Non è sufficiente la stipula di una transazione cui non segua l'integrale riparazione prima che sia pronunciata l'ordinanza del giudice di ammissione al rito.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 30 novembre 2021, la Corte di appello di Brescia ha confermato la sentenza del Gup del Tribunale di Cremona del 28 novembre 2019, resa all'esito di giudizio abbreviato, con cui l'imputato era stato condannato alla pena di 4 anni di reclusione - oltre alle pene accessorie e al pagamento delle spese processuali - in relazione al delitto di cui all'art. 609-bis c.p., perchè, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, abusando delle condizioni di inferiorità fisica e psichica della persona offesa, la induceva a compiere e subire atti sessuali. Già in primo grado si era dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato in ordine agli episodi contestati come commessi in epoca anteriore al 18 febbraio 2017, in difetto di tempestiva querela.
2. Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per Cassazione, chiedendone l'annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamentano: A) la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla valutazione delle dichiarazioni della persona offesa ed alla inadeguatezza probatoria di queste ultime, in mancanza di coerenza, precisione e verosimiglianza del racconto, nonchè in mancanza di attendibilità e credibilità, in quanto trattasi di dichiarazioni rese da "persona vulnerabile"; B) la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alle valutazioni sulla decisività delle prove a carico dell'imputato e, viceversa, sulla inconsistenza della pari verosimiglianza e probabilità delle prove in favore dell'imputato e degli assunti difensivi; C) la violazione, l'inosservanza ed erronea applicazione di legge, in relazione all'introduzione nel procedimento penale della prova dichiarativa della persona offesa e alla valutazione della sua attendibilità, nella violazione delle disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 212 del 2015. Più precisamente, secondo la difesa, nel caso di specie non sarebbero stati rispettati i criteri di valutazione delle dichiarazioni accusatorie della persona offesa - che risulta essere vulnerabile secondo i parametri di cui all'art. 90-quater c.p.p. - enucleati dalla giurisprudenza di legittimità. La querela sporta dalla persona offesa, infatti, contiene scarne dichiarazioni, peraltro raccolte senza l'assistenza di un esperto che avrebbe dovuto assisterla nella ricostruzione dei fatti, in quanto vulnerabile. Si tratterebbe, invero, di una denuncia-querela per relationem, in quanto richiamerebbe integralmente il racconto del padre, sebbene la persona offesa non sia interdetta nè inabilitata. Essa racconterebbe, poi, esclusivamente di quanto sarebbe accaduto il 30 aprile 2016 e già per quel fatto il narrato - secondo la difesa - assume forti connotati di illogicità e inverosimiglianza, non essendo credibile che due persone possano entrare in un circolo privato lungo il (omissis), andare a farsi la doccia insieme nello stesso box ed in quel contesto masturbarsi senza che nessuno possa accorgersi di quanto accade. Inoltre, il difensore rileva come tale unico atto narrato in querela dalla persona offesa sia tra quelli per i quali la sentenza di condanna ha dichiarato non doversi procedere per difetto di tempestiva querela quale condizione di procedibilità. In aggiunta, si evidenzia che la dottoressa C.C. - nEuropsichiatra che ha in cura la persona offesa e a cui quest'ultima viene condotta per svolgere un'indagine in merito ai presunti abusi sessuali - ha attestato che per il paziente "sono stati fronteggiati con discreto successo i problemi di compulsione ad assumere cibo e masturbarsi, se pur senza definitiva remissione dei sintomi". La compulsione della persona offesa a masturbarsi, quindi, ben può rappresentare, in un soggetto di 27 anni affetto da "encelofalopatia infantile con handicap", una prova o un