
La destinazione di un'area ad un uso collettivo impressa dallo strumento urbanistico concreta un vincolo sostanzialmente espropriativo quando esula dall'ottica della suddivisione zonale del territorio e mira ad individuare beni singolarmente determinati per la creazione di un'area non edificata all'interno di zona a spiccata vocazione edificatoria.
La società citava in giudizio il Comune per chiedere l'accertamento della natura sostanziale di vincolo espropriativo alla destinazione urbanistica disposta in reiterazione a un'area di sua proprietà, con conseguente liquidazione dell'indennità spettante.
La Corte d'Appello rigettava la domanda, ritenendo che nel caso concreto si trattasse di un vincolo conformativo.
Contro...
Svolgimento del processo
Con atto di citazione regolarmente notificato la Immobiliare (omissis) s.r.l. conveniva in giudizio il Comune di C. M., chiedendo di accertare che la destinazione urbanistica disposta in reiterazione all’area di proprietà della società avesse natura sostanziale di vincolo espropriativo, con conseguente liquidazione dell’indennità spettante.
In particolare, la società deduceva che l’area in questione era inserita in una zona classificata dal vigente Piano Regolatore Generale (di seguito, PRG) come zona omogenea B (totalmente o parzialmente edificata), ove erano ancora possibili interventi di completamento, ma era stata destinata a pubblico parcheggio a raso già con il previgente PRG, approvato nel 1978, la cui previsione era stata da ultimo reiterata con una variante generale al PRG da ultimo vigente, approvata dalla Giunta provinciale di M. con delibera n. 280 del 05/07/2007.
Nel costituirsi in giudizio, il Comune ha chiesto il rigetto della domanda, affermando che nella specie non si trattava di vincolo preordinato all’esproprio, ma di vincolo conformativo, con la conseguenza che nessuna indennità poteva essere liquidata. Rilevava che, comunque, il vincolo apposto nel 1978 non era stato reiterato nel termine di cinque anni e che perciò aveva perso efficacia prima che venisse nuovamente apposto nel 2007. Aggiungeva, in via ulteriormente gradata, che l’indennità richiesta era eccessiva.
La Corte d’appello, con sentenza n. 817/2016, pubblicata il 06/07/2016, rigettava la domanda, ritenendo che nella specie era stato apposto un vincolo conformativo.
In particolare, la Corte di merito ha ritenuto che i vincoli di piano regolatore ai quali si applica la decadenza quinquennale sono solo quelli che incidono su beni determinati, assoggettandoli a vincoli preordinati all’espropriazione o a vincoli che ne comportano l’inedificabilità, e dunque svuotano il contenuto del diritto di proprietà, incidendo sul godimento del bene, tanto da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale ovvero da diminuirne in modo significativo il valore di scambio. Nel caso di specie, invece, l’area era classificata nel PRG vigente come compresa in zona omogenea B e destinata a parcheggio a raso, con un vincolo che non necessariamente doveva essere realizzato dalla P.A., tant’è che le norme tecniche di attuazione al PRG (di seguito, NTA) non vietavano l’utilizzo del suolo da parte del proprietario, che poteva realizzarvi chioschi e servizi igienici. Inoltre, l’art. 4.1.1.2, comma 4, delle NTA stabiliva espressamente che, qualora la funzione esclusiva prevista dal piano non venisse realizzata entro cinque anni, tutte le funzioni previste entro il sub-sistema nel quale è compreso l’immobile erano ammesse, così esplicitando che la decadenza del vincolo manteneva comunque la destinazione d’uso del sub-sistema di appartenenza.
La Corte d’appello ha anche evidenziato l’irrilevanza, in quella sede, degli argomenti dell’appellante in ordine alla prospettata mancanza di convenienza economica della realizzazione di parcheggi e alla non necessità di realizzare in quella zona parcheggi, che avrebbero dovuto semmai essere fatte valere davanti al giudice amministrativo.
