attività transfrontaliere di gioco assimilabili a quelle oggetto della concessione;
o) la presenza di condizioni, clausole e modalità di rilascio di concessione formulate in modo poco chiaro e soggette ad arbitraria interpretazione dell'Amministrazione pubblica;
p) la previsione di un obbligo di cessione a titolo oneroso dell'uso di beni materiali e immateriali di proprietà che costituiscono la rete di gestione e di raccolta del gioco in caso di cessazione dell'attività per scadenza del termine finale della concessione.
- in via istruttoria: chiede l'assunzione di tutti i mezzi istruttori espletati nel corso del dibattimento di primo grado e la rinnovazione dei mezzi istruttori non ammessi nei precedenti .gradi di giudizio, con particolare riguardo agli elementi volti a dimostrare la discriminazione subita dal bookmaker con riferimento al Bando Monti e alle Leggi di stabilità del 2015 (L. 190/2014) e 2016 (L.208/2015), oltre all'ammissione di prova documentale costituita dal parere CdS 8.07.2020 sull'art. 1, co. 644, I. 190 del 2014, il verbale 15.12.2015 e la sentenza impugnata.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta del 26.09.2022, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
Secondo il PG, le doglianze esposte non sono condivisibili. Esse risentono della mancanza di prospettazione dei motivi di ricorso che non rappresentano vizi di legittimità, ma sottopongono questioni, addirittura quesiti, non contemplabili e non inquadrabili nell'ambito della tipologia dei vizi di legittimità elencati dall'art. 606 c.p.p. Del resto, vale evocare il principio esegetico per il quale la denunzia cumulativa, promiscua e perplessa della inosservanza, della erronea applicazione della legge penale, della mancanza, della contraddittorietà e della manifesta illogicità della motivazione rende i motivi di ricorso privi del requisito formale della specificità, prescritto dall'articolo 581, comma i , lettera c), cod. proc. pen. e sanzionato, a pena di inammissibilità dall'articolo 591, comma i, lettera c), cod. proc. pen. La giurisprudenza di legittimità ha fissato il principio di diritto secondo il quale non è ammissibile il ricorso nel quale siano prospettati vizi di motivazione se i motivi sono enunciati in forma perplessa o alternativa, essendo onere del ricorrente specificare con precisione se le censure siano riferite alla mancanza, alla contraddittorietà od alla manifesta illogicità, che vanno indicati specificamente in relazione alle parti della motivazione oggetto di gravame (Sez. 2, n. 31811 del 08/05/2012, Sardo, Rv. 254329. Così deve precisarsi per quale profilo la motiva zione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifesta mente illogica (Sez. 2, 11. 19712 del 06/02/2015, Alata, Rv. 263541). Peraltro, la tipizzazione dei motivi di ricorso per cassazione costituisce, a differenza di quelli di appello, un numerus clausus, a presidio del quale l'articolo 606, comma 3, cod. proc. pen. commina la sanzione della inammissibilità per i motivi diversi da quelli consentiti dalla legge, comporta che il generale requisito della specificità si moduli, in relazione alla impugnazione di legittimità, nel senso particolarmente rigoroso e pregnante, sintetizzato con la felice espressione della duplice specificità (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, p. 254584), in quanto è onere del ricorrente argomentare altresì la sussunzione della censura formulata nella specifica previsione normativa alla stregua della tipologia dei motivi di ricorso tassativamente stabiliti dalla legge.
La carenza della specificità è evidente nella prospettazione contestativa della sentenza impugnata senza che possa accedersi ad una chiara e ben informata enunciazione del vizio di legittimità che si dibatte tra un profilo di vizio di legge e di motivazione, non specificamente rappresentato e con una mescolanza di doglianze difficilmente inquadrabili.
Ad ogni buon conto vale qui rappresentare che la sentenza offre un apprezzabile ragionamento sulla non violazione delle norme applicative in materia. Il ricorso, con cui si chiede, in via principale l'annullamento dell'impugnata sentenza, resa in doppia conforme, previa disapplicazione della legge nazionale e, in via subordinata, attraverso la rimessione di questione pregiudiziale alla CGUE al fine di verificare la compatibilità della norma nazionale con le norme funzionali e indicate nel ricorso del Trattato UE, non è condivisibile. Le doglianze riguarda le sentenze di merito conformi, in quanto i Giudici ne avrebbero erroneamente applicato la legge penale (art. 4 comma 1 e 4 bis della legge n. 401 del 1989) senza affrontare la questione giudica della compatibilità della stessa con la giurisprudenza comunitaria. Esse deducono in particolare che il provvedimento avrebbe omesso di verificare la discriminazione a carico del bookmaker straniero, illegittimamente discriminato dal bando Monti. In ragione di ciò, in applicazione della interpretazione vincolante data alle norme del trattato dalla Corte di Giustizia CE, si doveva procedere alla disapplicazione della norma penale interna in contrasto con questa o, in subordine, doveva essere sollevata questione pregiudiziale.
