Ciò significa che il giudice che riceve da una parte il denaro o un'altra utilità ovvero ne accetta la promessa rimane condizionato inevitabilmente nei suoi orientamenti valutativi e la soluzione del caso, nonostante sia formalmente corretta, soffre comunque dell'inquinamento metodologico a monte.
Il Tribunale di Salerno accoglieva parzialmente l'appello proposto dal P.M. applicando nei confronti dell'avvocato la misura cautelare interdittiva del divieto di esercitare la professione forense per un anno. A fondamento della decisione, il fatto che l'avvocato fosse indagato per il reato di corruzione in atti giudiziari per aver corrotto il Presidente...
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Salerno, in parziale accoglimento dell'appello proposto dal Pubblico Ministero, ha applicato nei riguardi dell'avv. M.M. la misura cautelare interdittiva del divieto di esercitare la professione forense per dodici mesi.
M.M. è indagato per il reato di corruzione in atti giudiziari per avere corrotto il dott. M.P., Presidente della Corte di assise di appello di Catanzaro preposta a giudicare l'imputato P.F., condannato in primo grado alla pena di trenta anni per concorso- in qualità di mandante - nell'omicidio di L.B., avvenuto a Castrovillari il 3.1.2012.
M.P. avrebbe ricevuto il 30.5.2019 dall'avv. M., difensore dell'imputato, quale corrispettivo dell'assoluzione di questi, la somma di cinquemila euro in contanti all'interno di una busta da lettere, contenuta in una cartellina da studio consegnatagli nel suo ufficio, e contestualmente avrebbe accettato la promessa (da lui stesso sollecitata), da parte dello stesso avv. M., di una ulteriore utilità che questi avrebbe dovuto compiere in favore di V.M., cugino di G.S. (coniuge dello stesso P.), costituita dall'intervento del ricorrente presso C.G., Presidente della Fondazione C. F. C., finalizzato all'attribuzione del contributo "per l'attrazione ed il sostegno di produzioni audiovisive e cinematografiche nel territorio di Reggio Calabria", di cui ad un determinato bando, per un lungometraggio realizzato dallo stesso V., che, effettivamente, in seguito otteneva quel contributo per un importo pari a 175.000 euro.
Il dott. P., a fronte del patto corruttivo, avrebbe inquinato la dialettica processuale e la Corte di assise di appello avrebbe assolto il 4.12.2019 P..
Il Tribunale ha escluso la circostanza aggravante prevista dall'art. 416 bis.1. cod. pen.; secondo l'imputazione provvisoria il fatto corruttivo sarebbe stato compiuto al fine di agevolare la cosca mafiosa di 'ndrangheta denominata "L.- P.", di cui P. F. sarebbe stato esponente con ruolo apicale.
2. Ha proposto ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Salerno articolando un unico motivo con cui deduce vizio di motivazione quanto alla esclusione della contestata aggravante.
La premessa è che il Giudice per le indagini preliminari, pur riconoscendo i gravi indizi di colpevolezza, aveva rigettato la domanda sul presupposto della insussistenza di esigenze cautelari, atteso il tempo trascorso tra la commissione del fatto (30.5.2019) e la richiesta del Pubblico Ministero del 26.3.2021, integrata il 5.5.2021.
Il Tribunale ha invece ritenuto sussistenti anche le esigenze cautelari ma non ha riconosciuto il quadro di gravità indiziaria in relazione alla contestata aggravante, con particolare riguardo al dolo specifico agevolatorio.
Secondo il Tribunale, il ricorrente sarebbe stato consapevole dello spessore criminale di P., del quale era difensore da molti anni, ma la corruzione, pur producendo sul piano oggettivo un rafforzamento del sodalizio per effetto della scarcerazione di un suo esponente apicale, non sarebbe stata finalisticamente volta ad agevolare la compagine criminosa, quanto, piuttosto, a produrre effetti personali positivi per l'Avvocato.
Assume invece il Procuratore ricorrente che sarebbe errata l'affermazione del Tribunale, secondo cui non potrebbero applicarsi al reato di corruzione i principi elaborati dalla Corte di Cassazione in tema di favoreggiamento personale e procurata inosservanza di pena e, in particolare, quello secondo il quale l'elemento soggettivo sarebbe costituito dalla consapevolezza di prestare aiuto ad un capoclan e, quindi, al clan.
Sarebbe errata anche l'affermazione per cui la prova cautelare del dolo non potrebbe farsi discendere nemmeno da due ulteriori circostanze, quali: a) l'appoggio fornito a M.M. dalla cosca P. in occasione della vittoriosa campagna elettorale per l'elezione di sindaco di Rende nel 2014, circostanza, questa, desumibile dalle dichiarazioni di due collaboratori di giustizia, F.A. e M.V., in quanto, a parere del Tribunale, non sarebbe possibile porre in correlazione quella competizione elettorale con il fatto corruttivo per cui si procede, nonostante la coincidenza temporale della ipotizzata corruzione con la campagna elettorale per la rielezione a sindaco dello stesso avv. M. nel 2019; b) l'aggressione con metodo mafioso del giornalista M.S., avvenuta 1'8.9.2020 a seguito di una campagna di stampa condotta da questi attraverso un blog, nel corso della quale erano stati pubblicati i fotogrammi derivanti da un'attività di videoripresa che raffiguravano l'avv. M. consegnare una busta al dott. P., poi risultata contenere banconote.
Assume il Procuratore ricorrente che la motivazione sarebbe manifestamente illogica: in particolare, quanto alla inestensibilità alla corruzione della tesi giurisprudenziale affermata in tema di favoreggiamento, si evidenzia come la Corte di cassazione abbia già ritenuto applicabile quei principi ad altre fattispecie di reato, come l'estorsione, l'intestazione fittizia di beni, l'omissione di atti d'ufficio, il danneggiamento, la violazione di sigilli: sarebbe decisivo, si sottolinea, non il titolo di reato per cui si procede quanto, piuttosto, l'accertata coincidenza dell'interesse del capoclan agevolato con quello dell'intera organizzazione nonché la consapevolezza di tale coincidenza nell'autore del reato.
Detti elementi sarebbero stati ritenuti sussistenti dal Tribunale che, tuttavia, avrebbe contraddittoriamente escluso la finalità agevolatoria, magari non unica, della corruzione in esame; né, si aggiunge, sarebbe stato spiegato quali sarebbero gli effetti positivi personali che l'avv. M. avrebbe inteso conseguire, la cui esistenza il Giudice per le indagini preliminari aveva peraltro escluso.
Vi sarebbe stato un interesse del ricorrente a potersi eventualmente avvalere del sostegno del sodalizio, attesa la coincidenza temporale tra il fatto corruttivo per cui si procede e la competizione elettorale volta alla sua rielezione a sindaco.
Lo stesso Tribunale, che pure ha escluso la sussistenza di elementi di collegamento tra l'aggressione subita da S., l'avv. M. e il processo nei riguardi di P., avrebbe tuttavia evidenziato come il rapporto tra il ricorrente e lo stesso P. andasse "al di là del mero rapporto tra difensore e indagato", traducendosi in un legame di stretta familiarità e confidenza, che involgeva anche il figlio dello stesso M..
3. Ha proposto ricorso per cassazione l'indagato articolando sette motivi.
3.1. Con il primo si deduce violazione degli artt. 191- 407 cod. proc. pen.
La decisione sarebbe stata assunta utilizzando (pag. 58 ordinanza impugnata) anche gli accertamenti contenuti nella nota della Guardia di Finanza del 18.11.2021, allegata alla memoria del Pubblico Ministero depositata il 20.11.2021; si tratterebbe di una attività investigativa compiuta dopo il decorso del termine di durata delle indagini preliminari e dunque inutilizzabile.
Il Pubblico Ministero avrebbe chiesto la proroga del termine delle indagini preliminari fino al 4.2.2021, data ultima di scadenza ex art. 406 cod. proc. pen.
L'attività investigativa di cui si discute non sarebbe stata compiuta né a seguito di una richiesta dell'indagato formulata ai sensi dell'art. 415 bis cod. proc. pen. e neppure in sede integrativa di indagine, ex art. 430 cod. proc. pen.: dunque gli atti sarebbero inutilizzabili.
3.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge processuale prevista a pena di inutilizzabilità.
Secondo l'indagato l'esclusione da parte del Tribunale della circostanza aggravante di cui all'art. 416 bis.1 cod. pen. dovrebbe comportare l'inutilizzabilità di tutte le conversazioni intercettate mediante captatore informatico di cui al Rit. n. 4/20, atteso che, al momento della iscrizione nel registro degli indagati del ricorrente (1.6.2019), l'uso di tale strumento captativo era consentito solo per fatti qualificabili come delitti di criminalità organizzata, prescindendo dal titolo di reato indicato nella richiesta del Pubblico Ministero e nel provvedimento autorizzatorio.
Le conversazioni in questione sarebbero state utilizzate anche ai fini delle ritenute esigenze cautelari.
3.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge processuale prevista a pena di inutilizzabilità.
Si fa riferimento all'omesso deposito delle intercettazioni eseguite in altro procedimento (RGNR 6695/18), relative al periodo giugno - dicembre 2019, la cui "esistenza" (così il ricorso), sarebbe stata richiamata nel primo decreto autorizzativo del 14.1.2019 emesso dal Giudice per le indagini preliminari nel presente procedimento.
Sarebbe in particolare errato l'assunto secondo cui il mancato deposito non assumerebbe rilievo avendo il Giudice per le indagini preliminari - che pure aveva richiamato le intercettazioni in questione - reso ampia motivazione e riportato integralmente i contenuti della informativa.
Secondo il ricorrente, invece, il Giudice per le indagini preliminari avrebbe utilizzato le intercettazioni in questione per disporre le successive captazioni e sarebbe dimostrato che: a) i due procedimenti avrebbero riguardato gli stessi fatti; b) il successivo stralcio sarebbe stato compiuto per effetto di una scelta dell'Ufficio di Procura, che dunque aveva l'obbligo di depositare gli atti.
L'indagato, all'udienza del 25.11.2021 davanti al Tribunale del riesame, aveva ribadito come in "quelle" intercettazioni vi fossero conversazioni comprovanti la sua estraneità ai fatti; non sarebbe stato consentito un controllo sull'operato del Pubblico Ministero e sarebbe errata anche l'affermazione secondo cui nella specie non si sarebbe trattato di una motivazione per relationem.
3.4. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge processuale e vizio di motivazione quanto al giudizio di gravità indiziaria, formulato nonostante l'affermata compatibilità degli elementi assunti con possibili ricostruzioni alternative; dunque, si evidenzia, un'applicazione della regola di giudizio errata, peraltro assunta utilizzando la testimonianza resa in sede di incidente probatorio dallo stesso dott. P., nulla per il mancato deposito dei verbali integrali degli interrogatori resi dal dichiarante e per la omessa produzione del verbale del 29.2.2020.
3.5. Con il quinto motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di gravità indiziaria.
Si tratta di un motivo che si articola in molteplici rivoli argomentativi.
Il Tribunale avrebbe valorizzato la presunta dazione di una busta contenente denaro da parte del ricorrente senza tuttavia chiarire: a) come e quando sarebbe stato concluso l'accordo illecito, tenuto conto che il Pubblico ministero per ben quattro volte avrebbe mutato la descrizione della condotta incriminata; b) come e quando sarebbe stata concordata "la effettiva finalizzazione della asserita dazione .. alla vicenda processuale del P. e, ancor più, alla intercessione per il V." (così il ricorso); c) come e quando sarebbe avvenuta l'ingerenza da parte del dott. P. nella assunzione della decisione, considerato peraltro il carattere collegiale dell'organo giudicante.