segnale dell'esistenza di fantasie erotiche che avrebbero dovuto indurre a considerare l'inesistenza della figura reale dell'imputato, presenza meramente immaginaria. Infatti B.B., collega dell'imputato nelle attività di volontariato, oltre ad attestare la totale fiducia nell'operato di quest'ultimo, dichiara di non avere mai notato nulla che andasse oltre ai normali rapporti che si creano in casi di questo genere, che portano certamente ad avere un affetto particolare per persone meno fortunate. Inoltre, le indagini mediche alle quali la persona offesa è stata sottoposta dai genitori hanno escluso ogni trauma fisico da violenza sessuale. Ciò che residuerebbe, quindi, è solo la presenza di un herpes labiale che compare sulle labbra della persona offesa dopo l'ultima vacanza sul (omissis) con l'Associazione "V.", in compagnia anche dell'imputato. Orbene, secondo la difesa, la motivazione fornita dalla Corte d'appello sul punto è certamente illogica, non avendo i giudici considerato che l'infezione da herpes labiale è rimasta latente per qualche giorno e che, se fosse stata causata da contatto sessuale della persona offesa con l'imputato, non si sarebbe manifestata solo sulle labbra, ma avrebbe interessato altre zone erogene o genitali di entrambi i soggetti. Parimenti illogica, poi, sarebbe la motivazione addotta dai giudici d'appello per rigettare la tesi difensiva secondo cui l'herpes è riconducibile ad una esposizione prolungata di entrambi i soggetti al sole e allo stress di un faticoso percorso in canoa sul fiume. Infine, nel ricorso si evidenzia come, sebbene dalle intercettazioni sull'utenza telefonica dell'imputato non sia emerso alcun elemento probatorio a suo carico, la Corte territoriale abbia omesso una valutazione positiva sul punto.
2.2. Con un secondo motivo di ricorso, si lamentano: A) la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla valutazione della ritenuta spontaneità, verosimiglianza e precisione del racconto della persona offesa, incerto e contraddittorio quanto a date, persone e luoghi; B) la violazione, l'inosservanza e l'erronea applicazione di legge in relazione al rispetto del principio della condanna "oltre ogni ragionevole dubbio" di cui all'art. 111 Cost., e con riferimento agli artt. 192, comma 1, e 533, comma 1, c.p.p. Più precisamente, secondo la difesa, la Corte d'appello ha errato nel motivare la prova della colpevolezza dell'imputato facendo riferimento alle dichiarazioni rese dalla persona offesa alla nEuropsichiatra che lo ha in cura sin dalla infanzia e a quelle rese da K. S. , rifugiato ospite presso la famiglia della persona offesa, in quanto entrambe sarebbero caratterizzate da contraddizioni. La stessa nEuropsichiatra peraltro, incomprensibilmente, non si sarebbe mai accorta in passato del disagio e delle sofferenze dovute ai presunti abusi, nonostante avesse in cura la vittima sin dall'infanzia.
2.3. Con una terza doglianza, si lamentano la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla valutazione della condotta processuale silente dell'imputato, dalla quale vengono tratte inferenze negative in ordine agli elementi a suo carico, nonchè la violazione della legge penale in relazione alla valutazione negativa del diritto al silenzio dell'imputato e in relazione alla erronea valutazione della presunzione di non colpevolezza e del diritto di difesa. Più precisamente, secondo il difensore, i giudici d'appello hanno errato laddove hanno considerato il silenzio dell'imputato alla stregua di un'incapacità di fornire una spiegazione alternativa rispetto agli elementi a carico. Il silenzio infatti, di per sè al di fuori di un preciso contesto di domande e risposte, non costituisce altro che un dato neutro. Ne deriva che esso non può essere inserito tra gli elementi su cui fondare l'ipotesi accusatoria nè tantomeno può essere utilizzato come strumento per colmare le lacune probatorie, trasformando un quadro probatorio insufficiente e contraddittorio in certezza.