Va evidenziato che l'attività legata alle scommesse lecite è soggetta a concessione rilasciata dalla Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato e, una volta ottenuta tale autorizzazione, deve essere rilasciata la licenza di pubblica sicurezza, di cui all'art. 88 del TULPS, con la conseguenza che il reato di cui all'art. 4 comma 4 bis della legge 13 dicembre 1989, n. 401 (svolgimento di attività organizzata per la accettazione e raccolta anche per via telefonica e telematica di scommesse o per favorire tali condotte) è integrato da qualsiasi attività, comunque organizzata, attraverso la quale si eserciti, in assenza di concessione, autorizzazione o licenza ai sensi del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 88 (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), una funzione intermediatrice in favore di un gestore di scommesse, a nulla rilevando l'esistenza di abilitazione in capo al gestore stesso (S.U., n. 23271 del 26/04/2004, Corsi, Rv. 227726). Consegue che per il rilascio delle autorizzazioni' ex 88 citato, in favore dei titolari di una concessione, le irregolarità commesse nell'ambito della procedura di concessione esplicano effetti per l'autorizzazione allo svolgimento dell'attività.
Pertanto, in mancanza della concessione e della licenza, per escludere la configurabilità della fattispecie incriminatrice, occorre la dimostrazione che l'operatore estero non abbia ottenuto le necessarie concessioni o autorizzazioni a causa di illegittima esclusione dalle gare (Sez. 3, n. 40865 del 20/09/2012, Maiorana, Rv. 253367) o per effetto di un comportamento comunque discriminatorio tenuto dallo Stato nazionale nei confronti dell'operatore comunitario. Si è così stabilito che non è configurabile il reato di cui alla legge 401 del 1989, art. 4, la raccolta di scommesse. in assenza di licenza di pubblica sicurezza da parte di soggetto che operi in Italia per conto di operatore straniero cui la licenza sia stata negata per illegittima esclusione dai bandi di gara e/o mancata partecipazione a causa della non conformità, nell'interpretazione della Corte di giustizia CE, del regime concessorio interno agli artt. 43 e 49 del Trattato CE (Sez. 3, n. 37851 del 4/6/2014, Parrelli, Rv. 260944; Sez. 3, n. 12335 del 7/1/2014, Ciardo, Rv. 259293).
Tali presupposti, come adeguatamente motivato, non ricorrerebbero nella specie. Secondo il PG i Giudici di merito avrebbero rilevato correttamente che non si ravvisa, nel caso concreto, alcun profilo di non compatibilità del c.d. bando Monti con le norme del TFUE. Inoltre, come riconosciuto anche dalla giurisprudenza di legittimità, si deve tener conto che il bookmaker internazionale, nella specie, non ha aderito alla procedura di emersione di cui alla legge di stabilità 2015, non presentando la relativa domanda, non sussistendo, come sopra richiesto, alcun trattamento discriminatorio. Del resto , opportunamente il giudice di primo grado aveva esposto che "appare irrilevante la circostanza per cui la SDT non avrebbe richiesto l'emersione in quanto -a suo dire avrebbe regolarmente corrisposto l'importo negli anni precedenti, visto che l'art. 1 comma 643 prevede espressamente che il primo e imprescindibile passo per ottenere la sanatoria debbo essere la presentazione della domanda con il contestuale pagamento della somma di euro 10.000, a prescindere dalla regolarità della posizione fiscale degli anni precedenti. Quanto alla operatività del successivo comma 644, lo stesso non legittima l'esercizio dell'attività di raccolta di scommesse, ed anzi fa espressamente salve le norme penali per cui è processo... "
I Giudici di merito si conformerebbero al principio esegetico (Sez. III n. 13269 del 25.2.2021) che evidenzia la compatibilità dell'art. 88 Tulps con le norme del Trattato CE , non solo per la lettera della norma ma anche per i richiami dell'art. 2, comma 1 ter, d.l. 25 marzo 2010, n. 40, convertito con I. n. 73 del 2010, in base al quale "l'articolo 88 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che la licenza ivi prevista, ove rilasciato per esercizi commerciali nei quali si svolge l'esercizio e la raccolta di giochi pubblici con vincita in denaro, è da intendersi efficace solo a seguito del rilascio ai titolari dei medesimi esercizi di apposita con cessione per l'esercizio e la raccolta di tali giochi da parte del Ministero dell'economia e delle finanze - Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato"".
