I Giudici di legittimità affermano che la mancata comunicazione all'imputato del nominativo del difensore d'ufficio nominato dall'autorità giudiziaria non comporta la nullità dell'atto al cui compimento è funzionale la designazione.
Il Giudice di secondo grado confermava la condanna dell'imputato per il reato di cui agli
Contro tale decisione viene proposto ricorso per...
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Trieste ha confermato la condanna di A.F. per il reato di cui agli artt. 476 comma 2 e 482 c.p.
2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso sia l'imputato che il proprio difensore articolando otto motivi in tutto sovrapponibili. Con il primo viene eccepita la nullità della sentenza impugnata per la mancata astensione di uno dei componenti del collegio oggetto di ricusazione da parte dell'imputato nel corso di altro procedimento penale. Con il secondo viene eccepita la nullità della sentenza di primo grado in quanto pronunziata in pendenza di richiesta di rimessione, illegittimamente decisa dalla Corte di cassazione senza instaurare il contraddittorio camerale ex art. 48 c.p.p. e con provvedimento mai notificato all'imputato. Con il terzo motivo viene dedotto che a seguito della trasmissione degli atti al pubblico ministero disposta ex art. 521 c.p.p. all'udienza del 2 aprile 2014 avrebbe dovuto essere notificato all'imputato un nuovo avviso ex art. 415-bis c.p.p. ed un nuovo decreto di citazione a giudizio, adempimenti invece omessi. Non di meno viene dedotto che il mutamento del giudice tabellarmente nominato avrebbe dovuto comportare la regressione del procedimento. Con il quarto motivo viene eccepita nuovamente la nullità della sentenza di primo grado per l'omessa comunicazione all'imputato del nominativo del difensore d'ufficio nominato dal Tribunale. Con il quinto motivo eccepisce l'omessa notifica all'imputato dell'avviso ex art. 548 comma 3 c.p.p. a seguito del deposito fuori termine delle motivazioni della sentenza di primo grado. Con il sesto e settimo motivo viene eccepita la nullità del giudizio d'appello per il mancato accoglimento dell'istanza dell'imputato, detenuto per altro, di parteciparvi in presenza e per la mancata concessione del termine a difesa richiesto all'atto della nomina del nuovo difensore di fiducia. Infine con l'ottavo motivo eccepisce l'intervenuta prescrizione del reato.
Motivi della decisione
1. Pregiudizialmente deve darsi atto che in data 6 novembre 2022 il difensore dell'imputato ha fatto pervenire istanza di rinvio dell'udienza, con la quale, nella sostanza, chiede di essere rimesso in termini per proporre richiesta di trattazione orale del procedimento, adducendo di non aver potuto rispettare il termine perentorio per la sua proposizione previsto dall'art. 23 I. n. 176 del 2020 in quanto impedito per motivi di salute.
In realtà dalla documentazione allegata all'istanza emerge che l'avv. W. è stato dimesso dall'ospedale il 10 ottobre 2022 e dunque prima della scadenza del termine summenzionato. Né dalla lettera di dimissione - peraltro solo genericamente richiamata nell'istanza - è dato rilevare che nei giorni successivi gli fosse stato imposto altro se non di astenersi per tre settimane dallo svolgere "attività fisica intensa", talchè non può ritenersi sia intervenuta una causa di forza maggiore che gli abbia impedito di proporre la richiesta di trattazione orale. L'istanza deve dunque essere come quella proposta personalmente dall'imputato, con la quale quest'ultimo sostiene quella del proprio difensore e chiede di partecipare all'udienza, facoltà esercitabile nel giudizio di cassazione.
2. Ciò premesso deve anzitutto dichiararsi inammissibile ai sensi dell'art. 612 c.p.p. il ricorso proposto personalmente dall'imputato mediante deposito presso l'ufficio matricola della Casa Circondariale di Biella il 6 luglio 2021 ove l'A. era all'epoca detenuto per altra causa.