2.4. In quarto luogo, si lamentano la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione nonchè la violazione di legge in relazione alla mancata sussunzione del fatto contestato all'imputato nella fattispecie di cui all'art. 609-bis, ultimo comma, c.p. Più precisamente, secondo la difesa, poichè la rilevanza dei fatti di reato attribuiti all'imputato si riduce a soli 2 episodi, rispettivamente avvenuti il 1 aprile e il 18/25 giugno 2017, i contenuti e le modalità degli stessi possono essere ricondotti all'ipotesi di lieve entità. Le modalità esecutive e le circostanze dell'azione, infatti, non sembrano far ritenere che sia stata compromessa in maniera grave la libertà sessuale personale della vittima, posto che quest'ultima non è stata mai costretta ad accompagnarsi all'imputato nonostante l'asserita commissione degli abusi. Inoltre, la mancata reazione della persona offesa a tali due episodi, per i quali vi è stata pronuncia di condanna, e la circostanza che la persona offesa non abbia mai rifiutato di accompagnarsi all'imputato depongono per una consapevolezza di quest'ultima sul modesto disvalore dell'accaduto e per una mancanza di sofferenza fisica o di disagio morale in un soggetto abituato ad attività compulsive di autoerotismo.
2.5. Con un quinto motivo di ricorso, si lamentano la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nonchè la violazione di legge in relazione alla ritenuta non configurabilità della circostanza attenuante del risarcimento del danno di cui all'art. 62, n. 6), c.p. L'imputato, infatti, prima ancora dell'udienza di prima comparizione davanti al GUP, aveva già sottoscritto un accordo risarcitorio transattivo per complessivi Euro 35.000,00, provvedendo contestualmente al versamento della somma di Euro 20.000,00 con assegno circolare. Tale comportamento, non può quindi che costituire indice di un ravvedimento spontaneo, disinteressato e non riconducibile ad un calcolo utilitaristico condizionato all'andamento del giudizio.
3. La difesa ha depositato memoria, con la quale insiste nella richiesta di annullamento della sentenza impugnata, ribadendo i rilievi già proposti con il ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato.
1.1. Il primo motivo - con cui si censurano vizi della motivazione e di violazione di legge quanto alla valutazione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa e alla ritenuta decisività delle prove a carico dell'imputato - è inammissibile, perchè diretto, con argomentazioni generiche, ad ottenere una rivalutazione di elementi già presi adeguatamente in considerazione dal giudice di secondo grado, riducendosi ad una mera contestazione delle risultanze emerse dalla motivazione, senza la prospettazione di elementi puntuali, precisi e di immediata valenza esplicativa tali da dimostrare un'effettiva carenza motivazionale su punti decisivi del gravame (ex plurimis, Sez. 5, n. 34149 del 11/06/2019, Rv. 276566; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970). A fronte della ricostruzione e della valutazione della Corte di appello, non si offre la compiuta rappresentazione e dimostrazione di alcuna evidenza (pretermessa ovvero infedelmente rappresentata dal giudicante) di per sè dotata di univoca, oggettiva e immediata valenza esplicativa, tale, cioè, da disarticolare, a prescindere da ogni soggettiva valutazione, il costrutto argomentativo della decisione impugnata, per l'intrinseca incompatibilità degli enunciati.