Si argomenta, in particolare:
a) lo stesso dott. P. avrebbe riferito in sede di incidente probatorio che i difensori di P., avv. ti M. e G., in occasione del primo incontro con lui avuto nel marzo del 2019, avevano fatto intendere che vi fosse una loro disponibilità "a parlare" in caso di esito favorevole del processo; dunque una disponibilità dopo la decisione, non prima; si sottolinea come la decisione fosse stata assunta sette mesi dopo la asserita dazione.
Secondo P., egli chiese all'avv. G. un contributo economico nell'ottobre del 2019 "prendendo spunto da quella promessa così come percepita... nei primi mesi del 2019"; si tratterebbe di una circostanza valutata erroneamente dal Tribunale, atteso che non avrebbe avuto senso che P. "prendesse spunto" dal dialogo avvenuto a marzo per chiedere ad ottobre denaro nel caso in cui la dazione fosse stata già compiuta nel maggio di quello stesso anno.
Il tema si incrocia con la trattazione del processo di prevenzione a carico di I.A.; il dott. P. avrebbe riferito di avere accettato una proposta corruttiva da parte del ricorrente per il buon esito del procedimento di prevenzione patrimoniale a carico di I.A. e di aver ricevuto a tal fine la somma di 2.500 euro qualche giorno dopo il deposito del provvedimento con cui il 21.5.2019 era stato disposto il dissequestro di beni; si tratterrebbe di uno spazio temporale in cui la consegna di detta somma per la causale relativa al giudizio di prevenzione si sovrapporrebbe di fatto con quella asseritamente compiuta per la "vicenda" P., tenuto conto che, dopo il 21 maggio, M. si sarebbe recato a Catanzaro il 30 maggio, cioè il giorno in cui, secondo la prospettazione accusatoria, sarebbe stata consegnato il denaro per il fatto corruttivo per cui si procede.
Secondo i difensori, proprio tale profilo di interferenza avrebbe imposto al Tribunale di individuare con precisione quando le due consegne sarebbero avvenute, tenuto conto che lo stesso P. in seguito revocò, su richiesta della Procura, il provvedimento di dissequestro e che, a suo dire, M. al riguardo non avrebbe mai avanzato richieste di giustificazione.
Dunque il tema è quello della effettiva riferibilità della ipotizzata dazione dei cinquemila euro al processo "P.";
b) P. non avrebbe riferito nulla che potesse collegare la dazione ipotizzata all'esito favorevole del processo a P. e questo con la vicenda relativa all'interessamento per il contributo a V.; interessamento che, peraltro, avrebbe un carattere neutro, essendo consistito in una mera sollecitazione, non riconducibile al concetto di utilità;
c) non sarebbe stato provato che per effetto della dazione sia stata effettivamente alterata la corretta e imparziale dialettica processuale; sul punto vengono richiamate le dichiarazioni rese da Dott. P.
3.6. Con il sesto motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di gravità indiziaria, con particolare riguardo alla valutazione delle dichiarazioni di M.P..
Il Tribunale avrebbe disatteso principi in tema di corretta valutazione delle dichiarazioni del chiamante in correità.
P. sarebbe un soggetto interessato dalla prospettiva di conseguire utilità legate alla collaborazione; il Tribunale avrebbe fatto riferimento alle dichiarazioni rese nel corso dell'incidente probatorio senza tuttavia confrontarsi con quelle rese in precedenza durante gli interrogatori (in particolare, quello del 31.1.2020) sulla base delle quali era stata formulata la richiesta cautelare.
Nell'interrogatorio del 31.1.2020 il dott. P. avrebbe riferito: a) di accordi solo con l'avv. G.; b) di non avere ricevuto proposte corruttive da M. e, dopo aver visto il video del 30.5.2019, avrebbe non imputato quella dazione al processo P.": la nuova versione in sede di incidente probatorio sarebbe stata compiuta "sotto dettatura"· del Pubblico Ministero e P. avrebbe fatto ciò in modo tutt'altro che spontaneo ma per ottenere la revoca della custodia in carcere.
Il Tribunale non avrebbe motivato su tali fondamentali profili, considerato che lo stesso Giudice per l'udienza preliminare, nell'ordinanza del 9.6.2020, aveva descritto il dott. P. come un soggetto tendente al mendacio, avanzando forti dubbi sulla attendibilità soggettiva del dichiarante.
In tal senso si ripercorrono gli stessi argomenti già affrontati con il quinto motivo di ricorso - di cui si è detto- evidenziando come la giustificazione fornita dal Tribunale - che ha richiamato la sentenza di condanna emessa nel procedimento n. 3080/2020 in cui si delinea la figura di P. come giudice corrotto su più fronti - non avrebbe potuto comunque condurre alla sovrapposizione della vicenda in esame con quella di I..
Anche in relazione all'incontro avuto con l'avv. M. il 30.5.2019, M.P. avrebbe dichiarato che nell'occasione il ricorrente avrebbe consegnato oltre alla busta contenente il denaro anche una sentenza della Corte costituzionale che riguardava il tema della rinnovazione della istruttoria dibattimentale nel giudizio di appello a seguito di abbreviato e che aveva rilievo nel processo P. - in cui il Pubblico Ministero aveva appunto chiesto la rinnovazione - e che tale incontro era stato concordato qualche giorno prima.
Osserva il ricorrente che sul punto l'ordinanza impugnata sarebbe illogica atteso che la sentenza della Corte costituzionale fu depositata il 23.5.2019 e pubblicata il 29.5.2019; dunque, ci si interroga su come avrebbe potuto l'avv. M. concordare qualche giorno prima del 30.5.2019 la consegna della sentenza, tenuto conto che questa fu pubblicata solo il giorno prima e che il ricorrente non si recò a Catanzaro dal 20 al 29 maggio.
Sul punto, la motivazione, secondo cui la sentenza era attesa da aprile del 2019 e l'imputato si era recato a Catanzaro in diverse occasioni, sarebbe viziata.
Ancora.
Si assume che M.P., quanto alla vicenda I., aveva riferito che, pur avendo ricevuto un compenso in denaro per disporre il dissequestro, aveva poi revocato "tale provvedimento" su richiesta della Procura e rigettato la richiesta di dissequestro; dunque, si argomenta, il Tribunale avrebbe omesso di considerare che proprio detto comportamento avrebbe o smentito l'accordo corruttivo l'indifferenza del magistrato ad esso.
P. avrebbe aggiunto, anche in questo caso in modo illogico, che nonostante ila revoca del dissequestro, non ebbe interlocuzioni con . M. e che questi non chiese alcunchè.
Si tratta di circostanze che avrebbero dovuto indurre a dubitare della attendibilità del dichiarante, non essendo logico ritenere che, dopo aver inosservato il patto corruttivo per la vicenda "I.", P. potesse concludere un nuovo patto corruttivo per la vicenda "P.".
Non diversamente, sarebbe viziata la motivazione per non aver ritenuto illogica l'affermazione di P. secondo cui la somma di 7.500 euro rinvenuta presso la sua abitazione al momento dell'arresto il 15 gennaio 2020, avrebbe compreso l'importo di 5.000 euro corrispostogli dall'avv. G. in data 4 dicembre 2019, all'esito della pronuncia di assoluzione: non si sarebbe tenuto conto che lo stesso P. versava in condizioni di evidente difficoltà economica e, dunque, sarebbe non spiegabile come lo stesso potesse non aver utilizzato quel denaro consegnatogli da G. più di un mese prima.
Sotto ulteriore profilo la motivazione sarebbe viziata per non avere considerato la contraddittorietà delle dichiarazioni del dott. P. il quale avrebbe riferito, da una parte, che nel primo incontro si sarebbe fatto riferimento solo ad una generica "disponibilità" e ricompensarlo, e, dall'altra, a due dazioni di 5.000 euro, a suo dire non concordate, compiute prima della decisione del processo.
La motivazione sarebbe ancora viziata nella parte in cui non si è considerata la illogicità delle dichiarazioni del chiamante nella parte relativa alla sua richiesta di denaro dell'ottobre del 2019, avanzata, a dire del dichiarante, "prendendo spunto" dall'originario incontro; si tratterrebbe di un'affermazione poco verosimile, atteso che in quel momento era stata già corrisposta la somma oggetto del patto corruttivo per cui si procede e dunque non sarebbe chiara la "titubanza" dello stesso P..
Sarebbe illogica inoltre l'affermazione secondo cui la dazione del 30 maggio fu effettuata in una stanza liberamente accessibile anche da parte di altri soggetti, mentre quella dell'ulteriore somma di cinquemila euro, consegnata all'esito della pronuncia di assoluzione 4.12.2019, in un vano più riservato.
A conclusioni non diverse dovrebbe giungersi anche per quel che concerne i riscontri esterni alle dichiarazioni, erroneamente individuati nelle intercettazioni audio e video del 30.5.2020; si assume che: a) il video allegato all'atto di appello sarebbe stato manipolato, come riconosciuto dallo stesso Tribunale, e dunque sarebbe inutilizzabile;
b) dalle descrizioni delle immagini riportate nell'analisi tecnica compiuta dai carabinieri il 12.10.2020 emergerebbe una dinamica del tutto diversa rispetto a quella recepita dai Giudici ed invece del tutto sovrapponibile a quanto riferito dal ricorrente nel corso dell'interrogatorio del 30.10.2021.
Alla luce della descrizione dei fatti- riportata nel ricorso- non vi sarebbe affatto la prova: a) della destinazione finale della busta consegnata dall'avv. M. al dott. P., nel senso che il video sarebbe interrotto per undici secondi e non vi sarebbe la prova che la cartella contenente la busta posta sulla scrivania dal ricorrente sia stata effettivamente presa da questi; b) che una delle buste di cui il dott. P. mostra di avere la disponibilità dopo circa due ore presso il suo ufficio alla Commissione tributaria sia proprio quella a lui consegnata dall' avv. M.; detta circostanza confermerebbe non già le dichiarazioni del chiamante ma quelle dell'indagato, che avrebbe riferito di avere portato la sentenza ed uno scritto composto di numerosi fogli relativi ad una questione giuridica, dunque compatibile con l'assunto accusatorio secondo cui una delle buste di cui P. avrebbe avuto la disponibilità, avrebbe presentato un "rigonfia mento".
I riscontri sarebbero meramente congetturali e indimostrati, tenuto conto della interruzione del filmato e della mancata ripresa della destinazione finale della cartellina consegnata dall'avv. M. (qui vi è tutta una spiegazione alternativa a quella fornita dal Tribunale).
Nè potrebbero costituire riscontri alle dichiarazioni del chiamante: a) la compatibilità tra il tipo di busta che l'avv. M. avrebbe consegnato al dott. P. e quella che questi aprì nel suo ufficio presso la Commissione tributaria; b) le dichiarazioni rese dalla direttrice di banca, dott.ssa S., che aveva riconosciuto dalle immagini riprese presso la Commissione tributaria il colore di diverse banconote da 50 euro; c) la nota dei carabinieri secondo cui il "rialzo" della busta che si coglierebbe nelle video riprese avrebbe uno spessore incompatibile con la quantità di fogli di carta formato A4, piegati in due, che l'avv. M. avrebbe consegnato e invece compatibile con quello di una "mazzetta" di banconote da 50 euro.