3. Non di meno è inammissibile anche il ricorso proposto dal difensore.
In tal senso pregiudiziale è l'esame dell'eccezione di prescrizione formulata con l'ottavo motivo, che è peraltro manifestamente infondata. Infatti il termine ordinario di prescrizione calcolato ai sensi degli art. 157 e 63 c.p. è, per il reato nella specie contestato in riferimento agli artt. 482, 476 comma 2 e 99 comma 4 c.p., quello di anni 8, mesi 10 e giorni 20, mentre quello prorogato di cui all'art. 161 c.p. è pari ad anni 14 mesi 9 e giorni 6. Termine che non si è allo stato compiuto anche ritenendo che il reato sia stato consumato il 12 dicembre 2011, come eccepito dal ricorrente, ed anche senza considerare i periodi in cui lo stesso è rimasto sospeso a causa di legittimo impedimento dell'imputato o a seguito delle plurime istanze di remissione presentate dal medesimo.
4. Il primo motivo è invece generico e manifestamente infondato. Anzitutto il ricorso non ha in alcun modo documentato le circostanze dalle quali deriverebbe l'asserita violazione del dovere di astensione da parte di un componente del collegio giudicante d'appello. Onere che invece gravava sul ricorrente, posto che tale violazione si fonda su atti di altro procedimento, peraltro nemmeno specificamente indicati né precisati nel loro contenuto, mentre il ricorso non chiarisce nemmeno se il diverso procedimento avesse ad oggetto i medesimi fatti o fatti connessi e quali siano state le ragioni fondanti la richiesta di ricusazione. In secondo luogo, come accennato, l'eccezione è manifestamente infondata. Secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, infatti, la mancata astensione non comporta alcuna sanzione processuale e men che meno costituisce una causa di nullità assoluta non incidendo sulla capacità del giudice, potendo unicamente rilevare sotto il profilo disciplinare (ex multis Sez. 2, Sentenza n. 36365 del 07/05/2013, Braccini, Rv. 256872; Sez. 1, Sentenza n. 30033 del 11/09/2020, Bilancia, Rv. 279732).
Manifestamente infondato è anche il secondo motivo. L'istanza di rimessione proposta dall'imputato è stata infatti dichiarata inammissibile da questa Corte con ordinanza del 18 settembre 2017 adottata a seguito della procedura camerale non partecipata ritualmente instaurata ai sensi dell'art. 610 comma 1 c.p.p. e della quale non è prevista la notifica all'imputato.
5. Parimenti inammissibile è il terzo motivo.
Come precisato dalla sentenza impugnata, all'udienza del 2 aprile 2014 il Tribunale, rilevando che il fatto originariamente contestato come uso d'atto falso dovesse essere qualificato in termini di diretta falsificazione da parte dell'imputato dell'atto oggetto dell'imputazione, ha disposto ai sensi dell'art. 521 comma 2 c.p.p. la trasmissione degli atti al pubblico ministero. Provvedimento che, contrariamente a quanto dimostra di credere il ricorrente, non comporta il dovere di dichiarare la nullità dell'originario decreto di citazione a giudizio, posto che la regressione del procedimento è determinata dall'ordinanza di trasmissione adottata ai sensi della disposizione succitata. Qualora il pubblico ministero eserciti l'azione penale in riferimento al fatto come qualificato dal giudice non è poi dovuta la rinnovazione dell'avviso di cui all'art. 415-bis c.p.p. a meno che, rispetto alla fase procedimentale anteriore alla regressione in cui l'imputato ha avuto piena conoscenza delle accuse a suo carico, non sia intervenuto un quid navi in relazione al quale egli avrebbe diritto di calibrare diversamente l'esercizio del suo diritto di difesa (Sez. 5, Sentenza n. 7292 del 15/12/2014, dep. 2015, Messina, Rv. 262317). In tal senso le censure del ricorrente si rivelano però, oltre che inedite, anche generiche, non evidenziando in che termini, al di là della diversa qualificazione giuridica, la nuova contestazione sia mutata nei suoi elementi essenziali rispetto a quella originaria e in che modo, dunque, la mancata notifica dell'avviso ex art. 415-bis c.p.p. avrebbe leso il diritto di difesa.
Manifestamente infondata è poi l'obiezione per cui non sarebbe stato emesso e notificato un nuovo decreto di citazione a giudizio, posto che dagli atti risulta che lo stesso è stato invece emesso il 10 novembre 2014 e notificato a mezzo posta all'imputato, il quale ha personalmente ritirato il plico a seguito di rituale avviso presso l'ufficio postale dove era stato depositato in quanto egli non era stato trovato presso il proprio domicilio al momento dell'accesso dell'ufficiale notificatore.