In definitiva, è ampiamente consolidato il principio di legittimità per il quale integra il reato previsto dall'art. 4 legge 13 dicembre 1989, n. 401, la raccolta di scommesse su eventi sportivi da parte di un soggetto che compia attività di inter mediazione per conto di un allibratore straniero senza il preventivo rilascio della prescritta licenza di pubblica sicurezza o la dimostrazione che l'operatore estero non abbia ottenuto le necessarie concessioni o autorizzazioni a causa di illegittima esclusione dalle gare.
La sentenza censurata evoca l'elemento fattuale per il quale il bookmaker straniero alla data dei fatti incriminati non era legittimato ad operare in Italia, essendo privo della concessione nazionale e -peraltro- non avendo neppure partecipato alle gare del c.d. bando Monti del 2012. E' noto che, la giurisprudenza di legittimità ha da tempo affermato il principio per il quale, in osservanza dei principi enunciati dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, a partire dalle note sentenze Placanica e Costa-Cifone, non integra il reato di cui all'art. 4 legge 401 del 1989, la raccolta di scommesse in assenza di licenza di pubblica sicurezza da parte del soggetto che opera in Italia, per conto di un operatore straniero, la cui licenza sia stata negata per illegittima esclusione dei bandi di gara mancata partecipazione a causa della non conformità del regime concessorio interno agli articoli 43 e 49 del Trattato UE (Sez. 3 n. 23 gennaio 2013 numero 12.630, Antelli).
Ne consegue che presupposto indispensabile è la prova che il soggetto che svolge attività organizzata di intermediazione per l'accettazione la raccolta di scommesse il favore di un allibratore straniero non abbia potuto ottenere in Italia l'autorizzazione a causa della mancata concessione in capo all'operatore straniero per effetto della discriminazione operata nei suoi confronti dalla normativa interna. La qual cosa è esclusa nella specie.
Anche il profilo dell'elemento soggettivo è argomentato nel provvedimento impugnato. Va evidenziato , ancora, che per il rinvio pregiudiziale contravviene la considerazione per la quale la Corte di giustizia in particolare, nel rispondere alla questione pregiudiziale posta nel caso specifico, ha dichiarato che gli artt. 49 e 56 TFUE ostano a una disposizione nazionale restrittiva la quale impone al concessionario di cedere a titolo non oneroso, all'atto della cessazione dell'attività per scadenza del termine della concessione, l'uso dei beni materiali e immateriali di proprietà che costituiscono la rete di gestione e raccolta del gioco, qualora detta restrizione ecceda quanto è necessario al raggiungimento dell'obiettivo effettivamente perseguito da detta disposizione, circostanza che spetta al Giudice del rinvio verificare.
In definitiva la Corte impone di valutare, caso per caso, se la suddetta disposizione restrittiva abbia potuto realmente fungere da deterrente alla partecipazione alla gara, in termini tali da integrare una restrizione al diritto di stabilimento e/o di libera prestazione di servizi, eccessiva e sproporzionata rispetto all'obiettivo perseguito. Nella specie, non v'è tale illegittima restrizione/violazione del diritto di stabilimento e/o di libera prestazione di servizi nei confronti del bookmaker straniero, con effetti a caduta sul mancato ottenimento della concessione e sul mancato ottenimento della autorizzazione di polizia per i soggetti che per esso operano.
In primo luogo, infatti la clausola restrittiva che impone al concessionario la cessione dei beni a titolo non oneroso, andava a colpire tutti i soggetti che potenzialmente potevano presentare domanda di partecipazione al bando, sia italiani che stranieri, ponendoli sullo stesso piano, senza discriminazione a carico degli operatori esteri. Come riferisce la sentenza, in altri termini, manca la prova che la decisione di non partecipare al bando Monti, che avrebbe consentito di ottenere la concessione per poter legittimamente operare in Italia, sia stata dettata dalla suddetta previsione del bando e non sia riconducibile - invece - ad una strategica scelta aziendale.
Motivi della decisione
1. Il congiunto ricorso è inammissibile.
2. Può senz'altro procedersi alla trattazione congiunta del primo e del quarto motivo di ricorso, attesa l'intima connessione dei profili di doglianza.
I motivi sono inammissibili in quanto ripropongono questioni di diritto già costantemente decise dalla giurisprudenza sovranazionale e nazionale in senso opposto rispetto a quanto sostenuto dalla difesa.
Come noto, la normativa amministrativa prevede che le attività di raccolta e di gestione delle scommesse siano esercitabili solo da soggetti che abbiano ottenuto al termine di una pubblica gara una delle concessioni, di cui lo Stato fissa il numero complessivo. I medesimi soggetti debbono ottenere anche un'autorizzazione di polizia che, ai sensi dell'art. 88 T.U.L.P.S., «può essere concessa esclusivamente a soggetti concessionari o autorizzati da parte di Ministeri o altri enti ai quali la legge riserva la facoltà di organizzazione e gestione delle scommesse, nonché a soggetti incaricati dal concessionario o dal titolare di autorizzazione in forza della stessa concessione o autorizzazione».
