Errore di valutazione ed errore di percezione, travisamento della prova e scrutinio di legittimità: questi i temi oggetto dei nuovi principi di diritto affermati con la sentenza in commento.
Con la sentenza n. 37382 del 21 dicembre 2022 la Corte di Cassazione ha affermato una pluralità di principi di diritto di natura processuale che si riportano di seguito:
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Svolgimento del processo
1. I dottori architetti A.M. e A.B. ricorrono avverso la sentenza n. 966/2019 della Corte di Appello di Ancona, che, decidendo definitivamente sull'appello principale da essi proposto e sull'appello incidentale proposto da M.G., ha confermato integralmente la sentenza n. 483/2013 del Tribunale di Pesaro ( che, quali progettisti, li aveva condannati, in solido con l'appaltatore, al risarcimento dei danni subiti dalla committente), condannando gli appellanti alla rifusione delle spese processuali del grado di appello in favore di M.T.G. e compensandole tra loro.
2. Questi i fatti.
Nel 2009 M.T.G. ha convenuto in giudizio, dinanzi al Tribunale di Pesaro, M.G., titolare dell'omonima ditta, chiedendo che quest'ultimo fosse condannato al pagamento in suo favore della somma di euro 75.000, a titolo di risarcimento danni.
A fondamento della domanda, deduceva che:
- con contratto di appalto verbale dei primi di maggio 2008, aveva affidato al convenuto la realizzazione del sottofondo in calcestruzzo (c.d. massetto) circostante la piscina costruita nella corte di pertinenza di una propria struttura alberghiera, denominata (omissis), corrente in Pesaro;
- l'appaltatore aveva eseguito l'opera nei giorni 14 e 15 maggio 2008;
- successivamente, pavimentisti (incaricati della posa in opera delle mattonelle sul massetto) avevano constatato che detto massetto era stato realizzato senza rispettare la quota e le pendenze necessarie per lo scolo delle acque piovane, le quali, anziché defluire verso l'esterno (come previsto, attraverso le canalette che avrebbero dovuto condurle nei pozzetti fognari), defluivano verso la vasca della piscina, specie in taluni lati;
- l'appaltatore aveva riconosciuto la propria responsabilità e si era impegnato ad eliminare i vizi, senza però riuscirvi.
Il convenuto G., costituitosi in giudizio, ha chiamato in causa gli architetti A.B. e A.M., progettisti della piscina, chiedendone la condanna quali esclusivi responsabili o comunque in manleva nei suoi confronti in caso di sua condanna.
I chiamati in causa M. e B. si sono a loro volta costituiti in giudizio ed hanno chiesto il rigetto della domanda attorea, che era stata estesa nei loro confronti, deducendo che:
- il loro mandato era cessato prima dell'esecuzione dell'opera, in seguito alla mera redazione del progetto architettonico, successivamente alla quale era stato nominato altro direttore dei lavori (Ing. T., marito della G.);
- il progetto architettonico da loro redatto era funzionale solo all'ottenimento del permesso di costruire, per modo che non avrebbe dovuto necessariamente prevedere le modalità esecutive;
- nonostante ciò, in esso era stata comunque prevista la "quota" di pendenza della piscina e il sistema di drenaggio delle acque, ma successivamente l'appaltatore aveva realizzato questo sistema in difformità rispetto al progetto, con sua esclusiva responsabilità.
2.1. Il Tribunale di Pesaro, con sentenza 12 giugno 2013 - pronunciando sulla domanda risarcitoria proposta dalla committente G. nei confronti della ditta G., esecutrice dei lavori, nonché sulla chiamata in causa da parte della ditta convenuta degli architetti M. e B. per avere questi svolto attività di progettazione - ha dichiarato la responsabilità solidale della ditta convenuta e dei terzi chiamati in causa in relazione ai vizi ed ai difetti costruttivi incorsi nell'esecuzione dell'appalto verbalmente commissionato dalla G. nel maggio 2008 per il completamento della piscina per cui è processo, con condanna degli stessi, in solido tra loro, al risarcimento del danno in favore di parte attorea, quantificato in euro 40.930,00, oltre rivalutazione ed interessi.
2.2. La Corte di appello di Ancona - adita con impugnazione principale dai due architetti progettisti e con impugnazione incidentale dall'appaltatore (che non ha impugnato la statuizione della condanna) - ha integralmente confermato la sentenza di primo grado.
3. Avverso la sentenza della Corte territoriale gli architetti A.M. e A.B. hanno proposto ricorso per cassazione articolando dieci motivi.
Gli intimati M.T.G. (quale committente) e M.G. (quale appaltatore) non hanno svolto difese.