Manifestamente infondata è infine anche l'eccezione relativa alla necessaria regressione del procedimento a seguito del mutamento del giudice tabellarmente indicato per la celebrazione del processo, posto che nel caso di specie il mutamento è stato determinato dall'astensione del giudice originariamente officiato, fattispecie nella quale espressamente l'art. 43 c.p.p. prevede si proceda semplicemente alla sua sostituzione. Né rileva il principio - peraltro nemmeno eccepito dal ricorrente - secondo cui sono inefficaci gli atti compiuti dal giudice astenuto, dei quali il provvedimento di autorizzazione alla astensione non abbia espressamente dichiarato la conservazione di efficacia, fermo restando il potere di verifica, a tal fine, del giudice designato in sostituzione (Sez. 1, Sentenza n. 45011 del 05/11/2021, Tace, Rv. 282316), posto che nel caso di specie il giudice si è astenuto all'udienza del 3 luglio 2015, ossia prima di avviare la effettiva trattazione del processo.
6. Il quarto motivo è manifestamente infondato. Infatti, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, la mancata comunicazione all'imputato del nominativo del difensore d'ufficio designato dall'autorità giudiziaria non comporta, in difetto di espressa previsione in tal senso, la nullità dell'atto al cui compimento è funzionale la nomina (ex multis Sez. 2, Sentenza n. 48055 del 28/09/2018, Lleshi, Rv. 275511). Peraltro va altresì ricordato che l'obbligo di comunicazione all'imputato del nominativo del difensore di ufficio, previsto dall'art. 28 disp. att. c.p.p., non si applica nel caso in cui la nomina avvenga in udienza, come accaduto nel caso di specie (Sez. 5, Sentenza n. 37920 del 28/04/2017, Ruggiero, Rv. 270722).
Ed anche il quinto motivo è manifestamente infondato. Infatti il giudice di primo grado aveva fissato in 90 giorni ex art. 544 c.p.p. il termine per il deposito della sentenza pronunziata all'udienza del 14 maggio 2019. Termine che, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, è stato ampiamente rispettato, posto che la sentenza è stata depositata il 7 agosto 2019. Conseguentemente alcun avviso ex art. 548 comma 2 c.p.p. doveva essere notificato all'imputato.
7. Manifestamente infondato è altresì il sesto motivo. Come pacificamente ammesso dallo stesso ricorrente, l'imputato ha avanzato richiesta di partecipare all'udienza del 22 aprile 2021 solo sei giorni prima della sua celebrazione (richiesta poi reiterata due giorni prima dell'udienza) e dopo che, come risulta dagli atti, il precedente 3 marzo aveva invece trasmesso dichiarazione di rinunzia a partecipare alla stessa udienza. Come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale, è dunque evidente la sua intempestività, posto che l'art. 23-bis comma 4 l. n. 176 del 2020 ha indicato in quindici giorni il termine, espressamente qualificato come perentorio dalla stessa disposizione contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente (Sez. 6, Sentenza n. 11531 del 01/02/2022, Francia, Rv. 283051), per richiedere la partecipazione personale. Inconferente è invece il riferimento operato dal ricorso al presunto contrasto della succitata disposizione con la previsione di cui all'art. 422 comma 4 c.p.p., norma che riguarda l'udienza preliminare. Peraltro la disciplina emergenziale non impedisce all'imputato di rendere dichiarazioni nel giudizio d'appello, ma più semplicemente regolamenta i tempi entro i quali egli può esercitare il proprio diritto.
8. Manifestamente infondato è infine il settimo motivo. Infatti, nell'atto di nomina a difensore di fiducia dell'avv. M. (che è stato allegato al ricorso) l'imputato non ha richiesto la concessione di alcun termine a difesa ex art. 108 comma 1 c.p.p., come invece eccepito. Né lo stesso può essere accordato d'ufficio dal giudice, prevedendo la norma citata espressamente che la sua concessione è subordinata alla sua richiesta, che, peraltro, deve essere formulata dal difensore e non già dalla parte personalmente Sez. 5, Sentenza n. 15588 del 01/02/2017, F., Rv. 270017). Ed in proposito non risulta in atti - né il ricorrente lo ha eccepito - che il difensore dell'A. abbia mai avanzato richiesta in tal senso.
9. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell'art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di euro tremila alla cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.