La difesa, invero, non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, limitandosi a reiterare generiche censure fattuali già avanzate con l'atto d'appello. Per parte sua, la Corte territoriale, dopo aver sottolineato che l'ingresso nel processo all'intervista registrata il 31 luglio 2017 dalla Dott.ssa C.C. alla persona offesa - a seguito del sospetto abuso sessuale segnalato dal di lui padre - è da ascriversi alla scelta di accedere al giudizio cartolare, afferma che non emerge in alcun modo che la persona offesa sia un soggetto che vive in un mondo ideale e astratto, sì da poter ritenere che egli possa avere trasposto nella realtà alcune delle sue fantasie. Nè la sua capacità a testimoniare è concretamente posta in questione. Inoltre, evidenziano i giudici d'appello, se le fantasie erotiche del giovane si inquadrassero - come sostenuto dalla difesa - in un rapporto di amore e devozione, non si capisce per quale motivo nelle asserite fantasie erotiche della persona offesa l'imputato venga sempre descritto alla stregua di un violentatore. Del tutto irrilevanti, poi, sarebbero le attestazioni di stima rilasciate da B.B., collega dell'imputato. Infatti, come sottolineato dalla Corte territoriale, si tratta di affermazioni di carattere generico, da parte di un soggetto che non ha vissuto da vicino e con quotidianità il rapporto tra imputato e persona offesa. Parimenti generici sono poi gli assunti difensivi relativi all'herpes labiale. I giudici d'appello, motivando sul punto, da un lato hanno evidenziato l'estrema contagiosità dell'herpes, che si propaga per contatto diretto, dall'altro hanno sottolineato che una non corretta esposizione al sole possa abbassare le difese immunitarie, attivando l'herpes labiale. Nel caso di specie, la Corte territoriale afferma - in maniera logica e coerente - che appare singolare che la patologia possa essere insorta, contestualmente, tanto nell'imputato quanto nella persona offesa. Nè a scalfire tale conclusione vale l'assunto difensivo secondo cui non si comprenderebbe l'assenza di herpes nelle zone genitali. Nel caso di specie infatti, posto che la contagiosità per via sessuale avviene solo per determinate pratiche, nessuna indagine clinica o medica è stata condotta sull'imputato. Del pari inconsistente per sostenere l'insussistenza del reato è l'assenza di conversazioni telefoniche rilevanti nel periodo oggetto di intercettazione: infatti, come correttamente rilevato dai giudici d'appello, l'imputato aveva tutto l'interesse a tenere per sè tali vicende, soprattutto all'indomani della diffida inviatagli dal legale della famiglia della persona offesa.
1.2. Il secondo motivo di ricorso - con cui si lamentano la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla valutazione di attendibilità del racconto della persona offesa nonchè la violazione del principio delroltre ogni ragionevole dubbio" - è anch'esso inammissibile. La difesa si limita, infatti, a reiterare censure già avanzate in appello, senza confrontarsi con il testo della sentenza impugnata. Con motivazione del tutto logica e coerente, i giudici d'appello, aderendo alla ricostruzione già operata dal giudice di primo grado, secondo cui la confusione o la sovrapposizione tra un episodio e l'altro deve essere ascritta alle difficoltà intellettive e personali della persona offesa, affermano come quest'ultima sia incerta solo nella collocazione temporale degli eventi, essendo questa, al contrario, in grado di ricordarli e circostanziarli con sufficiente precisione nella loro effettiva portata. Parimenti inammissibili sono le censure relative al riscontro esterno che ha ad oggetto le dichiarazioni di S.. La difesa non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, ove (a pag. 26) si evidenzia che proprio la completa fiducia di cui godeva l'imputato, all'interno della famiglia della persona offesa, potrebbe avere indotto S. a desistere dal mettersi in contrasto con il generale sentimento di benevolenza nutrito dai suoi ospiti verso l'imputato; ciò a maggior ragione se si considera la gradualità degli approcci del predetto verso l'extracomunitario, non particolarmente invasivi e sostanzialmente finalizzati a sperimentare il grado di resistenza del giovane straniero e la sua riservatezza.
1.3. La terza doglianza - con cui si lamentano la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla valutazione della condotta processuale silente dell'imputato - è inammissibile per genericità. La difesa non precisa, infatti, quali siano i passaggi argomentativi della sentenza appellata in cui si faccia riferimento alla condotta silente dell'imputato in quanto tale, traendone elementi a suo carico.