Avverso detta sentenza, la Immobiliare (omissis) s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
L’intimato si è difesa con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 39 d.P.R. n. 327 del 2001 ed anche la carenza e contraddittorietà della motivazione, per avere la Corte di appello, in base ad una non corretta lettura della decisione della Corte costituzionale (Corte cost., sentenza n. 179 del 20/05/1999), operato una distinzione tra vincoli sostanzialmente espropriativi e vincoli conformativi, non assumendo rilievo dirimente il criterio della inedificabilità assoluta quale condizione qualificante i vincoli sostanzialmente espropriativi, i quali si connotano in ragione del fatto che comportano, come effetto pratico, uno svuotamento di rilevante entità e incisività del contenuto della proprietà, anche se l’inedificabilità non è assoluta. Al contrario, secondo la ricorrente, deve essere riconosciuto come sostanzialmente espropriativo il vincolo apposto sui beni privati che comporti una rilevante perdita economica della proprietà e che, decorsi i ragionevoli limiti di durata imposti dalla legge, superi la normale tollerabilità della compressone del diritto dominicale tutelato dall’art. 42 Cost. la stessa ricorrente ha anche censurato la decisione impugnata, nella parte in cui è stata ravvisata una ritenuta pregiudizialità riservata alla giurisdizione del giudice amministrativo, in relazione alla riferita antieconomicità dell’opera e ai vizi della pianificazione, non ravviando alcun limite al sindacato del giudice di merito investito della richiesta di indennizzo ex art. 39 d.P.R. n. 327 del 2001.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 1 del Protocollo aggiuntivo della CEDU, per non avere la Corte di merito considerato l’effettivo svilimento delle concrete potenzialità economiche della proprietà a seguito della destinazione a parcheggio, come invece affermato dalla Corte EDU (cfr. Corte EDU, sentenza del 02/08/2001 sul ricorso n. 37710/1997), come pure si evinceva dell’art. 3.3.9 delle NTA del PRG, che consentiva di destinare l’area ad altro scopo pubblico ove il parcheggio a raso venisse impedito o non fosse più necessario.
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 3 Cost., con riferimento agli artt. 97 e 43 Cost., per non avere la Corte d’appello considerato che il vincolo urbanistico che oggettivamente comporti lo svuotamento del diritto di proprietà e che non riguardi un’omogenea categoria di beni presenti nella zona interessata dalla pianificazione – ma che, al contrario, riguardi un bene determinato e un singolo proprietario (cd. previsione lenticolare) – debba necessariamente considerarsi ablatorio secondo l’interpretazione resa dalla Corte costituzionale e dalla Corte EDU.
2. Il primo motivo è in parte inammissibile e in parte fondato.
2.1. Deve subito rilevarsi l’inammissibilità delle censure riferite alla ritenuta affermazione dell’esistenza di questioni pregiudiziali rimesse alla giurisdizione del giudice amministrativo - riferite alla dedotta antieconomicità, per il proprietario, della realizzazione dei parcheggi e alla prospettata non necessità di questi ultimi nell’area in questione – perché non colgono la corretta portata di quanto espresso in sentenza, enunciato, peraltro, ad abundantiam (così da ultimo Cass., Sez. 1, n. 18429/2022).
Dalla semplice lettura della decisione impugnata si evince con chiarezza che la Corte di appello non ha ravvisato alcuna questione pregiudiziale di spettanza del giudice amministrativo, ma ha semplicemente affermato che gli argomenti appena ricordati non avevano alcun rilievo ai fini della qualificazione del vicolo come sostanzialmente ablativo, aggiungendo che, semmai, le eventuali censure avrebbero potuto essere fatte valere in sede di impugnazione del PRG davanti al giudice amministrativo (p. 11 della sentenza impugnata).
La presenza o meno di tale affermazione non influisce sull’esito del giudizio e quindi non è impugnabile per cassazione per difetto di interesse.
2.2. Sono inoltre inammissibili le censure riferite alla ritenuta carenza e contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata.
Com’è noto, in virtù della nuova formulazione dell'art. 360 c.p.c. (introdotta dall'art. 54, comma 1, lett. b), d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. in l. n. 134 del 2012) non è più consentita l'impugnazione ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c. «per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio», ma soltanto «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti».