3.1. In vista dell'udienza camerale del 24 giugno 2022, fissata per la trattazione del ricorso, i ricorrenti hanno depositato memoria a sostegno dell'accoglimento del ricorso ed in particolare hanno rilevato che il progetto architettonico, da essi elaborato, doveva esprimere nelle sue linee essenziali l'architettura della piscina (costituita dalle dimensioni della vasca, dalla presenza dei requisiti per la costruzione dell'opera, dall'accessibilità dell'area ai mezzi di servizio e di soccorso, dalla delimitazione dell'area con recinzione, dalla pavimentazione perimetrale intorno alla piscina e dall'assenza di movimenti terra).
3.2. Ad esito della camera di consiglio, svoltasi in detta udienza, il collegio ha rinviato il ricorso a nuovo ruolo, disponendone la trattazione in pubblica udienza sul rilievo che i primi tre motivi del ricorso (ed in particolare il secondo) pongono la questione, di rilevanza nomofilattica, se "l'errore che cade sulla ricognizione del contenuto oggettivo delle prova (ossia del risultato probatorio nella sua obiettività, che viene erroneamente percepito o ricevuto o evidentemente travisato), diversamente dall'errore di valutazione delle prove (normalmente non sindacabile in sede di legittimità, se non si traduca in un vizio di motivazione costituzionalmente rilevante: art.132 n. 4 c.p.c.), possa essere censurato quale error inprocedendo per violazione dell'art.115 c.p.c., allorché investa una circostanza che abbia formato oggetto di discussione tra le parti".
4. In vista dell'odierna udienza, il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo la rimessione della causa al Primo Presidente per l'assegnazione alle Sezioni Unite sui seguenti due quesiti:
a) "se l'errore che ricade sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova (ossia del risultato probatorio nella sua obiettività, che viene erroneamente percepito o ricevuto o evidentemente travisato), può dar luogo, se del caso, esclusivamente a revocazione ex art. 395 c.p.c. n. 4, ovvero sia ancora sindacabile in sede di legittimità";
b) "ove si dia risposta positiva al primo quesito, quale sia il corretto specifico rimedio con cui far valere tale specifico vizio: l'errar in procedendo ex art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. per violazione del divieto, desumibile dall'art. 115 c.p.c. di fondare la decisione su prove non offerte dalle parti, ovvero il vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c. comma 1 n. 5 c.p.c.".
ricorrenti hanno depositato nuova memoria, nella quale, riportandosi a quanto argomentato nei motivi del ricorso introduttivo e nella memoria ex art. 378 c.p.c., hanno concluso per l'accoglimento del ricorso con la cassazione della sentenza impugnata e con il favore delle spese di tutti i gradi di giudizio, da distrarsi in favore del procuratore antistatario.
Motivi della decisione
1. La Corte territoriale, nella sentenza impugnata ha confermato il giudizio positivo sulla responsabilità professionale dei due architetti progettisti sulla base dei seguenti rilievi:
- la circostanza che il mandato dei due professionisti fosse cessato con il rilascio del permesso di costruire (comunque prima dell'esecuzione dell'opera viziata) non li sollevava da responsabilità, «atteso che gli effetti esplicati dal progetto nei confronti dell'opera appaltata prescinde dalle sorti che potrebbe subire il contratto d'opera professionale tra il progettista/direttore dei lavori e il committente» (p.1.1. della sentenza);
- il "progetto architettonico" costituisce sì un elaborato di massima e poco dettagliato, in quanto funzionale all'acquisizione del permesso di costruire (sicché normalmente viene integrato dal "progetto strutturale"); tuttavia, nel caso specifico, riguardante un intervento edile di modeste dimensioni, quale quello del massetto circostante la piscina già realizzata, era già di per se sufficientemente adeguato a tale scopo, tanto è vero che la committente non aveva ravvisato la necessità di conferire ulteriore incarico per la redazione di un elaborato strutturale;
- dagli elaborati descrittivi e grafici prodotti, era emerso che il progetto architettonico realizzato dai due architetti (che teneva luogo anche di quello strutturale) non conteneva alcuna previsione in merito alla "giusta quota" di imposta della piscina, quale elemento idoneo a consentire il regolare e corretto deflusso delle acque di risulta verso i lati opposti del bordo piscina; tale lacuna rendeva professionalmente responsabili entrambi i professionisti che lo avevano redatto;
- in base all'orientamento giurisprudenziale di legittimità, la norma sulla garanzia dell'appaltatore per i vizi e difformità dell'opera (art.1667 c.c.) e quella sulla sua responsabilità per la rovina o i gravi difetti di edifici o di altre cose immobili per loro natura a lunga durata (art.1669 c.c.), si estendono ai progettisti e ai direttori dei lavori, figura, quest'ultima, che nella fattispecie in esame doveva ritenersi ricompresa nella prima.