La proposta al pubblico di giochi d'azzardo senza concessione o autorizza zione di polizia è sanzionata penalmente ai sensi dell'art. 4, comma 4 bis, L. 401/1989.
2.1. La questione concernente la compatibilità di tale normativa con gli artt. 49 e 56 TFUE è già stata affrontata e risolta positivamente dalla CGUE, che, inter rogata specificatamente sul punto, con la sentenza "Biasci" del 12/09/13, ha espressamente affermato che i principi europei di libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi non ostano a una normativa nazionale, come quella italiana, che, al fine di contrastare la criminalità collegata ai giochi d'azzardo, imponga alle società interessate a esercitare attività collegate ai giochi d'azzardo l'obbligo di ottenere un'autorizzazione di polizia, in aggiunta a una concessione rilasciata dallo Stato al fine di esercitare simili attività, e che limiti il rilascio di siffatta autorizza zione segnatamente ai richiedenti che già sono in possesso di una simile concessione.
La Corte di Giustizia è pervenuta a tale conclusione sul rilievo per cui l'obbiettivo perseguito dalla normativa italiana, attinente alla lotta contro la criminalità collegata ai giochi d'azzardo, è idoneo a giustificare restrizioni alle libertà fondamentali, purché tali restrizioni soddisfino il principio di proporzionalità e nella mi sura in cui i mezzi impiegati siano coerenti e sistematici (punto 23 sentenza Bia sci).
Orbene, rispetto all'obbiettivo perseguito dal legislatore italiano, la CGUE ha ritenuto non sproporzionata in sé la circostanza che un operatore debba di sporre sia di una concessione sia di un'autorizzazione di polizia per poter accedere al mercato di cui trattasi (punto 27 sentenza Biasci). Tuttavia - ha proseguito la Corte - poiché le autorizzazioni di polizia sono rilasciate unicamente ai titolari di una concessione, irregolarità commesse nell'ambito della procedura di concessione di queste ultime vizierebbero anche la procedura di rilascio di autorizzazioni di polizia, perciò la mancanza di autorizzazione di P.S. non potrà essere addebitata a soggetti che non siano riusciti a ottenere tali autorizzazioni per il fatto di non aver potuto conseguire l'attribuzione di una concessione in violazione del diritto dell'Unione (punto 28 sentenza Biasci).
La stessa Corte, con un precedente arresto (sentenza 16 febbraio 2012, Costa-Cifone, C-72/10 e C-77/10), ha affermato che quando una società estera svolge attività di gestione e raccolta delle scommesse in Italia esclusivamente attraverso CTD - ossia locali aperti al pubblico gestiti da operatori indipendenti contrattualmente legati alla società estera, nei quali gli scommettitori possono concludere scommesse sportive per via telematica accedendo direttamente al server della società ubicata in un altro Stato membro - grava sul bookmaker comunitario l'obbligo di ottenere una concessione per l'esercizio di attività di raccolta e di gestione delle scommesse in Italia, ciò che permetterebbe ai CTD di esercitare le loro attività. In relazione a tale situazione, la CGUE ha chiarito che, in ossequio agli artt. 43 e 49 CE, non possono essere applicate sanzioni per l'esercizio di un'attività organizzata di raccolta di scommesse senza concessione o autorizzazione di polizia nei confronti di persone legate ad un operatore che era stato escluso da una gara in violazione del diritto dell'Unione.
2.2. Occorre tuttavia segnalare che questa Corte è intervenuta sul tema dell'esercizio abusivo di attività di gioco o scommessa, affermando il principio - ormai largamente consolidato - per cui qualora l'agente non si sia limitato alla mera trasmissione delle scommesse effettuate dai clienti ad un allibratore straniero, ma abbia posto in essere la condotta di cui all'art. 4, comma 4 bis, L. 401/1989 attraverso un'attività di intermediazione e raccolta diretta delle scommesse, rimane escluso ogni profilo discriminatorio nella partecipazione dell'allibratore straniero alle gare, dovendo escludersi la sussistenza di una ipotesi di servizio transfrontaliero "puro" offerto ,dall'operatore estero, sì che l'attività di esercizio di raccolta di scommesse e la conseguente necessità di titolo autorizzativo vanno individuate direttamente in capo all'operatore italiano (in tal senso, Sez.3, n.55329 del 16/07/2018 - 28/11/2018, Gambuzza, Rv. 275179 - 01; Sez.3, n.889 del 28/06/2017-dep.12/01/2018, Della Mura, Rv 271977-01; Sez.3, n.44381 del 15/09/2016 - dep.20/10/2016, Savastano, Rv.269282-01; Sez.3 n.19248 del 8/03/2012 - dep. 21/05/2012, De Rosa e altro, Rv.252623-01).