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che la richiamata modifica normativa ha avuto l'effetto di limitare il vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge (così Cass., Sez. U, n. 8053/2014).
In particolare, la riformulazione appena richiamata deve essere interpretata alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 prel., come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è divenuta denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v. ancora Cass., Sez. U, n. 8053/2014).
In altre parole, a seguito della riforma del 2012 è scomparso il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull'esistenza (sotto il profilo dell'assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell'illogicità manifesta) della stessa, ossia il controllo riferito a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (v. di nuovo Cass., Sez. U, n. 8053/2014 e, da ultimo, Cass., Sez. 1, n. 13248/2020).
A tali principi si è uniformata negli anni successivi la giurisprudenza di legittimità, la quale ha più volte precisato che la violazione di legge, come sopra indicata, ove riconducibile alla violazione degli artt. 111 Cost. e 132, comma 2, n. 4), c.p.c., determina la nullità della sentenza ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c. (così Cass., Sez. U, n. 22232/2016; conf. Cass. Sez. 6- 3, n. 22598/2018; Cass., Sez. L, n. 27112/2018; Cass., Sez. 6-L, n. 16611/2018; Cass., Sez. 3, n. 23940/2017).
In particolare, questa Corte ha ulteriormente precisato che di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi laddove essa non renda percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, impedendo ogni effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. Ricorre, inoltre, il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (v. da ultimo Cass., Sez. 3, n. 27411/2021).
Nel caso di specie, dalla lettura del ricorso si evince con chiarezza che non sono prospettati i vizi appena descritti, essendo dedotta l’erroneità della statuizione in ordine ai criteri da seguire per operare la distinzione tra vincolo sostanzialmente espropriativo e vincolo conformativo (che rileva ai fini della ritenuta violazione di legge), asseritamente supportata da una motivazione contraddittoria e insufficiente (p. 4-6 del ricorso).
È pertanto evidente che la motivazione è ritenuta sussistente, anche se criticata in base ad aspetti non più rilevanti ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c.
2.3. Per il resto il motivo è fondato.
2.3.1. Com’è noto, la rilevanza della distinzione concettuale tra vincoli conformativi e vincoli preordinati all’esproprio o sostanzialmente espropriativi è sorta a tutela della proprietà privata a seguito della “storica” sentenza della Corte costituzionale del 1999 (Corte cost., sentenza n. 179 del 20/05/1999), con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 7, nn. 2), 3) e 4), e 40 l. n. 1150 del 1942 e 2, comma 1, l. n. 1187 del 1968, nella parte in cui consente all'Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti preordinati all'espropriazione o che comportino l'inedificabilità, senza la previsione di un indennizzo.
Nella motivazione di tale pronuncia, si legge che devono essere considerati come normali e connaturali alla proprietà i limiti non ablatori posti normalmente nei regolamenti edilizi o nella pianificazione e programmazione urbanistica (e relative norme tecniche), quali i limiti di altezza, di cubatura o di superficie coperta, le distanze tra edifici, le zone di rispetto in relazione a talune opere pubbliche, i diversi indici generali di fabbricabilità ovvero i limiti e rapporti previsti per zone territoriali omogenee e simili.
Secondo la Corte costituzionale, sono ugualmente al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo, con le connesse garanzie costituzionali, i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di previa ablazione del bene. Ciò può essere il risultato di una scelta di politica programmatoria tutte le volte che gli obbiettivi di interesse generale, di dotare il territorio di attrezzature e servizi, siano ritenuti realizzabili (e come tali specificatamente compresi nelle previsioni pianificatorie) anche attraverso l'iniziativa economica privata, pur se accompagnati da strumenti di convenzionamento. Si fa riferimento, ad esempio, ai parcheggi, impianti sportivi, mercati e complessi per la distribuzione commerciale, edifici per iniziative di cura e sanitarie o per altre utilizzazioni quali zone artigianali o industriali o residenziali; in breve, a tutte quelle iniziative suscettibili di operare in libero regime di economia di mercato.
