
Tale potere non è precluso alle parti che non abbiano formulato la riserva, atteso il carattere soggettivo della riserva d'impugnazione, in analogia con il carattere soggettivo, in via generale, dell'acquiescenza.
Svolgimento del processo
1. G.C. chiamava in giudizio dinanzi al Tribunale di Messina, con citazione notificata il 15 dicembre 1961, i propri germani S., A. e C. A., nonchè la madre G.B.. L’attrice esperiva azione di riduzione delle disposizioni testamentarie del padre F.C.C., con le quali erano nominati eredi universali i figli maschi
S. e A., già gratificati in vita dal de cuius con donazioni, mentre in favore delle figlie si prevedevano legati di esiguo valore rispetto a quanto conseguito dai figli maschi.
Si costituiva nel giudizio il solo S. C., che eccepiva - fra l’altro - l’inammissibilità dell’azione di riduzione a causa della mancata rinuncia al legato, disposto nel testamento in favore dell’attrice, e per la mancata accettazione dell’eredità con il beneficio di inventario.
Rimessa la causa al collegio per la decisione, il Tribunale, con sentenza non definitiva del 25 luglio 1963, rigettava le eccezioni preliminari del convenuto C. S. e disponeva, con separata ordinanza, la prosecuzione del giudizio.
Contro la sentenza non definitiva facevano riserva d’appello sia l’attrice e sia il convenuto costituito.
Nel prosieguo si costituiva C. A. C., che proponeva anch’essa azione di riduzione contro i fratelli. Nel frattempo, essendo deceduta l’attrice G.C., si costituiva nel giudizio la figlia ed erede M.M., rappresentata dal genitore A.M., il quale all’udienza del 22 marzo 1972, dichiarava che la figlia, essendo divenuta maggiorenne, intendeva proseguire personalmente il giudizio.
Con ordinanza collegiale del 22 maggio 1975 e del 1° marzo 1977, la difesa di parte attrice era sollecitata a produrre la comparsa di costituzione di M.M. e la procura alle liti, affinché potesse verificarsi la ritualità della prosecuzione del giudizio.
A seguito di tali ordinanze, all’udienza del 15 marzo 1978, si costituiva M.M., facendo proprie le domande avanzate dalla madre con la originaria citazione del 1961.
Con sentenza del 30 settembre 1980, il Tribunale di Messina dichiarava interrotto il processo a far tempo dal 22 marzo 1972 (data in cui era stata resa in udienza la dichiarazione di cessazione della rappresentanza legale della minore M.M. in capo al padre) e ne pronunciava l’estinzione per mancato rispetto del termine perentorio di un anno per la riassunzione.
La sentenza, non gravata d’appello, passava in giudicato.
2. Con citazione del 20 gennaio 1982, M.M. conveniva nuovamente in giudizio i tre fratelli S., A. e C. A., riproponendo le domande a suo tempo proposte dalla propria madre e dante causa.
Si costituiva S., il quale eccepiva in via preliminare la prescrizione dell’azione di riduzione rilevando che, in virtù dell’estinzione del processo, l’effetto interruttivo della domanda giudiziale, a suo tempo proposta dalla originaria attrice e dante causa di M.M., aveva assunto carattere istantaneo, per cui il termine decennale di prescrizione, interrotto nel dicembre 1961 con la notifica della prima citazione, si era compiuto nel dicembre 1971. Per il resto C. S. ribadiva le eccezioni preliminari già sollevate nel processo estinto.
Analoghe difese proponeva, costituendosi nel giudizio, C. A..
Con sentenza non definitiva del 30 ottobre 1989 il Tribunale dichiarava inammissibili le eccezioni di inammissibilità della domanda di riduzione, in quanto risolte con la sentenza non definitiva del 4 giugno 1963 e quindi precluse dal giudicato. Rigettava inoltre l’eccezione di prescrizione dell’azione di riduzione, ritenendo che l’effetto interruttivo prodotto dalla domanda giudiziale era perdurato sino alla formazione del giudicato sulla detta sentenza non definitiva del 4 giugno 1963; il che, tenuto conto della riserva d’appello, era avvenuto solo in data 1 dicembre 1980, allorché era divenuta irrevocabile la sentenza di estinzione del processo nel cui ambito era stata pronunziata la sentenza non definitiva di merito.
