
Tale dichiarazione deve evidenziare in modo chiaro ed univoco sia il documento che si intende contestare, sia gli aspetti differenziali di quello prodotto rispetto all'originale.
In un giudizio avente ad oggetto l'opposizione avverso l'intimidazione di un avviso di pagamento dei crediti contributivi INPS, l'opponente ricorre in Cassazione censura la sentenza impugnata per non aver ritenuto specifico il disconoscimento operato in primo grado
Svolgimento del processo
1. la Corte d’Appello di Roma, con la sentenza impugnata, ha respinto l’appello proposto da V.C. nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, dell’INPS e di SCCI Spa, avverso la sentenza del Tribunale che aveva rigettato l’opposizione avverso l’intimazione di un avviso di pagamento ed i relativi avvisi di addebito “recanti crediti contributivi Inps con sanzioni e accessori”;
2. per quanto qui ancora interessa, la Corte ha condiviso l’assunto del primo giudice secondo il quale gli avvisi di addebito, contrariamente a quanto affermato dall’opponente, erano stati ritualmente notificati, “come risultava dai documenti depositati in copia dall’INPS”, e “il disconoscimento di tali copie agli originali operato dall’opponente era generico”; la Corte ha rammentato la giurisprudenza di legittimità in base alla quale “la contestazione della copia per non conformità all'originale, per non essere generica, deve investire i profili della pretesa falsificazione e deve essere compiuta, a pena di inefficacia, mediante una dichiarazione che evidenzi in modo chiaro ed univoco sia il documento che si intende contestare, sia gli aspetti differenziali di quello prodotto rispetto all'originale, non essendo invece sufficienti né il ricorso a clausole di stile né generiche asserzioni”;
la Corte ha aggiunto che, laddove doveva ritenersi specifico il disconoscimento, non di meno le copie prodotte avrebbero conservato il loro valore probatorio, stante la “vaghezza delle deduzioni dell'appellante e la produzione da parte dell'appellato Inps delle copie degli avvisi di ricevimento delle notifiche avvenute a mezzo posta”, quale “prova presuntiva della conformità agli originali e, conseguentemente, anche della esistenza di questi ultimi”;
3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il C. con un motivo; non hanno svolto attività difensiva gli intimati;
4. la proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza camerale;
parte ricorrente ha comunicato memoria;
Motivi della decisione
1. con il motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2712 e 2719 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., criticando la sentenza impugnata per non aver ritenuto specifico il disconoscimento operato in primo grado ai sensi dell’art. 2719 c.c. laddove il procuratore dell’opponente deduceva in udienza: “disconosce la documentazione depositata da INPS ex art. 2719 c.c. in quanto non ritiene esistente alcun originale delle copie prodotte”;
2. il Collegio giudica il ricorso infondato, sulla scorta di taluni precedenti di questa Corte cui si presta adesione, resi in giudizi in cui sono state utilizzate analoghe formule di disconoscimento (in particolare, v. Cass. n. 19855 del 2020 e Cass. n. 16836 del 2021);
2.1. rappresenta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione secondo cui, in tema di prova documentale, l'onere di disconoscere la conformità tra l'originale di una scrittura e la copia fotostatica della stessa prodotta in giudizio, pur non implicando necessariamente l'uso di formule sacramentali, va assolto mediante una dichiarazione di chiaro e specifico contenuto che consenta di desumere da essa in modo inequivoco gli estremi della negazione della genuinità della copia, senza che possano considerarsi sufficienti, ai fini del ridimensionamento dell'efficacia probatoria, contestazioni generiche o onnicomprensive (tra molte: Cass. n. 28096 del 2009; tra le recenti:
Cass. n. 9533 del 2022);
invero il disconoscimento delle copie fotostatiche, ai sensi dell'art. 2719 c.c., impone che la contestazione della conformità delle stesse all'originale venga compiuta, a pena di inefficacia, mediante una dichiarazione che evidenzi in modo chiaro ed univoco sia il documento che si intende contestare, sia gli aspetti differenziali di quello prodotto rispetto all'originale, non essendo sufficienti né il ricorso a clausole di stile né generiche asserzioni (ex plurimis: Cass. n. 16557 del 2019; Cass. n. 14279 del 2021);
in particolare, il disconoscimento deve contenere l'indicazione delle parti in cui la copia sia materialmente contraffatta rispetto all'originale; oppure le parti mancanti e il loro contenuto; oppure, in alternativa, le parti aggiunte; a seconda dei casi, poi, la parte che disconosce deve anche offrire elementi, almeno indiziari, sul diverso contenuto che il documento presenta nella versione originale (in termini: Cass. n. 16836 del 2021 con la giurisprudenza ivi citata);
ciò posto, la sentenza impugnata ha risolto la questione in diritto in modo conforme alla giurisprudenza richiamata, ritenendo, nel caso di specie, che il disconoscimento operato dall’opponente in primo grado fosse privo dei requisiti necessari e – secondo questa Corte - tale “valutazione costituisce giudizio di fatto riservato al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità” (così Cass. n. 1324 del 2022; conf. Cass. n. 2033 del 2022);
2.2. il ricorrente per cassazione, a sostegno della censura, invoca talune pronunce di questa Corte che hanno ritenuto efficace il disconoscimento “quando si neghi l’esistenza stessa di un originale” (Cass. n. 21054 del 2020; Cass. n. 24207 del 2021; Cass. n. 3126 del 2022; Cass. n. 13323 del 2022);