Sulla base di tali premesse, la Corte costituzionale ha evidenziato che la reiterazione in via amministrativa degli anzidetti vincoli decaduti (preordinati all'espropriazione o con carattere sostanzialmente espropriativo), ovvero la proroga in via legislativa o la particolare durata dei vincoli stessi prevista in talune regioni a statuto speciale non sono fenomeni di per sé inammissibili dal punto di vista costituzionale, potendo configurarsi ragioni giustificative accertate attraverso una valutazione procedimentale (con adeguata motivazione) dell'amministrazione preposta alla gestione del territorio o rispettivamente apprezzate dalla discrezionalità legislativa entro i limiti della non irragionevolezza e non arbitrarietà.
Assumono però certamente carattere patologico quando vi sia una indefinita reiterazione o una proroga sine die o all'infinito (attraverso la reiterazione di proroghe a tempo determinato che si ripetano aggiungendosi le une alle altre), o quando il limite temporale sia indeterminato, cioè non sia certo, preciso e sicuro e, quindi, anche non contenuto in termini di ragionevolezza. Ciò ovviamente in assenza di previsione alternativa dell'indennizzo e fermo, beninteso, che l'obbligo dell'indennizzo opera una volta superato il periodo di durata (tollerabile) fissato dalla (periodo di franchigia).
In sintesi, per la Corte costituzionale, le reiterazioni in via amministrativa dei vincoli urbanistici c.d. espropriativi sono ammissibili e legittimi, ove siano giustificate da esigenze pubblicistiche appositamente valutate e motivate come attuali e persistenti, fermo restando che impongono la necessità di indennizzare il proprietario dei beni assoggettati.
In particolare, per i vincoli derivanti da pianificazione urbanistica (come sopra delimitati), l'obbligo specifico di indennizzo deve sorgere una volta superato il primo periodo di ordinaria durata temporanea (a sua volta preceduto da un periodo di regime di salvaguardia) del vincolo (o di proroga per legge in regime transitorio), quale determinata dal legislatore entro limiti non irragionevoli, come indice della normale sopportabilità del peso gravante in modo particolare sul singolo, qualora non sia intervenuta l'espropriazione ovvero non siano approvati i piani attuativi. Una volta oltrepassato il periodo di durata temporanea (periodo di franchigia da ogni indennizzo), il vincolo urbanistico (avente le anzidette caratteristiche), se permane a seguito di reiterazione, non può essere dissociato, in via alternativa all'espropriazione (o al serio inizio dell'attività preordinata all'espropriazione stessa mediante approvazione dei piani attuativi), dalla previsione di un indennizzo.
È per questo che, secondo la Corte, la mancata previsione di qualsiasi indennizzo si pone in contrasto con i principi costituzionali ricavabili dall'art. 42, comma 3, Cost., e di conseguenza ne deve essere dichiarata l'illegittimità costituzionale.
Da ciò è derivata la dichiarazione di illegittimità costituzionale non dell'intero complesso normativo che consente la reiterazione dei vincoli, ma esclusivamente della mancata previsione di indennizzo in tutti i casi di permanenza del vincolo urbanistico (preordinato all'espropriazione o comportante l'assoluta inedificabilità) oltre i limiti di durata fissati dal legislatore (quali indici di ordinaria sopportabilità da parte dei singoli), ove non risulti in modo inequivocabile l'inizio della procedura espropriativa.
La stessa Corte costituzionale ha evidenziato che spetta al legislatore ogni possibilità di intervento, anche attraverso procedure semplificate, per la concreta liquidazione dell'indennizzo, fermo restando che – in caso di mancanza di specifico intervento legislativo determinativo di criteri e parametri per la liquidazione delle indennità - il giudice competente sulla richiesta di indennizzo, una volta accertato che i vincoli imposti in materia urbanistica abbiano carattere espropriativo, può ricavare dall'ordinamento le regole per la liquidazione di obbligazioni indennitarie, nella specie come obbligazioni di ristoro del pregiudizio subito dalla rinnovazione o dal protrarsi del vincolo.