Contro la sentenza non definitiva formulavano riserva d’appello S. e A. C..
Il processo, già riassunto da M.M. nei confronti degli eredi di C. C. A. a seguito della istituzione del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, (V.P., V.C. e V.C.), era dichiarato interrotto per la morte di A. C. e ulteriormente riassunto nei confronti degli eredi di lui: A.I., F. C. (nato nel 1958) e G.C. (nata nel 1965).
Con sentenza definitiva il Tribunale accertava la lesione di legittima in danno della originaria attrice G.C., dichiarando il diritto della sua erede al conseguimento di beni del controvalore di lire 1.253.759; condannava pertanto S. e A. C. alla restituzione di beni in natura e al pagamento di una somma a titolo di rendiconto per ogni annualità a far tempo della proposizione della domanda.
Contro la sentenza definitiva e la sentenza non definitiva proponevano appello A.I., F. C. (n. nel 1958) e G.C. (nata nel 1965), censurando, per quanto interessa in questa sede, la decisione nella parte relativa al rigetto dell’eccezione di prescrizione dell’azione di riduzione. Secondo gli appellanti, il Tribunale, nell’affermare che l’effetto interruttivo della prescrizione della domanda di G.C. (atto di citazione del 15 dicembre 1961) era perdurato sino alla data in cui era passata in giudicato la sentenza dichiarativa dell’estinzione del processo, non aveva tenuto conto che la riserva d’appello era stata formulata solo da S. C., e non anche dal loro dante Causa A. C., contumace in quel giudizio, con la duplice conseguenza: a) che nei confronti di quest’ultimo il giudicato si era formato allo scadere dell’anno dalla pubblicazione della sentenza non definitiva, essendo venuto meno contemporaneamente l’effetto interruttivo della prescrizione dell’azione di riduzione nei confronti del medesimo; b) che il termine decennale di prescrizione della proposta azione di riduzione era maturato ben prima cha l’erede di G.C. riproponesse la domanda.
Si costituiva S. C., che proponeva anch’egli appello incidentale contro la sentenza non definitiva e la sentenza definitiva.
Il giudizio d’appello, dichiarato interrotto per la morte di S. C., era riassunto nei confronti degli eredi F. C. (nato nel 1951), G.C. (n. nel 1954) e P. C..
Nella contumacia di V.C. e V.P., la Corte d’appello di Messina, nel decidere sull’appello incidentale proposto da S. C. e proseguito dagli eredi, condivideva la valutazione, fatta dal Tribunale con la sentenza non definitiva del 1989, con la quale erano state rigettate le eccezioni preliminari di inammissibilità dell’azione di riduzione, essendoci sul punto giudicato esterno costituito dalla sentenza non definitiva del 1963, la quale non era stata travolta dall’estinzione del processo.
La Corte d’appello rigettava anche l’appello principale degli eredi di A. C. sul punto della prescrizione dell’azione di riduzione. Secondo la Corte d’appello, nonostante la riserva d’appello contro la sentenza del 1963 fosse stata fatta solo da C. S. e C. G., «il solo fatto che nessuna specifica statuizione vi fosse riguardante la posizione dell’allora contumace C. A. esclude che nei suoi confronti il giudicato fosse andato a formarsi prima degli altri. Pur avendo l’azione di riduzione carattere personale, è certo che la risoluzione delle questioni preliminari di merito poste dall’altro convenuto si sarebbero comunque riverberate in senso positivo o negativo pure nei confronti di C. A., indipendentemente dal fatto che egli non avesse formulato riserva di impugnazione contro la sentenza del Tribunale».
Per la cassazione della sentenza I.A., C. F. e C. G. hanno proposto ricorso affidato a due motivi e memoria.