fermo restando il rilievo che precede sui limiti al sindacato di questa Corte, l’assunto non può comunque essere condiviso;
in realtà i precedenti citati richiamano tralaticiamente un’affermazione incidentale contenuta nella motivazione di Cass. n. 7775 del 2014 che ha natura di obiter dictum;
infatti il principio di diritto statuito dalla pronuncia citata, al quale la Corte del rinvio in quell’occasione era obbligata a uniformarsi, era il seguente: “La contestazione della conformità all'originale d'un documento prodotto in copia non può avvenire con clausole di stile e generiche, quali ’impugno e contesto’ ovvero ‘contesto tutta la documentazione perché inammissibile ed irrilevante’, ma deve avvenire in modo chiaro e circostanziato, attraverso l'indicazione specifica sia del documento che si intende contestare, sia degli aspetti per í quali si assume differisca dall'originale. In mancanza di tali requisiti la contestazione è priva di effetti”; principio, pertanto, del tutto coerente con gli arresti consolidati di questa Corte, senza alcun riferimento alla contestazione concernente la negazione dell’esistenza dell’originale; un tale inciso è effettivamente contenuto nel corpo della motivazione, ma non è sorretto da alcun supporto giustificativo volto a spiegare la ragione per cui la mera negazione dell’esistenza dell’originale debba considerarsi, automaticamente ed ineluttabilmente, idonea a produrre gli effetti di cui all’art. 2719 c.c.;
in realtà, il Collegio reputa che il meccanismo di cui alla disposizione codicistica, che attribuisce alle copie fotografiche la stessa efficacia delle autentiche, è testualmente riferibile alle ipotesi in cui un “originale” esista, tanto da equiparare il “disconoscimento” della conformità della copia alla conformità “attestata da pubblico ufficiale”; proprio in ragione della presenza di un “originale” si può parlare di “copia”, rispetto alla quale è possibile ipotizzare le difformità che devono essere denunciate specificamente, indicando le parti mancanti, oppure, le parti aggiunte ed offrendo elementi, almeno indiziari, sul diverso contenuto che il documento presenti nella versione originale, comunque esistente; ipotesi logicamente diversa è, invece, quella in cui si neghi che un originale esista e che, conseguentemente, il documento fotografico prodotto sia il frutto di una dolosa contraffazione; sicché una contestazione siffatta, in mancanza della puntuale indicazione di elementi, quanto meno indiziari, idonei ad accreditare l’assunto della materiale integrale falsità della copia prodotta (cfr. Cass. n. 19855/2020 cit.), è valutabile come una generica deduzione difensiva, che non impedisce al giudice del merito di utilizzare la fotocopia prodotta per formare il proprio convincimento;
ancora di recente il principio di diritto così come espresso nella sentenza n. 7775/2014 cit. è stato, negli stessi termini, ribadito da Cass. n. 40750 del 2021, proprio a proposito della conformità all'originale delle fotocopie degli avvisi di ricevimento prodotte dal concessionario della riscossione che non può ritenersi validamente contestata con clausole di stile e generiche;
infine, non va trascurato che, in tema di notifica della cartella esattoriale, laddove l'agente della riscossione produca in giudizio copia fotostatica della relata di notifica o dell' avviso di ricevimento e l'obbligato contesti la conformità delle copie prodotte agli originali, ai sensi dell'art. 2719 c.c., il giudice, che escluda, in concreto, l'esistenza di una rituale certificazione di conformità agli originali, non può limitarsi a negare ogni efficacia probatoria alle copie prodotte, in ragione della riscontrata mancanza di tale certificazione, ma deve valutare le specifiche difformità contestate alla luce degli elementi istruttori disponibili, compresi quelli di natura presuntiva, attribuendo il giusto rilievo anche all'eventuale attestazione, da parte dell'agente della riscossione, della conformità delle copie prodotte alle riproduzioni informatiche degli originali in suo possesso (tra molte, Cass. n. 23902 del 2017; Cass. n. 23426 del 2020);
in ogni caso, poi, per pluriennale orientamento, la stessa contestazione di parte (che neghi la conformità in discorso) non vincola il giudice all'avvenuto disconoscimento della riproduzione, - così come invece avviene nel caso del disconoscimento della scrittura privata, previsto dall'art. 215, comma 1, n. 2, cod. proc. civ., - in quanto non impedisce che il giudice possa comunque accertarne la conformità all'originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (v., ex plurimis, Cass. n. 26593 del 2022; Cass. n. 1324 del 2022; Cass. n. 14950 del 2018; Cass. n. 24456 del 2011; Cass. n. 9439 del 2010; Cass. n. 4395 del 2004; Cass. n. 12598 del 2001; Cass. n. 6090 del 2000; Cass. n. 940 del 1996);
nella specie parte ricorrente neanche censura l’ulteriore ratio decidendi richiamata nello storico della lite, secondo cui, anche in presenza di un efficace disconoscimento, le copie prodotte potrebbero comunque essere ritenute conformi all’originale aliunde;
4. alla stregua di tutte le considerazioni esposte, il ricorso deve essere respinto; nulla per le spese in difetto di attività difensiva degli intimati; occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, l. n. 228 del 2012, se dovuto (Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.