2. I ricorrenti, come sopra rilevato, censurano detta sentenza con dieci motivi.
2.1. Con il primo denunciano la sentenza impugnata per omesso esame circa un fatto decisivo e controverso, nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto responsabili, in solido con l'impresa appaltatrice (la ditta G.), anche loro, quali architetti progettisti. Sostengono che i giudici di appello hanno travisato le emergenze istruttorie, dalle quali era emerso che essi avevano elaborato il progetto architettonico finalizzato al rilascio del permesso di costruire da parte del Comune di Pesaro-Urbino alla Sig.ra G.. In detto progetto, al fine di rendere avvertito il nuovo direttore dei lavori (ing. M.T., che era subentrato all'architetto M., a seguito della rinuncia dello stesso, avvenuta in data 19 gennaio 2008) e la ditta esecutrice, avevano anche previsto un sistema di drenaggio delle acque, anche piovane, accumulate nella circostante pavimentazione della piscina, mediante canalette di sfioro perimetrali, con imposizione della pendenza stessa verso le canalette medesime. Tuttavia, come accertato dal c.t.u., la piscina era stata realizzata dalla ditta in modo diverso da quanto progettato e, segnatamente, senza il sistema di drenaggio (cioè senza le canaline di sfioro) che era previsto nel progetto. Poiché essi erano rimasti estranei alla fase esecutiva, la Corte territoriale ha errato nel ritenerli corresponsabili con l'impresa esecutrice e con il direttore dei lavori per la difettosa costruzione dell'opera.
2.2. Con il secondo motivo denunciano la nullità della sentenza impugnata per violazione dell'art. 115 c.p.c., nella parte in cui non ha correttamente valutato le sopra richiamate risultanze processuali. Al riguardo, osservano che in sede di legittimità è censurabile l'errore di percezione, sempre che, come per l'appunto nel caso di specie, cada sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova (cioè sul demostrantum, e non sul demostrandum) e sempre che abbia formato oggetto di discussione tra le parti.
2.3. Con il terzo motivo denunciano la sentenza impugnata per omesso esame di fatto decisivo e controverso nella parte in cui la Corte, travisando il contenuto della documentazione progettuale e della relazione di c.t.u., ha considerato che nel progetto architettonico, da essi elaborato, non fosse contenuta la "giusta quota" di imposta della piscina. Deducono che la Corte aveva affermato la loro corresponsabilità sulla base di un duplice errore: quello di non aver considerato che il progetto architettonico da essi redatto prevedeva una soluzione tecnica idonea al drenaggio delle acque meteoriche (le canalette di sfioro, per l'appunto) e quello di non aver considerato che l'impresa appaltatrice aveva realizzato un sistema di drenaggio diverso da quello progettato.
2.4. Con il quarto motivo denunciano la sentenza impugnata per omesso esame di fatto decisivo e controverso anche nella parte in cui la Corte territoriale ha omesso di considerare che il loro progetto architettonico era finalizzato unicamente a conseguire il titolo autorizzativo (permesso di costruire) e, in quanto tale, era un progetto di massima, non esecutivo, che non doveva contenere anche l'individuazione delle modalità esecutive dell'opera (quali la fissazione della quota del bordo piscina o la previsione di un sistema di deflusso delle acque meteoriche), che era invece rimessa alla discrezionalità dell'impresa esecutrice ed all'attività di coordinamento e di controllo della direzione dei lavori.
2.5. Con il quinto motivo denunciano la sentenza impugnata per omesso esame di fatto decisivo e controverso anche nella parte in cui la Corte territoriale non ha considerato la circostanza che l'incarico di progettazione ed esecuzione del massetto era stato affidato dalla committente direttamente alla ditta G. e che detta ditta aveva riconosciuto la sua responsabilità).
2.6. Con il sesto motivo denunciano la nullità della sentenza impugnata per motivazione apparente e viziata da intrinseca ed irriducibile contraddittorietà nella parte in cui la Corte territoriale, pur affermando che il progetto architettonico era da ritenersi sufficientemente adeguato allo scopo, ha ad essi esteso la responsabilità, di cui all'art. 1667 c.c., mentre avrebbe dovuto pervenire alla conclusione che, essendo corretto il progetto, non era ad essi applicabile l'estensione della disposizione di cui all'art. 1667 c.c.
2.7. Con il settimo motivo denunciano falsa applicazione degli artt. 1667, 1669 e 2055 c.c., nella parte in cui la Corte territoriale ha affermato la loro corresponsabilità nei confronti della committente G., nonostante che il vizio accertato fosse riconducibile esclusivamente all'attività esecutiva della ditta appaltatrice ed al mancato coordinamento del direttore lavori.