Tutti i destinatari della notificazione del ricorso restano intimati.
Motivi della decisione
1.1. Il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione degli art. 2945 e 2946 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. e nullità della sentenza o del procedimento per violazione degli artt. 340, 324 e 327 c.p.c. e 129 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.
Con il motivo in esame i ricorrenti propongono la seguente censura: l’effetto interruttivo permanente, prodotto dalla domanda di riduzione proposta con la citazione del 1961, si è protratto, riguardo al convenuto A. C., fino al passaggio in giudicato della sentenza non definitiva del 1963, che aveva definito le questioni pregiudiziali sollevate dal convenuto costituito. Non avendo A. C. formulato riserva d’appello avverso la sentenza non definitiva, il passaggio in giudicato di questa è coinciso con la scadenza del termine lungo previsto dall’art. 327 c.p.c., decorrente dalla pubblicazione. Da questo momento è ricominciato nuovamente a decorrere il nuovo termine di prescrizione dell’azione di riduzione. La Corte d’appello ha applicato l’art. 129 disp. att. c.p.c. che riguarda la parte, la quale abbia formulato la riserva d’appello, essendo invece evidente che nessuna riserva è stata proposta da A. C., nei cui confronti non si giustificava la protrazione dell’effetto interruttivo fino al passaggio in giudicato della sentenza che ha dichiarato l’estinzione del processo.
Si fa notare che l’azione di riduzione non dà luogo a litisconsorzio necessario, essendo quindi del tutto fuori luogo la considerazione della Corte d’appello nella parte in cui essa ha opinato che la soluzione delle questioni pregiudiziali, sollevate da C.S., si sarebbe riverberata in senso positivo o negativo, anche nei confronti di C. A..
1.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 336 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.
La sentenza è oggetto di censura per avere la Corte d’appello implicitamente riconosciuto che la soluzione delle questioni preliminari, fatta con la sentenza non definitiva, avrebbe riverberato i propri effetti anche nei confronti di C. A..
2. Il primo motivo è fondato.
La giurisprudenza è incline a ritenere che la pronunzia di una sentenza non definitiva di merito, che ai sensi dell’art. 310 c.p.c. sopravvive all’estinzione del processo, serva a conservare l’effetto interruttivo permanente della prescrizione. È stato chiarito che l'art 2945, terzo comma, c.c., secondo cui, interrotta la prescrizione per mezzo di atto introduttivo di un giudizio, la estinzione del processo lascia fermo l'effetto interruttivo e il nuovo periodo di prescrizione comincia dalla data dell'atto interruttivo, non regola gli effetti della interruzione della prescrizione per il caso in cui il processo si sia estinto dopo la pronuncia di una sentenza non definitiva. In questo caso trova applicazione l'art 310 c.p.c. secondo cui l'estinzione del processo rende inefficaci gli atti compiuti ma non le sentenze di merito pronunciate nel corso del processo, ossia le sentenze idonee e a formare la cosa giudicata, con la conseguenza che, persistendo l'efficacia degli atti processuali compiuti in funzione di detta sentenza, l'effetto interruttivo, realizzatosi con l'atto introduttivo del giudizio, permane, a norma del secondo comma dell'art 2945 c.c., fino al momento in cui la sentenza non definitiva passi in giudicato a seguito della sentenza dichiarativa dell'estinzione ed il decorso dei relativi termini d'impugnazione (Cass. n. 840/1981). In altre parole, in caso di estinzione del processo, qualora sia stata pronunciata una sentenza non definitiva anche se limitatamente alla decisione di una o più questioni preliminari di merito, l'interruzione della prescrizione, prodotta dalla proposizione della domanda giudiziale, ha effetto permanente sino al passaggio in giudicato della sentenza (Cass. n. 1736/1975).