2.3.2. In tale quadro, l’art. 39, comma 1, d.P.R. n. 327 del 2001 ha espressamente previsto che «in attesa di una organica risistemazione della materia, nel caso di reiterazione di un vincolo preordinato all’esproprio o di un vincolo sostanzialmente espropriativo è dovuta al proprietario un’indennità, commisurata all’entità del danno effettivamente prodotto».
Non essendo ancora intervenuta una disciplina organica della materia, nella fattispecie in esame si applica il disposto appena riportato.
Il vincolo preordinato all’esproprio e il vincolo sostanzialmente espropriativo, ove reiterati, fanno, dunque, sorgere un diritto all’indennizzo da parte del proprietario del fondo ad esso assoggettato.
Tali vincoli si equivalgono e la disciplina, ai fini dell’indennizzo, è la stessa.
Tuttavia, mentre il vincolo preordinato all’esproprio è così definito dalla stessa Amministrazione che lo appone, quello sostanzialmente espropriativo deve essere volta per volta accertato come tale in sede interpretativa.
Assume pertanto rilievo, proprio ai fini interpretativi, il disposto dell’art. 9 d.P.R. n. 327 del 2001 (testo vigente ratione temporis ed anche nell’attualità), ove, con riferimento ai vincoli derivanti da piani urbanistici, è stabilito quanto segue:
«1. Un bene è sottoposto al vincolo preordinato all'esproprio quando diventa efficace l'atto di approvazione del piano urbanistico generale, ovvero una sua variante, che prevede la realizzazione di un’opera pubblica o di pubblica utilità.
2. Il vincolo preordinato all'esproprio ha la durata di cinque anni. Entro tale termine, può essere emanato il provvedimento che comporta la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera.
3. Se non è tempestivamente dichiarata la pubblica utilità dell'opera, il vincolo preordinato all'esproprio decade e trova applicazione la disciplina dettata dall'articolo 9 del testo unico in materia edilizia approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.
4. Il vincolo preordinato all'esproprio, dopo la sua decadenza, può essere motivatamente reiterato, con la rinnovazione dei procedimenti previsti al comma 1 e tenendo conto delle esigenze di soddisfacimento degli standard.
5. Nel corso dei cinque anni di durata del vincolo preordinato all'esproprio, il Consiglio comunale può motivatamente disporre o autorizzare che siano realizzate sul bene vincolato opere pubbliche o di pubblica utilità diverse da quelle originariamente previste nel piano urbanistico generale. In tal caso, se la Regione o l'ente da questa delegato all'approvazione del piano urbanistico generale non manifesta il proprio dissenso entro il termine di novanta giorni, decorrente dalla ricezione della delibera del Consiglio comunale e della relativa completa documentazione, si intende approvata la determinazione del consiglio comunale, che in una successiva seduta ne dispone l'efficacia.
6. Salvo quanto previsto dal comma 5, nulla è innovato in ordine alla normativa statale o regionale sulla adozione e sulla approvazione degli strumenti urbanistici»
2.3.3. D’altronde, questa Corte è oramai consolidata nel ritenere che il carattere conformativo, e non ablatorio, dei vincoli di piano non discende, direttamente e necessariamente, dalla loro collocazione nello strumento urbanistico, poiché non si impone esclusivamente in ragione della fonte da cui detti vincoli derivano.
Il menzionato carattere conformativo dei vincoli di piano dipende, infatti, dai requisiti oggettivi, di natura e struttura – che i vincoli contenuti nello strumento urbanistico di norma presentano - della incidenza su una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione assolta dalla intera zona in cui questi ricadono, in ragione delle caratteristiche intrinseche di quest’ultima o del rapporto (per lo più spaziale) con un’opera pubblica. Pertanto, ove in via eccezionale, vincoli, pur contenuti in piani di secondo livello non abbiano una tal natura generale, ma si presentino, viceversa, come vincoli particolari, incidenti su beni determinati, in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione puntuale (normalmente definita “lenticolare”) di un'opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata, ma ne esige la traslazione in favore dell'ente pubblico, si realizza un vincolo sostanzialmente preordinato all'espropriazione, dal quale, nonostante la sua formale allocazione, deve comunque prescindersi ai fini della qualificazione dell'area, per gli effetti indennitari a seguito dell’espropriazione (così Cass., Sez. U, n. 173/2001 e, tra le tante, Cass., Sez. 1, n. 20230/2016; v. inoltre Cass., Sez. 1, n. 207 del 09/01/2020; Cass., Sez. 1, n. 16084/2018; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 23572 del 09/10/2017; Cass., Sez. 1, n. 25320/ 2017; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 25401 del 12/12/2016).