2.8 Con l’ottavo motivo denunciano falsa applicazione dell'art. 2055 c.c. anche nella parte in cui la Corte territoriale ha affermato la loro corresponsabilità, senza considerare che detta corresponsabilità presupporrebbe necessariamente un'attività in essere al momento dell'esecuzione dell'opera, mentre essi avevano esaurito il loro incarico mediante l'elaborazione del progetto architettonico di massima, prima che iniziasse l'attività esecutiva.
2.9. Infine, alla condizione che vengano accolti (almeno in parte) i motivi che precedono, con il nono motivo denunciano violazione e/o falsa applicazione dell'art.91 c.p.c., nella parte in cui la corte territoriale li ha condannati, in via solidale con la ditta appaltatrice, al rimborso delle spese di lite dei due gradi di giudizio in favore dell'attrice M.T.G., nonché nella parte in cui ha disposto la compensazione delle spese del giudizio di appello tra le parti soccombenti ed il raddoppio a loro carico del versamento del contributo unificato.
Al contrario, nel caso in cui non fosse accolto nessuno dei motivi, con il decimo motivo denunciano violazione e/o falsa applicazione dell'art.91 c.p.c., nella parte in cui la Corte territoriale non ha ritenuto, ai fini della loro condanna nelle spese (in solido con il G.), che essi dovevano essere considerati come un unico soggetto giuridico, in quanto dotati di un'unica Partita Iva.
3. I primi tre motivi - che, in quanto connessi, vanno trattati unitariamente - sono fondati: in particolare, risulta formalmente e sostanzialmente fondato il secondo motivo di censura (che lamenta espressamente la violazione dell'art. 115 c.p.c.), mentre risultano sostanzialmente fondati (al di là della relativa rubrica, evocativa di un vizio ex art. 360 n. 5 c.p.c.) il primo e il terzo motivo, che lamentano entrambi, nell'illustrazione in fatto delle relative censure, il medesimo vizio di travisamento della prova in cui sarebbe incorso il giudice di appello.
3.1. Questa Corte, già in passato (cfr. sent. 12362 del 2006) ha avuto modo di precisare che il travisamento della prova si distingue dal travisamento del fatto, in quanto implica (non una valutazione del fatto, ma) una constatazione o un accertamento che una data informazione probatoria, utilizzata in sentenza, è contraddetta da uno specifico atto processuale.
Più di recente, questa Sezione, seguendo l'elaborazione compiuta dalla Sezione Prima con sentenza n. 10749 del 25 maggio 2015, ha anche avuto modo di osservare che, mentre l'errore di valutazione in cui sia incorso il giudice di merito nell'apprezzamento dell'idoneità dimostrativa della fonte di prova non è mai sindacabile in sede di legittimità, è sindacabile ai sensi dell'art. 360 n. 4 c.p.c. per violazione dell'art. 115 del medesimo codice l'errore di percezione che sia caduto sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che abbia formato oggetto di discussione tra le parti (si cfr., di recente, l'ordinanza n. 26209/2022, che richiama la sentenza n. 13918/2022; nonché l'ordinanza n. 12971/2022, che richiama l'ordinanza n. 9356/2017).
Ciò in quanto il principio di cui all'art. 115 c.p.c., nell'imporre al giudice di porre a fondamento della decisione le prove offerte dalle parti (oltre ai fatti non specificatamente contestati), rende censurabile non soltanto la sentenza nella quale il giudice ha posto a fondamento della sua decisione prove disposte di sua iniziativa (al di fuori dei poteri ufficiosi che gli sono riconosciuti) ma rende altresì censurabile in sede di legittimità la sentenza nella quale il giudice di merito abbia utilizzato informazioni probatorie che non esistevano nel processo e che tuttavia comunque sostengono illegittimamente la decisione che ha definito il giudizio di merito.
Può essere qui utile ritornare su alcuni aspetti già trattati da questa Sezione nelle citate pronunce nn. 13918/2022 e 12971/2022.
In senso lato, è noto, la prova è la traccia che un fatto lascia nella memoria degli uomini ovvero nella materialità del mondo fisico e della cui percezione il giudice si avvale per l'accertamento di quel fatto: in altri termini, è prova un qualsiasi dato dimostrativo e conoscitivo di fatti, che sia idoneo a fondare, anche da sé solo, il convincimento del giudice nel momento della decisione.