Pertanto, quando il gestore di un centro scommesse italiano affiliato a un bookmaker straniero mette a disposizione dei clienti il proprio conto-gioco, con sentendo la giocata senza far risultare chi la abbia realmente effettuata, il suo legame con detto bookmaker diviene irrilevante, configurandosi come una mera occasione per l'esercizio illecito della raccolta di scommesse (Sez.3, n.18590 del 9/01/2019-dep.3/05/2019, § 3.2 del Considerato in diritto).
Ciò che si è verificato nel caso di specie.
3. Ed infatti, venendo proprio al caso di specie, la prova dell'illecita attività di intermediazione svolta dalla (omissis) s.r.l. per conto dell'allibratore straniero risulta pacificamente dalla sentenza impugnata, laddove si dà atto che la Guardia di Finanza, in occasione dell'accertamento operato presso l'esercizio dei ricorrenti, ha accertato che si trattava di una vera e propria sala scommesse e, soprattutto, che all'interno dei locali l'attività di raccolta scommesse era stata concretamente realizzata e che non si trattava pertanto di un CTD.
Del resto, anche dall'atto di impugnazione proposto in sede di legittimità (p.2 e p.24) si ricava che i ricorrenti, oltre a svolgere attività di promozione e commercializzazione in favore del bookmaker comunitario - favorendo l'apertura di un "conto-gioco" e creando così un rapporto diretto tra scommettitore e book maker - svolgevano anche attività di intermediazione telematica, diretta alla raccolta delle scommesse c.d. anonime, ossia di coloro che non avevano un conto gioco personale.
Conseguentemente, le vicende della Sogno di Tolosa Ltd e le discrimina zioni che questa avrebbe subito in ragione del "bando Monti 2012", quand'anche accertate, sarebbero del tutto irrilevanti nel caso di specie, in quanto l'attività di esercizio di raccolta di scommesse e la conseguente necessità di titolo autorizzativo vanno individuate direttamente in capo all'operatore italiano.
Conferma ciò la circostanza per cui l'attività di intermediazione nella raccolta delle scommesse, oltre a poter configurare reato ex art. 4, comma 4 bis, L.401/1989 - anche quando è posta in essere per conto di un concessionario autorizzato - è espressamente vietata, in ogni sua forma, dall'art.2, comma 5, del regolamento disciplinante le scommesse di cui al D.M. n.111/2006. Dunque, la raccolta di scommesse, anche quando ha luogo mediante strumenti telematici, può avvenire lecitamente solo se posta in essere da parte di soggetti titolari di concessione, non essendo ammesso che soggetti terzi raccolgano le scommesse per conto di concessionari o titolari di reti svolgendo una mera intermediazione (Così, in motivazione, Sez.3, n.889 del 28/06/2017-dep.12/0l/2018, Della Mura, §8; si v., ancora, più di recente Sez. 3, n. 42156 del 15/09/2012 - dep. 18./11/2021, Bertora, n.m. nonché Sez. 3, n. 25439 del 09/07/2020 - dep. 09/09/2020, Rv. 279869 - 01, che ha opportunamente evidenziato come qualora il gestore di un centro scommesse italiano affiliato ad un bookmaker straniero metta a disposizione dei clienti il proprio conto-gioco o un conto-gioco intestato a soggetti di comodo, consentendo la giocata senza far risultare chi l'abbia realmente effettuata, è configurabile il reato "de quo", èssendosi realizzata un'illegittima intermediazione nella raccolta delle scommesse che rende irrilevante il rapporto intercorrente fra il centro italiano di raccolta delle scommesse e l'allibratore straniero, costituendo una mera occasione della condotta illecita imputabile esclusivamente all'operatore italiano).
Per quanto sopra, non si ritiene censurabile la sentenza impugnata nella parte in cui, proprio valorizzando l'esito dell'accertamento operato dalla Guardia di Finanza presso l'esercizio dei ricorrenti, ha confermato la responsabilità penale degli stessi per il fatto oggetto di contestazione a prescindere da un'illegittima esclusione della Sogno di Tolosa Ltd dai bandi di gara per il rilascio delle concessioni.
4. Poiché il profilo discriminatorio fatto valere con il primo, il quarto (ed implicitamente anche con il secondo) motivo di ricorso non assume alcun rilievo nel caso di specie, anche la doglianza inerente alla mancata assunzione da parte della Corte di Appello dei documenti atti a dimostrare la discriminazione subita dal bookmaker si presenta inammissibile per mancanza del carattere di decisività della prova. In tema di ricorso per cassazione, infatti, deve ritenersi "decisiva", secondo la previsione dell'art. 606, comma primo, lett. d), cod. proc. pen., la prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia ovvero quella che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante (Sez. 3, n. 9878 del 21/01/2020 - dep. 12/03/2020, R.,Rv. 278670 - 01).