Si tratterebbe di elementi dotati di una generica capacità dimostrativa, tenuto conto che lo stesso dott. P. avrebbe dichiarato di avere ricevuto soprattutto banconote da 100 euro e, soprattutto, non essendovi la prova del collegamento del denaro che si intravede nel filmato presso la Commissione tributaria con quanto consegnatogli ore prima dal ricorrente in un altro posto.
Né costituirebbero riscontro individualizzante della esistenza di un patto corruttivo le risultanze dei tabulati comprovanti, si argomenta, solo la presenza del ricorrente a Catanzaro in date antecedenti e successive al 14.3.2019.
3.7. Con il settimo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alle ritenute esigenze cautelari e, in particolare, al pericolo concreto ed attuale di recidiva; le intercettazioni, valorizzate in chiave accusatoria, sarebbero risalenti a due anni prima rispetto al provvedimento cautelare e non sussisterebbe nessun pericolo, né vi sarebbe il pericolo attuale di recidiva, tenuto conto anche della incensuratezza del ricorrente.
Il pericolo sarebbe stato fatto derivare, oltre che dalle modalità della condotta, dal contenuto di due conversazioni; una del 25.2.2020 intercorsa tra il ricorrente e l'avv. S.S., e l'altra dell'11.5.2020 tra lo stesso indagato e il figlio A..
Quanto alla prima, il Tribunale avrebbe valorizzato una parte del dialogo per fare riferimento alla esistenza di ulteriori fatti corruttivi che avrebbero coinvolto il ricorrente, senza tuttavia considerare il senso complessivo del dialogo, da cui emergerebbe invece come gli interlocutori facessero riferimento a dissequestri disposti dal dott. P. a seguito di richieste formulate da un altro difensore.
Non diversamente, con riguardo alla seconda conversazione - in relazione alla quale si è valorizzata l'espressione "coso si è sempre venduto" - si sarebbe trattato di una espressione inserita nell'ambito di un più generale commento critico nei riguardi dell'attività dei magistrati in servizio presso la Corte di appello.
Sotto altro profilo si deduce vizio di motivazione quanto alla determinazione della durata della misura, applicata per il periodo massimo previsto dalla legge
4. Sono stati presentati cinque motivi nuovi.
4.1. Con il primo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla valutazione della credibilità soggettiva di P. e della attendibilità intrinseca delle dichiarazioni; il tema attiene all'affermazione del Tribunale di voler fare riferimento alle sole dichiarazioni rese nel corso dell'incidente probatorio e non anche a quelle riferite - in parte diverse su profili fattuali rilevanti- rese in sede di interrogatorio, così violando i principi in più occasioni affermati dalla Corte di cassazione; né sarebbero stati messi a disposizione delle parti i supporti con la video e fono registrazione degli interrogatori.
4.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione; il tema riguarda la nullità dell'incidente probatorio per non essere stato posto a disposizione delle parti il contenuto integrale dei verbali di interrogatorio del dott. P..
4.3. Con il terzo motivo si lamenta l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese nel corso dell'incidente probatorio per essere stato questi disposto fuori dai casi previsti dall'art. 392 cod. proc. pen.
4.4. Con il quarto motivo si deduce vizio di motivazione quanto alla ritenuta utilizzabilità delle riprese video registrate nonostante le interruzioni delle tracce video.
4.5. Con il quinto motivo si lamenta vizio di motivazione quanto alle esigenze cautelari e il travisamento del contenuto di una comunicazione intercettata, di cui si è già detto.
5. E' stata inoltre presentata una memoria volta a confutare il ricorso del Procuratore della Repubblica, nonché una nota, con cui si dà conto del deposito da parte del Pubblico ministero di conversazioni intercettate nel procedimento originario.
Motivi della decisione
1. Il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Salerno è inammissibile.
1.1. Il ricorrente, dopo aver spiegato le ragioni per le quali l'ordinanza impugnata sarebbe viziata in ordine al giudizio di gravità indiziaria relativo alla sussistenza della circostanza aggravante prevista dall'art. 416 bis.1. cod. pen., ha chiesto alla Corte di annullare l'ordinanza "con l'adozione dei conseguenti provvedimenti di legge" (così formalmente il ricorso a pag. 15).
Nulla è stato tuttavia spiegato sugli effetti che il riconoscimento dell'aggravante avrebbe sul quadro cautelare, né, in particolare, quali sarebbero i conseguenti provvedimenti di legge che la Corte dovrebbe adottare.
La Corte di cassazione ha già chiarito che il ricorso per cassazione promosso dal pubblico ministero avverso l'ordinanza del Tribunale cautelare che ha rigettato l'appello ex art. 310 cod. proc. pen. deve essere sostenuto da un concreto interesse; detto interesse sussiste se il mezzo di impugnazione proposto sia idoneo a costituire, attraverso l'eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l'impugnante rispetto a quella esistente (cfr., Sez. U, n. 6624 del 27/19/2011, dep. 17/02/2012, Marinaj, Rv. 251693).
Sulla base di tale presupposto è stato considerato inammissibile, per difetto di interesse, il ricorso per cassazione del pubblico ministero, proposto nei confronti dell'ordinanza di reiezione dell'appello avverso l'ordinanza di rigetto della richiesta di misura cautelare, con cui lo stesso si limiti a contestare il mancato riconoscimento della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, atteso che, come nel caso di specie, l'accoglimento del ricorso in ordine a tale profilo non potrebbe comunque condurre ad un risultato più vantaggioso (Sez. 6., n. 13163 del 17/02/2022, Manca, Rv. 283244; Sez. 3, n. 13284 del 25/02/2021, Acanfora, Rv. 281010; Sez. 6 , n. 12228 del 30/10/2018, dep. 19/03/2019, Rv. 276375).
Nel caso di specie, come detto, il Procuratore della Repubblica ricorrente ha limitato le proprie censure al giudizio di gravità indiziaria relativa alla circostanza aggravante prevista dall'art.416 bis. 1 cod. pen., senza tuttavia prospettare alcunchè quanto agli effetti che il riconoscimento della aggravante produrrebbe in relazione alle esigenze cautelari e, soprattutto, in relazione al tipo di misura cautelare che dall'annullamento dovrebbe conseguire.
Ne consegue l'inammissibilità del ricorso.
2. È invece nel complesso infondato il ricorso dell'indagato
2.1. È inammissibile il primo motivo di ricorso.
Il motivo è strutturalmente generico, non essendo stato dedotto alcunchè volto a dimostrare che l'atto investigativo, cioè la nota della Polizia giudiziaria del 18.11.2021, sarebbe stato compiuto dopo il decorso del termine di durata delle indagini.
Né è stato specificamente chiarito quale sarebbe il contenuto di detta nota, se la stessa sia una ulteriore informativa di polizia giudiziaria, quale attività investigativa in concreto fu compiuta, perché la memoria del Pubblico ministero del 20.11.2021 - che faceva riferimento alla nota - rispetto alla quale il Tribunale ha dato ampiamente atto del rituale deposito entro il termine previsto dall'art. 127 cod. proc. pen., sarebbe stata sottratta al contradittorio.
Né ancora è stato spiegato quale uso sarebbe stato compiuto in concreto dal Tribunale e, posto che sia stata utilizzata, perché detta nota avrebbe una valenza decisiva.
2.2. È inammissibile anche il secondo motivo di ricorso.
2.2.1. L'assunto costitutivo del ricorrente è che, per effetto della esclusione della circostanza aggravante prevista dall'art. 416 bis.1. cod. pen., tutte le intercettazioni compiute con captatore informatico dovrebbero essere ritenute inutilizzabili in ragione della disciplina vigente al momento in cui le captazioni furono disposte.
2.2.2. L' assunto non è condivisibile.
La giurisprudenza della Corte è consolidata nell'affermare il principio della irrilevanza del mutamento dell'addebito ed in tal senso si valorizza la valenza decisiva della verifica c.d. statica da parte del giudice - di quella cioè da collocare nel momento genetico della intercettazione, ovvero in quelli successivi di autorizzazione di proroghe - della sussistenza del rispetto dei presupposti previsti dalla legge per disporre il mezzo di ricerca della prova, e, in particolare, della esistenza dei gravi indizi della esistenza del reato (art. 267 cod. proc. pen.).
In più occasioni sono stati ritenuti utilizzabili i risultati delle operazioni disposte in riferimento ad un titolo di reato per il quale le stesse sono consentite, anche quando vi sia stata una successiva diversa qualificazione giuridica del fatto (Sez. 1, n. 12749 del 19/03/2021, Cusumano, Rv. 280981; Sez. 1, n. 24163 del 19/05/2010 Rv. 247943; Sez. 6, n. 50072 del 20/10/2009, Rv. 245699).
2.2.3. Si tratta di un principio che deve essere esplicitato.
La Giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni affermato, in tema di intercettazioni telefoniche (Sez. 6, n. 36874 del 13/06/2017, Romeo, in motivazione; Sez. 6, n. 12722 del 12/02/2009, Lombardi Stronati, Rv. 243241; Sez. 5, n. 1407 del 17/11/2016, dep. 2017, Nascetti, Rv. 268900), che la motivazione dei decreti autorizzativi, nel chiarire le ragioni della sussistenza dei presupposti che legittimano il ricorso a detto intrusivo mezzo di ricerca della prova, deve necessariamente spiegare i motivi che impongono l'intercettazione di una determina utenza telefonica che fa capo ad una specifica persona, indicando la base indiziaria del reato per il quale si procede ed il collegamento tra l'indagine in corso e la persona che si intende intercettare, affinchè possa esserne verificata, alla luce del complessivo contenuto informativo e argomentativo del provvedimento, l'adeguatezza del mezzo rispetto alla funzione di garanzia prescritta dall'art. 15, comma 2, Cost.
Una verifica che deve essere compiuta al momento in cui la captazione è richiesta ed autorizzata, non rilevando, come detto, ai fini della utilizzabilità dei risultati dell’attività di intercettazione, la circostanza che all'esito delle indagini, l'originaria ipotesi accusatoria non sia stata, in tutto o in parte, confermata.
La motivazione del provvedimento autorizzativo assolve ad una ineliminabile funzione di garanzia perché, attraverso essa, deve essere esplicitato il collegamento tra l'indagine e la persona le cui comunicazioni si intendono intercettare e, più in generale, la sussistenza dei presupposti che legittimano l'adozione del mezzo di ricerca della prova.
Ciò che è indispensabile, in ossequio ai canoni di proporzione e ragionevolezza a fronte della forza intrusiva del mezzo usato, è, innanzitutto, che la qualificazione, pure provvisoria, del fatto risulti ancorata a sufficienti, sicuri e obiettivi elementi indiziari che ne sorreggano, per un verso, la corretta formulazione da parte del pubblico ministero e, per altro verso, la successiva, rigorosa, verifica dei presupposti da parte del giudice chiamato ad autorizzare le relative operazioni intercettative; fermo restando il sindacato di legittimità della Corte di cassazione in ordine all'effettiva sussistenza di tali presupposti (così testualmente, Sez. U., n. 26889 del 28/04/2016, Scurato, in motivazione).
Tale verifica si articola su due direttrici, occorrendo distinguere il caso in cui il destinatario della intercettazione sia un soggetto indagato da quello in cui l'intercettato sia una persona terza, non indagata.
