Nel caso di specie l'invio della copia, proprio perché proveniente dall'avvocato incaricato di patrocinare la causa, attribuiva agli atti una parvenza di originalità e di conformità all'originale.
Il Giudice di secondo grado confermava la decisione con cui il primo Giudice aveva dichiarato l'imputato responsabile del reato di cui agli
Svolgimento del processo
1. Con sentenza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di Bologna ha confermato la decisione con cui il Tribunale di Ferrara dichiarava R.C. responsabile del reato di cui agli artt. 476 e 482 cod. pen., condannandolo alla pena di mesi dieci di reclusioni, oltre al risarcimento del danno e alla rifusione delle spese generali e di patrocinio, a favore della parte civile R.R..
2. Avverso la sentenza, ha presentato ricorso l'imputato, per il tramite del suo difensore di fiducia, articolando le proprie censure in un unico motivo di ricorso, col quale deduce violazione di legge in relazione agli artt. 476 e 49 cod. pen., e agli artt. 20 e 23 del d. lgs. n.82/2005 (Codice dell'amministrazione digitale). La Corte territoriale, ritenendo che la sentenza sia atto che può circolare soltanto in copia e che, ai fini della configurazione del delitto di falso, sia sufficiente la prospettazione di conformità all'originale, avrebbe erroneamente ravvisato gli estremi del reato di falso nella condotta dell'imputato. A tal proposito, la difesa obietta che l'imputato aveva inviato alla propria assistita una fotografia - via social network "whatsapp" - di atti giudiziari inesistenti. La copia fotografica di una sentenza inesistente, peraltro priva di attestazione di conformità ex art. 23 del citato d. lgs., sarebbe inidonea a ingenerare l'apparenza di un atto originale e, quindi, inidonea a pregiudicare la pubblica fede, anche nel caso di destinatario inesperto. Il falso idoneo a pregiudicare la pubblica fede avrebbe potuto configurarsi soltanto ove l'imputato avesse attestato la conformità a un documento informatico inesistente, ovvero avesse falsificato l'attestazione di conformità della cancelleria.
3. Il ricorrente ha depositato memoria scritta, con cui si riporta al ricorso, replicando alla requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, il quale ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile.
2. L'unico motivo di censura è manifestamente infondato, perché contrario al consolidato orientamento interpretativo della Cassazione, che, valorizzando la natura natura plurioffensiva dei delitti contro la fede pubblica, ha da tempo chiarito come detti delitti tutelino direttamente non solo l'interesse pubblico alla genuinità materiale e alla veridicità ideologica di determinati atti, ma anche quello dei soggetti privati sulla cui sfera giuridica l'atto sia destinato a incidere concretamente (Cfr. Sez. U, Sentenza n. 46982 del 25/10/2007, Pasquini, Rv. 237855 - 01; in seguito, ex plur. Sez. 3, n. 2511 del 16/10/2014, dep. 2015, Attisani, Rv. 263416 - 01; Sez. 3, n.3067, del 08/09/2016, dep. 2017, Conti, Rv. 269024-01; Sez. 5, n. 5589, del 18/11/2014, dep.2015, Grassi, Rv. 262812 - 01).
Questa Corte ha vieppiù enfatizzato l'enunciato principio, ritenendo che il reato di falso sia configurabile quando la falsa fotocopia, ancorché priva di attestazione di conformità all'originale, sia presentata «con l'apparenza di un documento originale, atto a trarre in inganno i terzi di buona fede» (così già Sez. 5, n. 8870 del 09/10/2014, dep. 2015, 7 Felline, cit. in Sez. U n. 35814 del 28/03/2019, Marcis, Rv. 276285 - 01).
Tale orientamento è stato anche più di recente confermato dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 5, n. 11402 del 18/01/2021, Loioli, Rv. 280731 - 01: "in tema di falsità materiale, integra il delitto di cui agli artt. 476 e 482 cod. pen. la formazione di una copia di un'ordinanza inesistente, quando la stessa, in relazione alle circostanze del caso concreto ed all'atteggiamento psicologico dell'agente, diretto ad ingannare la persona offesa destinataria dell'atto, assuma l'apparenza di una riproduzione di un atto originale, rivestendo la forma tipica di un provvedimento giudiziario; Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile il reato in relazione alla trasmissione, al fine di ottenere il pagamento di compensi professionali, di copia telematica di una falsa ordinanza di dissequestro di beni, accreditata come corrispondente all'originale mediante la riproduzione del numero di notizia di reato e di iscrizione nel registro generale del giudice per le indagini preliminari, nonché della sottoscrizione del giudice)."