In quanto tale, il termine prova è suscettibile di essere utilizzato in una pluralità di accezioni, ben note alla dottrina processualpenalistica: tema di prova è il fatto che si intende provare (l'ipotesi che si deve verificare); fonte di prova è la persona (parte, teste, ecc.), la cosa o il documento o un qualsiasi fenomeno idoneo a produrre una conoscenza rilevante per il processo; elemento di prova è il dato acquisito dalla fonte di prova, senza il contraddittorio tra le parti, al di fuori del processo; mezzo di prova è lo strumento mediante il quale, nel contraddittorio tra le parti, si utilizza la fonte di prova per affermare o negare in sede processuale l'esistenza del fatto; infine, risultato della prova è l'esito del percorso argomentativo compiuto dal giudice nel valutare le prove acquisite.
Orbene, per quanto qui rileva, il giudice di merito, attraverso l'osservazione e la valutazione, trae dall'elemento di prova e/o dal mezzo di prova informazioni che, in misura più o meno diretta, porrà a fondamento della conferma, positiva o negativa, circa la sussistenza (o insussistenza) del fatto decisivo in contestazione.
Il giudice di merito, quindi, nell'esprimere in sentenza il risultato della prova, è chiamato a selezionare da ogni elemento o mezzo di prova, ritualmente assunto, uno specifico contenuto informativo che, alla luce delle informazioni desunte dagli altri elementi e mezzi disponibili, utilizzerà nel comporre il ragionamento probatorio, in cui si articola la decisione.
Orbene, è indubbio che l'attività di selezione di un dato informativo tra tutti i dati informativi astrattamente desumibili da un elemento o da un mezzo di prova, in quanto espressione del prudente apprezzamento del giudice di merito, è attività riconducibile in via esclusiva al sindacato del giudice di merito ed è estranea al sindacato della Corte di legittimità, con la conseguenza che non è denunciabile come vizio della decisione di merito.
Parimenti indubbio è che la parte interessata non può più, una volta esaurito il corso dei giudizi di merito, ridiscutere in sede di legittimità le modalità attraverso le quali il giudice di merito ha valutato, dopo averlo selezionato, il materiale probatorio ai fini della ricostruzione dei fatti di causa
Tuttavia, in sede di legittimità, la parte interessata - oltre a poter denunciare l'omesso esame ( da parte del giudice di merito) di specifici fatti (di ordine principale o secondario e comunque di carattere decisivo), che siano stati oggetto di contraddittorio processuale -può denunciare l'inesistenza di una informazione probatoria, che, proprio perché inesistente, illegittimamente è stata posta a fondamento della decisione di merito.
La verifica di tale inesistenza (la verifica, cioè, dell'inesistenza di una qualsivoglia, reale connessione giuridicamente significativa del singolo dato probatorio, ritenuto in concreto decisivo, con l'elemento o con il mezzo di prova dal quale il giudice ha inteso ricavarlo) si risolve in una operazione di raffronto tra l'elemento o il mezzo di prova utilizzato e il dato probatorio da esso desunto e, pur risentendo in ogni singolo caso della natura della prova in concreto acquisita (se libera o legale, dichiarativa o documentale, ecc.), non può rimanere estraneo al giudizio di legittimità.
Il punto è che l'errore di percezione della prova esclude in radice, sul piano processuale, la stessa "esistenza" di un giudizio (tanto è vero che deve essere rilevato, qualora non abbia costituito "punto controverso", dallo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza: cfr. art. 398 primo comma c.p.c.), mentre l'errore di valutazione della prova dà luogo ad un giudizio errato, che deve essere denunciato al giudice dell'impugnazione (sempre che la relativa disciplina lo consenta).
Osserva, pertanto, il Collegio, in conformità con quanto anche di recente affermato da questa stessa Corte (il riferimento è alla sentenza ed alle ordinanze sopra richiamate), che i dati informativi riferibili a fonti mai dedotte in giudizio dalle parti (un testimone che non è mai stato dedotto o, pur essendolo stato, non è stato mai sentito; un documento che non è mai stato richiamato o che, pur essendo stato richiamato, non è mai stato prodotto, ecc.), ovvero i dati informativi che si riferiscono a fonti appartenenti al processo (uno specifico documento, in concreto ritualmente depositato; un determinato testimone, in concreto regolarmente escusso, ecc.), ma che si sostanziano nell'elaborazione di contenuti informativi che non si lasciano in alcun modo ricondurre, neppure in via indiretta o mediata, alla fonte alla quale il giudice di merito ha viceversa inteso riferirle, non possono essere legittimamente posti a fondamento di una decisione di merito.
Se ciò avviene, va riconosciuta alla parte interessata, una volta esaurito il corso dei giudizi di merito, la possibilità di farne denuncia a questa Corte.