Nel primo caso, ciò che deve essere verificato, soprattutto nelle ipotesi in cui si faccia riferimento a reati di criminalità organizzata, è la consistenza della ipotesi accusatoria, della qualificazione del fatto ipotizzato, della struttura della base indiziaria, prescindendo dal "quantum" di colpevolezza; si tratta di una verifica che deve essere compiuta in relazione all'indagine nel suo complesso e non con riferimento alla responsabilità di ciascun indagato (Sez. 6, n. 28252 del 06/04/2017, Di Palma, Rv. 270565; Sez. 2, n. 42763 del 20/10/2015, Rv. 265127); si è osservato in maniera condivisibile che "il presupposto dei "gravi indizi di reato", infatti, non ha una connotazione "probatoria", in chiave di valutazione prognostica della colpevolezza, ma esige un vaglio di particolare serietà delle esigenze investigative, che vanno riferite ad uno specifico fatto costituente reato, in modo da circoscrivere l'ambito di possibile incidenza dell'interferenza nelle altrui comunicazioni private" (cosi, Sez. 6, n. 36874 del 2017, cit.).
Il giudizio prognostico che deve effettuare il magistrato è sulla probabilità che sia stato commesso, nel modo indicato dal Pubblico Ministero, uno dei reati previsti per legittimare un'intercettazione, ed ovviamente il vaglio del giudice deve essere eseguito in modo idoneo ad indicare l'attendibilità della fattispecie probatoria e la necessità del mezzo di ricerca della prova "de quo".
Una gravità oggettiva che degrada a sufficienza indiziaria nel caso di fattispecie criminose che attengono ai delitti di criminalità organizzata ai sensi della L. n. 203/1991, atteso che in questa ipotesi lo spirito del legislatore è quello di ritenere prevalente l'esigenza di tutela della collettività, rispetto alla garanzia dei diritti dei singoli alla comunicazioni, per delitti di grave allarme sociale; ciò spiega perché, quando si proceda per delitti di criminalità organizzata, sono sufficienti frammenti probatori idonei ad indicare l'esistenza di elementi essenziali di indagine, per consentire e legittimare l'autorizzazione dell'intercettazione.
Anche rispetto ad un soggetto indagato, è necessario inoltre che il mezzo di ricerca della prova in questione sia indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini: "per giustificare l'indispensabilità ai fini della prosecuzione delle indagini, la motivazione deve necessariamente dar conto delle ragioni che impongono l'intercettazione di una determinata utenza telefonica che fa capo ad una specifica persona e, perciò, non può omettere di indicare il collegamento tra l'indagine in corso e !'intercettando. Tale obbligo incombe in maniera espressa e diretta sull'autorità giudiziaria (art. 15 Cost. e art. 267 c.p.p., comma 1)" (Così, Sez. 6, n. 12722 del 12/02/2009, Lombardi Stronati, Rv. 243241; nello stesso senso, più recentemente, Sez. 5, n. 1407 del 17/11/2016, dep. 2017, Nascetti, Rv. 268900).
Il collegamento può essere riferito non necessariamente ad uno specifico soggetto "intercettando" (magari neppure coinvolto nelle indagini, come si diceva, né tanto meno gravato da pesanti indizi di colpevolezza), ma ad una determinata utenza, indipendentemente dal titolare della stessa, rispetto alla quale potrebbero anche essere diversi i soggetti "intercettandi".
Al di là delle parole impiegate è importante, comunque - ai fini di una corretta motivazione del provvedimento autorizzativo - che vengano in essa indicate le "ragioni" sulla cui base il giudice ritenga di dover autorizzare le intercettazioni richieste dal pubblico ministero, in quanto proprio quelle intercettazioni, relative a quella particolare utenza, risultano "indispensabili" per il completo accertamento del fatto specifico cui si riferiscono le indagini, nonché per la individuazione dei responsabili.
Nelle ipotesi in cui il collegamento sia riferito ad un soggetto non indagato la necessità di motivare la correlazione tra l'indagine in corso e l'intercettato è oltremodo maggiore; in tali casi, oltre alla verifica di cui si è detto, relativa alla base indiziaria oggettiva, è necessario che il giudice indichi ed espliciti chiaramente l'interesse investigativo sottostante, chiarisca cioè le ragioni di collegamento diretto o indiretto (conoscenza) tra il soggetto ed il fatto di reato oggetto di accertamento; è necessario che si indichino i motivi per i quali il soggetto terzo che si intende intercettare dovrebbe essere "informato sui fatti" e perché si ritiene che vi possano essere conversazioni o comunicazioni attinenti a quei fatti.
2.2.4. Dunque, in caso di modifica, a seguito delle captazioni, della struttura giuridica del fatto-reato autorizzato, e, a maggiore ragione, della sussistenza di una circostanza aggravante, l'inutilizzabilità delle intercettazioni consegue solo se i presupposti per disporre il mezzo di ricerca della prova mancassero già al momento in cui il procedimento autorizzativo si è compiuto e perfezionato attraverso il controllo del giudice.
I risultati della captazione correttamente autorizzata restano invece immuni rispetto al successivo sviluppo fisiologico del procedimento, atteso che in tal caso non rileva la sopravvenuta mancanza del presupposto legittimante per effetto della riqualificazione del fatto autorizzato o di una modifica del quadro degli elementi circostanziali.
Certo, esiste una forte esigenza di contemperamento tra la necessità di non ritenere inutilizzabili i risultati delle intercettazioni in presenza di un fatto storico rimasto sostanzialmente immutato rispetto a quello autorizzato, ma solo non completamente riscontrato per effetto di fisiologici mutamenti emersi proprio a seguito degli esiti della intercettazione, e quella di evitare abusi, che potrebbero configurarsi con il ricorso pretestuoso alla descrizione di un fatto - reato autorizzabile al fine di aggirare i limiti legali stabiliti.
Si tratta di situazioni in cui, come detto, assume centrale rilievo il controllo del giudice al momento della autorizzazione del mezzo di ricerca della prova.
La questione non riguarda le ipotesi in cui la divergenza tra fatto-reato di cui si chiede l'autorizzazione ad intercettare ed il fatto emergente dalle risultanze investigative si manifesti già al momento in cui l'intercettazione è richiesta, atteso che in tali casi il giudice è tenuto a non autorizzare l'intercettazione se non vi sia rigorosa conformità tra ciò che si richiede e le risultanze delle indagini: ciò impedisce la elusione delle regole poste dal legislatore e delle garanzie dei diritti.
La situazione è invece diversa nei casi in cui vi è corrispondenza tra quanto si richiede e ciò che emerge dalle indagini in ordine al fatto reato per cui si procede, ma l'addebito si modifica solo per motivi sopravvenuti fisiologici, legati cioè alla naturale evoluzione del procedimento che può determinare una modifica del fatto storico e della sua qualificazione giuridica.
In tali casi non vi è elusione delle garanzie e la fattispecie non è patologica, considerando la provvisorietà dell'addebito, la fluidità degli elementi raccolti, la loro possibile modificazione; ciò che rileva è che al momento in cui viene disposta la intercettazione vi siano i presupposti previsti dalla legge, dunque la verifica, da parte del giudice, che investe l'accertamento della conformità di ciò che si richiede rispetto agli atti, al fine di verificare se fin dall'inizio emerga la diversità storica del fatto ovvero sia seriamente prospettabile una differente qualificazione giuridica del fatto, più corretta sotto il profilo della sussunzione nella fattispecie.
Ne consegue, nel caso di specie, che nessun rilievo può essere attribuito rispetto alla utilizzabilità delle captazioni, alla circostanza che nello sviluppo del procedimento- allo stato realizzatosi- la iniziale configurabilità della circostanza aggravante sia stata esclusa.
2.3. È inammissibile per più ragioni anche il terzo motivo di ricorso che attiene alla utilizzabilità delle captazioni.
Si tratta di un motivo generico in punto di fatto e di diritto, anche in relazione alla esatta individuazione del "petitum".
2.3.1. Sotto un primo profilo, la Corte di cassazione ha in più occasioni chiarito in tema di intercettazioni disposte in altro procedimento, che l'omesso deposito degli atti relativi, ivi compresi i nastri di registrazione, presso l'autorità competente per il diverso procedimento, non ne determina l'inutilizzabilità, in quanto detta sanzione non è prevista dall'art. 270 cod. proc. pen. e non rientra nel novero di quelle di cui all'art. 271 cod. proc. pen. aventi carattere tassativo; detto principio conserva la sua validità anche a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 336 del 2008 che - dichiarando l'illegittimità costituzionale, in riferimento agli art. 3, 24, comma secondo, 111 Cast., dell'art. 268 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che, dopo la notificazione o l'esecuzione dell'ordinanza che dispone una misura cautelare personale, il difensore possa ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini dell'adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate - amplia i diritti della difesa, incidendo sulle forme e sulle modalità di deposito delle bobine, ma senza incidere sul regime delle sanzioni processuali in materia di inutilizzabilità delle intercettazioni di cui all'art. 271 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 1801 del 16/07/2015, dep. 2016, Tunno, Rv. 266410; Sez. 5, n. 14783 del 13/03/2009, Badescu, Rv. 243609).
2.3.2. Sotto altro profilo, la Corte di cassazione con molteplici pronunce - anche a Sezioni unite e non sempre recenti - ha stabilito princìpi funzionali ad attuare il percorso demolitorio intrapreso dalla parte che eccepisca la inutilizzabilità probatoria di un atto processuale.
In particolare, in tema di intercettazioni telefoniche, è consolidato il principio secondo cui è necessario, a pena di inammissibilità del motivo, che il ricorrente indichi quali siano le conversazioni intercettate che sarebbero inutilizzabili e chiarisca l'incidenza degli atti specificamente affetti dal vizio sul complessivo compendio probatorio già valutato, sì da potersene inferire la decisività ai fini del provvedimento impugnato. (Sez. U., n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416; nello stesso senso, Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, De Iorio, Rv. 244328; Sez. 4, n. 46478 del 21/09/2018, Gullè, non massimata).
Ulteriori approfondimenti di rilievo concernono i limiti demolitori della pronuncia di legittimità; prima infatti di annullare con rinvio la sentenza basata su di un dato dimostrativo dichiarato inutilizzabile, è necessario procedere alla c.d. prova di resistenza, valutando se la motivazione "resti in piedi", nonostante l'eliminazione dell'elemento viziato. La regola viene considerata un corollario dell'interesse all'impugnazione: se la sentenza non è basata sulla prova inutilizzabile, il ricorso, ancorché fondato nel merito, deve essere rigettato (Sez. U, n. 4265 del 25/02/1998, Gerina, in motivazione; Sez. 5, n. 37694 del 15/07/2008, Rizzo, Rv. 241299; Sez. 2, n. 30271 dell'll/05/2017, De Matteis, Rv. 270303).
Questa Corte, con orientamento consolidato (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269218; Sez. 6, n. 18764 del 05/02/2014, Barilari, Rv. 259452; Sez. 3, n. 3207 del 2/10/2014, dep. 2015, Rv. 262011) che il Collegio condivide e ribadisce, ha, infatti, osservato che, nei casi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l'inutilizzabilità o la nullità di una prova dalla quale siano stati desunti elementi a carico, il motivo di ricorso deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l'incidenza dell'eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta "prova di resistenza", essendo in ogni caso necessario valutare se le residue risultanze, nonostante l'espunzione di quella inutilizzabile, risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento; gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano infatti irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento.
Nel caso di specie, il motivo di ricorso è generico, non avendo chiarito l'indagato né quali sarebbero le specifiche conversazioni intercettate che si assumono essere inutilizzabili, né quale sarebbe la loro valenza rispetto al ragionamento probatorio sotteso al giudizio relativo alla gravità indiziaria, cioè la loro incidenza e decisività rispetto alla decisione impugnata.