In tale ottica, è stato più volte affermato il principio secondo cui la destinazione ad usi collettivi di determinate aree assume aspetti conformativi ove sia concepita, nel quadro della ripartizione generale del territorio, in base a criteri predeterminati ed astratti, ma non quando sia limitata e funzionale all'interno di una zona urbanistica omogenea a diversa destinazione generale, e venga, dunque, ad incidere, nell'ambito di tale zona, su beni determinati, sui quali si localizza la realizzazione dell'opera pubblica, assumendo in tal caso portata e contenuti direttamente ablatori (così Cass., Sez. 1, n. 20457/2013 e Cass., Sez. 1, n. 1613/2016).
2.3.4. Proprio con riferimento alla previsione di parcheggi pubblici sull’area vincolata, questa Corte, ribadendo i principi sopra enunciati, sia pure ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio, è pervenuta alla conclusione che la destinazione a parcheggi pubblici, impressa all'area espropriata dal piano regolatore generale e confermata dalla successiva variante, concreti non già un vincolo conformativo ma un vincolo preordinato all'espropriazione, esulando dall'ottica della suddivisione zonale del territorio del Comune, e mirando invece ad imporre un vincolo particolare su beni singolarmente individuati, in vista della creazione di un'area non edificata all'interno di zone a spiccata vocazione edificatoria ed a servizio delle strutture e degli edifici circostanti (così Cass., Sez. 1, n. n. 2613/2006, riferita a un’area adibita a parcheggio pubblico contornata da zone individuate dagli strumenti urbanistici “di completamento” e, quindi, come quella oggetto del presente giudizio, a spiccato carattere edificatorio; nello stesso senso, v. anche Cass., Sez. 1, n. 10012/2011).
In effetti, proprio considerando la sentenza della Corte costituzionale, la previsione della realizzazione di parcheggi pubblici è incompatibile con la conservazione dei diritti e delle facoltà dominicali del privato proprietario, che non possono più essere esercitati nell’attesa della realizzazione degli stessi.
In breve, la previsione di un parcheggio pubblico non consente al privato proprietario di compiere iniziative suscettibili di operare in libero regime di economia di mercato, sicché ove riguardi un’area specifica, compresa in una zona edificata ed edificabile, avente dunque tutt’altra connotazione, deve essere considerata come l’apposizione di un vincolo sostanzialmente espropriativo.
2.3.5. Nel caso di specie, dalla lettura della sentenza impugnata risulta (ed è incontestato tra le parti) che l’area in questione, inserita nella zona omogenea B di cui all'art. 4.3.2. delle NTA del PRG vigente (che comprendeva parti del territorio totalmente o parzialmente edificate), ricadente all'interno del sub- sistema R3 “città in aggiunta” di cui all'art. 4.2.1.6 delle NTA del PRG, sia stata oggetto di specifica destinazione d’uso a parcheggio pubblico a raso ai sensi dell'art. 3.3.9 delle menzionate NTA (p. 9- 10 della sentenza impugnata).
Com’è noto, le zone B, così come definite dal D.M. n. 1444 del 1968, corrispondono alle parti della città nelle quali il processo di costruzione, eventualmente iniziato da molto tempo, non può ancora considerarsi concluso per la presenza di numerose parti edificabili, ma non ancora edificate o adeguatamente attrezzate.