Diversamente opinando, in sede di legittimità, del tutto paradossalmente, sarebbe non censurabile la sentenza del giudice di merito che abbia utilizzato informazioni probatorie che non esistono nel processo: una simile decisione, infatti, sfuggirebbe all'ambito di applicabilità sia dell'art. 360 n. 5 c.p.c. (trattandosi di fatti il cui esame non fu omesso) che dell'art. 395 n. 4 c.p.c. (trattandosi di fatti su cui il giudice di merito si è espressamente pronunciato).
Resta inteso che la violazione di legge, consistita nell'avvenuta illegittima decisione della causa sulla base di prove inesistenti (art. 115 c.p.c.), è deducibile sempre che la parte interessata abbia assolto ad un duplice onere: quello di prospettare, sul piano argomentativo, l'assoluta impossibilità logica di ricavare dagli elementi probatori acquisiti al giudizio i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre; nonché quello di specificare in che modo la sottrazione al giudizio di detti contenuti informativi (illegittimamente utilizzati dal giudice) si converta in un percorso argomentativo destinato a condurre ad una decisione a sé necessariamente favorevole. Il che si traduce nella più volte ribadita necessità che l'errore commesso dal giudice di merito nella percezione della prova sia stato decisivo, cioè un errore in assenza del quale la decisione del giudice di merito sarebbe stata diversa, non già in termini di mera probabilità, ma in termini di assoluta certezza.
3.2. Orbene, nel caso di specie, ricorrenti hanno correttamente denunciato la nullità della sentenza impugnata anche per violazione dell'art.115 c.p.c. (ai sensi dell'art.360 n.4 c.p.c.),nella parte in cui la Corte territoriale ha erroneamente percepito, dalla pluralità di elaborati descrittivi e grafici prodotti, che il progetto architettonico, da essi realizzato, non contenesse alcuna previsione in merito alla "giusta quota" di imposta della piscina, quale elemento idoneo a consentire il regolare e corretto deflusso delle acque di risulta verso i lati opposti del bordo piscina (p.11 della sentenza impugnata); e, altrettanto correttamente, hanno sostenuto che detto passaggio motivazionale tradisce l'errore di percezione sul contenuto oggettivo delle prove documentali e delle risultanze dell'indagine peritale, nel quale è incorsa la Corte territoriale.
Ne consegue che, nel caso sotteso all'odierno ricorso, la corte territoriale è incorsa in un errore di percezione laddove ha affermato (p.11): <<Tornando al progetto architettonico controverso, la pluralità di elaborati sia di tipo descrittivo che grafico in cui esso consiste non sembra effettivamente contenere, come già correttamente rilevato dal primo giudice, alcuna previsione in merito alla "giusta quota" di imposta della piscina, quale elemento da ritenersi determinante ai fini della definizione del presente giudizio... per cui la mancanza di tale dato nel progetto rende professionalmente responsabili entrambi gli appellanti ... > >. (i rilievi in corsivo sono opera del collegio).
Occorre ribadire che l'errore nel quale è incorsa la corte territoriale nel fraintendere l'oggettivo contenuto delle prove documentali - che è stato oggetto di discussione in sede di merito e che, dunque, non è censurabile come errore revocatorio - non integra un errore di valutazione delle prove (in quanto non cade sul demonstrandum), ma si risolve in un errore di percezione del loro contenuto oggettivo (in quanto cade sul demonstratum).
Detto errore è stato correttamente censurato ai sensi dell'art. 360 n. 4 c.p.c., in quanto dà luogo ad un errar in procedendo, concretando la violazione dell'art.115 c.p.c., che impone al giudice del merito di porre a fondamento della decisione le prove - e dunque non solo gli elementi e/ oi mezzi di prova, ma i risultati della prova, intesi nella loro obiettività - che siano stati ritualmente ein concreto acquisiti e discussi.
Per altro verso, i ricorrenti hanno assolto ad entrambi gli oneri argomentativi, come sopra illustrati.
Invero, contrariamente a quanto percepito dalla Corte di merito, hanno rilevato che dalla documentazione depositata e dalle risultanze della c.t.u. era emerso che il progetto architettonico, da essi elaborato, prevedeva: sia la "giusta quota" di imposta della piscina; sia, più analiticamente, un idoneo sistema di drenaggio (tanto delle acque di esondazione quanto di quelle meteoriche), da realizzarsi mediante canalette di sfioro, che avrebbero dovuto essere realizzate intorno alla piscina onde consentire il deflusso delle acque verso l'interno fino a confluire nella griglia di scolo.