Il motivo di ricorso in esame, per come strutturato, esula dal percorso di una ragionata censura del percorso motivazionale del provvedimento impugnato e si risolve in una generalizzata critica difettiva ed inadeguata, che sostanzialmente non permette al giudice di percepire con certezza il contenuto delle censure.
2.3.3. Sotto altro profilo, gli assunti difensivi paiono muovere da un presupposto fondante e cioè che il Giudice per le indagini preliminari, per valutare l'ammissibilità della richiesta di intercettazione, avrebbe "utilizzato" anche quelle disposte nel "diverso" procedimento e ciò produrrebbe una diffusività invasiva ed una propagazione illimitata del vizio di inutilizzabilità anche in relazione a tutte le conversazioni successivamente intercettate.
Il tema è quello della c.d. inutilizzabilità derivata.
L'affermazione giurisprudenziale consolidata è quello per cui, in materia di inutilizzabilità non opera il principio, previsto per le nullità, della trasmissibilità del vizio agli atti consecutivi a quello dichiarato nullo (per tutte, Sez. 6, n. 9009 del 04/02/2020, Rella, Rv. 278563; Sez. 5, n. 441114 del 10/10/2019, Giaimo, Rv. 277432).
Si tratta di un principio spesso collegato a quello secondo il quale in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, ciascun decreto autorizzativo è dotato di autonomia e può ricevere impulso da qualsiasi notizia di reato, ancorché desunta da precedenti intercettazioni probatoriamente inutilizzabili; ne consegue che il vizio di cui sia affetto l'originario decreto intercettativo non si comunica automaticamente a quelli successivi correttamente adottati, e che pertanto non è inutilizzabile la prova che non sarebbe stata scoperta senza l'utilizzazione della prova inutilizzabile (Sez. 6, n. 3027, del 20/10/2015, Ferminio, Rv. 266496).
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 332 del 27/09/2001, ha ritenuto inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 191 del codice di procedura penale, sollevata per contrasto con l'art. 24 della Costituzione, nella parte in cui "consente l'utilizzazione di prove che derivino, non solo in via diretta, ma anche in via mediata da un atto posto in essere in violazione di divieti, ed in particolare l'utilizzazione del risultato di una perquisizione nulla".
La Corte ha chiarito come: a) la soluzione prospettata dal giudice remittente avrebbe finito per trasferire nella disciplina della inutilizzabilità un concetto di vizio derivato che il sistema regola esclusivamente in relazione al tema delle nullità: "l'accoglimento del quesito avrebbe comportato l'esercizio di opzioni che l'ordinamento riserva esclusivamente al legislatore, in una tematica, per di più che - quale quella dei rapporti di correlazione o dipendenza tra gli atti probatori - ammette, già sul piano logico, un'ampia varietà di possibili configurazioni e alternative"; b) quelli della nullità e inutilizzabilità siano fenomeni "tutt'altro che sovrapponibili", così da non potersi "trasferire nella disciplina della inutilizzabilità un concetto di vizio derivato che il sistema regola esclusivamente in relazione al tema della nullità".
In termini non diversi la Corte costituzionale si è espressa con la sentenza n. 219 del 2019.
La Corte, ricostruiti il senso e la portata della inutilizzabilità, ha affermato che:
- l'istituto della inutilizzabilità ha una "vita" totalmente autonoma rispetto al regime ed alla stessa natura giuridica delle nullità;
- anche detta patologia risponde - al pari delle nullità - ai paradigmi della tassatività e legalità, dal momento che è soltanto la legge a stabilire quali siano - e come si atteggino - i diversi divieti probatori;
- è lo stesso sistema normativo ad avallare la conclusione secondo la quale, per la inutilizzabilità che scaturisce dalla violazione di un divieto probatorio, non possa trovare applicazione un principio di "inutilizzabilità derivata", sulla falsariga di quanto è previsto invece, nel campo delle nullità, dall'art. 185, comma 1, cod. proc. pen.
In particolare, la Corte ha chiarito che "derivando il divieto probatorio e la conseguente "sanzione" della inutilizzabilità da una espressa previsione della legge, qualsiasi "estensione" di tale regime ad atti diversi da quelli cui si riferisce il divieto non potrebbe che essere frutto di una, altrettanto espressa, previsione legislativa. Del resto, è ricorrente in giurisprudenza l'affermazione secondo la quale tale principio, valido per le nullità, non si applica in materia di inutilizzabilità, riguardando quest'ultima solo le prove illegittimamente acquisite e non quelle la cui acquisizione sia avvenuta in modo autonomo e nelle forme consentite (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 12 settembre 2018-4 febbraio 2019, n. 5457)" (così la Corte costituzionale).
La inesistenza di un generale principio di inutilizzabilità derivata degli atti è confermata anche dall'art. 202 cod. proc. pen., che inibisce all'autorità giudiziaria l'utilizzazione, anche indiretta, delle notizie coperte dal segreto di Stato; significativo è che in relazione a tale norma, diversamente dalle altre, la Corte costituzionale abbia chiarito che «tale divieto riguarda l'utilizzazione degli atti e dei documenti coperti da segreto sia in via diretta, ai fini cioè di fondare su di essi l'esercizio dell'azione penale, sia in via indiretta, per trarne spunto ai fini di ulteriori atti di indagine, le cui eventuali risultanze sarebbero a loro volta viziate dall'illegittimità della loro origine" (Corte cast. n. 110 del 1998).
Acutamente si è osservato in dottrina che la Corte, con riferimento all'art. 202 cod. proc. pen., inibisce l'utilizzazione delle conoscenze coperte da segreto, non solo ai fini delle determinazioni sull'esercizio dell'azione penale e di una qualsiasi decisione giurisdizionale, ma anche a fini investigativi.
La Corte costituzionale distingue dunque un'utilizzazione probatoria, in funzione della decisione sul fatto oggetto della imputazione, e un'utilizzazione c.d. euristica, strumentale alle funzione investigativa o istruttoria, delle informazioni coperte da segreto.
Quello previsto dall'art. 202 cod, proc. pen. è un divieto più ampio che non attiene solo alla funzione probatoria delle informazioni illegittimamente acquisite.
La prova inutilizzabile rimane tale: essa è, salvi i casi specifici previsti dalla legge (art. 202 cod. proc. pen.), tuttavia utilizzabile in chiave euristica, cioè strumentale alla funzione investigativa o istruttoria.
Se la prova inutilizzabile non risulti destinata a giustificare in maniera costitutiva una qualche decisione o determinazione, la sua inutilizzabilità, pur persistente e rilevabile in ogni stato e grado del procedimento (art. 191, comma 2), rimane senza ulteriori conseguenze, anche se le informazioni che possano trarsene vengano implicitamente impiegate per l'ammissione e la ricerca di altre valide prove: ciò che ne è preclusa, si osserva testualmente, è- come già affermato dalla Corte di cassazione proprio con la sentenza richiamata dalla Corte costituzionale (Sez. 6, n. 5457 del 12/09/2018, dep. 2019, Cosentino, Rv. 275029), solo l'utilizzazione a sostegno di una decisione o determinazione sul fatto controverso, a meno che non si tratti di informazioni di cui è preclusa qualsiasi utilizzazione, che ne comporti anche solo una comunicazione o diffusione.
Nel caso di specie, il ricorrente sovrappone i due profili di cui si è detto - inutilizzabilità probatoria ed utilizzabilità ai soli ulteriori fini investigativi di un atto di indagine probatoriamente inutilizzabile - e conseguentemente non distingue alcunchè.
2.4. È infondato, ai limiti della inammissibilità, il quarto motivo di ricorso cui sono collegati il secondo e il terzo motivo aggiunto.
2.4.1. È innanzitutto inammissibile il terzo motivo aggiunto con cui si deduce l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese in sede di incidente probatorio, per essere stato assunto "fuori dai casi tassativamente previsti dall'art. 392 cod. proc. pen.".
Si tratta innanzitutto di un motivo nuovo, strutturalmente non collegato con i motivi originari e quindi inammissibile.
La Corte di cassazione in molteplici occasioni ha spiegato in tema di incidente probatorio che tutti i provvedimenti che intervengono nella fase di ammissione sono inoppugnabili, stante il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione. (Sez. 5, n. 49030 del 17/07/2017, Palmieri, Rv. 271776; Sez. 1, n. 37212 del 28/04/2014, Liuzzi, Rv. 260590 in fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso avente ad oggetto la ritualità dell'ordinanza con cui il GIP aveva ammesso l'incidente probatorio).
Si è chiarito che l'ordinanza ammissiva di incidente probatorio non ha natura decisoria, ma strumentale, in quanto è diretta all'acquisizione di elementi probatori e non lede in alcun modo il diritto di difesa dell'indagato, che potrà svolgersi nei tempi e nei modi previsti dalla legge. Ne consegue che, tenuto anche conto delle esigenze di speditezza connaturate alla fase dell'incidente probatorio, avverso tale ordinanza non è prevista alcuna forma di gravame, atteso il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione sancito dall'art. 568 cod. proc. pen. (ex multis v. Sez. 1, n. 1888 del 28/04/1994, Tasselli, Rv. 197873).
2.4.2. Quanto al tema dell'incidente probatorio, l'assunto principale del ricorrente è che il Pubblico Ministero avrebbe posto a disposizione solo parte delle dichiarazioni precedenti rese dal dott. P. (chiarissimo sul punto il secondo motivo aggiunto a pag. 8 ma anche a pag. 9).
In tale contesto il Tribunale ha chiarito che:
a) i verbali di interrogatorio del dott. P. del 31 gennaio, 5 febbraio, 25 febbraio e 17 aprile del 2020 risultano "versati" in atti (pag. 11 ordinanza impugnata);
b) il Pubblico Ministero non ha il dovere di trasmettere i verbali delle indagini nella loro integralità, ben potendo, come nel casi di specie, inviare semplici stralci dei verbali o oscurare una parte del contenuto con "omissis", a tutela del segreto investigativo che non impedisce lo sviluppo del contraddittorio (sul tema, Sez. 2, n. 43445 del 02/07/2013, Savarese, Rv. 257662; sez. 1, Sentenza n. 25589 del 17/06/2005 Rv. 232105; Sez. 2, n. 6367 del 08/02/2012, Protopapa, Rv. 252107);
c) la richiesta cautelare risultava fondata sulle dichiarazioni dal dott. P. rese durante l'incidente probatorio.
Dunque, non è obiettivamente chiaro perché la prova assunta in sede di incidente probatorio sarebbe nulla.
Non diversamente, quanto al mancato deposito del verbale di interrogatorio del 29.2.2020, da una parte, il Tribunale ha chiarito che si tratta di dichiarazioni non richiamate né nella richiesta cautelare né nell'atto di appello del Pubblico Ministero e neppure nella richiesta di incidente probatorio, e, dall'altra il motivo è generico non essendo stato chiarito quale sarebbe il contenuto di quel verbale, quale la sua rilevanza, se la ipotizzata nullità sia stata eccepita, e, soprattutto, quale sarebbe il pregiudizio in concreto subito dalla parte.
Insomma si chiede una sanzione senza lesione. Ne deriva la complessiva infondatezza del motivo.
2.5. Infondati sono il quinto e il sesto motivo di ricorso, che possono essere valutati congiuntamente.
Si tratta di motivi che attengono a questioni tra loro connesse.