Questo Collegio ritiene che la Corte territoriale abbia correttamente applicato il principio indicato al caso di specie, rimarcando che «è evidente che il Caraceni abbia falsificato gli atti di un processo civile mai esistito, tra cui un decreto ingiuntivo e una sentenza, e che l'invio di una copia alla persona offesa (o meglio di una fotografia che riproduce l'atto artatamente creato dal difensore), proprio perché proveniente da/l'avvocato incaricato di patrocinare la causa, attribuisce a tali atti una parvenza di originalità e di conformità all'originale, non rilevando assolutamente che lo stesso abbia inviato una fotografia del documento alla persona offesa».
La sentenza delle Sezioni Unite invocata dal ricorrente (Sez. U n. 35814 del 2019, già citata) ha ricomposto un contrasto effettivamente esistente (relativo all'idoneità della falsa fotocopia, avente l'apparenza di un documento originale ancorché priva di attestazione di conformità all'originale, a trarre in inganno i terzi di buona fede), prospettando una lettura del sistema ben diversa da quella colta dal ricorrente, il quale si è limitato a estrapolare dalla citata decisione la seguente affermazione: "la formazione della copia di un atto inesistente non integra il reato di falsità materiale, salvo che la copia assuma l'apparenza di un atto originale". La Suprema corte ha in quella sede osservato, tra l'altro, che "l'indirizzo maggiormente condivisibile (...) deve ritenersi (...) quel filone interpretativo (che incentra) la sua attenzione sulle ipotesi in cui la copia di un documento si presenti o venga esibita con caratteristiche tali, di qualsiasi guisa, da voler sembrare un originale, ed averne l'apparenza, ovvero la sua formazione sia idonea e sufficiente a documentare nei confronti dei terzi l'esistenza di un originale conforme: in tal caso la contraffazione si ritiene sanzionabile ex artt. 476 o 477 cod. pen., secondo la natura del documento che mediante la copia viene in realtà falsamente formato o attestato esistente (cfr., in motivazione, Sez. 5, n. 7385 del 14/12/2007, dep. 2008, Favia, Rv. 239112; v., inoltre, Sez. 5, n. 9366 del 22/05/1998, Celestini, Rv. 211443 (...) Entro tale prospettiva, a ben vedere, deve ritenersi indifferente la circostanza di fatto legata alla materiale esistenza o meno dell'atto "originale" rispetto al quale dovrebbe operarsi il raffronto comparativo con la copia, perché l'intervento falsificatorio effettuato con la modalità della contraffazione assume come riferimento non tanto la copia in sé, quanto il falso contenuto dichiarativo o di attestazione apparentemente mostrato dalla natura della copia formata ed esibita dall'agente, laddove l'atto originale non esiste affatto ovvero, se realmente esistente, rimane inalterato e comunque estraneo alla vicenda".
In tal modo, le Sezioni Unite hanno inteso sottolineare il disvalore di un comportamento contrassegnato dalla «volontà di sorprendere la fede pubblica»; comportamento che si iscrive nell'alveo dell'ipotesi delittuosa del falso per contraffazione «poiché, almeno apparentemente, creativo di un atto, sia pure in realtà inesistente, ma tale da determinarne oggettivamente, nelle intenzioni dell'agente, l'apparente originalità».
In definitiva, è stato posto in evidenza come le falsità materiali, incidendo «su ogni tipo di atto, non soltanto su quelli precostituiti a fini probatori ed istituzionalmente indirizzati a provare la verità dei fatti in essi attestati», svelino la propria «assoluta indifferenza rispetto al tipo di documento preso di mira dal comportamento criminoso». Pertanto, il Supremo consesso ha ritenuto - con principio che offre evidenti aderenze al caso di specie - che «ai fini della rilevanza penale del falso in copia di un atto, non importa se esistente o meno, rilevi - oltre all'idoneità del documento ad accreditarsi come corrispondente ad un originale - l'orientamento finalistico dell'agente che quell'atto utilizzi per ingannare la fede pubblica, proponendolo come originale e conforme al reperto autentico, secondo le complessive circostanze del caso concreto (da Sez. 5, n. 11402 del 18/01/2021, Loiolo, Rv. 280731 - 01)».
3. Questo Collegio ritiene, pertanto, che il ricorso sia da considerare inammissibile. L'imputato va, in conseguenza, condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.