Al riguardo, i ricorrenti, in ossequio al principio di specificità dei motivi dell'impugnazione:
a) hanno citato la sezione del progetto architettonico, da cui era stata estrapolata la pianta della piscina allegata all'elaborato peritale, ed hanno trascritto la formula in essa contenuta ( «+74.80 e + 74.81 » ), recante l'indicazione della corretta quota di imposta, che non è stata contestata dal c.t.u. (p.11 del ricorso);
b) hanno evidenziato che, nel documento di progetto indicato come «pianta piscina - scala 1: 100» allegato all'elaborato peritale, si legge testualmente l'espressione "Canaletta di sfioro piscina" (p.12 del ricorso);
c) hanno fatto rilevare come, dalla comparazione della documentazione progettuale con la documentazione fotografica versata in atti, nonché, soprattutto, dagli stessi rilievi contenuti a p.3 dell'elaborato peritale (di cui riportano specifico stralcio: p.12 del ricorso), emerga che il sistema realizzato dall'impresa appaltatrice era stato completamente difforme da quello contemplato nel progetto architettonico, essendo stato previsto il deflusso delle acque verso l'esterno mediante una pendenza contraria con due sole caditoie sul lato nord e semplici fori sul lato sud che rendevano faticoso il deflusso su questi lati e addirittura impossibile sui lati est e ovest, ove, in mancanza di sfogo e con una pendenza insufficiente, le acque ristagnavano e defluivano verso la piscina. Detta diversità, confermata al c.t.u., avrebbe dovuto condurre i giudici di merito ad escludere necessariamente l'errore di progettazione, imputato ai progettisti, e a ritenere i vizi imputabili esclusivamente alla successiva fase esecutiva.
4. Per le ragioni che precedono, accolti nei termini sopra indicati i primi tre motivi di ricorso ed assorbiti gli altri, la sentenza impugnata va cassata in relazione alle censure accolte, dovendosi affermare i seguenti principi di diritto:
< <I - In tema di scrutino della legittimità del ragionamento probatorio seguito dal giudice di merito, l'errore di valutazione nell'apprezzamento dell'idoneità dimostrativa del mezzo di prova non è sindacabile in sede di ricorso per Cassazione se non si traduca in un vizio di motivazione costituzionalmente rilevante (Cass. ss.uu. 8053/2014), mentre deve ritenersi censurabile, ai sensi dell'art. 360 n. 4 c.p.c., per violazione dell'art. 115 del medesimo codice, l'errore di percezione che sia caduto sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che abbia formato oggetto di discussione tra le parti.
- Diversamente dall'errore revocatorio di cui all'art. 395 n. 4 c.p.c. - che consiste in una falsa percezione della realtà, o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l'esistenza di un fatto la cui verità sia incontestabilmente esclusa, ovvero l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita dagli atti o documenti di causa, se il fatto non costituì punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare - l'errore percettivo, che cada sul contenuto oggettivo della prova (e non sul fatto), assume autonoma rilevanza, rendendo censurabile, in sede di legittimità, lo specifico caso dell'avvenuta utilizzazione, da parte dello stesso giudice, di prove che non esistono nel processo (ovvero che abbiano un contenuto oggettivamente ed inequivocabilmente diverso da quello loro attribuito), che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti (in ciò distinguendosi dall'errore revocatorio) e che tuttavia sostengano illegittimamente la decisione assunta (non già in base a una motivazione viziata, bensì) in violazione di un parametro di fonte legislativa.
- In tema di scrutinio di legittimità del ragionamento probatorio adottato dal giudice di merito, deve distinguersi tra la fattispecie di cui all'art. 360 n. 5 c.p.c. (che consente l'impugnazione della sentenza nell'ipotesi di omissione di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti), quella di cui all'art. 395 n. 4 (che ha riguardo a fatti costituenti un punto controverso su cui il giudice non si è espressamente pronunciato) e l'ipotesi di cui all'art. 115, che ha ad oggetto le prove proposte dalle parti, oggetto di discussione (diversamente che nell'ipotesi di errore revocatorio) su cui il giudice si sia espressamente pronunciato. Una diversa interpretazione finirebbe, difatti, per consolidare un'inemendabile forma di patente illegittimità della decisione, in contrasto con il principio dell'effettività della tutela, qualora essa si fondi sulla ricognizione obbiettiva del contenuto della prova che conduca ad una conclusione irrefutabilmente contraddetta, in modo tanto inequivoco quanto decisivo, dalla prova travisata, sui cui le parti hanno avuto modo di discutere.
- Se, di converso, l'errore percettivo è caduto su un fatto storico, principale o secondario, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e che risulti idoneo ad orientare in senso diverso la decisione, esso può essere fatto valere, negli stringenti limiti di cui al novellato art. 360 primo comma n. 5 c.p.c., ogni qual volta esso consista nell'omesso esame di quel fatto (e non anche quando si traduca nella mera insufficienza o contraddittorietà della motivazione), sempre che non ricorra l'ipotesi della cd. "doppia conforme" ai sensi dell'art. 348 ter commi 4 e 5 c.p.c.