Vengono dedotti, innanzi tutto, temi giuridici fondanti, quali il giudizio di gravità indiziaria dell'esistenza del patto corruttivo, del suo esatto contenuto, della dazione dell’utilità, della riferibilità della consegna del denaro al processo "P.", della ingerenza del pubblico ufficiale infedele nella decisione che portò all'assoluzione dell'imputato.
Quelle stesse questioni giuridiche sono declinate anche con riferimento ai profili probatori, e cioè alla credibilità soggettiva del chiamante, alla attendibilità intrinseca del dichiarato, alla valenza dimostrativa dei riscontri esterni alla chiamata in correità.
2.5.1. Per ragioni di metodo è utile esaminare innanzitutto i profili più strettamente probatori relativi alla tenuta complessiva del ragionamento sotteso alla ordinanza impugnata, alla valutazione del Tribunale delle fonti di prova, della chiamata in correità, dei riscontri esterni ad essa.
Si tratta di una valutazione che deve essere compiuta sulla base di due presupposti. Il primo è quello per cui l'ordinanza emessa in tema di misure cautelari personali non può essere annullata sulla base di mere prospettazioni alternative che si risolvano in una rilettura orientata degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell'assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferire rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, perché considerati maggiormente plausibili, o perché assertivamente ritenuti dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata ( Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, rv. 234148).
In tema di limiti di sindacabilità dei provvedimenti in tema di misure cautelari personali, la Corte di Cassazione non ha infatti alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, ne' di rivalutazione delle condizioni soggettive dell'indagato in relazione alle esigenze cautelari ed alla adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito.
L'erronea valutazione in ordine ai gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen ed alle esigenze cautelari di cui all'art. 274 cod. proc. pen. è dunque rilevabile in Corte di cassazione soltanto se si traduca nella violazione di specifiche norme di legge ovvero in una mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato.
Il controllo di legittimità, in particolare, non riguarda ne' la ricostruzione di fatti, ne' l'apprezzamento del giudice di merito circa l'attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, per cui non sono ammissibili le censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvano nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice dì merito (Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015, Miccichè, Rv. 262948; Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, Mascolo ed altro, Rv. 265244; Sez. 1, n. 1769 del 23.03.1995, Ciraolo, Rv. 201177).
Il secondo presupposto attiene ai criteri di valutazione probatoria della c.d. chiamata in correità.
È noto come la metodologia a cui il giudice di merito deve conformarsi non può che essere quella «a tre tempi» indicata da Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992, dep. 22/02/1993, Marino, Rv. 192465: a) credibilità del dichiarante, desunta dalla sua personalità, dalle sue condizioni socio-economiche e familiari, dal suo passato, dai rapporti col chiamato, dalla genesi remota e prossima delle ragioni che lo hanno indotto all'accusa nei confronti del chiamato; b) attendibilità intrinseca della chiamata, in base ai criteri della precisione, della coerenza, della costanza, della spontaneità; c) verifica esterna dell'attendibilità della dichiarazione, attraverso l'esame di elementi estrinseci di riscontro alla stessa.
Hanno spiegato le Sezioni Unite come detta sequenza non debba essere rigorosamente statica, nel senso cioè che il percorso valutativo dei vari passaggi non deve muoversi lungo linee autonome e separate.
È cioè possibile che nel caso in cui debbano essere superate eventuali riserve circa l'attendibilità del narrato, il vaglio della loro portata sia compiuto alla luce di tutti gli altri elementi di informazione legittimamente acquisiti ed è chiaro come, rispetto ad una chiamata in reità la cui portata non sia chiarissima, la valutazione dei c.d. riscontri esterni debba essere maggiormente rigorosa e il convincimento del giudice imponga un obbligo motivazionale specifico.
Quanto alla credibilità soggettiva, deve essere nettamente distinto l'interesse a collaborare - che può animare ogni collaborante in considerazione della possibilità di beneficiare di benefici ed utilità - dall'interesse concreto a rendere dichiarazioni eteroaccusatorie inquinate.
Invero, il generico interesse a fruire di benefici o di conseguire utilità non intacca di per sé la credibilità soggettiva del dichiarante.
All'interesse a conseguire utilità soggettive infatti, deve essere riconosciuto valore "neutro", perché se è vero che un tale interesse può costituire, quanto meno in astratto, un motivo di dubbio sulla attendibilità della chiamata, è altrettanto vero che lo stesso può essere valutato anche come garanzia di veridicità delle dichiarazioni, posto che l'accertamento della eventuale falsità delle dichiarazioni comporterebbe senza dubbio il venir meno di quella utilità e quindi la vanificazione del risultato pratico in funzione del quale la scelta di rendere dichiarazioni auto ed etero accusatorie è normalmente stimolata.
Dall'interesse a "collaborare", che di per sé non intacca, in mancanza di quantomeno serie allegazioni contrarie, la credibilità del dichiarate, devono invece, essere nettamente distinti, non solo i rischi di collusioni in danno del chiamato, ma anche l'interesse concreto a rendere- per malanimo, astio, rancore o altro-, dichiarazioni accusatorie eventualmente calunniose nei confronti di terzi, evenienza, questa che rende legittimo il sospetto concreto di non attendibilità delle propalazioni.
Peraltro, il requisito del disinteresse costituisce uno solo dei criteri con i quali si misura la affidabilità della chiamata, di talchè, come la sua presenza non può portare automaticamente a ritenere la stessa attendibile, così la sua assenza non conduce necessariamente ad escluderla; la presenza di un interesse nel chiamante, alimentando il sospetto che le sue dichiarazioni ne risultino influenzate, deve indurre il giudice a usare una maggiore cautela, accertando, da un lato, se e quanto quell'interesse abbia inciso sulle dichiarazioni e, dall'altro, applicando con il massimo scrupolo gli altri parametri di valutazione offerti dalla esperienza e dalla logica.
L'esistenza di un rancore, di un sentimento ostile, di un proposito di vendetta, lungi dal condurre sempre a riferire cose false, può costituire la causale per riferire cose vere che senza quel sentimento ostile non sarebbero dichiarate.
Quanto alla tipologia e all'oggetto dei riscontri, la genericità dell'espressione «altri elementi di prova» utilizzata dall'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. legittima l'interpretazione secondo cui, anche in detta materia, vige il principio della "libertà dei riscontri", nel senso che questi, non essendo predeterminati nella specie e nella qualità, possono essere di qualsiasi tipo e natura, ricomprendere non soltanto le prove storiche dirette, ma ogni altro elemento probatorio, anche indiretto, legittimamente acquisito al processo ed idoneo, anche sul piano della mera consequenzialità logica, a corroborare, nell'ambito di una valutazione probatoria unitaria, il mezzo di prova ritenuto ex lege bisognoso di conferma.
L'unico dato certo, evincibile da una corretta interpretazione della previsione di cui all'art. 192, comma 3, cod. proc. pen., è costituito dall'esigenza che i riscontri alle dichiarazioni ivi considerate debbano essere caratterizzati dalla necessaria estraneità - nel senso di provenienza ab externo - rispetto alle dichiarazioni medesime, si da scongiurare una verifica tautologica, autoreferenziale ed affetta dal vizio della circolarità (così testualmente, Sez. U., n. 20804 del 29/04/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255144).
Ciò che non è consentito è che il riscontro derivi dallo stesso soggetto che deve essere riscontrato.
2.5.2. Sulla base di tale quadro di riferimento, i motivi di ricorso perdono innanzitutto di valenza quanto al tema della credibilità soggettiva del dott. P..
Sul tema, il ricorso è generico, sovrappone il tema della credibilità soggettiva di P. con quello della attendibilità intrinseca delle sue dichiarazioni e dei parametri alla stregua dei quali detto profilo deve essere accertato, limitandosi sostanzialmente ad affermare che P. sarebbe stato ritenuto nell'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del 9.6.2020, da una parte, un soggetto inaffidabile, tendente al mendacio, e, dall'altra, un dichiarante mosso a rendere dichiarazioni strategiche volte ad ottenere benefici personali, e, in particolare, la sostituzione della misura cautelare in carcere
Si tratta di affermazioni che, come detto, sovrappongono l'interesse a mentire con quello a trarre utilità e vantaggi dalla decisione di rendere dichiarazioni eteroaccusatorie e non spiegano in nessun modo perché P., che ha reso dichiarazioni confessorie di più fatti corruttivi chiamando in correità più soggetti, avrebbe dovuto rendere dichiarazioni false nei riguardi dell'avv. M. per i fatti per cui si procede, perché P., la cui credibilità soggettiva - ha spiegato il Tribunale- è stata già affermata nell'ambito del giudizio definito in primo grado che lo ha riguardato, sarebbe un soggetto mosso da un interesse inquinante nei riguardi dell'odierno ricorrente, e, posto che detto interesse inquinante vi sia, quale sarebbe il suo contenuto, perché P., in quanto mosso dalla prospettiva utilitaristica di conseguire vantaggi dalla decisione di rendere dichiarazioni collaborative, dovrebbe accusare ingiustamente l'avv. M., con ciò esponendosi al grave rischio di essere smentito e vanificare proprio quella prospettiva utilitaristica che verosimilmente lo ha indotto a rendere le dichiarazioni oggetto del processo.
2.5.3. Non diversamente, l'ordinanza impugnata è immune da vizi di illogicità manifesta per quel che riguarda l'attendibilità intrinseca delle dichiarazioni rese dal dott. P.
Il Tribunale, con una adeguata trama argomentativa, ha innanzitutto ricostruito i fatti, facendo riferimento certo alle dichiarazioni rese dal chiamante nel corso dell'incidente probatorio, nel contraddittorio delle parti, ma, diversamente dagli assunti difensivi, oggetto anche del primo motivo aggiunto, anche confrontandosi con quelle rese nel corso degli interrogatori e oggetto delle censure difensive.
Si è spiegato che:
- P. tra la fine del 2018 e l'inizio del 2019 fu avvicinato dall'avv. M. in relazione ad un procedimento di prevenzione patrimoniale nei riguardi di A. I., rappresentandogli un suo interesse al buon esito della procedura;
- P. chiese per l'inquinamento della sua funzione nell'occasione la somma di 2.500 euro, poi effettivamente consegnatagli in contanti qualche giorno dopo il deposito del provvedimento, avvenuto il 21 maggio 2019;
- quanto ai fatti per cui si procede, P. incontrò gli avv.ti M. e G., difensori di P., poco prima dell'inizio del processo in Corte di Assise d'Appello, fissato il 14 marzo 2019, e in quella occasione entrambi i suoi interlocutori manifestarono la loro disponibilità alla dazione di una somma di denaro in caso di esito favorevole del processo;
- in questo primo incontro non si fece riferimento alla somma da corrispondere, perché la proposta, pur chiaramente percepita dal magistrato, fu vaga;
- P. incontrò nuovamente l'avv. M. il 14 marzo 2019- ovvero qualche giorno dopo- ed in tale occasione, questi rese esplicita la sua disponibilità alla dazione di una somma di denaro nel caso di esito favorevole del processo;
- il 30 maggio l'Avv. M., dopo aver raggiunto il magistrato nel suo ufficio, gli consegnò una cartellina contenente la motivazione di una sentenza emessa qualche giorno prima dalla Corte costituzionale - che aveva rilievo rispetto al processo, celebrato in primo grado con le forme del giudizio abbreviato- e una busta contenente la somma di 5000 euro;
- nel corso di quell'incontro P. fece anche riferimento ad un cugino di sua moglie, regista di cortometraggi, che da qualche anno partecipava ad un concorso per la assegnazione di fondi pubblici regionali, e chiese se l'avv. M. conoscesse il Presidente dell'Ente erogante, denominato Film Commission Calabria, e, posto che lo conoscesse, di intercedere in favore del cugino, che poi in effetti fu ammesso al finanziamento;
- P. aveva riferito di non sapere nè che l'ammissione al finanziamento fosse il risultato dell'intervento di M. e neppure di aver saputo che questi si fosse comunque adoperato;
- P. incontrò successivamente l'avv. G. nell'ottobre di quello stesso anno e in tale occasione chiese a questi un "contributo economico";
- che G., dopo qualche giorno, in effetti gli consegno l'ulteriore somma di 5000 euro;
- P. ricevette anche un'ulteriore somma di cinque mila euro dell'avv. G. dopo la lettura del dispositivo della sentenza di assoluzione, il 4 dicembre 2019.