5. Anche il secondo motivo di ricorso non supera il vaglio di ammissibilità.
Per i motivi sopra già esplicitati, non assume alcun rilievo nel caso di specie la discriminazione che il bookmaker maltese avrebbe subito per causa della sanatoria introdotta dall'art. 1, comma 643, L. 190/2014 e prorogata dall'art. 1, comma 926, L. 208/2015.
Del resto, non è nemmeno condivisibile l'asserzione difensiva per cui, in ogni caso, l'attività svolta dai due ricorrenti dovrebbe ritenersi lecita, in quanto autorizzata ex art. 1, comma 644, L.190/2014.
A tal riguardo, la giurisprudenza di legittimità è ferma del ritenere che la sottoposizione dell'operatore al regime previsto dall'art. 1, comma 644, L.190/2014 non esplica alcun effetto sanante sull'illecito penale (Sez.3, n.13269 del 25/02/2021 - dep. 9 aprile 2021, Scarci, §12 del Considerato in diritto; Id., Sez.3, n.18498 del 25/01/2017- dep.13/04/2017, Armenio, Rv. 269694; Id., Sez.3, n.45488 del 15/09/2016 - dep. 28/10/2016, Ragone).
5.1. Ciò, d'altronde, si ricava dallo stesso tenore letterale della norma in questione: l'art. 1, comma 644, L.190/2014, infatti, si riferisce proprio ai soggetti che non aderiscono alla sanatoria di cui la precedente comma e a quelli che, pur avendovi aderito, ne sono decaduti. Nei confronti di tali categorie di soggetti, il comma 644, lungi dal sancire la sopravvenuta inutilità dei titoli concessori, fa espressamente salva l'applicazione della norma penale di cui all'art. 4, comma 4 bis, L. 401/1989 e configura una serie di obblighi e divieti specificatamente sanzionati in via amministrativa, tra cui, alla lett. e), l'obbligo di comunicare al Questore territorialmente competente i propri dati anagrafici e l'esistenza dell'attività di raccolta di gioco con vincita in denaro.
Ne consegue che, l'attività dei soggetti di cui al richiamato comma 644 - fra i quali rientrano gli attuali ricorrenti - non può essere ritenuta consentita per ché si tratta di un'attività che, a differenza di quella svolta dai soggetti che hanno aderito al regime di regolarizzazione di cui al comma 643, non è stata sottoposta ad alcuna sanatoria, essendo ogni efficacia sanante espressamente esclusa dalla stessa formulazione del comma 644, il quale prevede - come visto - la persistente illiceità penale dell'attività in questione (così, Sez.3, n.34815 del 20/01/2017 - dep.17/07/2017, V., § 4.3; Id., Sez. 3, n. 18498 del 25/01/2017 - dep. 13/04/2017, Armenio, Rv. 269694 - 01; Id., Sez. 3, n. 30994 del 5/04/2016 -dep.20/07/2016, Cautillo).
5.2. Per quanto sopra, non si ritiene manifestamente illogica la sentenza impugnata nel passaggio in cui ha confermato la responsabilità dei ricorrenti a prescindere dalla loro adesione alla procedura ex art.1, comma 644 L.190/2015.
Come già chiarito, infatti, né l'asserita illegittima esclusione della Sogno di Tolosa Ltd. dalla sanatoria di cui all'art. 1, comma 643, L. 190/2015 né la comunicazione che, ai sensi dell'art. 1, comma 644, L.190/2015, i ricorrenti e, segnatamente, il P., hanno trasmesso al Questore in ordine all'attività svolta, costituiscono elementi idonei ad escludere la rilevanza penale della condotta loro contestata.
6. Anche il terzo motivo di ricorso non supera il vaglio di ammissibilità.
È insegnamento costante della Corte di Cassazione quello per cui il "dovere di informazione", attraverso l'espletamento di qualsiasi utile accertamento per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia, è particolarmente rigoroso per coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali dunque rispondono dell'illecito anche in virtù di una culpa levis nello svolgi mento dell'indagine giuridica. Per l'affermazione della scusabilità dell'ignoranza occorre dunque che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l'agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell'interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto (per tutte: S.U., n.854 del 10/06/1994 - dep. 18/07/1994, P.G. in proc. Calzetta, Rv.197885).