- In tema di scrutinio di legittimità del ragionamento probatorio adottato dal giudice di merito, la valutazione del materiale probatorio - essendo destinata a risolversi nella scelta di uno o più tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire a/l'osservazione e alla valutazione del giudice - è espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della Corte di legittimità (con la conseguenza che non è denunciabile, dinanzi a quest'ultima, come vizio della decisione di merito, a seguito della definitiva riformulazione dell'art. 360 n. 5 c.p.c.), restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale il giudice di merito ha compiuto le proprie valutazioni discrezionali di carattere probatorio.
- Viceversa, alla stessa parte deve ritenersi consentita, n applicazione delle norme di cui all'art. 115 e 360 n. 4 c.p.c., la facoltà di denunciare la errata percezione (e la conseguente utilizzazione), da parte del giudice di merito, di prove inesistenti, ovvero di prove non solo riferite a fonti, che non sono mai state dedotte in giudizio dalle parti (un testimone mai addotto o escusso; un documento mai depositato agli atti), ma altresì a prove che, pur riferendosi a fatti/fonti appartenenti al processo (uno specifico documento ritualmente depositato, un testimone regolarmente escusso), si sostanziano nella elaborazione di contenuti informativi non riconducibili in alcun modo a dette fonti, neppure in via indiretta o mediata (ossia di informazioni probatorie delle quali risulti preclusa alcuna connessione logico-significativa con le fonti o i mezzi di prova cui il giudice ha viceversa inteso riferirle), sempre che tali contenuti informativi abbiano, specularmente interpretate, il carattere della decisività.
- Il travisamento della prova, per essere censurabile in cassazione, ai sensi dell'art. 360 n. 4 c.p.c., per violazione dell'art. 115c.p.c. -postula:
a) che l'errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova (demostrandum), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima (demostratum), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre;
b) che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio;
c) che l'errore sia decisivo, in quanto la motivazione sarebbe stata necessariamente diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi che risultano oggettivamente dal materiale probatorio e che sono inequivocamente difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito;
d) che il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso non già in termini di mera probabilità, ma di assoluta certezza>>.
4.2. Alla luce di tali principi, non sembra potersi dare ulteriore seguito alla diversa interpretazione, cui è pervenuta altro filone giurisprudenziale di questa stessa Corte, predicativo della tesi secondo la quale il travisamento della prova non sarebbe più deducibile in sede di ricorso per cassazione a seguito della novella apportata all'art. 360 c.p.c., n. 5 dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito dalla L. n. 134 del 2012 (Cass. 03/11/2020, n. 24395, Cass.16170/2022; Cass. 15177/2022 e, da ultimo, Cass. 15777/2022).
Se è vero che la nozione di travisamento della prova, come vizio deducibile in sede di legittimità, è stata elaborata in talune pronunce di questa Corte (in un contesto normativo dominato da un testo dell'art. 360 c.p.c., n. 5 precedente alla riformulazione del 2012, e, più precisamente,) in un contesto che permetteva di denunciare per cassazione non solo l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, ma, ben più ampiamente, l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, non sembra potersi dar seguito all'interpretazione secondo cui un residuo controllo in sede di legittimità - ammissibile sotto il vigore del vecchio testo dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) qualora il travisamento delle prove avesse messo capo ad un vizio logico di insufficienza di motivazione - non trovi più spazio nel sistema vigente "non essendo più consentita la possibilità di censurare per cassazione l'insufficienza o contraddittorietà della motivazione se non quando il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata" (e cioè proprio "a prescindere dal confronto con le risultanze processuali").
Alla luce dei principi sopra esposti, il Collegio non può non rilevare come tale interpretazione sovrapponga, confondendoli, il piano del fatto omesso con il piano della prova travisata, e cioè della obbiettiva (ed erronea) ricognizione del contenuto della prova (che è cosa altra rispetto alla storicità del fatto, come sopra si è avuto modo di precisare).
5. Per le ragioni che precedono, cassata la sentenza impugnata, la causa va rinviata alla Corte di Appello di Ancona, in diversa composizione, perché proceda a nuovo esame alla luce dei principi di diritto sopra esposti.
Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di liquidare le spese del presente giudizio di cassazione.
Stante l'accoglimento del ricorso, non sussistono presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte:
- accoglie i primi tre motivi nei termini di cui in motivazione, e, per l'effetto, assorbiti tutti gli altri motivi:
- cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e
- rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Ancona, in diversa Sezione e comunque in diversa composizione.