Si consideri che le caratteristiche delle aree destinate a parcheggio a raso sono contenute nell’art. 3.3.9 delle NTA, integralmente riportato nella sentenza impugnata, ove in particolare si legge che «1. La sistemazione di un parcheggio a raso deve essere comunque reversibile tale cioè da poter destinare l’area ad altro scopo pubblico qualora il parcheggio venisse impedito o non fosse più necessario. 2. I parcheggi possono configurarsi come piazze e come zone filtro (a servizio di giardini, parchi, impianti sportivi). 3. Nei parcheggi la superficie deve essere omogenea ed avere un livello diverso da quello della strada, l’alberatura sempre presente (alberi d’alto fusto) deve avere un impianto regolare, i percorsi pedonali devono distinguersi dagli spazi di sosta. 4. Sono ammessi, chioschi e servizi igienici, per una incidenza non superiore al 10% della superficie complessiva.
…omissis».
Come sopra evidenziato, la destinazione di un'area a parcheggio pubblico, impressa dallo strumento urbanistico, concreta vincolo preordinato ad esproprio ove esuli dall'ottica della suddivisione zonale del territorio, e miri a individuare beni singolarmente determinati in vista della creazione di un'area non edificata all'interno di zona a spiccata vocazione edificatoria.
La fattispecie in esame corrisponde a quella presa in esame nelle richiamate pronunce di legittimità, poiché l'area è inserita nel tessuto urbano in via di completamento e il vincolo attiene al solo bene in esame.
Né può ritenersi rilevante il fatto che il parcheggio possa costituire opera pubblica in astratto realizzabile anche dal privato, attesa la specifica previsione urbanistica sopra riportata, poiché le NTA sono chiare nel prevedere che la sistemazione del parcheggio a raso deve essere comunque reversibile, tale cioè da poter destinare l'area ad altro scopo pubblico, qualora il parcheggio venisse impedito onde non fosse più necessario.
Insomma, con la speciale destinazione d’uso impressa all’area in questione, quest’ultima è inequivocabilmente vincolata ad un impiego per finalità pubbliche, che modifica radicalmente la vocazione del bene.
D’altronde, a conferma della presenza di un vincolo sostanzialmente espropriativo vi è anche il disposto dell’art. 4.1.1.2 delle NTA del PRG, riportato nella sentenza e richiamato dallo stesso controricorrente, ove è stabilito che, «qualora la funzione esclusiva prevista dal Piano non venga realizzata entro cinque anni dalla sua approvazione, tutte le funzioni previste entro il sub-sistema nel quale è compreso l’immobile sono ammesse».
La disposizione riproduce di fatto la disciplina propria dei vincoli preordinati all’esproprio, contenuta nel sopra menzionato art. 9 d.P.R. n. 327 del 2001, ove è precisato che tali vincoli hanno la durata di cinque anni, trascorsi i quali decadono.
In tal evenienza, la destinazione speciale viene meno e possono essere impresse all’immobile tutte le destinazioni consentite dal sub-sistema in cui quest’ultimo si trova.
3. In conclusione, il primo motivo deve essere accolto, limitatamente alla qualificazione del vincolo come sostanzialmente espropriativo, essendo inammissibile per il presto.
4. La statuizione sul primo motivo di ricorso rende superfluo l’esame degli altri, che devono pertanto ritenersi assorbiti.
5. La sentenza impugnata deve essere cassata in applicazione del seguente principio: “In tema di distinzione tra vincoli conformativi e vincoli preordinati all’espropriazione o sostanzialmente espropriativi, la destinazione di un'area ad un uso collettivo (nella specie, parcheggio pubblico a raso), impressa dallo strumento urbanistico, concreta vincolo sostanzialmente espropriativo ove esuli dall'ottica della suddivisione zonale del territorio e miri a individuare beni singolarmente determinati in vista della creazione di un'area non edificata all'interno di zona a spiccata vocazione edificatoria”.
La causa deve essere, dunque, rinviata, per la verifica degli ulteriori requisiti richiesti dall’art. 39, comma 1, d.P.R. n. 327 del 2001 ai fini della liquidazione dell’indennizzo ed anche per la liquidazione delle spese del presente grado di giudizio, alla Corte di appello di Ancona in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, nei limiti di cui in motivazione e, dichiarato inammissibile per il resto, assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata, con conseguente rinvio della causa, anche per quanto riguarda le spese del presente grado di giudizio, alla Corte di appello di Ancona in diversa composizione.