Nella specie occorre nello stesso tempo considerare il seguente principio in materia di riserva facoltativa di appello contro sentenza non definitiva: «In tema di riserva facoltativa di appello contro sentenze non definitive, la riserva manifestata da una parte, in caso di soccombenza parziale di più parti, non giova anche alle altre nel caso in cui a loro volta non abbiano formulato riserva, in quanto il sistema complessivo previsto dalla legge processuale rimette ad ogni singola parte, soprattutto ex artt. 340 e 361 c.p.c ., un autonomo potere di scelta fra riserva d'impugnazione e impugnazione immediata, non vincolando le altre parti alla riserva compiuta da una di esse, ma consentendo a ciascuna, anche dopo la formulazione della riserva ad opera delle altre, di proporre impugnazione immediata, rendendo priva di effetto la riserva già formulata. Ne deriva che, se alle parti che abbiano formulato la riserva è precluso il potere di proporre impugnazione immediata, tale potere non è precluso alle parti che non abbiano formulato la riserva, atteso il carattere soggettivo della riserva d'impugnazione, in analogia con il carattere soggettivo, in via generale, dell'acquiescenza (Cass. n. 31153/2017; n. 20892/2008).
Così la mancata dichiarazione di riserva di gravame contro la sentenza non definitiva, se non preclude l'esercizio del potere d'impugnazione immediata, produce, peraltro, la decadenza dal diritto di impugnazione differita. L’esercizio del potere di impugnazione immediata deve esercitarsi entro il termine stabilito dall'art 325 c.p.c., o in quello più lungo di cui all'art 327, decorrenti rispettivamente dalla notificazione e dalla pubblicazione della sentenza stessa (Cass. n. 4542/1978).
Occorre poi considerare i principi in materia di inscindibilità delle cause.
In presenza di litisconsorzio processuale in cause scindibili, la sentenza che le definisce è solo formalmente unica, ma, in realtà, consta di tante pronunzie quante sono le cause riunite, che conservano la loro autonomia anche in sede di impugnazione, nel senso che nessun ostacolo logico o giuridico impedisce il passaggio in giudicato rispetto ad una (o ad alcune) delle parti, nonostante l’impugnazione ad opera di opera di un’altra (o di più altre) delle parti stesse (Cass. n. 5773/1991 n. 12703/1993; n. 653/1999).
La regola valevole per le cause inscindibili è applicabile anche in presenza di un’azione di riduzione esercitata contro più beneficiari di disposizioni lesive della legittima. È principio acquisito che l'azione di riduzione non dà luogo a litisconsorzio necessario, né dal lato attivo, né dal lato passivo (Cass. n. 8529/1996; n. 2174/1998 n. 2714/2005; 27770/2011). L'azione può quindi essere esercitata nei confronti di uno solo degli obbligati alla integrazione della quota spettante al legittimario e spiegare effetto solamente nei suoi confronti in caso di accoglimento (Cass. n. 2006/1967).
La decisione impugnata non è in linea con questi principi. La Corte d’appello, pur riconoscendo che la riserva d’appello fu fatta solo da S. e G.C., e non anche da A., convenuto contumace nel giudizio, ha ugualmente riconosciuto che l’interruzione della prescrizione, prodotta dalla domanda giudiziale, dovesse permanere fino al passaggio in giudicato della sentenza di estinzione. Al contrario, in forza dei principi sopra indicati, nei confronti della parte che non propose la riserva, l’effetto permanente era venuto meno con il decorso del termine lungo decorrente dalla pubblicazione della sentenza non definitiva del 1963. L’argomento usato dalla Corte d’appello - e cioè che la soluzione delle questioni preliminari operata con la sentenza non definitiva, avrebbe potuto riverberarsi anche nei confronti di C. A., nonostante non avesse fatto riserva - non giustifica la diversa soluzione accolta nella sentenza impugnata, tenuto conto della scindibilità delle cause.
3. La sentenza deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata alla Corte d’appello di Messina in diversa composizione, che provvederà a nuovo esame attenendosi a quanto sopra.
Logicamente assorbito il secondo motivo.
La Corte di rinvio liquiderà anche le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie primo motivo; dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte di appello di Messina in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.