Rispetto a detta ricostruzione fattuale il Tribunale confrontandosi con le argomentazioni difensive dell'indagato- molte delle sono le stesse oggetto dei motivi di ricorso in esame- ha spiegato come:
- le dichiarazioni rese nel corso dell'incidente probatorio del 13.10.2020 rivelino una linearità narrativa e una chiara valenza auto ed etero accusatoria e non siano affatto in insanabile contrasto con le dichiarazioni rese unilateralmente nel corso degli interrogatori, in cui si fece riferimento ad una pluralità di fatti corruttivi;
- non assuma decisiva valenza la circostanza che P. in un primo momento, nel corso dell'interrogatorio del 31 gennaio 2020, avesse escluso l'avv. M. dal fatto corruttivo per cui si procede, avendo in seguito il dichiarante precisato che detto errore fu causato dal fatto che nella sua memoria fosse più forte il ricordo della somma ricevuta dall'avv. G. il 4 dicembre del 2019, un mese e mezzo prima dell'arresto, e che proprio ciò lo aveva indotto a non fare riferimento all'odierno ricorrente;
- il coinvolgimento del ricorrente nel fatto per cui si procede fu riferito, seppur a seguito di sollecitazioni, sin nel corso dello stesso interrogatorio del 31 gennaio 2020 e poi ampiamente ribadito nel corso dell'incidente probatorio;
- non assuma decisivo rilievo nemmeno la circostanza che, nel corso dell'interrogatorio del 31 gennaio 2020, P. riferì di aver ricevuto il 30 maggio 2019 dall'avv. M. la somma di 2.500 euro, essendo stato in seguito spiegato che la dazione del 30 maggio avvenne in un contesto temporale ravvicinato rispetto a quella riguardante il procedimento di prevenzione a carico di I., per il quale pure l'avv. M. avrebbe consegnato la somma di 2.500 euro, di cui si è già detto, e che proprio tale sovrapponibilità temporale lo aveva indotto a confondere i due accadimenti ed a riferire nel corso dell'interrogatorio del 31 gennaio 2020 che la somma ricevuta il·30 maggio fosse di duemilacinquecento euro e non di cinquemila;
- non assuma rilievo decisivo la circostanza che P., soggetto descritto come una persona con una "disperata situazione finanziaria e, ciò nonostante, con un tenore di vita elevato, abbia riferito che la somma di 7.500 euro. rinvenuta al momento in cui fu eseguita la perquisizione presso la sua abitazione, avrebbe compreso anche i 5000 euro ricevuti da G. il 4 dicembre, essendo tutt'altro che inverosimile che in quel periodo lo stesso P. potesse aver fatto affidamento su ulteriori entrate e dunque non utilizzato la somma avuta da G.;
- anche la circostanza riferita da P. - secondo cui vi sarebbe stato un accordo con l'avv. M. "nei giorni precedenti" al 30 maggio per la successiva consegna della sentenza - che, a dire del ricorrente, rivelerebbe la inattendibilità del dichiarante in ragione del fatto che M. non si sarebbe recato a Catanzaro dal 23 al 29 maggio 2019- cioè nel periodo successivo al deposito della sentenza- e dunque non sarebbe chiaro quando le parti si sarebbero accordate, non sarebbe espressione della inattendibilità del dichiarante, essendo in atti la prova che l'avv. M. si recò a Catanzaro nei giorni 13-16-20 maggio.
Non vi è dubbio che il dichiarato del dott. P. debba essere oggetto di ulteriore approfondimento in relazione a specifiche circostanze e che sussistano passaggi intermedi della ricostruzione fattuale meritevoli di chiarimento, ma i motivi in esame, per come strutturati, che necessitano di una ragionata censura del complessivo percorso motivazionale del provvedimento impugnato, con il quale obiettivamente si confrontano in modo parcelizzato, e si risolvono in una indistinta critica difettiva (ad esempio, i luoghi in cui sarebbero avvenute le consegne di denaro); la frammentazione del ragionamento sotteso al ricorso, la moltiplicazione di rivoli argomentativi neutri o, comunque, non decisivi, la scomposizione indistinta di fatti e di piani di indagine non ancorata al ragionamento probatorio complessivo della ordinanza impugnata, la valorizzazione di singoli elementi il cui significato viene scisso ed esaminato atomisticamente rispetto all'intero contesto, violano il necessario onere di specificazione delle critiche mosse al provvedimento (sul tema, Sez. 6, n. 10539 del 10/02/2017, Lorusso, Rv. 269379).
In tale contesto si è reiterata l'argomentazione:
- per cui P. non aveva all'inizio coinvolto l'avv. M. nel fatto corruttivo per cui si procede, senza, tuttavia, tener conto non solo del fatto che già nell'interrogatorio del 31 maggio 2020, il chiamante, sollecitato, chiarì la circostanza, ma, soprattutto, che del coinvolgimento del ricorrente, P. ha in seguito ricostruito in modo tutt'altro che illogico il contesto, il ruolo, il comportamento in concreto tenuto dall'indagato;
- secondo cui P. avrebbe potuto sovrapporre la dazione per il procedimento I. con quella relativa al processo P., senza considerare che il dichiarante ha sufficientemente chiarito, nei limiti del giudizio di gravità indiziaria, gli aspetti di interferenza tra i due procedimenti;
- relativa alla inverosimiglianza che P. potesse custodire in casa, a distanza di oltre un mese, la somma in contanti ricevuta da G. il 4.12.2020, senza considerare, anche in questo caso, quanto in maniera tutt'altro che illogica il Tribunale ha evidenziato. È stato reiterato l'assunto per cui il provvedimento favorevole emesso nel procedimento I. sarebbe stato sospeso nei giorni successivi dallo stesso P. e che proprio ciò avrebbe manifestato una inaffidabilità di questi a mantenere l'impegno assunto con il patto corruttivo relativo a quel procedimento: detta circostanza renderebbe non verosimile ritenere che l'avv. M. potesse, alla luce di quanto accaduto, cercare di concludere un nuovo patto.
Si tratta in un assunto che, da una parte, obiettivamente pone una esigenza di chiarimento che, tuttavia, non rende inattendibili di per sé le dichiarazioni del correo, dovendosi verificare cosa in concreto accadde e cosa indusse P. a sospendere l'efficacia del provvedimento di restituzione, e, dall'altra, non esclude affatto che l'avv. M., nonostante l'accaduto, mantenesse interesse a concludere un nuovo patto corruttivo con chi, a prescindere dalle dinamiche che condussero a sospendere il provvedimento di restituzione, aveva dimostrato di poter essere fidelizzato e vendere sistematicamente la propria funzione di magistrato.
Non diversamente, è stata reiterata l'argomentazione per cui il Tribunale avrebbe errato nella parte in cui non ha ritenuto minata la attendibilità del dott. P. per avere questi riferito che vi sarebbe stato un accordo con l'avv. M. "nei giorni precedenti" al 30 maggio per la successiva consegna della sentenza (così il Tribunale a pag. 17 della ordinanza); si tratterebbe, a dire del ricorrente, di un chiaro errore di valutazione in ragione del fatto che la sentenza fu depositata il 23 maggio e che M. non si sarebbe recato a Catanzaro dal 23 al 29 maggio 2019.
Dunque, si argomenta, l'accordo con P. non poteva essere preso prima del 23, cioè del giorno in cui la sentenza fu depositata, e perché M., come detto, dal 23 al 29 non si sarebbe recato a Catanzaro, non rilevando la presenza del ricorrente nei giorni 13-16-20 maggio.
Sul punto i rilievi del Tribunali non risultano decisivi, risultando incerto il momento in cui M. disse a P. che gli avrebbe portato la sentenza della Corte e in cui sarebbe stato concordato l'appuntamento del 30 maggio: in relazione a tale tema sono in astratto ipotizzabili ricostruzioni alternative degli accadimenti, ma la questione conserva una sua consistenza, peraltro, alla resa dei conti, non dirimente in questa sede.
2.5.4. Si è già detto, invero, che le Sezioni Unite hanno spiegato come la sequenza con cui procedere alla valutazione della chiamata di correità non debba essere - per così dire - rigorosamente statica, nel senso cioè che il percorso valutativo dei vari passaggi non deve muoversi lungo linee autonome e separate.
È cioè possibile che nel caso in cui debbano essere superate eventuali riserve circa l'attendibilità del narrato, il vaglio della portata delle dichiarazioni debba essere compiuto alla luce di tutti gli altri elementi di informazione legittimamente acquisiti ed è chiaro come, rispetto ad una chiamata in reità dai contorni, per alcuni aspetti, meno nitidi, la valutazione dei c.d. riscontri esterni debba essere maggiormente rigorosa e il convincimento del giudice impone un obbligo motivazionale specifico.
Nel caso di specie, a fronte di una chiamata compiuta da un correo soggettivamente attendibile - essendo stato fatto correttamente rilevare dal Tribunale come non sia emerso nessun interesse inquinante in capo al dott. P. nei confronti dell'avv. M.- e di dichiarazioni la cui valutazione relativa alla attendibilità intrinseca, non può obiettivamente essere considerata, nel suo complesso, manifestamente illogica essendo stati ricostruiti, con sufficiente capacità rappresentativa, i fatti, la successione degli eventi, i singoli ruoli soggettivi, il contenuto del patto corruttivo, le modalità con cui detto patto ebbe esecuzione - i riscontri esterni, per come rappresentati dal Tribunale, hanno, allo stato, una capacità confermativa degli assunti del dott. P., ben superiore a quella normalmente riconducibile alla comune accezione di riscontro.
2.5.5. Il Tribunale ha spiegato come. dall'esame del video e dalla rimodulazione dell'audio nonché dalla visione diretta dei supporti informatici prodotti dal Pubblico Ministero, si evinca che, in occasione dell'incontro del 30 maggio:
- l'avv. M., all'interno della stanza del dott. P. presso la Corte di appello di Catanzaro, porse a questi una cartellina, poggiandola poi nella propria borsa aperta e collocando al suo interno una busta bianca, poi consegnata a P. insieme alla cartellina;
- la cartellina, che evidenziava un rigonfiamento, fu posta da P. sulla sua scrivania, dove rimase per alcuni minuti;
- l'avv. M. e il dott. P. fecero riferimento espresso al processo "P." e agli effetti che la sentenza della Corte costituzionale avrebbe avuto su quel giudizio;
- consegnata la cartellina, l'avv. M. e il dott. P. si avviarono verso la porta, uscirono dalla stanza per poi rientrarvi dopo qualche minuto, quando P. si diresse verso la scrivania, annotando un appunto su un foglio e consegnandolo a M.;
- P. chiese a M. una "cortesia" facendo riferimento al "cugino e alla intercessione che questi avrebbe dovuto compiere;
- M. rassicurò P. dicendo "poi ci parlo io".