1.4. Il quarto motivo di ricorso - con cui si lamenta la mancata sussunzione del fatto contestato all'imputato nella fattispecie di cui all'art. 609-bis cod. pen è inammissibile. Del tutto correttamente il fatto contestato all'imputato è stato ritenuto di non minore gravità; mentre la difesa non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata (pag. 27), in cui si evidenziano, non solo l'invasività degli atti sessuali posti in essere, i quali, oltre ad essere reiterati, si inseriscono in un pregresso rapporto di abusi sessuali che durava da anni, ma anche la particolare percezione degli stessi da parte della persona offesa, la quale parla espressamente di "abusi sessuali". Nè tantomeno può essere indicativa della modestia del disvalore dell'accaduto o della mancanza di una sofferenza fisica o di un disagio morale la mancata reazione della persona offesa. Non può infatti non rilevarsi, come sottolineato dalla Corte territoriale, che il deficit intellettivo di quest'ultimo lo abbia sostanzialmente reso inerme rispetto alle modalità aggressiva con le quali l'imputato, facendo leva anche sulla soggezione da questi nutrita, lo ha costretto a subire le sue avances sessuali. Del resto, sottolineano ancora i giudici d'appello, conferma quanto accaduto e i sentimenti di frustrazione e vergogna provati il foglio manoscritto dalla persona offesa acquisito agli atti.
1.5. Il quinto motivo di ricorso - con cui si contesta il diniego della circostanza attenuante del risarcimento del danno di cui all'art. 62, n. 6), cod. pen - è infondato. L'art. 62, n. 6), c.p. prevede infatti che attenua il reato l'avere riparato prima del giudizio integralmente il danno, mediante il risarcimento di esso. Orbene nel caso di specie, occorre dare atto del fatto che quest'ultimo è stato solo parzialmente riparato prima del giudizio. L'imputato, infatti, ha provveduto a versare la somma di Euro 20.000, 00 in data antecedente all'udienza di prima comparizione davanti al Gup. Tuttavia, poichè il saldo di Euro 15.000,00 è stato versato solo dopo, anche se precedentemente all'udienza di discussione, il risarcimento integrale non può dirsi avvenuto prima del giudizio, motivo per cui la censura non può essere accolta. Nè può assumere rilievo in senso contrario la stipula di una transazione per l'intera somma di Euro 35.000,00, perchè ciò che conta, secondo la previsione legislativa, non è l'impegno all'adempimento espresso attraverso una transazione, ma l'effettivo adempimento dell'obbligazione di risarcitoria prima dell'ammissione al rito.
Secondo la più recente e ormai consolidata interpretazione di legittimità, infatti, in caso di giudizio abbreviato, ai fini del riconoscimento dell'attenuante prevista dall'art. 62, n. 6), c.p., la riparazione del danno mediante risarcimento o restituzione deve intervenire prima che sia pronunciata l'ordinanza del giudice di ammissione al rito ex art. 438, comma 4, c.p.p. e non prima dell'inizio della discussione ex art. 421 c.p.p. E ciò, perchè, prevedendo la riparazione del danno "prima del giudizio", il legislatore ha inteso ancorare il riconoscimento dell'attenuante al ravvedimento dell'imputato e non all'interesse per la propria sorte processuale, individuando il momento per esprimere tale ravvedimento nell'ammissione del rito, unico momento certo comune a tutti i giudizi abbreviati, i quali si possono poi articolare temporalmente in modi diversi, quanto all'effettivo svolgimento della discussione. Diversamente opinando, si avallerebbe una di Spa rità di trattamento fra gli imputati a seconda del concreto andamento, più lento o più rapido, del giudizio abbreviato di ciascuno (Sez. 3, n. 15750 del 16/01/2020, Rv. 279270; Sez. 3, n. 2213 del 22/11/2019, dep. 21/01/2020, Rv. 278380).
Deve dunque affermarsi che, ai fini del riconoscimento dell'attenuante ex art. 62, n. 6), c.p., la riparazione del danno mediante risarcimento o restituzione deve intervenire integralmente prima che sia pronunciata l'ordinanza del giudice di ammissione al rito ex art. 438, comma 4, c.p.p., non essendo sufficiente la stipula di una transazione cui non segua l'integrale riparazione prima di tale termine.
2. Il ricorso, dunque, deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003 art. 52, in quanto imposto dalla legge.