Conseguentemente, grava su chi intende svolgere un'attività commerciale l'obbligo di acquisire preventivamente conoscenza della normativa applicabile in quel settore, sicché, qualora deduca la propria buona fede, non può limitarsi ad affermare l'incertezza derivante da contrastanti orientamenti giurisprudenziali nell'interpretazione e nell'applicazione della norma, la quale non abilita da sola ad invocare la condizione soggettiva d'ignoranza evitabile della legge penale. Piuttosto, il dubbio sulla liceità o meno della condotta deve indurre il soggetto ad un atteggiamento più attento fino cioè, secondo quanto affermato dalla sent. n.364 del 1988 della Corte Costituzionale, all'astensione dall'azione se, nonostante tutte le informazioni assunte, permanga incertezza sulla liceità o meno dell'azione stessa, dato che il dubbio, non essendo equiparabile allo stato d'inevitabile ed invincibile ignoranza, è inidoneo ad escludere la consapevolezza dell'illiceità (Sez. 2, n. 46669 del 13/11/11, P.G. in proc. De Marsi, Rv.252197).
6.1. Venendo al caso di specie, come già si è avuto modo di esplicitare, la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che, in caso di attività di inter mediazione e raccolta diretta delle scommesse per conto di un allibratore straniero, la necessità di titolo autorizzativo va individuata direttamente in capo all'operatore italiano e la sottoposizione dell'operatore al regime previsto dall'art. 1, comma 644 L.190/2014 non esplica alcun effetto sanante sull'illecito penale di cui all'art. 4, comma 4 bis, L.401/89.
La Corte di Appello, dunque, ha correttamente ritenuto che gli imputati non versassero in una situazione di ignoranza inevitabile anche perché, quand'anche fosse rimasto in capo ai medesimi qualche dubbio in ordine ai titoli necessari per lo svolgimento della propria attività, gravava comunque sugli attuali ricorrenti, in veste di soggetti che svolgono professionalmente un'attività commerciale, l'obbligo rigoroso di informazione.
7. In relazione alle questioni pregiudiziali (ed a quelle di costituzionalità) prospettate dalla difesa, si rileva quanto segue.
Ai sensi dell'art. 267 T.F.U.E., come interpretato dalla Corte di Giustizia, "una giurisdizione le cui decisioni non sono impugnabili secondo l'ordinamento in terno è tenuta, qualora una questione di diritto comunitario si ponga dinanzi ad essa, ad adempiere il suo obbligo di rinvio, salvo che non abbia constatato che la questione non è pertinente, o che la disposizione comunitaria di cui è causa ha già costituito oggetto di interpretazione da parte della Corte, ovvero che la corretta applicazione del diritto comunitario si impone con tale evidenza da _non lasciar adito a ragionevoli dubbi" (CGUE, 6 ottobre 1982, Cilfit, C-283/81).
Ciò posto, non può non rilevarsi che le questioni pregiudiziali proposte dalla difesa attengono alla legittimità euro-unitaria della disciplina nazionale in materia di giochi e scommesse rispetto-alla posizione del bookmaker maltese Sogno di Tolosa Ltd.
Tuttavia nel caso di specie, come già chiarito, l'attività di esercizio di raccolta di scommesse e la conseguente necessità di titolo autorizzativo vanno individuate direttamente in capo all'operatore italiano, la (omissis) s.r.l. e, per essa, in capo agli attuali ricorrenti, a nulla rilevando le vicende della società Sogno di Tolosa Ltd e le discriminazioni da essa asseritamente subite per causa del c.d. "decreto Bersani", del c.d. "decreto Monti" e della sanatoria introdotta dalla Legge di stabilità 2015, prorogata dalla Legge di stabilità 2016.
Conseguentemente le questioni proposte appaiono prive del carattere della "rilevanza" rispetto alla risoluzione del caso concreto dal momento che il loro esito non inciderebbe in alcuri modo sul giudizio di colpevolezza della ricorrente per il reato oggetto di contestazione. Ciò preclude, parimenti, ogni valutazione finalizzata a sottoporre _allo scrutinio di costituzionalità le norme denunciate, difettando il requisito della rilevanza nel giudizio a quo.
7.1. Non solo, dall'odierno ricorso (p.34) si ricava che la (omissis) s.r.l. ha cessato l'attività. Le questioni pregiudiziali prospettate dalla difesa, dunque, oltre a non poter in nessun caso incidere sulla posizione degli attuali ricorrenti rispetto al reato contestato, attengono ad un settore dal quale gli stessi, per espressa ammissione contenuta nel ricorso, si sono ormai professionalmente allontanati.
Tali circostanze conducono ad un giudizio di inammissibilità delle questioni prospettate, per carenza di un interesse concreto ed attuale ad impugnare.