Si è ancora chiarito come, nonostante un'interruzione del video di circa dieci secondi,
- nel corso dei quali venivano ascoltati "rumori di carta" - alla ripresa del video si notava che la cartellina non si trovava più sulla scrivania e che la poltrona e la borsa di P., posta a fianco della scrivania, si trovavano in una posizione leggermente diversa.
Tali elementi devono essere posti in connessione con quanto video registrato all'interno dell'ufficio del dott. P. presso la sede della Commissione Tributaria.
Dal video, ha rilevato il Tribunale, emergerebbe che:
- P., dopo circa due ore dall'incontro con l'avv. M., all'interno dell'ufficio, chiusa la porta, estrasse una busta del tutto corrispondente a quella consegnata da M., scrutandone il contenuto.
Anche tali elementi, che hanno una autonoma ed autosufficiente valenza probatoria,
sono stati correttamente considerati riscontri alle dichiarazioni di P. nella parte in cui il pubblico ufficiale ha riferito di aver aperto la busta con il denaro all'interno del suo ufficio presso la Commissione tributaria.
Ha spiegato il Tribunale le ragioni per cui l'interruzione del video non assume decisiva valenza e perché nel caso di specie non sussiste nessuna manipolazione inquinante di detto video, con conseguente ipotizzata inutilizzabilità.
Si è aggiunto come nel caso di specie sussistano ulteriori elementi confermativi degli assunti accusatori, quali:
-gli esiti dei tabulati relativi alla utenza in uso all'avv. M. che hanno confermato la presenza del ricorrente in Catanzaro - in una parte di territorio compatibile con quella della sede della Corte di assise d'appello- il 14 marzo 2019 e nei giorni immediatamente successivi (20 - 26 marzo), cioè nei giorni in cui, secondo la ricostruzione del dott. P., sarebbe stato esplicitato e concluso il patto corruttivo;
- le dichiarazioni della dott.ssa S., funzionaria di banca, che visionando il filmato, ha riconosciuto la presenza di banconote da 50 euro all'interno della busta aperta da P. all'interno del suo ufficio presso la Commissione tributaria;
- gli ulteriori accertamenti volti a dimostrare come lo spessore della busta- di cui ai filmati - fosse eccessivo e non compatibile rispetto all'assunto difensivo secondo cui in essa furono collocati solo i fogli di carta A4 piegati, relativi alla sentenza di cui si è detto, ed un commento sul tema della astensione dei difensori all'udienza, ed invece fosse compatibile con la presenza al suo interno di una "mazzetta di banconote di 50 euro per un ammontare complessivo di 5.000 euro".
Rispetto a tale quadro di riferimento, i motivi di ricorso presentano una instabilità strutturale.
Si è fatto nuovamente riferimento alla manipolazione del video ed alla sua inutilizzabilità, alla interruzione del video di cui si è detto, alla possibilità che P., presso il suo studio alla Commissione Tributaria, possa aver visionato una busta diversa rispetto a quella a lui consegnata dall'avv. M., al fatto che P. avrebbe riferito che le banconote ricevute sarebbero state in prevalenza da 100 euro e non da 50, alla non rilevante valenza della verifica dello spessore della busta.
Si tratta di assunti che sono stati puntualmente valutati dal Tribunale in modo non manifestamente illogico e che sono sostanzialmente volti a rivisitare lo spessore degli indizi, la ricostruzione di fatti, l'apprezzamento del giudice di merito circa l'attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori; censure inammissibili perché, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice dì merito.
Dunque, una chiamata in correità che, pur in presenza di specifici profili da approfondire in relazione all' attendibilità intrinseca del dichiarato, ha elementi di riscontro obiettivamente rilevanti ai fini del giudizio cautelare sulla esistenza dei gravi indizi di colpevolezza: M. consegnò a P. denaro.
Non assume rilievo in questa sede il generico riferimento ad ulteriori conversazioni intercettate, risalenti al periodo tra il giugno e l'agosto 2019, di cui sarebbe stato effettuato il deposito da parte del Pubblico ministero, trattandosi di deduzione che introduce elementi di fatto, prospettati genericamente.
2.5.6. Sulla base della ricostruzione compiuta dal Tribunale è possibile ora esaminare le deduzioni difensive più strettamente giuridiche relative alla esistenza del patto corruttivo, al suo oggetto, alla sua esecuzione.
I delitti di corruzione puniscono il collateralismo clientelare o mercantile.
Ciò che accomuna le fattispecie è il divieto di "presa in carico" d'interessi differenti da quelli che la legge persegue attraverso il pubblico agente; nella corruzione propria detta presa in carico riguarda e si manifesta con il compimento di un atto contrario, dunque con un atto specifico, nella corruzione per l'esercizio della funzione, invece, la "presa in carico" realizza un inquinamento di base, un asservimento diffusivo che ha la capacità di propagarsi in futuro, in modo non preventivato e non preventivabile rispetto al momento della conclusione del patto corruttivo.
Il reato di corruzione, nelle sue varie ipotesi, integra un reato a forma libera, plurisoggettivo, a concorso necessario, di natura bilaterale, fondato sul "pactum sceleris" tra privato e pubblico ufficiale (o incaricato di pubblico servizio).
Concluso l'accordo, il reato è perfezionato e non assume rilievo decisivo la sua esecuzione; è l'accordo che si punisce, anche se intervenuto successivamente all'adozione dell'atto- legittimo o illegittimo che sia - ovvero all'esercizio della funzione.
Si tratta di un illecito che si sostanzia in condotte convergenti, tra loro in reciproca saldatura e completamento, idonee ad esprimere, nella loro fisiologica interazione, un unico delitto.
Da ciò consegue che il reato si configura e si manifesta, in termini di responsabilità, solo se entrambe le condotte, del funzionario e del privato, in connessione indissolubile, sussistano probatoriamente e la perfezione dell'illecito avviene alternativamente con l'accettazione della promessa o con il ricevimento effettivo dell'utilità (cfr., Sez. 6, n. 33519 del 04/05/2006, Acampora).
Ciò che deve essere processualmente accertato, anche in sede cautelare, è se il pubblico ufficiale abbia accettato una utilità, se quella utilità sia collegata all'esercizio della sua funzione, al compimento di quale atto quella utilità sia collegata, se quell'atto sia o meno conforme ai doveri di ufficio.
In particolare, deve essere accertato il nesso tra l'utilità e l'atto da compiere o compiuto da parte del pubblico ufficiale, e se il compimento dell'atto sia stato la causa della prestazione e dell'accettazione da parte del pubblico ufficiale della utilità.
Costituisce infatti principio più volte ribadito nella giurisprudenza di legittimità, e che il Collegio condivide, quello secondo cui, ai fini dell'accertamento del reato di corruzione propria, nell'ipotesi in cui risulti provata la dazione di denaro o di altra utilità in favore del pubblico ufficiale, è necessario dimostrare che il compimento dell'atto contrario ai doveri di ufficio sia stato la causa della prestazione dell'utilità e della sua accettazione da parte del pubblico ufficiale, non essendo sufficiente a tal fine la mera circostanza dell'avvenuta dazione (cfr., in particolare, per citare le più recenti massimate, Sez. 6, n. 39008 del 06/05/2016, Biagi, Rv. 268088; Sez. 6, n. 5017 del 07/11/2011, dep. 2012, Bisignani, Rv. 251867, nonché Sez. 6, n. 24439 del 25/03/2010, Bruno, Rv. 247382).
In linea con il dettato dell'art. 319 cod. pen., è infatti necessario dimostrare non solo la dazione indebita dal privato al pubblico ufficiale (o all'incaricato di pubblico servizio), bensì anche la finalizzazione di tale erogazione all'impegno di un futuro comportamento contrario ai doveri di ufficio ovvero alla remunerazione di un già attuato comportamento contrario ai doveri di ufficio da parte del soggetto munito di qualifica pubblicistica.
La prova della dazione indebita di una utilità in favore del pubblico ufficiale, quindi, ben può costituire un indizio, sul piano logico, ma non anche, da solo, la prova della finalizzazione della stessa al comportamento antidoveroso del pubblico ufficiale: è pertanto necessario valutare tale elemento unitamente alle altre circostanze di fatto acquisite al processo, in applicazione della previsione di cui all'art. 192, comma 2, cod. proc. pen., secondo cui «l'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti».
Nel caso di specie, è stato formulato, allo stato, un corretto giudizio di gravità indiziaria relativo alla esistenza del patto ed al suo contenuto - concluso in coincidenza con l'inizio del processo - alla sua esecuzione.
Non è viziato il ragionamento giuridico del Tribunale quanto al nesso funzionale tra le due prestazioni, essendosi evidenziata la piena consapevolezza delle parti del contenuto delle prestazioni, della loro giustificazione causale, della loro correlazione; né assume rilievo la prova della effettiva incidenza di Dott. P. sulla decisione assunta dalla Corte di assise d'appello
Il reato di corruzione in atto giudiziari si consuma con la mera accettazione della promessa di denaro o di altra utilità, indipendentemente dal risultato della illecita prestazione concordata e dalla identità del soggetto a cui vantaggio essa concretamente refluisce (Sez. 1, n. 2302 del 26/11/2002, dep. 17/01/2003, Rv. 224340), dovendosi peraltro ritenere del tutto indifferente la concretizzazione o meno del vantaggio che il corruttore aveva intenzione di conseguire quale frutto dell'accordo corruttivo, atteso che la struttura della fattispecie incriminatrice in esame è connotata dalla finalizzazione dell'accordo e degli atti pattuiti ad ottenere un vantaggio ovvero a danneggiare una parte processuale (Sez.6, n. 5264 del 26/01/2016, Bindi, Rv. 265842; sul tema anche, fra le altre, Sez. 6, n. 17987 del 24/01/2018, Ungaro, Rv. 272916 secondo cui in tema di delitto di corruzione in atti giudiziari, per stabilire se la decisione giurisdizionale sia conforme o contraria ai doveri di ufficio deve aversi riguardo non al suo contenuto, ma al metodo con cui a essa si perviene, nel senso che il giudice, che riceve da una parte in causa denaro o altra utilità o ne accetta la promessa, rimane inevitabilmente condizionato nei suoi orientamenti valutativi, e la soluzione del caso portato al suo esame, pur accettabile sul piano della formale correttezza giuridica, soffre comunque dell'inquinamento metodologico a monte).
Ne discende la complessiva infondatezza dei motivi relativi al patto corruttivo ed alla dazione del denaro; tali considerazioni assorbono anche la valutazione dell'ulteriore segmento riguardante l'intervento che l'avv. M. avrebbe dovuto compiere su C.G. al fine di favorire il parente segnalato dal dott. P. per il conseguimento del contribuito dalla C. F. C..
2.5.7. E' inammissibile il settimo motivo di ricorso, relativo alle esigenze cautelari.
A fronte di una puntuale motivazione con cui il Tribunale ha spiegato, da una parte, come, nella specie, esista un pericolo concreto ed attuale di recidiva, fatto derivare dalla estrema gravità dei fatti e dal contesto generale in cui essi sono maturati, e, dall'altra, le ragioni per cui la misura debba essere applicata nella sua massima estensione temporale, nulla di specifico è stato dedotto, essendosi sostanzialmente limitato il ricorrente a sollecitare una non consentita diversa valutazione di alcune conversazioni intercettate.
3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna dell'indagato consegue la sua condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del Pubblico Ministero.
Rigetta il ricorso di M.M. che condanna al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.