Ai sensi dell'art. 568, comma 4, c.p., infatti, perché l'impugnazione sia ammissibile è necessario che la parte abbia interesse ad impugnare; sul punto la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che «In tema di impugnazioni, il riconoscimento del diritto al gravame è subordinato alla presenza di un interesse immediato, concreto ed attuale a rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale di cui si contesta la correttezza e a conseguire un'utilità, ossia una decisione dalla quale derivi per il ricorrente un risultato più vantaggioso» (Sez. 1, n. 8763 del 25/11/2016 - dep. 22/02/2017, Attanasio, Rv. 269199 - 01).
8. Quanto sopra, pertanto, se da un lato esclude qualsivoglia necessità di rimessione alla Corte di Giustizia ai sensi dell'art. 268 TFUE (attesa la presenza di reiterate pronunce della medesima Corte di Giustizia intervenuta a chiarire in più occasioni i profili di legittimità-illegittimità dei bandi susseguitisi, ossia il c.d. bando Bersani ed il c.d. Bando Monti), vi è la considerazione assorbente e tranchant per cui, in presenza di una declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, non è accoglibile la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia in quanto viene in rilievo un difetto di rilevanza della questione, potendo infatti il giudice unionale rifiutarsi di statuire su domande in via pregiudiziale se è manifesto che l'interpretazione richiesta non ha rapporto con l'effettività o l'oggetto del giudizio principale (Cass. civ., Sez. U, n. 10107 del 16/04/2021, Rv. 661209 - 02).
Trattasi, quest'ultima, di giurisprudenza che, sebbene espressione di un orientamento formatosi nella giurisprudenza di legittimità civilistica, ben può es sere applicata per identità di ratio anche nel parallelo giudizio di legittimità in sede penale, soprattutto alla luce della più recente giurisprudenza della Corte di Giusti zia che (sebbene sopravvenuta alla decisione del presente ricorso, ma nelle more della stesura della decisione) ha affermato, per quanto qui di interesse, che "l'articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso éhe un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno deve adempiere il proprio obbligo di sottoporre alla Corte una questione relativa all'interpretazione del diritto dell'Unione sollevata dinanzi ad esso, a meno che constati che tale questione non è rilevante o che la disposizione di diritto dell'Unione di cui trattasi è già stata oggetto d'interpretazione da parte della Corte o che la corretta interpretazione del diritto dell'Unione s'impone con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi" (Corte giust. UE, 6 ottobre 2021, C-561/19, Consorzio Italian Management, Catania Multiservizi S.p.A. c. Rete Ferroviaria Italiana S.p.A.).
9. Infine, anche le richieste di assoluzione e le richieste istruttorie avanzate dalla difesa non meritano accoglimento, in quanto di per sé stesse incompatibili con il Giudizio di legittimità.
10. Per quanto riguarda la richiesta declaratoria di non punibilità per parti colare tenuità del fatto ex art. 131 bis cod. pen., tale questione è stata dedotta dalla difesa nel precedente grado di giudizio.
I giudici di appello, nel pronunciarsi sulla questione (pag. 6 sentenza impugnata), hanno escluso trattarsi di un fatto "bagatellare" tale da rientrare nell'ambito di applicazione della speciale causa di non punibilità, tenuto conto di una circostanza ritenuta rilevante, ossia che anche dopo il controllo del 15.12.2015 e nonostante l'espresso rigetto della richiesta di rilascio dell'autorizzaizone di polizia, i due attuali ricorrenti hanno consapevolmente proseguito, senza alcuna modifica in positivo del quadro normativo, l'attività per la quale erano stati denunciati dalla G.d.F., ciò che esclude, per i giudici di appello, che il fatto possa rientrare nel concetto della "particolare tenuità".
10.1. Al cospetto di tale logico apparato argomentativo sul punto, non può non rilevarsi che il ricorso, per le ragioni sopra esplicitate, si presenta manifesta mente infondato, né si ravvisano ictu oculi i presupposti per l'applicazione dell'istituto.
Ai fini dell'applicabilità dell'art. 131 bis, cod. pen., infatti, non assume alcun valore l'avvenuta cessazione dell'attività illecita da parte dei ricorrenti. Piuttosto, la circostanza evidenziata dalla sentenza impugnata (ossia, la ripetitività dei profitti illeciti caratteristici della condotta contestata), sono ostativi in ogni caso al riconoscimento della non punibilità ex art. 131-bis, cod. pen. (cfr., per l'esclusione dell'art. 131-bis, c.p., in caso di reiterazione della condotta illecita: Sez. 6, n. 20941 del 20/04/2022 - dep. 27/05/2022, Rv. 283304; Sez. 1, n. 1523 del 05/11/2018 - dep. 14/01/2019, Rv. 274794).
11. A norma dell'art. 616, cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali e, conseguentemente, al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.